Per opportuna notizia e vi consiglio di leggere attentamente questo Parere del CdS a seguito di un ricorso straordinario al PDR.
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Numero 04274/2011 e data 23/11/2011
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 26 ottobre 2011
NUMERO AFFARE 03188/2010
OGGETTO:
Ministero della giustizia.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, proposto dal signor OMISSIS, nato il OMISSIS, per l’annullamento del provvedimento del ministero della giustizia, dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, provveditorato regionale di Palermo, 2 dicembre 2009 prot. n. …../2009, nella parte in cui dispone che il periodo di congedo per l’assistenza al figlio con handicap in situazione di gravità “non è computato nell’anzianità di servizio”.
LA SEZIONE
Vista la relazione del ministero della giustizia, dipartimento amministrazione penitenziaria, vistata dal ministro il 23 giugno 2010, con la quale viene chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario sopra indicato;
visto il ricorso, proposto con atto 12 aprile 2010;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Paolo La Rosa.
Premesso.
Il Signor OMISSIS, assistente del corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di OMISSIS, con istanza 29 settembre 2009 n. ……ha chiesto di usufruire nel periodo dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2011, per l’assistenza al proprio figlio (soggetto con handicap in situazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, “legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”), del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 16 marzo 2001 n. 151,.
Il provveditorato di Palermo, rilevato che il dipendente era in possesso dei requisiti per ottenere il congedo per l’assistenza ai disabili, con decreto 2 dicembre 2009 n. ……, notificato al destinatario il 17 dicembre 2009, ha concesso 730 giorni di congedo per l’assistenza al figlio, precisando che detto periodo “non è computato nell’anzianità di servizio”.
Contro détta clausola contenuta nel predetto decreto del 2 dicembre 2009 il signor OMISSIS ha proposto il ricorso in esame, lamentando l’errata interpretazione fornita dall’amministrazione con riguardo al congedo di cui all’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 16 marzo 2001 n.151.
L’amministrazione si esprime per il rigetto del ricorso.
Considerato.
L’amministrazione ha legittimamente proceduto applicando la norma di cui all’art. 42 comma 5 del decreto legislativo 16 marzo 2001 n. 151, il quale prevede, per i genitori di un figlio gravemente disabile, il diritto di usufruire, a domanda, di un congedo retribuito della durata massima di due anni, espressamente rinviando al comma 2 dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 n. 53, il quale a sua volta prevede che “… il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali…”.
I periodi di congedo straordinario sono dunque valutabili per intero esclusivamente per il trattamento di quiescenza, mentre non sono valutabili né ai fini del trattamento di fine servizio né del trattamento di fine rapporto, oltre a non avere effetto sulle ferie e sulla tredicesima mensilità.
In tal senso dispone anche la circolare della direzione generale del personale diramata con nota 6 marzo 2008 n. 83564, avente ad oggetto “congedo per assistenza ai disabili ai sensi dell’art. 42, comma 5 del decreto legislativo 16 marzo 2001 n. 151”.
Il ricorso, pertanto, è infondato e va respinto.
P.Q.M.
esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Paolo La Rosa Raffaele Carboni
IL SEGRETARIO
Dr.ssa Tiziana Tomassini
Periodo di congedo per assistenza a figlio sensi 151/2001
Re: Periodo di congedo per assistenza a figlio sensi 151/200
Per notizia
parere in ordine alla computabilità dei periodi di congedo parentale ai fini della progressione di carriera
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14/03/2013 201208190 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 28/11/2012
Numero 01275/2013 e data 14/03/2013
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 28 novembre 2012
NUMERO AFFARE 08190/2012
OGGETTO:
Ministero della giustizia dipartimento amministrazione penitenziaria.
Richiesta di parere in ordine alla computabilità dei periodi di congedo parentale ai fini della progressione di carriera.
LA SEZIONE
Vista la relazione del 4 settembre 2012, trasmessa con nