perequazioni automatiche

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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da naturopata »

panorama ha scritto:Guardate che il Giudice della sentenza che state discutendo (V. Raeli), e lo stesso che ha emesso la seguente sentenza e da me postata in data 15 agosto 2014, il quale ha accolto analogo argomento
contro
I.N.P.S. – Gestione Ex I.N.P.D.A.P. , in persona del legale rappresentante p.t.;
Ministero degli Interni, in persona del Ministro p.t.;
Comando generale dell’Arma dei Carabinieri
Comando Generale della Guardia di Finanza

Però, in quella occasione tutti i ricorrenti erano rapp.ti e difesi dall’avv. Rocco Capuzzi.


PUGLIA SENTENZA 486 16/06/2014
---------------------------------------------------------------------------------------------
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA SENTENZA 486 2014 PENSIONI 16/06/2014
-----------------------------------------------------------------------------------------
In realtà Panorama quella che citi è un'altra con ruolo 28751, mentre quella citata nella 53/2018 è il ruolo 27894 non appellata e incredibilmente passata in giudicato.

La sentenza 486 è stata appellata e riformata:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai seguenti magistrati:



Luciano

calamaro

Presidente


Piero

FLOREANI

Consigliere relatore


Antonio

buccarelli

Consigliere


Luisa

de petris

Consigliere


Maria Cristina

razzano

I Referendario


ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio sugli appelli iscritti.

- al n. 49873 del registro di segreteria proposto dalla Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, in persona del Col. Mauro Lolli,

contro

Alberto Lamonaca, Luigi Catino, Michele Mimmo e Cataldo Grippa – quest’ultimo riassunto in confronto di Maria Vittoria Curione e Maria Pina Grippa,

- al n. 48148 del registro di segreteria proposto dal Ministero della Difesa

contro

Donato Renna, Emanuele Balli e Raffaele Vitulano,

- al n. 48081 del registro di segreteria proposto dal Ministero dell'Interno

contro

Roberto Maiorano, Fiore Bramato, Nicola Cicerello, Antonio Ciurlia, Luigi Mingione – riassunto in confronto di Angelina Vinciguerra, Maria e Raffaele Mingione -, Rosario Scarciglia, Cosima Lina Cesaria Rollo ved. Schirinzi, Mario De Carlo, Leonardo Ciro Dell’Aquila, Ruggiero Calvano, Giuseppe Antonio Ricci, Giuseppe Putalivo, Romano Quarta, Guglielmo Rizzo – riassunto in confronto di Rita Gerardi, Samuel, Gregorio e Noemi Rizzo -, Giuseppe Ria, Emilio Cursano, Domenico Lafornara – riassunto in confronto di Angela Carbotti, Michele, Grazia, Silvio e Brigida Lafornara -, Antonio Accogli, Donato Pandelli, Carmelo Giannone, Francesca De Vincenzo ved. Faggianelli, Pasquale Rignanese, Matteo Bisceglia, Cosimo Provenzano, Fernando Antonio Coletta, Vito D’Eredità e Giuseppe Petrosillo,

- al n. 49837 del registro di segreteria proposto dall’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Mangiapane, e con questi elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29,

contro

Roberto Maiorano, Fiore Bramato, Nicola Cicerello, Antonio Ciurlia, Luigi Mingione – riassunto in confronto di Angelina Vinciguerra, Maria e Raffaele Mingione -, Rosario Scarciglia, Cosima Lina Cesaria Rollo ved. Schirinzi, Mario De Carlo, Leonardo Ciro Dell’aquila, Ruggiero Calvano, Giuseppe Antonio Ricci, Giuseppe Putalivo, Romano Quarta, Guglielmo Rizzo – riassunto in confronto di Rita Gerardi, Samuel, Gregorio e Noemi Rizzo -, Giuseppe Ria, Emilio Cursano, Domenico Lafornara – riassunto in confronto di Angela Carbotti, Michele, Grazia, Silvio e Brigida Lafornara -, Antonio Accogli, Donato Pandelli, Carmelo Giannone, Francesca De Vincenzo ved. Faggianelli, Pasquale Rignanese, Matteo Bisceglia, Cosimo Provenzano, Fernando Antonio Coletta, Vito D’Eredità e Giuseppe Petrosillo, Donato Renna, Emanuele Balli e Raffaele Vitulano, Alberto Lamonaca, Luigi Catino, Michele Mimmo, Cataldo Grippa - riassunto in confronto di Maria Vittoria Curione e Maria Pina Grippa,

avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Puglia 16 giugno 2014 n. 486;

Visti gli atti introduttivi;

Visti gli altri atti e documenti di causa;

Uditi, all’udienza pubblica del 16 maggio 2017, il consigliere relatore Piero Floreani, il cap. Ilaria Mangiatordi per la Guardia di Finanza, il dott. Angelo Mammone per il Ministero dell'Interno, l’avv. Giuseppina Giannico in rappresentanza dell’ente previdenziale e la dott. Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa.

Ritenuto in

FATTO

Le Amministrazioni in epigrafe e l’I.N.P.S., con distinti appelli, hanno impugnato la sentenza a mezzo della quale la Sezione territoriale ha accolto i ricorsi di soggetti già appartenenti ai ruoli delle relative branche - ovvero titolari di trattamento di riversibilità – ed accertato il diritto alla perequazione della pensione, con collegamento al trattamento stipendiale dei dipendenti di pari anzianità, oltre alla rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

Gli appellanti, con argomentazioni sostanzialmente univoche, sostengono che la Sezione territoriale si è pronunciata sull’erroneo presupposto che dagli art. 36 e 38 della Costituzione siano desumibili principi di tipo precettivo, laddove, invece, queste disposizioni hanno natura programmatica, come si evince dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Allegano giurisprudenza delle Sezioni centrali d’appello di questa Corte e, previa istanza cautelare preordinata alla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, concludono per la sua riforma ed il rigetto delle domande esperite in primo grado. L’I.N.P.S., in particolare, sostiene la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della Legge 17 aprile 1985, n.141 e dei principi di diritto enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 501 del 1988, 409 del 1995 e 337 del 1992, concludendo per la declaratoria di non spettanza dei miglioramenti economici corrisposti al personale in attività di servizio.

Le parti appellate si sono costituite a mezzo dell’avv. Rocco Capuzzi, il quale ha presentato memoria il 14 gennaio 2015, con la quale conclude per il rigetto del gravame, mediante conclusioni reiterate con la successiva memoria depositata il 17 ottobre 2016.

La Sezione, con ordinanze 23 gennaio 2015 n. 9 e 16 novembre 2015 n. 88, ha accolto le istanze cautelari presentate dalla Guardia di Finanza e dai Ministeri dell’Interno e della Difesa per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.

Con ordinanza 11 gennaio 2016 n. 1, i giudizi d’appello sono stati interrotti per morte degli appellati Cataldo Grippa e Domenico Lafornara, mentre, con la successiva ordinanza 26 ottobre 2016 n. 88, il procedimento n. 49837 è stato interrotto per morte degli appellati Guglielmo Rizzo e Luigi Mingione. I giudizi sono stati ritualmente riassunti in confronto degli eredi delle parti decedute.

All’udienza, le parti appellanti si sono riportate alle difese scritte ed insistito per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.

Considerato in

DIRITTO

L’oggetto del giudizio riguarda l’accertamento del diritto, fatto valere da ex dipendenti delle amministrazioni in epigrafe, ovvero da vedove in godimento di pensione di riversibilità, alla sistematica riliquidazione del trattamento pensionistico di cui sono titolari, in funzione dell’adeguamento alla dinamica delle retribuzioni e del complessivo trattamento economico fruito dal corrispondente personale in attività di servizio.

Poiché gli appelli sono stati proposti contro la stessa sentenza, va disposta la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

I gravami sono fondati relativamente a tutte le posizioni per le seguenti ragioni.

Non esiste, invero, nell'attuale ordinamento una disposizione legislativa che consenta, in via di automatismo o, comunque, per effetto di una perequazione in senso tecnico, l'adeguamento del trattamento pensionistico al trattamento d'attività riferito a posizioni lavorative riflettenti analogia di grado e qualifica. La stessa Corte costituzionale, mentre ha riconosciuto in linea generale che i principi di adeguatezza e proporzionalità della pensione comportano una commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro, ha affermato che tale valutazione è riservata al legislatore in funzione del bilanciamento tra esigenze varie nel quadro degli indirizzi di politica economica e delle concrete disponibilità finanziarie (cfr. C.cost. nn. 226 del 1993; 173 del 1986). In questo ordine di idee, l'operato del legislatore sarebbe censurabile soltanto laddove si riscontrasse la mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo fra le variazioni retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego ed il computo delle pensioni.

In tal modo, la Corte costituzionale ha posto riparo a situazioni di tal fatta, sancendo talvolta l'illegittimità costituzionale di disposizioni che non prevedevano la riliquidazione delle pensioni relative a categorie particolari di personale (così con la sentenza 21 aprile-5 maggio 1988 n. 501 - a fronte della radicale ristrutturazione del sistema retributivo del personale in servizio). Analogamente, con la sentenza 8-9 gennaio 1991 n. 1, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del Decreto Legge 16 settembre 1987, n. 379 conv. con Legge 14 novembre 1987, n. 468 nella parte in cui non disponeva a favore dei dirigenti collocati a riposo anteriormente alla data del 1° gennaio 1979 la riliquidazione della pensione sulla base degli stipendi derivanti dall'applicazione di testi normativi specifici (D.L. 27 settembre 1982, n. 681, conv. con Legge 20 novembre 1982, n. 869; Legge 17 aprile 1984, n. 79; D.L. 11 gennaio 1985, n. 2, conv. con Legge 8 marzo 1985, n. 72; D.L. 10 maggio 1986, n. 154, conv. con Legge 11 luglio 1986, n. 341).

Per quanto attiene, in particolare, alla riliquidazione della pensione in applicazione dei principi enunciati dalla sopravvenuta sentenza n. 1 del 1991, è utile precisare che dalla sua motivazione si può evincere soltanto l'irrazionale discriminazione verificatasi in un determinato contesto storico e normativo tra il trattamento di quiescenza di coloro che erano stati collocati a riposo anteriormente al 1° gennaio 1979 e quello dei dirigenti cessati dopo tale data, mentre il diritto alla riliquidazione della pensione dei dirigenti colà presi in considerazione riguarda soltanto il trattamento conseguente all'applicazione di leggi specifiche. La riliquidazione correlata all'applicazione della sentenza che si considera non potrebbe invece ricomprendere ulteriori maggiorazioni stipendiali previste da sopravvenute ed ulteriori disposizioni legislative, perché una tale pretesa presuppone l'esistenza di un principio di aggancio automatico delle pensioni alle retribuzioni, in quanto tale estraneo alla statuizione della Corte e da escludersi laddove non trovi fondamento, come già enunciato, in precise disposizioni della legislazione ovvero negli interventi correttivi della stessa Corte costituzionale (cfr. C.cost. nn. 494 del 1995 e 34 del 1996).

Ma tali procedure non sono invocabili e sostenibili con riferimento a fattispecie assai differenziate quanto ai rilevati presupposti applicativi della riliquidazione, intesa quest'ultima quale meccanismo di adeguamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni.

Alla stregua di tali considerazioni, non potrebbero prospettarsi altre questioni di legittimità costituzionale riferite alle disposizioni normative che non prevedono il diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza qui prospettato. Né altri principi di ragione o di tendenziale orientamento della giurisprudenza ad applicare direttamente principi costituzionali ai rapporti intersoggettivi – in forza della cd. drittwirkung – potrebbero essere affermati, atteso che nella materia trattata, come si è più sopra ricordato, è dato riscontrare l’esistenza di principi generali che hanno formato oggetto di specifiche pronunce della Corte costituzionale, i quali non consentono di pervenire per altra via all’applicazione di principi diversi, ancorché enucleati da disposizioni della stessa Costituzione e contrastanti con i primi.

D'altra parte, la vicenda pensionistica degli attuali ricorrenti non è estranea alla perequazione automatica, propria dell'intero settore pubblico, che, comportando periodici incrementi dei trattamenti pensionistici, consente di attenuare il divario in fatto riscontrabile rispetto ai trattamenti di attività e, parallelamente, di garantire un sufficiente livello di adeguatezza.

Alla soccombenza consegue la condanna di tutte le parti appellate al pagamento degli oneri difensivi delle amministrazioni appellanti, che il collegio liquida nell’importo di € 700 con riguardo ai distinti appelli definiti ed a favore di ciascuna delle amministrazioni interessate.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, riuniti in rito i relativi procedimenti, accoglie gli appelli in epigrafe ed annulla la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Puglia 16 giugno 2014 n. 486.

Condanna le parti resistenti al pagamento degli oneri difensivi delle amministrazioni appellanti, liquidati nell’importo di € 700 a favore di ciascuna delle amministrazioni interessate.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 maggio 2017.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Piero Floreani f.to Luciano Calamaro



Depositata in Segreteria il -6 OTT. 2017

p. Il Dirigente

Sabina Rago

Il Funzionario Amministrativo

Dott.ssa Alessandra Carcani

f.to Alessandra Carcani


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Re: perequazioni automatiche

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naturopata ha scritto:
panorama ha scritto:Guardate che il Giudice della sentenza che state discutendo (V. Raeli), e lo stesso che ha emesso la seguente sentenza e da me postata in data 15 agosto 2014, il quale ha accolto analogo argomento
contro
I.N.P.S. – Gestione Ex I.N.P.D.A.P. , in persona del legale rappresentante p.t.;
Ministero degli Interni, in persona del Ministro p.t.;
Comando generale dell’Arma dei Carabinieri
Comando Generale della Guardia di Finanza

Però, in quella occasione tutti i ricorrenti erano rapp.ti e difesi dall’avv. Rocco Capuzzi.


PUGLIA SENTENZA 486 16/06/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PUGLIA SENTENZA 486 2014 PENSIONI 16/06/2014
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In realtà Panorama quella che citi è un'altra con ruolo 28751, mentre quella citata nella 53/2018 è il ruolo 27894 non appellata e incredibilmente passata in giudicato.

La sentenza 486 è stata appellata e riformata:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE SECONDA GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai seguenti magistrati:



Luciano

calamaro

Presidente


Piero

FLOREANI

Consigliere relatore


Antonio

buccarelli

Consigliere


Luisa

de petris

Consigliere


Maria Cristina

razzano

I Referendario


ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio sugli appelli iscritti.

- al n. 49873 del registro di segreteria proposto dalla Guardia di Finanza, Centro Informatico Amministrativo Nazionale, in persona del Col. Mauro Lolli,

contro

Alberto Lamonaca, Luigi Catino, Michele Mimmo e Cataldo Grippa – quest’ultimo riassunto in confronto di Maria Vittoria Curione e Maria Pina Grippa,

- al n. 48148 del registro di segreteria proposto dal Ministero della Difesa

contro

Donato Renna, Emanuele Balli e Raffaele Vitulano,

- al n. 48081 del registro di segreteria proposto dal Ministero dell'Interno

contro

Roberto Maiorano, Fiore Bramato, Nicola Cicerello, Antonio Ciurlia, Luigi Mingione – riassunto in confronto di Angelina Vinciguerra, Maria e Raffaele Mingione -, Rosario Scarciglia, Cosima Lina Cesaria Rollo ved. Schirinzi, Mario De Carlo, Leonardo Ciro Dell’Aquila, Ruggiero Calvano, Giuseppe Antonio Ricci, Giuseppe Putalivo, Romano Quarta, Guglielmo Rizzo – riassunto in confronto di Rita Gerardi, Samuel, Gregorio e Noemi Rizzo -, Giuseppe Ria, Emilio Cursano, Domenico Lafornara – riassunto in confronto di Angela Carbotti, Michele, Grazia, Silvio e Brigida Lafornara -, Antonio Accogli, Donato Pandelli, Carmelo Giannone, Francesca De Vincenzo ved. Faggianelli, Pasquale Rignanese, Matteo Bisceglia, Cosimo Provenzano, Fernando Antonio Coletta, Vito D’Eredità e Giuseppe Petrosillo,

- al n. 49837 del registro di segreteria proposto dall’I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Mangiapane, e con questi elettivamente domiciliato in Roma, Via Cesare Beccaria n. 29,

contro

Roberto Maiorano, Fiore Bramato, Nicola Cicerello, Antonio Ciurlia, Luigi Mingione – riassunto in confronto di Angelina Vinciguerra, Maria e Raffaele Mingione -, Rosario Scarciglia, Cosima Lina Cesaria Rollo ved. Schirinzi, Mario De Carlo, Leonardo Ciro Dell’aquila, Ruggiero Calvano, Giuseppe Antonio Ricci, Giuseppe Putalivo, Romano Quarta, Guglielmo Rizzo – riassunto in confronto di Rita Gerardi, Samuel, Gregorio e Noemi Rizzo -, Giuseppe Ria, Emilio Cursano, Domenico Lafornara – riassunto in confronto di Angela Carbotti, Michele, Grazia, Silvio e Brigida Lafornara -, Antonio Accogli, Donato Pandelli, Carmelo Giannone, Francesca De Vincenzo ved. Faggianelli, Pasquale Rignanese, Matteo Bisceglia, Cosimo Provenzano, Fernando Antonio Coletta, Vito D’Eredità e Giuseppe Petrosillo, Donato Renna, Emanuele Balli e Raffaele Vitulano, Alberto Lamonaca, Luigi Catino, Michele Mimmo, Cataldo Grippa - riassunto in confronto di Maria Vittoria Curione e Maria Pina Grippa,

avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Puglia 16 giugno 2014 n. 486;

Visti gli atti introduttivi;

Visti gli altri atti e documenti di causa;

Uditi, all’udienza pubblica del 16 maggio 2017, il consigliere relatore Piero Floreani, il cap. Ilaria Mangiatordi per la Guardia di Finanza, il dott. Angelo Mammone per il Ministero dell'Interno, l’avv. Giuseppina Giannico in rappresentanza dell’ente previdenziale e la dott. Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa.

Ritenuto in

FATTO

Le Amministrazioni in epigrafe e l’I.N.P.S., con distinti appelli, hanno impugnato la sentenza a mezzo della quale la Sezione territoriale ha accolto i ricorsi di soggetti già appartenenti ai ruoli delle relative branche - ovvero titolari di trattamento di riversibilità – ed accertato il diritto alla perequazione della pensione, con collegamento al trattamento stipendiale dei dipendenti di pari anzianità, oltre alla rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

Gli appellanti, con argomentazioni sostanzialmente univoche, sostengono che la Sezione territoriale si è pronunciata sull’erroneo presupposto che dagli art. 36 e 38 della Costituzione siano desumibili principi di tipo precettivo, laddove, invece, queste disposizioni hanno natura programmatica, come si evince dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Allegano giurisprudenza delle Sezioni centrali d’appello di questa Corte e, previa istanza cautelare preordinata alla sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, concludono per la sua riforma ed il rigetto delle domande esperite in primo grado. L’I.N.P.S., in particolare, sostiene la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della Legge 17 aprile 1985, n.141 e dei principi di diritto enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 501 del 1988, 409 del 1995 e 337 del 1992, concludendo per la declaratoria di non spettanza dei miglioramenti economici corrisposti al personale in attività di servizio.

Le parti appellate si sono costituite a mezzo dell’avv. Rocco Capuzzi, il quale ha presentato memoria il 14 gennaio 2015, con la quale conclude per il rigetto del gravame, mediante conclusioni reiterate con la successiva memoria depositata il 17 ottobre 2016.

La Sezione, con ordinanze 23 gennaio 2015 n. 9 e 16 novembre 2015 n. 88, ha accolto le istanze cautelari presentate dalla Guardia di Finanza e dai Ministeri dell’Interno e della Difesa per la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.

Con ordinanza 11 gennaio 2016 n. 1, i giudizi d’appello sono stati interrotti per morte degli appellati Cataldo Grippa e Domenico Lafornara, mentre, con la successiva ordinanza 26 ottobre 2016 n. 88, il procedimento n. 49837 è stato interrotto per morte degli appellati Guglielmo Rizzo e Luigi Mingione. I giudizi sono stati ritualmente riassunti in confronto degli eredi delle parti decedute.

All’udienza, le parti appellanti si sono riportate alle difese scritte ed insistito per l’accoglimento delle conclusioni già formulate.

Considerato in

DIRITTO

L’oggetto del giudizio riguarda l’accertamento del diritto, fatto valere da ex dipendenti delle amministrazioni in epigrafe, ovvero da vedove in godimento di pensione di riversibilità, alla sistematica riliquidazione del trattamento pensionistico di cui sono titolari, in funzione dell’adeguamento alla dinamica delle retribuzioni e del complessivo trattamento economico fruito dal corrispondente personale in attività di servizio.

Poiché gli appelli sono stati proposti contro la stessa sentenza, va disposta la riunione dei relativi procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.

I gravami sono fondati relativamente a tutte le posizioni per le seguenti ragioni.

Non esiste, invero, nell'attuale ordinamento una disposizione legislativa che consenta, in via di automatismo o, comunque, per effetto di una perequazione in senso tecnico, l'adeguamento del trattamento pensionistico al trattamento d'attività riferito a posizioni lavorative riflettenti analogia di grado e qualifica. La stessa Corte costituzionale, mentre ha riconosciuto in linea generale che i principi di adeguatezza e proporzionalità della pensione comportano una commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro, ha affermato che tale valutazione è riservata al legislatore in funzione del bilanciamento tra esigenze varie nel quadro degli indirizzi di politica economica e delle concrete disponibilità finanziarie (cfr. C.cost. nn. 226 del 1993; 173 del 1986). In questo ordine di idee, l'operato del legislatore sarebbe censurabile soltanto laddove si riscontrasse la mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo fra le variazioni retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego ed il computo delle pensioni.

In tal modo, la Corte costituzionale ha posto riparo a situazioni di tal fatta, sancendo talvolta l'illegittimità costituzionale di disposizioni che non prevedevano la riliquidazione delle pensioni relative a categorie particolari di personale (così con la sentenza 21 aprile-5 maggio 1988 n. 501 - a fronte della radicale ristrutturazione del sistema retributivo del personale in servizio). Analogamente, con la sentenza 8-9 gennaio 1991 n. 1, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del Decreto Legge 16 settembre 1987, n. 379 conv. con Legge 14 novembre 1987, n. 468 nella parte in cui non disponeva a favore dei dirigenti collocati a riposo anteriormente alla data del 1° gennaio 1979 la riliquidazione della pensione sulla base degli stipendi derivanti dall'applicazione di testi normativi specifici (D.L. 27 settembre 1982, n. 681, conv. con Legge 20 novembre 1982, n. 869; Legge 17 aprile 1984, n. 79; D.L. 11 gennaio 1985, n. 2, conv. con Legge 8 marzo 1985, n. 72; D.L. 10 maggio 1986, n. 154, conv. con Legge 11 luglio 1986, n. 341).

Per quanto attiene, in particolare, alla riliquidazione della pensione in applicazione dei principi enunciati dalla sopravvenuta sentenza n. 1 del 1991, è utile precisare che dalla sua motivazione si può evincere soltanto l'irrazionale discriminazione verificatasi in un determinato contesto storico e normativo tra il trattamento di quiescenza di coloro che erano stati collocati a riposo anteriormente al 1° gennaio 1979 e quello dei dirigenti cessati dopo tale data, mentre il diritto alla riliquidazione della pensione dei dirigenti colà presi in considerazione riguarda soltanto il trattamento conseguente all'applicazione di leggi specifiche. La riliquidazione correlata all'applicazione della sentenza che si considera non potrebbe invece ricomprendere ulteriori maggiorazioni stipendiali previste da sopravvenute ed ulteriori disposizioni legislative, perché una tale pretesa presuppone l'esistenza di un principio di aggancio automatico delle pensioni alle retribuzioni, in quanto tale estraneo alla statuizione della Corte e da escludersi laddove non trovi fondamento, come già enunciato, in precise disposizioni della legislazione ovvero negli interventi correttivi della stessa Corte costituzionale (cfr. C.cost. nn. 494 del 1995 e 34 del 1996).

Ma tali procedure non sono invocabili e sostenibili con riferimento a fattispecie assai differenziate quanto ai rilevati presupposti applicativi della riliquidazione, intesa quest'ultima quale meccanismo di adeguamento delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni.

Alla stregua di tali considerazioni, non potrebbero prospettarsi altre questioni di legittimità costituzionale riferite alle disposizioni normative che non prevedono il diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza qui prospettato. Né altri principi di ragione o di tendenziale orientamento della giurisprudenza ad applicare direttamente principi costituzionali ai rapporti intersoggettivi – in forza della cd. drittwirkung – potrebbero essere affermati, atteso che nella materia trattata, come si è più sopra ricordato, è dato riscontrare l’esistenza di principi generali che hanno formato oggetto di specifiche pronunce della Corte costituzionale, i quali non consentono di pervenire per altra via all’applicazione di principi diversi, ancorché enucleati da disposizioni della stessa Costituzione e contrastanti con i primi.

D'altra parte, la vicenda pensionistica degli attuali ricorrenti non è estranea alla perequazione automatica, propria dell'intero settore pubblico, che, comportando periodici incrementi dei trattamenti pensionistici, consente di attenuare il divario in fatto riscontrabile rispetto ai trattamenti di attività e, parallelamente, di garantire un sufficiente livello di adeguatezza.

Alla soccombenza consegue la condanna di tutte le parti appellate al pagamento degli oneri difensivi delle amministrazioni appellanti, che il collegio liquida nell’importo di € 700 con riguardo ai distinti appelli definiti ed a favore di ciascuna delle amministrazioni interessate.

P.Q.M.

la Corte dei conti, Sezione seconda giurisdizionale centrale d’appello, riuniti in rito i relativi procedimenti, accoglie gli appelli in epigrafe ed annulla la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Puglia 16 giugno 2014 n. 486.

Condanna le parti resistenti al pagamento degli oneri difensivi delle amministrazioni appellanti, liquidati nell’importo di € 700 a favore di ciascuna delle amministrazioni interessate.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16 maggio 2017.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

f.to Piero Floreani f.to Luciano Calamaro



Depositata in Segreteria il -6 OTT. 2017

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Sabina Rago

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ANCHE LA SENTENZA 53/2018, SARA' SICURAMENTE APPELLATA- IL TERMINE PER APPELLARE E ANCORA PRESTO PER ESSERE DICHIARATA PASSATA IN GIUDICATO LA SENTENZA-
naturopata
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da naturopata »

ANCHE LA SENTENZA 53/2018, SARA' SICURAMENTE APPELLATA- IL TERMINE PER APPELLARE E ANCORA PRESTO PER ESSERE DICHIARATA PASSATA IN GIUDICATO LA SENTENZA-[/quote]

Ciro, permettimi, lo so che la 53/2018 può essere ancora appellata, ma il giudice ne cita un'altra passata in giudicato che non è quella che ha citato Panorama:

Del resto, con riferimento ad analogo giudizio ( n. 27894), la stessa Amministrazione degli Interni non ha esperito appello avverso la sentenza di questo G.U.P., con cui è stato riconosciuto il diritto alla perequazione del trattamento pensionistico, evidentemente condividendo il ragionamento contenuto nella sentenza di accoglimento.
avt8
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da avt8 »

naturopata ha scritto:ANCHE LA SENTENZA 53/2018, SARA' SICURAMENTE APPELLATA- IL TERMINE PER APPELLARE E ANCORA PRESTO PER ESSERE DICHIARATA PASSATA IN GIUDICATO LA SENTENZA-
Ciro, permettimi, lo so che la 53/2018 può essere ancora appellata, ma il giudice ne cita un'altra passata in giudicato che non è quella che ha citato Panorama:

Del resto, con riferimento ad analogo giudizio ( n. 27894), la stessa Amministrazione degli Interni non ha esperito appello avverso la sentenza di questo G.U.P., con cui è stato riconosciuto il diritto alla perequazione del trattamento pensionistico, evidentemente condividendo il ragionamento contenuto nella sentenza di accoglimento.[/quote]


Chi ti dice che quella sentenza passata in giudicato non sia stata richiesta la revocazione ? che si può sempre chiedere-
naturopata
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da naturopata »

Chi ti dice che quella sentenza passata in giudicato non sia stata richiesta la revocazione ? che si può sempre chiedere-[/quote]

Quello che dici è impossibile al100%, sia perché il giudice l'avrebbe citato, sia perché quella sentenza dovrebbe essere del 2013 e la revocazione ha termini precisi, poi quello non è un errore di fatto ma di diritto e quindi la sede naturale era l'appello e non la revocazione:


art. 178 codice di giustizia contabile:

. In difetto della notificazione della sentenza,I termini per proporre la revocazione non sono sempre certi quanto all'origine della loro l'appello e la revocazione per i motivi di cui all'articolo 202, comma 1, lettere f) e g), devono essere notificati, a pena di decadenza, entro un anno dalla pubblicazione della sentenza, eccetto il caso in cui la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullita' della citazione o della notificazione di essa, o per nullita' degli atti di cui all'articolo 93.


Inoltre:

La certezza del dies a quo, infatti, si ha solo per i casi di revocazione ordinaria, ovverosia nell'ipotesi in cui la sentenza sia l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti di causa o se essa sia contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata.

In tutte le altre ipotesi, per le quali si parla di revocazione straordinaria, invece, il dies a quo è incerto.

L'articolo 326 del codice di rito, infatti, stabilisce che il termine di trenta giorni per proporre tale mezzo di impugnazione, in questi casi, decorre dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza effetto del dolo del giudice o, infine, il pubblico ministero ha avuto conoscenza della sentenza da impugnare.

Occorre a tal proposito precisare che le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per revocazione straordinaria solo se la scoperta del dolo o della falsità o il recupero dei documenti o la pronuncia della sentenza effetto del dolo del giudice sia avvenuta dopo la scadenza del suddetto termine.

Se invece tali fatti avvengono durante il corso del termine per l'appello, quest'ultimo è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso.

Per tutto quanto meglio esposto, la sentenza è passata in giudicato.
Raffaeleben
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da Raffaeleben »

Dopo tutto ciò noi pensionati cosa dobbiamo fare ricorso?
naturopata
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da naturopata »

Raffaeleben ha scritto:Dopo tutto ciò noi pensionati cosa dobbiamo fare ricorso?
Se stai in Puglia, ti direi di provare e sperare di capitare con questo GUP Reali, se stai da altre parti, lascia perdere.
panorama
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da panorama »

Ricorso Accolto
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1) - titolare, a far data dal 1/9/2009, del trattamento di pensione n. ..... superiore a sei volte il trattamento minimo (come indicato nell’istanza rivolta all’INPS del 18.1.2016 e nella memoria integrativa del 31.1.2018 di cui si dirà appresso) - ha convenuto in giudizio l’INPS ...... per sentir dichiarare il proprio diritto ad ottenere la rivalutazione, secondo il meccanismo della perequazione automatica, del predetto trattamento pensionistico a decorrere dal 1/1/2016, rinunciando invece agli arretrati relativi al periodo 2012-2015, con la conseguente corresponsione, fino all’effettivo soddisfo, dei relativi arretrati, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.

2) - Il ricorrente ha dedotto di aver chiesto, con raccomandata A/R del 18.1.2016, all’Inps di competenza provinciale l’adeguamento del proprio trattamento pensionistico al meccanismo della perequazione automatica a decorrere dal 1.1.2016, domanda alla quale il predetto Ente previdenziale ha fornito risposta negativa.

3) - la disciplina della perequazione ivi prevista lederebbe i principi di adeguatezza e proporzionalità del trattamento di pensione, nonché il principio di uguaglianza per i titolari di pensioni di importo superiore a sei volte il minimo I.N.P.S.
- ) - Inoltre, la riproposizione di una norma già dichiarata incostituzionale farebbe ritenere integrata la violazione dell’art. 136 Cost.

4) - Con note integrative del 23 gennaio 2018 il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, indicando la misura del trattamento mensile a titolo di perequazione a lui asseritamente spettante, pari ad euro 186,58, confermando la decorrenza del 1.1.2016 e la rinuncia agli adeguamenti per il periodo 2012-2015 che ammonterebbero ad euro 10.831,47.

5) - gli arretrati richiesti dal ricorrente sono limitati al periodo successivo al 1.1.2016

6) - Ciò premesso, questo Giudice Unico deve rilevare che la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 250 del 25-10/1-12-2017, ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65/2015 in tema di perequazione automatica delle pensioni , ritenendo che,
- ) - con la nuova disciplina di cui al richiamato d.l. 65/2015, “nell’intento dichiarato di dare attuazione alla sentenza di questa Corte n. 70 del 2015, il legislatore ha operato un nuovo bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nella materia”.

7) - E’ stato, altresì, rilevato che “l’art. 1, comma 1, numero 1) del d.l. n. 65 del 2015
- ) - ha, infatti, introdotto una nuova disciplina della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici relativa agli anni 2012 e 2013,
- ) - diversa da quella dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 70 del 2015,
- ) - poiché riconosce la perequazione, in misura percentuale decrescente, anche ai trattamenti pensionistici - in precedenza esclusi dalla stessa-
- ) - compresi quelli superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e quelli fino a sei volte lo stesso trattamento”.

8) - Nella predetta decisione è stata scrutinata anche la questione dell’applicazione della perequazione automatica ai trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, quale è quello in godimento all’odierno ricorrente.

9) - La lettera e) del comma 25 dell’articolo 24 d.l. 201-2011, come modificato dall’articolo 1, comma 1, d.l. 65/2015, ha, infatti, del tutto escluso, limitatamente al biennio 2012-2013, la perequazione automatica dei predetti trattamenti pensionistici.

10) - L’articolo 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), come modificato dall’articolo 1, comma 286, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, alla lettera e),
- ) - ha previsto che
- ) - “per il periodo 2014-2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448
- ) - è riconosciuta […] nella misura del 45 per cento,
- ) - per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS
- ) - con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi”.

11) - Il suddetto impianto normativo è stato ritenuto costituzionalmente legittimo da parte della Corte costituzionale nella citata sentenza n. 250/2017.

12) - In proposito la Consulta (cfr. punto 8.1 e 8.2.2. del considerato in diritto) ha rilevato che
- ) - il blocco della perequazione per i trattamenti pensionistici superiore a sei volte il trattamento minimo INPS
- ) - è riferito soltanto al biennio 2012-2013,
- ) - mentre per il periodo successivo (2014-2018), la disposizione cui fare riferimento è l’articolo 1, comma 483, lett. e) della legge n. 147/2013 e s.m.i.

13) - Tale disposizione riconosce la perequazione dei predetti trattamenti pensionistici nella misura del 45% per il periodo 2015-2018.

Per comprendere al meglio le argomentazioni, Leggete il tutto qui sotto.
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CAMPANIA SENTENZA 67 13/02/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
CAMPANIA SENTENZA 67 2018 PENSIONI 13/02/2018
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Sentenza n. 67/2018

REPUBBLICA ITALIANA
In Nome del Popolo Italiano
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale per la Campania
Il Giudice Unico delle Pensioni
dott.ssa Benedetta Cossu

ha emesso la seguente:
SENTENZA

sul ricorso in materia di pensione, iscritto al n. 68653 del registro di segreteria, depositato in data 14 dicembre 2016 proposto, da

A. S., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente in Omissis, Omissis, non costituito a mezzo di procuratore, il quale ha dichiarato di voler ricevere le comunicazioni presso il seguente indirizzo PEC:stancoalfonso@pec.it;

contro

INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, via Ciro il Grande, n. 21, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Sofia Lizzi, elettivamente domiciliato in Napoli, via De Gasperi, n. 55;

Visto l’atto introduttivo del giudizio.
Visti gli atti e documenti tutti del fascicolo processuale.
Udito, alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, celebrata con l’assistenza del segretario, dott. Filiberto Imposimato, l’avvocato Maria Sofia Lizzi per l’INPS, presente la parte ricorrente personalmente.

Ritenuto in

FATTO

Con il ricorso in epigrafe il Prof. S. – titolare, a far data dal 1/9/2009, del trattamento di pensione n. 17701313 superiore a sei volte il trattamento minimo (come indicato nell’istanza rivolta all’INPS del 18.1.2016 e nella memoria integrativa del 31.1.2018 di cui si dirà appresso) - ha convenuto in giudizio l’INPS della sede provinciale di Salerno per sentir dichiarare il proprio diritto ad ottenere la rivalutazione, secondo il meccanismo della perequazione automatica, del predetto trattamento pensionistico a decorrere dal 1/1/2016, rinunciando invece agli arretrati relativi al periodo 2012-2015, con la conseguente corresponsione, fino all’effettivo soddisfo, dei relativi arretrati, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria.

Il ricorrente ha dedotto di aver chiesto, con raccomandata A/R del 18.1.2016, all’Inps di competenza provinciale l’adeguamento del proprio trattamento pensionistico al meccanismo della perequazione automatica a decorrere dal 1.1.2016, domanda alla quale il predetto Ente previdenziale ha fornito risposta negativa.

Parte ricorrente ha ricostruito il quadro normativo venutosi a determinare a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 70/ 2015, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, co. 25, del D.L. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, della legge n. 214/2011. Ha evidenziato, in particolare, come, a seguito della decisione della Consulta, sia stato emanato il decreto legge n. 65/2015, convertito in legge n. 109/2015, contenente una disciplina della rivalutazione dei trattamenti pensionistici che ha recepito solo parzialmente i contenuti della sentenza n. 70/ 2015, disponendo l’attribuzione di percentuali perequative rapportate all’ ammontare delle pensioni .

Il ricorrente ha, quindi, eccepito l’illegittimità costituzionale della legge n. 109/2015 per violazione dei parametri di cui agli artt. 3, 36 co. 1, 38 co. 2, 53 e 136 della Costituzione. In particolare, la disciplina della perequazione ivi prevista lederebbe i principi di adeguatezza e proporzionalità del trattamento di pensione, nonché il principio di uguaglianza per i titolari di pensioni di importo superiore a sei volte il minimo I.N.P.S. Inoltre, la riproposizione di una norma già dichiarata incostituzionale farebbe ritenere integrata la violazione dell’art. 136 Cost.

Con note integrative del 23 gennaio 2018 il ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso, indicando la misura del trattamento mensile a titolo di perequazione a lui asseritamente spettante, pari ad euro 186,58, confermando la decorrenza del 1.1.2016 e la rinuncia agli adeguamenti per il periodo 2012-2015 che ammonterebbero ad euro 10.831,47. Ha, altresì, richiesto, richiamando la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il riconoscimento di un equo indennizzo per i danni morali subiti per effetto del blocco del meccanismo della perequazione automatica del trattamento pensionistico in godimento.

Con memoria del 31 gennaio 2018 si è costituito in giudizio l’INPS eccependo la decadenza dall’azione giudiziaria ex art. 47 DPR 639/1970 per i ratei messi in pagamento prima dei tre anni calcolati a ritroso dal deposito del ricorso introduttivo del giudizio. Nel merito ha rilevato l’infondatezza della domanda in quanto il decreto legge n. 65/2015, adottato a seguito della sentenza della Corte costituzionale 70/2015, ha regolamentato la disciplina della perequazione dei trattamenti pensionistici introducendo delle differenziazioni in ragione degli importi dei trattamenti pensionistici, escludendola del tutto per i trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.

Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, è comparso il ricorrente personalmente, il quale non essendo costituito tramite un difensore, secondo quanto previsto dall’articolo 157, comma 1, c.g.c., non ha potuto svolgere le proprie difese; l’avvocato Lizzi per l’INPS si è riportata alla memoria di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso.

Il giudizio è passato, dunque, in decisione con lettura del dispositivo in udienza.

Considerato in
DIRITTO

1. In via pregiudiziale, deve essere dichiarata l’infondatezza dell’eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria sollevata dalla difesa dell’INPS. Dagli atti di causa si ricava, infatti, che il ricorso introduttivo del giudizio, previa presentazione di domanda in via amministrativa (18.1.2016), è stato notificato all’Ente previdenziale il 30.11.2016 e che gli arretrati richiesti dal ricorrente sono limitati al periodo successivo al 1.1.2016, avendo quest’ultimo espressamente rinunciato a quelli relativi al periodo 2012-2015.

2. Nel merito, la questione di diritto sulla quale questo Giudice Unico delle Pensioni è chiamato a pronunciarsi riguarda il sistema di perequazione dei trattamenti pensionistici introdotto dall’art. 1 del d.l. 65/2015 sotto il profilo della sua conformità ai principi sanciti dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 30 aprile 2015.

Con la citata decisione è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale - per contrasto con gli artt. 36, primo comma e 38, secondo comma, della Costituzione - dell'art. 24, comma 25, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevedeva, “in considerazione della contingente situazione finanziaria”, che “la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448” venisse “riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento”.

Nell’ambito di tale decisione, la violazione dei parametri costituzionali della proporzionalità del trattamento di quiescenza (art. 36, co. 1, Cost.) e della sua adeguatezza (art. 38, co. 2, Cost.) - da intendersi quale espressione del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e, nel contempo, attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, co. 2, Cost. - ha trovato fondamento nella considerazione che il diritto dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite risultava “irragionevolmente sacrificato da esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”.

Più in particolare, i Giudici della Consulta hanno posto in evidenza come la disposizione concernente l’azzeramento del meccanismo perequativo di cui all’art. 25, comma 24, del D.L. n. 201 del 2011 si limitasse a richiamare genericamente la “contingente situazione finanziaria”, senza che dal disegno complessivo della legge emergesse la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti che venivano compressi da interventi così fortemente incisivi.

A seguito della pronuncia dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011, il Governo è intervenuto con il D.L. n. 65 del 21.5. 2015, convertito, con modifiche, nella legge n. 109 del 17.7. 2015, introducendo, con efficacia retroattiva, la disciplina della perequazione automatica delle pensioni che parte ricorrente ha sottoposto a censura sotto il profilo dell’asserita violazione dei parametri di cui agli artt. 3, 36 co. 1, 38 co. 2, 53 e 136 della Costituzione.

Ciò premesso, questo Giudice Unico deve rilevare che la Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 250 del 25-10/1-12-2017, ha respinto le censure di incostituzionalità del decreto-legge n. 65/2015 in tema di perequazione automatica delle pensioni , ritenendo che, con la nuova disciplina di cui al richiamato d.l. 65/2015, “nell’intento dichiarato di dare attuazione alla sentenza di questa Corte n. 70 del 2015, il legislatore ha operato un nuovo bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti nella materia”. E’ stato, altresì, rilevato che “l’art. 1, comma 1, numero 1) del d.l. n. 65 del 2015 ha, infatti, introdotto una nuova disciplina della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici relativa agli anni 2012 e 2013, diversa da quella dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 70 del 2015, poiché riconosce la perequazione, in misura percentuale decrescente, anche ai trattamenti pensionistici - in precedenza esclusi dalla stessa- compresi quelli superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e quelli fino a sei volte lo stesso trattamento”.

Nella predetta decisione è stata scrutinata anche la questione dell’applicazione della perequazione automatica ai trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, quale è quello in godimento all’odierno ricorrente.

La lettera e) del comma 25 dell’articolo 24 d.l. 201-2011, come modificato dall’articolo 1, comma 1, d.l. 65/2015, ha, infatti, del tutto escluso, limitatamente al biennio 2012-2013, la perequazione automatica dei predetti trattamenti pensionistici.

L’articolo 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), come modificato dall’articolo 1, comma 286, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, alla lettera e), ha previsto che “per il periodo 2014-2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 è riconosciuta […] nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi”.

Il suddetto impianto normativo è stato ritenuto costituzionalmente legittimo da parte della Corte costituzionale nella citata sentenza n. 250/2017. In proposito la Consulta (cfr. punto 8.1 e 8.2.2. del considerato in diritto) ha rilevato che il blocco della perequazione per i trattamenti pensionistici superiore a sei volte il trattamento minimo INPS è riferito soltanto al biennio 2012-2013, mentre per il periodo successivo (2014-2018), la disposizione cui fare riferimento è l’articolo 1, comma 483, lett. e) della legge n. 147/2013 e s.m.i.

Tale disposizione riconosce la perequazione dei predetti trattamenti pensionistici nella misura del 45% per il periodo 2015-2018.

3. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, considerato che l’oggetto della domanda è costituito dall’applicazione della perequazione automatica al trattamento pensionistico (superiore a sei volte il minimo INPS) in godimento da parte del ricorrente, a decorrere dal 1.1.2016, avendo quest’ultimo espressamente rinunciato alla perequazione dei ratei relativi al periodo 2012-2015, il ricorso deve essere accolto e, per l’effetto, l’INPS deve essere condannato al pagamento, a decorrere dal rateo di pensione del mese di gennaio 2016, dell’integrazione del trattamento pensionistico in godimento nella misura prevista ex art. 1, comma 483, lett. e), l. n. 147/2013 e s.mi. (pari al 45%). Sulle predette somme sono dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria determinata con applicazione degli indici ISTAT, secondo il principio del cumulo parziale affermato nella pronuncia delle SS.RR. di questa Corte n. 10/2002/QM, con decorrenza dalla data di maturazione dei singoli ratei differenziali sino all’effettivo soddisfo.

4. Destituita di fondamento è, viceversa, la domanda volta ad ottenere l’indennizzo per i danni morali subiti dal ricorrente per effetto del blocco dell’adeguamento automatico della propria pensione.

In disparte la considerazione che il ricorrente, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, ha espressamente rinunciato all’adeguamento dei ratei di pensione relativi al periodo 2012-2015, nessuna violazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU è stata ravvisata da parte della Corte costituzionale nella già richiamata sentenza n. 250/2017. La Consulta ha, in proposito precisato che l’intervento operato dal legislatore con l’articolo 1, comma 1, del d.l. 65/2015, pur se contenente disposizioni retroattive (i.d. quelle relative alla perequazione applicabile nel 2012 e 2013) idonee ad incidere su procedimenti giudiziari in corso, è stato motivato dal dichiarato “intento di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015”, operando, con riguardo a tutti i trattamenti pensionistici, un nuovo bilanciamento tra l’interesse dei pensionati e le esigenze finanziarie dello Stato” (punto 6.2.2. del considerato in diritto).

5. In relazione alla statuizione sulle spese, non sono dovute quelle di giustizia in ragione della gratuità dei giudizi pensionistici, né quelle legali in ragione della reciproca soccombenza delle parti e della mancata costituzione del ricorrente tramite un proprio difensore.

P.Q.M.

La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Campania - in composizione di Giudice Unico per le pensioni , definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente il ricorso nei termini di cui in motivazione.

Nulla per le spese di giudizio e legali.

Fissa in trenta giorni il termine per il deposito della sentenza.
Così deciso, in Napoli, nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2018.

Il Giudice
(Dott.ssa Benedetta Cossu)


Depositata in Segreteria il 13 febbraio 2018


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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da panorama »

Forse è più semplice, leggere velocemente questi brani di cui alla suindicata sentenza.
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1) - L’articolo 1, comma 483, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), come modificato dall’articolo 1, comma 286, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, alla lettera e), ha previsto che “per il periodo 2014-2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 è riconosciuta […] nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi”.

2) - Il suddetto impianto normativo è stato ritenuto costituzionalmente legittimo da parte della Corte costituzionale nella citata sentenza n. 250/2017.

3) - In proposito la Consulta (cfr. punto 8.1 e 8.2.2. del considerato in diritto) ha rilevato che il blocco della perequazione per i trattamenti pensionistici superiore a sei volte il trattamento minimo INPS è riferito soltanto al biennio 2012-2013, mentre per il periodo successivo (2014-2018), la disposizione cui fare riferimento è l’articolo 1, comma 483, lett. e) della legge n. 147/2013 e s.m.i.

4) - Tale disposizione riconosce la perequazione dei predetti trattamenti pensionistici nella misura del 45% per il periodo 2015-2018.
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Re: perequazioni automatiche

Messaggio da panorama »

Corte Costituzionale Ordinanza n. 96 del 2018.
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Norme impugnate: Art. 24, c. 25°, lett. b), c), d) ed e), e c. 25° bis, del decreto-legge 06/12/2011, n. 201, convertito, con modificazioni, nella legge 22/12/2011, n. 214, come sostituito (il c. 25°) e inserito (il c. 25° bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del c. 1° dell'art. 1 del decreto-legge 21/05/2015, n. 65, convertito, con modificazioni, nella legge 17/07/2015, n. 109; art. 1, c. 483°, lett. e), della legge 27/12/2013, n. 147.
_________________________

Oggetto: Previdenza e assistenza - Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici - Perequazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013 - Esclusione per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento integrale per i trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS e, in diverse misure percentuali, per quelli compresi tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS - Riconoscimento della perequazione per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il minimo INPS, relativa agli anni 2012-2013, come determinata dall'art. 24, comma 25, del decreto-legge n. 201 del 2011, nella misura del 20 per cento negli anni 2014-2015 e del 50 per cento a decorrere dall'anno 2016. Perequazione automatica delle pensioni per il periodo 2014-2016 - Esclusione della perequazione, per l'anno 2014, con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.


Dispositivo: manifesta infondatezza
Atti decisi: ordd. 122, 123, 131, 132 e 133/2017

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ORDINANZA N. 96
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
- Francesco VIGANÒ ”
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25, lettere b), c), d) ed e), e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 – come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109 – e dell’art. 1, comma 483, lettera e), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, con cinque ordinanze del 5 luglio 2017, iscritte, rispettivamente, ai nn. 122, 123, 131, 132 e 133 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione di A.C. A. e altri, di S. C. e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 aprile 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto che, con l’ordinanza n. 90 del 5 luglio 2017 (reg. ord. n. 122 del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:
a) degli artt. 24, commi 25, lettere b), c), d) ed e), e 25-bis del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109;
b) dell’art. 1, comma 483, lettera e), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce che, «per il solo anno 2014, [la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici] non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS»;

che le disposizioni censurate dettano norme in materia di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, stabilendo, rispettivamente: il comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta: […]
b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi. […];
c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi. […];
d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi. […];
e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi»; il comma 25-bis dello stesso art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che «La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS è riconosciuta:
a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;
b) a decorrere dall’anno 2016 nella misura del 50 per cento»; il comma 483 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, come modificato dall’art. 1, comma 286, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», che «Per il periodo 2014-2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta: […] e) nella misura del 40 per cento, per l’anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Al comma 236 dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il primo periodo è soppresso, e al secondo periodo le parole: “Per le medesime finalità” sono soppresse»;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto:

a) di essere investito del giudizio pensionistico introdotto con ricorso, notificato il 17 marzo 2016 e depositato il giorno successivo, proposto nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) da ottantuno titolari di trattamenti pensionistici;

b) che i ricorrenti lamentavano che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva previsto, per quegli stessi anni, «un meccanismo perequativo assolutamente insufficiente» per le pensioni superiori a tre volte e fino a sei volte il trattamento minimo INPS e, nuovamente, nessuna rivalutazione per le pensioni superiori a tale importo, mentre l’art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del 2013 aveva «reitera[to] tale blocco anche per gli anni 2014 e 2015»;

c) che gli stessi ricorrenti avevano, perciò, eccepito l’illegittimità costituzionale di tali disposizioni, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 81 e 117 Cost., chiedendo, previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna dell’INPS al pagamento «dei maggiori ratei pensionistici per le annualità dal 2012 al 2015»;

d) che si era costituito l’INPS, contestando la fondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale e della domanda dei ricorrenti; e) che, alla luce della comparsa dell’INPS, doveva «considerarsi incontestata la suddivisione [di essi] nelle quattro fasce di pensioni eccedenti il triplo del trattamento minimo INPS»;

che, in punto di rilevanza delle questioni, il giudice rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione automatica riconosciuta dalle lettere b), c), d) ed e) del vigente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 con quella prevista dall’art. 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)», «previgente rispetto al D.L. n° 201/2011» – comma in base al quale l’indice di rivalutazione automatica delle pensioni era applicato nella misura del 90 per cento per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS e nella misura del 75 per cento per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il predetto trattamento minimo – e avere ribadito che «l’esclusione di qualsiasi perequazione è stata confermata […] dalla lettera e del comma 483 dell’art. 1 della legge n° 147/2013 per l’anno 2014», afferma che risulta «perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sia della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011, sia [di detta] lettera e»;

che lo stesso giudice a quo ritiene tali questioni non manifestamente infondate in riferimento sia al principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., sia agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.;

che il rimettente asserisce che, secondo la Corte costituzionale, la proporzionalità e l’adeguatezza dei trattamenti previdenziali devono essere costantemente assicurate anche dopo il collocamento a riposo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta (è citata la sentenza n. 173 del 1986) e l’adeguamento a tale mutamento deve consentire alle pensioni di essere sufficientemente difese da esso (è citata la sentenza n. 316 del 2010);

che, ciò premesso, il giudice rimettente procede a calcolare la misura dell’adeguamento al costo della vita assicurato dalle disposizioni censurate, la quale, tenuto conto degli indici di rivalutazione automatica annualmente determinati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, sarebbe stata: per le pensioni superiori a tre volte e fino a quattro volte il minimo INPS, dell’1,08 per cento per il 2012 e dell’1,2 per cento per il 2013; per le pensioni superiori a quattro volte e fino a cinque volte il minimo INPS, dello 0,54 per cento per il 2012 e dello 0,6 per cento per il 2013; per le pensioni superiori a cinque volte e fino a sei volte il minimo INPS, dello 0,27 per cento per il 2012 e dello 0,3 per cento per il 2013; per le pensioni superiori a sei volte il minimo INPS, pari a zero sia per il 2012 che per il 2013 («azzeramento […] reiterato anche per l’annualità 2014, in virtù della lettera e del comma 483 dell’art. 1 della legge n° 147/2013»);

che ulteriore «gravissimo e irragionevole pregiudizio» ai titolari di pensioni superiori a tre volte il minimo INPS deriverebbe dal comma 25-bis dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, in base al quale, «alla fine del biennio 2012/2013 gli aumenti perequativi, già riconosciuti nella […] descritta misura declinante dal 40% al 10%, permangono acquisiti nel 2014 soltanto per una quota di appena il 20% della rispettiva percentuale (ossia l’8% per le pensioni ultra triplum, il 4% per quelle ultra quadruplum e il 2% per quelle ultra quintuplum)»;

che, alla luce di tali elementi, il giudice a quo asserisce che la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 sarebbe stata «stravolta» dall’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, atteso che, per le pensioni superiori a tre volte e fino a quattro volte il minimo INPS, tale disposizione, per gli anni 2012 e 2013, ha riconosciuto la perequazione nella misura del 40 per cento «anziché al 90% […] più che dimezzata rispetto a quella sancita dalla normativa previgente rispetto a quella dichiarata costituzionalmente illegittima» e, «a partire dal 1° gennaio 2014, [ha] pressoché azzera[to] finanche quella modesta perequazione», mentre «peggio ancora dicasi per le pensioni più consistenti e purtuttavia inferiori al sestuplo del minimo INPS»;

che, quanto alle pensioni superiori a tale ammontare, la normativa censurata ne avrebbe negato l’adeguamento «già da un lustro», così riducendone il potere di acquisto del 5,78 per cento nel biennio 2012/2013 e del 6,94 per cento nel triennio 2012/2014;

che ne risulterebbe la «totale irragionevolezza delle norme […] censurate», tenuto conto che la protezione non simbolica dall’inflazione è necessaria quale che sia la misura della pensione;

che, a quest’ultimo proposito, il rimettente reputa che le esigenze finanziarie, richiamate nella Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 65 del 2015, «non hanno indotto il legislatore […] ad esercitare in quest’ultimo […] quel “… corretto bilanciamento …”» che era stato auspicato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, alla quale, pure, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 afferma di voler dare attuazione;

che, pertanto, i timori di un’insufficiente protezione di tutte le categorie di pensioni di importo superiore a tre volte il minimo INPS sarebbero confermati dalla normativa censurata;

che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 sarebbe, di conseguenza, non manifestamente infondata in riferimento non soltanto al principio di ragionevolezza, ma anche a quegli stessi parametri costituzionali degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., che la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015 ha ritenuto violati dal comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sostituzione di esso operata dell’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015;

che il rimettente conclude affermando che il rispetto di tali parametri – che potrebbe dipendere dallo specifico quantum di adeguamento all’inflazione previsto, per ciascuna categoria di pensioni, dal d.l. n. 65 del 2015 – alla stregua di quanto considerato deve, a suo avviso, essere escluso;

che si sono costituiti gli ottantuno pensionati ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate;

che tali parti deducono anzitutto che la fondatezza delle questioni aventi a oggetto l’art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del 2013 discenderebbe dalla circostanza – che non sarebbe stata considerata dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015 – che l’impatto di tale disposizione sulle pensioni superiori a sei volte il minimo INPS dovrebbe essere valutato unitamente a quello prodotto sulle stesse dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 65 del 2015, ciò che evidenzierebbe come tali trattamenti pensionistici non abbiano beneficiato di alcuna rivalutazione nel triennio 2012-2014, con la conseguente «trasformazione in senso strutturale del sacrificio imposto»;

che, ciò precisato, le parti costituite affermano che la normativa censurata viola, in primo luogo, l’art. 3 Cost., perché difetta di ragionevolezza e di proporzionalità;

che tali parti compiono, anzitutto, una disamina della giurisprudenza costituzionale sul tema del necessario bilanciamento tra garanzia dei diritti sociali ed esigenze di equilibrio del bilancio statale, traendone la conclusione che la Corte costituzionale riconoscerebbe al legislatore un’ampia discrezionalità al riguardo, «limitando il suo sindacato ai soli casi di manifesta irragionevolezza nel rispetto del nucleo irriducibile di [detti] diritti»;

che, ciò premesso, le stesse parti reputano che la normativa censurata non risponda ai principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, dichiarativa della parziale illegittimità costituzionale del testo previgente del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011;

che tale normativa, infatti, evidenzierebbe una «macroscopica iniquità distributiva», atteso che, diversamente dalle discipline previgente e successiva, prevede «il riconoscimento della (limitatissima) operatività del meccanismo perequativo secondo una segmentazione dei redditi da pensione completamente avulsa da qualsivoglia effettiva proporzionalità»;

che la suddetta iniquità risulterebbe, in particolare, dal fatto che il meccanismo perequativo previsto «vede scaglioni di riferimento e di rivalutazione scollegati da qualsiasi idea di progressività»;

che le parti costituite ritengono che la normativa censurata violi, in secondo luogo, i principi di proporzionalità e sufficienza nonché di adeguatezza dei trattamenti pensionistici, di cui agli articoli, rispettivamente, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.;

che, secondo tali parti, la limitazione o, addirittura, la negazione della perequazione dei trattamenti pensionistici prevista dalla normativa censurata comporterebbe un irragionevole scostamento tra l’entità degli stessi e le variazioni del potere di acquisto della moneta, con la conseguente inidoneità di tale disciplina ad assicurare il rispetto dei principi enunciati dagli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.;

che ciò varrebbe sia per il blocco «strutturale» della perequazione delle pensioni superiori a sei volte il minimo INPS previsto, per gli anni dal 2012 al 2014, dal combinato disposto dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 e della lettera e) del comma 483 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, sia per la perequazione riconosciuta ai trattamenti pensionistici compresi tra tre e sei volte il minimo INPS, tenuto conto delle «risibili percentuali» di essa;

che, secondo le parti costituite, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 rinnoverebbe la generalizzata paralisi del meccanismo perequativo per gli anni 2012 e 2013 che era stata censurata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, non rilevando che l’incidenza su tale meccanismo sia totale o parziale, considerato «il portato pratico delle novelle»;

che, con l’ordinanza n. 91 del 5 luglio 2017 (reg. ord. n. 123 del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25, lettere b), c), d) ed e), e 25-bis del d.l. n. 201 del 2011, come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto: a) di essere investito del giudizio pensionistico introdotto con ricorso, notificato il 15 luglio 2016 e depositato il 24 marzo «di quello stesso anno», proposto nei confronti dell’INPS da centoventiquattro titolari di trattamenti pensionistici (specificamente indicati nell’epigrafe dell’ordinanza di rimessione); b) che i ricorrenti lamentavano che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva previsto, per quegli stessi anni, «un meccanismo perequativo assolutamente insufficiente» per le pensioni superiori a tre volte e fino a sei volte il trattamento minimo INPS e, nuovamente, nessuna rivalutazione per le pensioni superiori a tale importo; c) che gli stessi ricorrenti avevano, perciò, eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, e 136 Cost., chiedendo, previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna dell’INPS al pagamento «dei maggiori ratei pensionistici per gli anni dal 2012 al 2016»; d) che si era costituto l’INPS, contestando la fondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale e della domanda dei ricorrenti; e) che, alla luce della comparsa dell’INPS, doveva «considerarsi incontestata la suddivisione [di essi] nelle quattro fasce di pensioni eccedenti il triplo del trattamento minimo INPS»;

che, in punto di rilevanza delle questioni, il giudice rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione automatica riconosciuta dalle lettere b), c), d) ed e) del vigente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 con quella prevista dall’art. 69, comma 1, della legge n. 388 del 2000, «previgente rispetto al D.L. n° 201/2011», afferma che risulta «perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011»;

che, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con quelle dell’ordinanza iscritta al n. 122 reg. ord. 2017;

che, con l’ordinanza n. 88 del 5 luglio 2017 (reg. ord. n. 131 del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, lettera e), del d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tale comma sostituito dall’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto: a) di essere investito del giudizio pensionistico introdotto con ricorso, notificato il 25 febbraio 2016 e depositato il 23 «di quello stesso mese», proposto nei confronti dell’INPS da L. D.R., titolare di un trattamento pensionistico;
b) che il ricorrente lamentava che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva nuovamente negato la perequazione per le pensioni superiori a sei volte tale trattamento minimo;
c) che lo stesso ricorrente aveva, perciò, eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., chiedendo, previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna dell’INPS al pagamento «dei maggiori ratei pensionistici per il biennio 2012/2013»;
d) che si era costituto l’INPS, contestando la fondatezza della domanda del ricorrente; e) che, dal cedolino del mese di gennaio 2012, allegato al ricorso, risulta che, a quel momento, questi percepiva una pensione lorda mensile superiore a sei volte il minimo INPS;

che, in punto di rilevanza delle questioni, il giudice rimettente, dopo avere evidenziato che, per i trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, il vigente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 «continua ad escludere qualsiasi perequazione relativamente al biennio 2012/2013», asserisce che risulta «perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011»;

che, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con quelle delle ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di queste che si riferisce, in particolare, alla disciplina della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo INPS dettata, per gli anni 2012 e 2013, dalla lettera e) del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tale comma sostituito dall’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015;

che, con l’ordinanza n. 87 del 5 luglio 2017 (reg. ord. n. 132 del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25, lettera b), e 25-bis del d.l. n. 201 del 2011, come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dei numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto:
a) di essere investito del giudizio pensionistico introdotto con ricorso, notificato il 29 febbraio 2016 e depositato il 23 «di quello stesso mese», proposto nei confronti dell’INPS da B. P., titolare di un trattamento pensionistico;
b) che il ricorrente lamentava che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva previsto una perequazione «sensibilmente inferiore a quella previgente rispetto alla norma censurata dal giudice delle leggi»;
c) che lo stesso ricorrente aveva, perciò, eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., chiedendo, previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna dell’INPS al pagamento «dei maggiori ratei pensionistici per il biennio 2012/2013»;
d) che si era costituto l’INPS, contestando la fondatezza della domanda del ricorrente;
e) che, dal cedolino del mese di gennaio 2013, allegato al ricorso, risulta che, a quel momento, questi percepiva una pensione lorda mensile superiore a tre volte e inferiore a quattro volte il minimo INPS;

che, in punto di rilevanza delle questioni, il giudice rimettente, dopo avere posto a raffronto la rivalutazione automatica riconosciuta dalla lettera b) del vigente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 con quella prevista dall’art. 69, comma 1, della legge n. 388 del 2000, «previgente» rispetto al d.l. n. 201 del 2011, asserisce che risulta «perciò indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della novella che il predetto art. 1 ha apportato al comma 25 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011»;

che, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con quelle delle ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di queste che si riferisce, in particolare, alla disciplina della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte e inferiori a quattro volte il minimo INPS dettata dai commi 25, lettera b), e 25-bis dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tali commi, rispettivamente, sostituito dal numero 1), e inserito dal numero 2) del comma 1 dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015;

che, con l’ordinanza n. 86 del 5 luglio 2017 (reg. ord. n. 133 del 2017), la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, lettera e), del d.l. n. 201 del 2011, nel testo di tale comma sostituito dall’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015, e dell’art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui stabilisce che «per il solo anno 2014, [la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici] non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS»;

che il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto:
a) di essere investito del giudizio pensionistico introdotto con ricorso, notificato il 7 luglio 2016 e depositato il 27 «del mese precedente», proposto nei confronti dell’INPS da S. C., titolare di un trattamento pensionistico;
b) che il ricorrente lamentava che, dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 70 del 2015, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, nel testo anteriore alla sua sostituzione, nella parte in cui stabiliva il blocco della perequazione automatica relativa agli anni 2012 e 2013 per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 aveva nuovamente azzerato la perequazione per le pensioni superiori a sei volte tale trattamento minimo, ciò che era stato previsto «anche per l’anno 2014 e per i successivi»;
c) che lo stesso ricorrente aveva, perciò, eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015, per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, primo comma, 38, secondo comma, 117, 136 e 137 Cost., chiedendo, previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, la condanna dell’INPS al pagamento «dei maggiori ratei pensionistici corrispondenti, sia per il triennio 2012/2014 che per il futuro, alla differenza: […] in via principale, tra una perequazione al 100% e quella sancita dall’art. 1 del D.L. n° 65/2015; […] in via subordinata, tra la perequazione risultante dalla normativa previgente rispetto all’art. 24 comma 25 del D.L. n. 201/2011 e quella sancita dall’art. 1 del D.L. n° 65/2015»;
d) che si era costituto l’INPS, che, in via preliminare, aveva eccepito il carattere non incidentale della questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente e, nel merito, aveva contestato la fondatezza della domanda;
e) che, dal cedolino del mese di giugno 2012, allegato al ricorso, risulta che, a quel momento, il ricorrente percepiva una pensione lorda mensile superiore a sei volte il minimo INPS;

che il giudice rimettente, ritenuta l’infondatezza dell’eccezione preliminare dell’INPS, in punto di rilevanza delle questioni, dopo avere evidenziato che, per i trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS, il vigente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 «continua ad escludere qualsiasi perequazione relativamente al biennio 2012/2013 [e che] lo stesso dicasi, per l’annualità 2014, in virtù della lettera e del comma 483 dell’art. 1 della legge n° 147/2013», asserisce che risulta perciò «indubbia la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della novella […] apportat[a] al comma 25 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011» e che la rilevanza «sussiste anche in riferimento alla […] lettera e del comma 483 dell’art. 1 della legge n° 147/2013»;

che, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo prospetta argomentazioni coincidenti con quelle delle ordinanze iscritte ai n. 122 e n. 123 reg. ord. 2017, per la parte di esse che si riferisce, in particolare, alla disciplina della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo INPS dettata, per gli anni 2012 e 2013, dalla lettera e) del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 – nel testo di tale comma sostituito dall’art. 1, comma 1, numero 1), del d.l. n. 65 del 2015 – e, per l’anno 2014, dalla lettera e) del comma 483 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013;

che si è costituito S. C., ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate;

che la parte costituita, premesso che il combinato disposto delle norme censurate ha stabilito l’azzeramento della perequazione delle pensioni superiori a sei volte il minimo INPS per tre anni, afferma che, così disponendo, il legislatore avrebbe introdotto un «discrimen» tra i titolari di tali pensioni – che costituiscono delle retribuzioni differite – e i percettori di redditi di altra natura e i titolari di pensioni fino a sei volte il minimo INPS, dettando una disciplina «che sfugge ai criteri di proporzionalità, progressività, adeguatezza, irragionevolezza ed uguaglianza sostanziale»;

che la parte, richiamando le sentenze della Corte costituzionale n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015, asserisce che il legislatore, nel disciplinare la rivalutazione automatica delle pensioni, deve assicurare il rispetto dei principi di proporzionalità, di adeguatezza, di uguaglianza e di ragionevolezza anche con riguardo a quelle più alte e che tali principi, «per giurisprudenza costituzionale, potrebbero essere derogati eccezionalmente per un solo anno. Certamente non per tre anni»;

che, a proposito del denunciato azzeramento triennale della perequazione automatica delle pensioni superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, S. C. prospetta poi due considerazioni;

che, con la prima, «strettamente giuridica», tale parte asserisce che: secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la proporzionalità e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici devono sussistere anche successivamente al collocamento a riposo, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta, e l’adeguamento (in misura non meramente simbolica) delle prestazioni previdenziali a tale mutamento è indispensabile, anche per le pensioni di maggiore consistenza; la pretesa del legislatore di fare fronte a una contingente negativa situazione finanziaria dello Stato mediante una riduzione permanente delle pensioni, che permarrà anche una volta che tale situazione avrà avuto termine, sarebbe «irragionevole e sproporzionata […], poiché i mezzi usati per una compressione dei diritti costituzionali eccedono i fini proposti»;

che, con la seconda considerazione, «logico-matematica», S. C. evidenzia che: con il censurato azzeramento triennale della perequazione, il legislatore «utilizza il parametro zero che, per sua natura, non può oggettivamente assicurare alcun rapporto di proporzionalità […] e conseguentemente […] alcun rapporto di adeguatezza […], allorquando si dimostri che sussista un consistente deprezzamento del valore della moneta negli anni presi in considerazione dal provvedimento legislativo»; ciò si sarebbe verificato nel triennio 2012/2014, in cui il potere di acquisto delle pensioni è diminuito di quasi il 7 per cento; il detto azzeramento, «ancorché […] formalmente temporaneo», si configurerebbe come una «decurtazione permanente, […] non essendo previsto alcun meccanismo di recupero»;

che, per tali ragioni, la disciplina denunciata violerebbe i principi di proporzionalità, di adeguatezza e di «uguaglianza, ex art. 3, comma 2, Cost. con riferimento all’uguaglianza di tutti i percettori di trattamento pensionistico ed anche tra i cittadini percettori di pensione e cittadini percettori di redditi di altra natura»;

che verrebbe «[c]onseguentemente» violato anche il principio di ragionevolezza, «in quanto non è possibile effettuare alcun rapporto di natura matematica (di proporzionalità e/o di progressività) utilizzando il parametro zero»;

che, dopo avere ribadito che il denunciato blocco triennale «equivale ad una decurtazione permanente, […] non essendo previsto alcun meccanismo di recupero», la parte deduce ancora che «risulta estranea “allo Stato di diritto” la pretesa del Governo di risolvere i problemi finanziari dello Stato ricorrendo ad un prelievo unilaterale che rompe l’equilibrio sinallagmatico che regola il rapporto di lavoro: Ordinamento Stato e pubblico funzionario. Violando così il principio del “legittimo affidamento”»;

che in tutti i giudizi incidentali si è costituito l’INPS, resistente nei giudizi principali, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate manifestamente infondate;

che l’Istituto osserva anzitutto che: dall’esame della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, risulterebbe che l’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, nel testo dichiarato incostituzionale con tale pronuncia, si differenziava dalle altre norme adottate nel tempo in tema di perequazione, in quanto si limitava a stabilire la piena indicizzazione di alcuni trattamenti, escludendola per tutti gli altri (ivi incluse pensioni di ammontare meno elevato), senza prevedere per essi una tutela, ancorché decrescente in rapporto al loro ammontare; il d.l. n. 65 del 2015 avrebbe dato attuazione alle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 70 del 2015, abbandonando il modello da questa censurato e tornando al precedente;

che, ciò premesso, l’INPS deduce l’infondatezza delle argomentazioni del giudice a quo in tema di adeguatezza e di proporzionalità dei trattamenti pensionistici;

che, secondo l’INPS, il rispetto di tali principi andrebbe assicurato secondo valutazioni riservate alla discrezionalità del legislatore, purché esercitata in modo non irragionevole o arbitrario, sicché il principio di adeguatezza non comporterebbe un rigido meccanismo di perequazione, così come il principio di proporzionalità non darebbe luogo a una garanzia di integrale corrispondenza tra retribuzione e pensione, atteso che la scelta dello strumento idoneo a salvaguardare le pensioni dall’erosione del potere di acquisto causata dall’inflazione è riservata al legislatore, sulla base del bilanciamento tra le varie esigenze, nel quadro della politica economica generale, tenendo conto anche delle concrete disponibilità finanziarie;

che, sempre ad avviso dell’INPS, andrebbe anche considerato che la normativa censurata è intervenuta in un momento di crisi economica, che ha determinato, da un lato, la riduzione delle risorse disponibili e, dall’altro, un indebolimento della domanda interna che ha condotto all’azzeramento dell’inflazione;

che, in tale particolare situazione, non potrebbe ritenersi irragionevole la scelta compiuta dal legislatore di assicurare – con un intervento non più limitato, come in passato, a un periodo annuale o biennale – una tutela piena ai pensionati più bisognosi e una tutela parziale decrescente ai titolari di trattamenti più elevati;

che, inoltre, diversamente da quanto ritenuto dal giudice rimettente, il legislatore avrebbe illustrato le ragioni poste a fondamento dell’intervento normativo, le quali risulterebbero, in particolare, dalla Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione in legge del d.l. n. 65 del 2015;

che in tutti i giudizi incidentali è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, assistito e difeso dall’Avvocatura generale Stato, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate;

che, dopo avere richiamato alcuni dei contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, l’interveniente sottolinea come l’art. 1 del d.l. n. 65 del 2015 abbia dato attuazione ai principi enunciati dalla stessa, assicurando un trattamento pensionistico adeguato, pur nel contemperamento di tale esigenza con il principio dell’equilibrio di bilancio e con gli obiettivi di finanza pubblica, concentrando le limitate risorse disponibili a favore delle categorie di pensionati con i trattamenti più bassi;

che l’interveniente sottolinea poi come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia: valorizzato da tempo, nella materia, il principio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali nel quadro delle compatibilità economiche e finanziarie, sicché «soltanto le fasce più basse debbono essere integralmente tutelate»; ritenuto legittime riduzioni temporanee della rivalutazione delle pensioni;
affermato l’insussistenza di un diritto all’aggancio costante delle pensioni agli stipendi; asserito che spetta alla discrezionalità del legislatore stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e la variazione dell’ammontare degli stessi attraverso il bilanciamento dei valori contrapposti delle esigenze di vita dei destinatari e delle concrete disponibilità finanziarie ed esigenze di bilancio;

che, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, in assenza di precisi parametri cui attenersi nella determinazione dei coefficienti di rivalutazione dei trattamenti pensionistici e tenuto conto di quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 316 del 2010, considerata la necessità di garantire l’equilibrio di bilancio e gli obiettivi di finanza pubblica, la normativa censurata non sarebbe irragionevole e costituirebbe espressione del potere discrezionale del legislatore;

che, sotto altra prospettiva, tenuto conto degli obiettivi dell’intervento normativo censurato, non sarebbe possibile dubitare della legittimità costituzionale dello stesso soltanto perché introduce un coefficiente di rivalutazione automatica ritenuto insufficiente a bilanciare la perdita di potere di acquisto dei trattamenti pensionistici;

che, in proposito, il Presidente del Consiglio dei ministri osserva come lo stesso rimettente abbia sottolineato che, nella scelta del meccanismo perequativo da utilizzare, il legislatore gode di una certa discrezionalità, considerato che, dal combinato disposto degli artt. 36 e 38 Cost., emerge esclusivamente l’obbligo di adeguamento delle pensioni al costo della vita ma non anche l’obbligo del legislatore di adottare un particolare meccanismo perequativo;

che, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le questioni sollevate sarebbero, perciò, anzitutto, inammissibili, dovendosi ritenere insindacabili le scelte discrezionali del legislatore «in ordine alle modalità e ai tempi della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici; laddove, come nel caso di specie, [l’]intervento sia necessitato dal dare attuazione ai principi enunciati nella […] sentenza n. 70/16 [recte: n. 70 del 2015], tenendo conto dell’eccezionalità della situazione economica internazionale, dell’esigenza prioritaria del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche garantendo l’equilibrio di bilancio dell’ente previdenziale»;

che l’interveniente sottolinea infine come in materia previdenziale assuma rilievo determinante l’attenzione all’equilibrio del sistema, inteso come tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate e come la normativa censurata garantirebbe tale equilibrio, sia in ossequio all’art. 3 Cost., sia in adempimento del vincolo imposto dall’art. 81, quarto comma [recte: terzo comma], Cost., tenuto conto che essa vale a escludere effetti finanziari tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea;

che, in prossimità della camera di consiglio, S. C., costituito nel giudizio reg. ord. n. 133 del 2017, ha depositato una memoria illustrativa, con la quale ha chiesto che le disposizioni censurate siano dichiarate costituzionalmente illegittime in riferimento «agli articoli: 2, 3 secondo comma, 36 primo comma e 38 secondo comma della Costituzione ed anche all’art. 117 comma 1 in riferimento alle norme interposte 6 e 13 della CEDU»;

che, dopo avere segnalato la pubblicazione, intervenuta medio tempore, della sentenza della Corte costituzionale n. 250 del 2017, la parte afferma di ritenere che le argomentazioni del giudice a quo «esplorino la vicenda sotto un distinto e nuovo profilo», inerente la violazione del principio del legittimo affidamento;

che, a tale proposito, S. C. asserisce che, nella specie, ricorrerebbero «tutti i presupposti essenziali per l’ingenerarsi di un legittimo affidamento», atteso che egli «ha maturato la convinzione lungo l’intero arco lavorativo e per un periodo iniziale del periodo di quiescenza che il suo trattamento pensionistico sarebbe stato costantemente aggiornato per tutto il resto della sua esistenza in modo proporzionale […] ed adeguato al potere di acquisto. Non necessariamente al cento%, ma nemmeno allo zero%, con l’aggravio degli effetti permanenti, irreversibili e progressivi nel tempo»;

che, nel ribadire quanto dedotto nel proprio atto di costituzione in giudizio a proposito della violazione degli artt. 3, secondo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., la parte costituita afferma che le disposizioni denunciate violerebbero, perciò, «innanzitutto l’art. 2 Cost. (principio del legittimo affidamento) e l’art. 117, comma 1 Cost. in riferimento agli artt. 6 e 13 CEDU»;

che, in prossimità della camera di consiglio, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie illustrative, con le quali, dopo avere ribadito quanto dedotto nei propri atti di intervento in giudizio, rammenta che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 250 del 2017, con la quale sarebbero state dichiarate non fondate «questioni di tenore testuale analogo e concernenti fattispecie identiche a quell[e] in esame», sicché, non avendo i rimettenti fornito «alcun elemento nuovo o spunti diversi di valutazione», queste ultime dovrebbero essere dichiarate inammissibili o manifestamente infondate;

che, in prossimità della camera di consiglio, anche l’INPS ha depositato, in tutti i cinque giudizi, delle memorie illustrative, con le quali rappresenta che le questioni sollevate sarebbero state ritenute non fondate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 250 del 2017, sicché esse dovrebbero essere dichiarate inammissibili;

che, con riguardo al giudizio iscritto al n. 122 reg. ord. 2017, la rimettente Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha trasmesso copia della propria sentenza n. 81 del 2018, depositata il 9 aprile 2018, con la quale ha dichiarato l’estinzione del giudizio principale per rinuncia agli atti dello stesso da parte dei ricorrenti.

Considerato che, con cinque ordinanze di contenuto in larghissima parte coincidente, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) del comma 25 – in particolare, lettere b), c), d) ed e) (reg. ord. n. 122 e n. 123 del 2017), lettera e) (reg. ord. n. 131 e n. 133 del 2017) e lettera b) (reg. ord. n. 132 del 2017) – dell’art. 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo di tale comma sostituito dall’art. 1, comma 1, numero 1), del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109;
b) del comma 25-bis dello stesso art. 24, nel testo di tale comma inserito dall’art. 1, comma 1, numero 2), del d.l. n. 65 del 2015 (reg. ord. n. 122, n. 123 e n. 132 del 2017);
c) dell’art. 1, comma 483, lettera e), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», nella parte in cui stabilisce che, «per il solo anno 2014, [la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici] non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS» (reg. ord. n. 122 e n. 133 del 2017);

che il giudice a quo espone che, sulla base di tali disposizioni: la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici compresi tra quelli superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e quelli fino a sei volte lo stesso trattamento, per gli anni 2012 e 2013, è riconosciuta solo nelle limitate percentuali – rispettivamente, del 40 per cento, del 20 per cento e del 10 per cento – stabilite dalle lettere b), c) e d) del comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011; la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, per gli anni 2012 e 2013, non è riconosciuta (ai sensi della lettera e dello stesso comma 25) e, per l’anno 2014, «non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS» (ai sensi della lettera e del comma 483 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013); nell’anno 2014, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, come determinata dal comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, è riconosciuta nella misura del solo 20 per cento (ai sensi del comma 25-bis dello stesso art. 24);

che, secondo il rimettente, tale disciplina della cosiddetta perequazione delle pensioni per gli anni 2012, 2013 e 2014 violerebbe gli artt. 3, secondo comma (recte: primo comma), 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione – in relazione ai principi, rispettivamente, di ragionevolezza e di proporzionalità e adeguatezza dei trattamenti pensionistici – perché opererebbe un non corretto bilanciamento tra le esigenze di risparmio della finanza pubblica e l’interesse dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto dei trattamenti pensionistici e non assicurerebbe la proporzionalità e l’adeguatezza degli stessi, in relazione alla diminuzione di tale potere di acquisto causata dall’inflazione;

che, dato che le questioni sollevate con le cinque ordinanze di rimessione hanno a oggetto, per la gran parte, le stesse disposizioni, e queste sono censurate in riferimento a parametri e con argomentazioni coincidenti, i giudizi di legittimità costituzionale devono essere riuniti, per essere congiuntamente trattati e decisi con un’unica pronuncia;

che, preliminarmente, va rilevato che S. C., parte costituita nel giudizio reg. ord. n. 133 del 2017, ha dedotto la violazione di parametri e profili di incostituzionalità ulteriori rispetto a quelli indicati in tale ordinanza di rimessione;

che, in particolare, tale parte ha dedotto: con l’atto di costituzione in giudizio, la violazione dell’art. 3 Cost. «con riferimento all’uguaglianza […] tra […] cittadini percettori di pensione e cittadini percettori di redditi di altra natura» e la violazione del «principio del “legittimo affidamento”»; con la memoria illustrativa depositata in prossimità della camera di consiglio, la violazione dell’«art. 2 Cost. (principio del legittimo affidamento)» nonché dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848;

che tali parametri e profili di incostituzionalità non sono indicati nell’ordinanza menzionata;

che le relative censure si traducono, quindi, in questioni non sollevate nel giudizio iscritto al n. 133 reg. ord. 2017 e sono, perciò, inammissibili;

che, infatti, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte, «[l]’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione; non possono, pertanto, essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 251, n. 250, n. 35 e n. 29 del 2017; n. 214 e n. 96 del 2016)» (sentenza n. 27 del 2018, punto 3.1.1. del Considerato in diritto; nello stesso senso, oltre alle pronunce citate da quest’ultima, sentenza n. 12 del 2018);

che, sempre in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità delle sollevate questioni prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri con riferimento all’asserita insindacabilità delle scelte discrezionali del legislatore «in ordine alle modalità e ai tempi della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici; laddove, come nel caso di specie, [l’]intervento sia necessitato dal dare attuazione ai principi enunciati nella […] sentenza n. 70/16 [recte: n. 70 del 2015], tenendo conto dell’eccezionalità della situazione economica internazionale, dell’esigenza prioritaria del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche garantendo l’equilibrio di bilancio dell’ente previdenziale»;

che la discrezionalità spettante al legislatore nella scelta dei meccanismi diretti ad assicurare nel tempo l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici trova pur sempre un limite nel «criterio di ragionevolezza», il quale «circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelte all’adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali» (sentenza n. 70 del 2015, punto 8. del Considerato in diritto);

che, pertanto, la sussistenza della discrezionalità legislativa invocata dal Presidente del Consiglio dei ministri non esclude la necessità di verificare nel merito le scelte di volta in volta operate dal legislatore riguardo ai meccanismi di rivalutazione dei trattamenti pensionistici, quale che sia il contesto giuridico e di fatto nel quale esse si inseriscono, contesto del quale questa Corte, nel compiere tale verifica, non potrà, ovviamente, non tenere conto;

che non ha rilievo, ai fini dell’ammissibilità delle questioni sollevate con l’ordinanza iscritta al n. 122 reg. ord. 2017, il fatto che la rimettente Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, con la sentenza n. 81 del 2018, depositata il 9 aprile 2018 e trasmessa a questa Corte, abbia dichiarato l’estinzione del giudizio principale per rinuncia agli atti dello stesso da parte dei ricorrenti;

che, infatti, a norma dell’art. 18, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, l’estinzione del processo principale non produce effetti sul giudizio davanti a questa Corte;

che, nel merito, le questioni sollevate sono manifestamente infondate;

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Re: perequazioni automatiche

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2^ ed ultima Parte
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che, con la sentenza n. 250 del 2017, questa Corte ha dichiarato non fondate identiche questioni di legittimità costituzionale, concernenti le stesse disposizioni e sollevate in riferimento (tra gli altri) agli stessi parametri costituzionali e sotto gli stessi profili;

che, con riguardo ai commi 25 e 25-bis dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, con la detta sentenza questa Corte, dopo avere ribadito la necessità che, nella disciplina dei trattamenti pensionistici, sia salvaguardata la garanzia di un reddito che non comprima le «esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale» (sentenza n. 240 del 1994) e come tale obiettivo sia raggiungibile «per il tramite e nella misura» dell’art. 38, secondo comma, Cost. (sentenza n. 156 del 1991) – il che comporta «solo indirettamente» (sentenza n. 361 del 1996) un aggancio all’art. 36, primo comma, Cost., «anche al fine di dare un più concreto contenuto al parametro della adeguatezza» – ha posto in rilievo come, su questo terreno, si debba esercitare la discrezionalità del legislatore, chiamato a bilanciare, secondo criteri non irragionevoli, l’interesse dei pensionati a preservare il potere di acquisto dei propri trattamenti previdenziali con le esigenze finanziarie e di equilibrio del bilancio dello Stato;

che, ciò rimarcato, unitamente alla necessità che, al fine di assicurare la coerente applicazione del principio di ragionevolezza negli interventi legislativi che si prefiggono risparmi di spesa nella materia pensionistica, questi ultimi siano «accuratamente motivati», la sentenza n. 250 del 2017 ha reputato che i denunciati commi 25 e 25-bis siano frutto di scelte non irragionevoli del legislatore;

che, in proposito, questa Corte ha affermato che, dal disegno complessivo di tali commi, emergono con evidenza le esigenze finanziarie di cui il legislatore ha tenuto conto nell’esercizio della sua discrezionalità, le quali sono state preservate attraverso un sacrificio parziale e temporaneo dell’interesse dei pensionati a tutelare il potere di acquisto dei propri trattamenti, nell’attuazione dei principi di adeguatezza e di proporzionalità dei trattamenti pensionistici, la cui osservanza trova conferma nella scelta non irragionevole di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino a escluderla per i trattamenti superiori a sei volte il minimo INPS, destinando, così, le limitate risorse finanziarie disponibili, in via prioritaria, alle categorie di pensionati con i trattamenti più bassi;

che, allo stesso proposito, questa Corte ha altresì statuito che tale scelta legislativa di privilegiare i trattamenti pensionistici di modesto importo soddisfa un canone di non irragionevolezza che trova riscontro nei maggiori margini di resistenza delle pensioni di importo più alto rispetto agli effetti dell’inflazione;

che la sentenza n. 250 del 2017 ha escluso anche che i denunciati commi 25 e 25-bis violino il principio di adeguatezza dei trattamenti pensionistici, di cui all’art. 38, secondo comma, Cost.;

che, a tale riguardo, questa Corte ha anzitutto negato che il blocco, per gli anni 2012 e 2013, della perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS sia tale da minare l’adeguatezza degli stessi, considerati nel loro complesso, atteso che esso incide su trattamenti di importo medio-alto, i quali, proprio per la loro maggiore entità, presentano margini di resistenza all’erosione del potere di acquisto causata dall’inflazione, peraltro di livello piuttosto contenuto negli anni 2011 e 2012;

che ad analoga conclusione questa Corte è pervenuta a proposito del riconoscimento, sempre per gli anni 2012 e 2013, della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte e fino a sei volte il minimo INPS nelle misure percentuali progressivamente decrescenti previste dalle lettere b), c) e d) del denunciato comma 25;

che, sul punto, la sentenza n. 250 del 2017 ha osservato: da un lato, che siffatti «criteri di progressività» erano già stati ritenuti «parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e dell’adeguatezza dei trattamenti di quiescenza» (sentenze n. 173 del 2016 e n. 70 del 2015), il che è comprovato dal fatto che essi assicurano a tali trattamenti una salvaguardia dall’erosione del potere di acquisto che aumenta gradualmente al diminuire, con la riduzione del loro importo, anche della loro capacità di resistenza alla stessa erosione; dall’altro, che le anzidette misure percentuali decrescenti della perequazione riconosciuta a trattamenti pensionistici medi (quali devono considerarsi quelli superiori a cinque volte e pari o inferiori a sei volte il minimo INPS) o, ancorché modesti, tuttavia pur sempre superiori a tre e quattro volte il trattamento che costituisce il «nucleo essenziale» della tutela previdenziale (sentenza n. 173 del 2016), non sono irragionevoli, non essendo tali da poter concretamente pregiudicare l’adeguatezza degli stessi trattamenti, considerati nel loro complesso, a soddisfare le esigenze di vita;

che la stessa sentenza n. 250 del 2017 ha altresì argomentato come tali conclusioni non siano inficiate, rispettivamente, dal fatto che il censurato blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS non preveda alcuna forma di recupero e produca i propri effetti anche sulla perequazione per gli anni successivi – trattandosi di normali conseguenze, in difetto di specifiche disposizioni di segno contrario, delle misure di blocco della perequazione – e dal fatto che, a norma del denunciato comma 25-bis, gli incrementi perequativi attribuiti per gli anni 2012 e 2013 con riguardo alle pensioni superiori a tre volte e fino a sei volte il minimo siano riconosciuti, ai fini della determinazione delle basi di calcolo per il computo della perequazione a decorrere dal 2014, nelle limitate percentuali indicate nello stesso comma;

che la sentenza n. 250 del 2017 ha infine escluso che i denunciati commi 25 e 25-bis violino il principio di proporzionalità dei trattamenti pensionistici alla quantità e qualità del lavoro prestato, di cui all’art. 36, primo comma, Cost.;

che, a tale riguardo, questa Corte ha anzitutto richiamato la sentenza n. 70 del 2015, con la quale, nell’applicare il principio di proporzionalità ai trattamenti di quiescenza, aveva statuito che ciò non comporta «un’automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l’ultima retribuzione, poiché è riservata al legislatore una sfera di discrezionalità per l’attuazione» anche di tale principio, e la sentenza n. 173 del 2016, con cui aveva rimarcato che la garanzia dell’art. 38 Cost. è «agganciata anche all’art. 36 Cost., ma non in modo indefettibile e strettamente proporzionale», sicché la determinazione del trattamento pensionistico e del suo adeguamento «tiene conto anche dell’impegno individuale nella quantità e qualità del lavoro svolto nella vita attiva» (sentenza n. 250 del 2017);

che la stessa sentenza n. 250 del 2017 ha quindi statuito che, considerato tale orientamento, le argomentazioni in essa spese con riguardo al principio di adeguatezza, di cui all’art. 38, secondo comma, Cost., muovono nella direzione della non irragionevolezza del bilanciamento tra l’interesse dei pensionati e le esigenze finanziarie dello Stato operato dai denunciati commi 25 e 25-bis, i quali, inoltre, rispettano il principio di proporzionalità dei trattamenti di quiescenza alla quantità e qualità del lavoro prestato;

che questa Corte ha concluso che è nella costante interazione tra i principi costituzionali racchiusi negli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. che si devono rinvenire i limiti alle misure di contenimento della spesa che, in mutevoli contesti economici, hanno inciso sui trattamenti pensionistici e che l’individuazione di un equilibrio tra i valori coinvolti determina la non irragionevolezza dei censurati commi 25 e 25-bis;

che, con riguardo all’art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui disciplina la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il minimo INPS per l’anno 2014, nella sentenza n. 250 del 2017 questa Corte ha richiamato la sentenza n. 173 del 2016, con la quale, nell’esaminare l’intero comma 483, aveva statuito che, ancorché «la limitazione della rivalutazione monetaria dei trattamenti pensionistici, per il biennio 2012-2013, di cui al citato art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011 [sia] stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza di questa Corte n. 70 del 2015», tuttavia «questa stessa sentenza (al punto 7. del Considerato in diritto), ha sottolineato come da quella norma (fonte di un “blocco integrale” della rivalutazione per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo) si “differenzi” (non condividendone, quindi, le ragioni di incostituzionalità) l’art. 1, comma 483, della legge 147 del 2013, che, viceversa, “ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014”, ispirandosi “a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza”»;

che le ricordate argomentazioni e quelle ulteriori esposte nella stessa sentenza n. 250 del 2017 hanno condotto, infine, questa Corte a ritenere l’infondatezza delle censure sollevate – sempre in riferimento agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. – nei confronti dell’art. 24, comma 25, lettere b), c), d) ed e), del d.l. n. 201 del 2011, congiuntamente all’art. 1, comma 483, lettera e), della legge n. 147 del 2013 e nei confronti dell’art. 24, commi 25 e 25-bis, del d.l. n. 201 del 2011 «in collegamento» con l’art. 1, comma 483, lettere d) ed e), della legge n. 147 del 2013;

che la rimettente Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, non ha prospettato profili o argomentazioni diversi rispetto a quelli già esaminati da questa Corte con la sentenza n. 250 del 2017 o comunque idonei a indurre a una differente pronuncia sulle questioni di legittimità costituzionale in esame;

che queste ultime, pertanto, devono essere dichiarate manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25, lettere b), c), d) ed e), e 25-bis, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 – come sostituito (il comma 25) e inserito (il comma 25-bis), rispettivamente, dai numeri 1) e 2) del comma 1 dell’art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65 (Disposizioni urgenti in materia di pensioni, di ammortizzatori sociali e di garanzie TFR), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2015, n. 109 – e dell’art. 1, comma 483, lettera e), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2018.
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Re: perequazioni automatiche

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nell'Ordinanza si legge:

"giudizio pensionistico introdotto con ricorso, .........., proposto nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) da ottantuno titolari di trattamenti pensionistici;"

(81 titolari di trattamenti pensionistici)
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Re: perequazioni automatiche

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Rivalutazione pensioni: gli assegni su dal 2019

Gli assegni Inps della pensione cambieranno a partire dall'1 gennaio 2019. Di fatto scatteranno le nuove norme che determinano la rivalutazione

Franco Grilli - Mar, 15/05/2018 - 12:33

Novità per i pensionati. Gli assegni Inps della pensione cambieranno a partire dall'1 gennaio 2019.


Di fatto scatteranno le nuove norme che determinano la rivalutazione degli assegni previdenziali con l'adeguamento all'inflazione che viene rilevato annualmente dall'Istituto di statistica, l'Istat. Con la perequazione l'importo viene adeguato al costo della vita. Su questo sistema va ricordato che con la riforma Fornero era stato bloccato il processo di rivalutazione fino al 2016, blocco poi esteso fino al 2018. Salvo nuove proroghe, da gennaio 2019 dovrebbe scattare dunque l'aumento sugli assegni. Di fatto nella fase di passaggio tra il 2011 e il 2018 sono stati costituiti tre scaglioni: rivalutazione al 95 per cento per l'importo compreso tra 3 e 4 volte il minimo, 75 per cento per 4 e 5 volte il minimo, 50 per cento per 5 e 6 volte il minimo, 45 per cento fino a 6 volte il minimo. Con la fine della fase transitoria cambiano le percentuali per la rivalutazione: 100% per le pensioni inferiori a 3 volte il minimo Inps, 90 per cento per quelle tra 3 e 5 volte il minimo, 75 per cento per quelle superiori a 5 volte il trattamento minimo. Sul fronte rivalutazione inoltre va ricordato che le associazioni di categoria come Aspes hanno presentato un ricorso alla Cedu per ottenere gli arretrati per il blocco delle rivalutazioni dopo la riforma Fornero. "Tante, forse troppe sono state le violazioni del diritto al giusto processo in tal vicenda, tra cui la violazione della precedente sentenza che costituiva un giudicato costituzionale. La nostra battaglia prosegue", ha infine ricordato Celeste Collovati (rivalutazionepensione@gmail.com), legale di Aspes.



Qui sotto il link dell'informazione


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Re: perequazioni automatiche

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Questa qui sotto, richiama la sentenza della CdC Puglia di Bari da me postata qui in data 2 Febbraio 2018.

- Ricorso rigettato

La CdC Calabria precisa:

1) - Va premesso che la sentenza n. 53/2018 della Sezione giurisdizionale Puglia di questa Corte, che la difesa richiama nel proprio ricorso, è stata annullata dalla sentenza n. 66/2019 della Seconda Sezione d’Appello di questa Corte.

Cmq. leggete il tutto.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE CALABRIA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA

Anno 2020 Numero 7 Pubblicazione 17/01/2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA CALABRIA
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Sergio Vaccarino ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 7/2020

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 22264 del registro di segreteria proposto da C. M. A. nata a omissis (omissis) il omissis e ivi residente in omissis, C.F. omissis e da P. A. C. nata a omissis il omissis e ivi residente in omissis n. omissis, C.F. omissis, rappresentate e difese dagli avv.ti Vincenzo Rocco e Francesca Testini ed elettivamente domiciliate nel loro studio in Foggia, Viale degli Aviatori, n. 21.

Contro
- INPS (ex Gestione INPDAP) - sede provinciale di Reggio Calabria, Via D. Romeo n. 15;

- INPS (ex Gestione INPDAP) - sede provinciale di Cosenza, piazza Loreto n. 22;

rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, nel presente giudizio, dagli avv.ti Angela Maria Laganà, Giacinto Greco e Francesco Muscari Tomaioli, giusta procura generale ad lites rilasciata co atto in Notaio Castellini, in Roma del 21 luglio 2015, rep. 80974, elettivamente domiciliati in Catanzaro, Via Tommaso Campanella n. 11, presso la sede dell’Avvocatura INPS.

Esaminati gli atti e documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 16 gennaio 2020, l’avv. Anna Maria Modugno, per delega dell’avv. Vincenzo Rocco, per le ricorrenti e l’avv. Giacinto Greco per l’INPS.

Ritenuto in:
F A T T O

Con ricorso depositato in segreteria, regolarmente notificato alla controparte, le ricorrenti chiedono che venga accertato il proprio diritto alla perequazione dei trattamenti pensionistici, con collegamento ai trattamenti stipendiali dei dipendenti di pari qualifica e anzianità in attività di servizio.

Affermano in merito di essere ex dipendenti pubblici del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e che i rispettivi trattamenti pensionistici non sono mai stati riliquidati adeguandoli alle retribuzioni corrisposte al personale pari grado in servizio, né, tantomeno, automaticamente perequati secondo gli incrementi retributivi fruiti medio tempore dai dipendenti pubblici di pari qualifica e grado.

Ritengono che tale discrasia sia priva di ragionevolezza e che le ricorrenti siano prive di tutela, al contrario dei pari grado in servizio destinatari degli incrementi retributivi disposti attraverso gli accordi sindacali e la contrattazione collettiva.

Richiamano i principi costituzionali che riconoscono alla pensione la natura di retribuzione differita e la proporzionalità della stessa alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché la sua necessaria adeguatezza alle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia.

Inoltre, affermano che, sebbene la Corte Costituzionale abbia finora escluso la sussistenza di un principio costituzionale che garantisce il costante adeguamento delle pensioni agli stipendi, la stessa ha più volte ribadito la necessità di un ragionevole rapporto di corrispondenza tra la dinamica delle retribuzioni e dinamica delle pensioni.

Mettono in evidenza come, a fronte degli incrementi retributivi mensili previsti dal CCNL del Comparto Scuola (triennio 2016/2018), non vi è stata alcuna corrispondente crescita del trattamento di quiescenza.

Nel richiamare la sentenza n. 53/2018 della Corte dei conti Sezione giurisdizionale Puglia e la sentenza della Corte Costituzionale n. 501/1998, concludono chiedendo che venga accertato il diritto delle ricorrenti alla perequazione di ciascun trattamento pensionistico, con aggancio ai miglioramenti economici concessi al personale di pari qualifica ed anzianità in attività di servizio, oltre interessi, rivalutazione e spese di giudizio.
In data 30 ottobre 2019, l’INPS si è costituito depositando un’articolata memoria nella quale premette che il trattamento pensionistico della ricorrente C. M. A. è superiore a 4 volte il minimo INPS e, pertanto, la percentuale di aumento applicabile è pari al 77 per cento dell’indice di perequazione. Per quanto, poi, riguarda la ricorrente P. A. C., afferma che il trattamento pensionistico è inferiore a tre volte il minimo INPS e, conseguentemente, la percentuale di aumento applicabile è pari al 100 per cento dell’indice di perequazione.

Nel merito, oppone l’infondatezza del ricorso affermando che il sistema delineato, in seguito all’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 70/2015), con il d. l. n. 65 del 2015, ha disciplinato l’applicazione della perequazione in modo inversamente proporzionale all’ammontare delle pensioni, ispirandosi a criteri di progressività parametrati su valori costituzionali della proporzionalità e dell'adeguatezza dei trattamenti di quiescenza.

Afferma l’Istituto che non esiste nell’attuale ordinamento una norma che consenta, in via automatica, l’adeguamento del trattamento pensionistico alle retribuzioni spettanti ai dipendenti in servizio di pari grado e qualifica. Aggiunge, inoltre, che il Giudice delle Leggi riserva al legislatore la valutazione del rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici rispetto alle retribuzioni, in un’ottica di bilanciamento tra gli indirizzi di politica economica e le concrete disponibilità finanziarie.

Conclude chiedendo il rigetto per infondatezza del ricorso.

All’odierna udienza l’avv. Modugno ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

L’avv. Greco, per l’INPS dopo aver depositato i cedolini di pensione relativi ai mesi di novembre 2019 e di febbraio 2020 (già visibile al sistema informatico, ma non ancora in pagamento) dai quali si evince che la perequazione viene regolarmente applicata, afferma che l’aggancio delle pensioni alla dinamica retributiva del pari grado in servizio (c.d. clausola oro) è stata espunta dall’ordinamento e, pertanto, chiede il rigetto del ricorso.

La causa è stata quindi posta in decisione.

Considerato in
D I R I T T O

Va premesso che la sentenza n. 53/2018 della Sezione giurisdizionale Puglia di questa Corte, che la difesa richiama nel proprio ricorso, è stata annullata dalla sentenza n. 66/2019 della Seconda Sezione d’Appello di questa Corte.

Nel merito il ricorso è infondato.

Non esiste nell'attuale ordinamento una disposizione legislativa che consenta, in via di automatismo o, comunque, per effetto di una perequazione in senso tecnico, l'adeguamento dell’assegno di pensione al trattamento retributivo spettante ai dipendenti in servizio con analogo grado e qualifica di quello ricoperto dal pensionato.

La stessa Corte costituzionale, nel riconoscere che i principi di adeguatezza e proporzionalità del trattamento pensionistico comportano una sua commisurazione al reddito percepito in costanza di servizio attivo, ha, pur sempre, affidato tale valutazione alla discrezionalità del legislatore che, qualora dovesse ravvisare esigenze meritevoli di tutela, potrà intervenire, bilanciando gli interessi costituzionali coinvolti con le risorse finanziarie disponibili e i mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (cfr. Corte Cost. n. 208/2014, n. 226 del 1993 e n.173 del 1986).

L'operato del legislatore sarebbe, quindi, censurabile soltanto laddove si riscontrasse la mancata previsione di un qualsivoglia meccanismo di raccordo fra le variazioni retributive indotte dagli aumenti del pubblico impiego ed il computo delle pensioni.

Infatti, con la sentenza n. 70 del 2015 la Corte Costituzionale ha censurato l’originaria disciplina del d. l. n. 201/2011 (art. 24, comma 25) che escludeva l’applicazione del meccanismo perequativo per tutti i trattamenti di quiescenza di importo superiore a tre volte il cd. trattamento minimo INPS e, quindi, trovava applicazione anche con riferimento a trattamenti pensionistici che per il loro importo contenuto erano destinati a subire in modo non trascurabile l’erosione del potere d’acquisto determinata dal fenomeno inflattivo. Tale sacrificio era stato giustificato attraverso un generico riferimento a esigenze finanziarie di risparmio della spesa.

In seguito, con la sentenza n. 173 del 2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 483, della legge n. 143/2013 che aveva rimodulato, per il solo anno 2014, la percentuale di perequazione delle pensioni nella misura prevista dall’art. 34, comma 1, della L. n. 448 del 1998, escludendolo per quei trattamenti che superavano di sei volte il minimo INPS.

Successivamente, in seguito alla modifica del comma predetto ad opera della legge 28 dicembre 2015 n. 208 a decorrere dal 1 gennaio 2016, per il periodo 2014-2018 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448/1998, è riconosciuta nella misura del 100 per cento per i trattamenti fino a tre volte il minimo INPS, del 95 per cento per i trattamenti superiori a tre e pari o inferiori a quatto volte il minimo INPS e via via fino all’azzeramento oltre le sei volte il minimo INPS.

Ferma restando l’incremento del 100 per cento per i trattamenti inferiori a tre volte il minimo INPS, ad opera dell’art. 1, comma 260, della legge n. 145/2018, le altre percentuali sono state ulteriormente aumentate secondo i relativi scaglioni di riferimento, con l’esclusione di qualsiasi incremento per le fasce superiori a sei volte il minimo INPS.

Tale è la normativa applicabile al caso di specie.

Con entrambe le sentenze n. 70 e 173 sopra citate, la Corte Costituzionale “ha sì affrontato il problema della perequazione pensionistica, ma lo ha esaminato solo con riferimento ai rischi derivanti sul potere d’acquisto della pensione dall’aumento del costo della vita e senza in alcun modo stabilire il diritto alla perequazione in termini di “aggancio” della pensione ai futuri miglioramenti del personale in servizio” (Corte dei conti, Sez. II Appello n. 66/2019).

Da quanto sopra il ricorso proposto delle sig.re C. M. A. e P. A. C. non è meritevole di accoglimento e va rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Calabria, in funzione di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando rigetta il ricorso come in motivazione.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che vengono liquidate in favore dell’INPS nella misura complessiva di € 700,00 (settecento/00).

Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 16 gennaio 2020.
Il Giudice
f.to Sergio Vaccarino


Depositata in segreteria nei modi di legge il 16/01/2020


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Re: perequazioni automatiche

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Ricorso perso.

1) - Questo ricorso aveva preso spunto dalla sentenza favorevole della CdC Puglia n. 53/2018 qui postata da me in data 02/02/2018 e poi annullata in Appello.

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SEZIONE GIURISDIZIONALE LOMBARDIA Anno 2020 Numero 42

Sent. N. 42/2020

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Lombardia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Dott. Gaetano Berretta

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio iscritto al n.29352 del registro di Segreteria su ricorso proposto dai Signori
1) S. A., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
2) M. R., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
3) C. M. C., nata a Omissis il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
4) G. G., nato a Omissis Omissis Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
5) C. C., nato a Omissis Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
6) C. G., nata a Omissis Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
7) F. P., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
8) C. L. M. G., nata a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
9) C. R., nato a Omissis il Omissis, ivi residente (C.F.: Omissis)
10) A. A., nata ad Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis Omissis della Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
11) B. E., nato a Omissis il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
12) C. G., nato a Omissis il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
13) P. P., nato a Omissis (Omissis) l’Omissis, residente a Omissis (C.F.:Omissis)
14) C. M. F., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
15) C. G., nato a Omissis il Omissis, ivi residente (C.F.: Omissis)
16) D. A., nata a Omissis (Omissis) l’Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
17) S. A., nato a Omissis Omissis in Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
18) S. L., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
19) G. B., nato a Omissis Omissis Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
20) F. A., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
21) D. G., nato a Omissis Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
22) F. R., nata a Omissis l’Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis)
23) T. A., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
24) P. A., nato a Omissis (Omissis) il Omissis, residente a Omissis Omissis della Omissis (Omissis), (C.F.: Omissis)
25) P. B., nata ad Omissis il Omissis, residente a Omissis (C.F.: Omissis),

tutti rappresentati e difesi, in forza di mandato trasmesso telematicamente, dagli Avv.ti Vincenzo Rocco (rocco.vincenzo@avvocatifoggia.legalmail.it) e Francesca Testini (testini.francescapia@avvocatifoggia.legalmail.it) del Foro di Foggia, con domicilio eletto in Foggia, Viale degli Aviatori n.21, presso lo studio legale dei difensori.

avverso
l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore,

Visto l’atto introduttivo del giudizio, depositato l’8.4.2019;
Esaminati gli altri atti e i documenti di causa;
Tenuta l’udienza del 10 ottobre 2019, presente l’Avv. Mariavittoria Guadagnolo, su delega degli Avv.ti Rocco e Testini per le parti ricorrenti, assente l’INPS.

FATTO

Con il ricorso indicato in epigrafe i ricorrenti, ex dipendenti pubblici appartenenti a diverse pubbliche amministrazioni e già collocati in quiescenza, hanno chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla riliquidazione della pensione in godimento, con applicazione delle maggiorazioni derivanti dagli adeguamenti stipendiali del personale ancora in servizio. Premesso che il trattamento previdenziale rivestirebbe natura di retribuzione differita, finalizzata a garantire le esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia secondo il principio di proporzionalità della pensione rispetto al lavoro precedentemente prestato (secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale), risulterebbe irragionevole la mancata previsione di strumenti di parametrazione e conseguente adeguamento dell’assegno pensionistico rispetto a quello goduto dal lavoratore ancora in servizio.

A sostegno della domanda, finalizzata ad ottenere tramite un pronunciamento di accertamento del diritto del pensionato ad ottenere la perequazione del trattamento rispetto a quello del lavoratore di pari qualifica ed anzianità, i ricorrenti hanno richiamato la sentenza della Corte dei conti, Sez. Puglia n. 53/2018 che tale diritto avrebbe accordato.

Dopo aver allegato - con riguardo alla specifica posizione di coloro i quali, tra i ricorrenti, appartenevano ai ruoli delle Agenzie fiscali (la maggior parte) – un riepilogo degli incrementi stipendiali beneficiati dai lavoratori in servizio, dalla cui analisi emergerebbe in modo lampante la disparità di trattamento, le parti ricorrenti hanno concluso per l’accoglimento della domanda e quindi per il riconoscimento del diritto alla riliquidazione del trattamento in godimento attraverso l’aggancio ai miglioramenti economici previsti dai contratti di lavoro medio tempore previsti. Con conseguente condanna dell’ente previdenziale a corrispondere le somme dovute e non versate, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese ed onorari.

All’odierna pubblica udienza, le parti ricorrenti hanno insistito nella domanda.

Il giudizio è passato in decisione, con lettura del dispositivo in udienza.

DIRITTO

In assenza di questioni preliminari, può essere affrontato il merito della controversia.

Il presente ricorso non può trovare accoglimento.

E’ principio pacifico nella giurisprudenza della Corte dei conti che la riliquidazione del trattamento previdenziale può essere disposta soltanto nei casi in cui essa sia statuita da previsioni normative espresse, non potendosi ravvisare per contro nel nostro ordinamento un principio secondo il quale le pensioni dei dipendenti pubblici possano essere automaticamente aumentate in funzione degli aumenti previsti per coloro i quali risultino in servizio e svolgano le mansioni lavorative precedentemente espletate dal pensionato (Corte dei conti, Sez. Riunite, n.11/QM/1999). Sul punto, si veda inoltre Corte dei conti, Sez. II Centrale, n. 66/2019, ove è stata chiarito che “Non esiste nell'attuale ordinamento una disposizione legislativa che consenta, in via di automatismo o, comunque, per effetto di una perequazione in senso tecnico, l'adeguamento dell’assegno di pensione al trattamento retributivo spettante ai dipendenti in servizio con analogo grado e qualifica di quello ricoperto dal pensionato. La stessa Corte costituzionale, nel riconoscere che i principi di adeguatezza e proporzionalità della pensione in generale comportano una commisurazione del trattamento di quiescenza al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro, ha tuttavia affermato che tale valutazione è riservata al legislatore in funzione del bilanciamento tra esigenze varie nel quadro degli indirizzi di politica economica e delle concrete disponibilità finanziarie (cfr. Corte cost. n. 226 del 1993 e n.173 del 1986)…”.

La presenza di pronunce isolate che hanno ammesso l’adeguamento automatico non consente di discostarsi dal solido e consolidato orientamento nettamente prevalente (sul punto, si richiamano, tra le tantissime, le sentenze n.142 e n.359 del 2019 con le quali la stessa Sezione Giurisdizionale Puglia, prendendo posizione sulla questione, ha ribadito l’assoluta infondatezza della pretesa richiesta dell’automatico ragguaglio tra i due trattamenti economici).

Alla luce delle considerazioni appena svolte è da ritenere infondata domanda finalizzata ad ottenere una riliquidazione del trattamento previdenziale sulla base degli aumenti retributivi previsti in favore del personale in attività di servizio di pari qualifica ed anzianità attraverso un’applicazione diretta degli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Lombardia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle Pensioni, definitivamente pronunciando,

rigetta

il ricorso nei termini di cui in parte motiva.
Spese compensate.
Manda alla segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 10.10.2019.
Il Giudice Unico
Dott. Gaetano Berretta


Depositato in segreteria il 20/04/2020


Il Direttore della Segreteria
(Dott. Salvatore Carvelli)
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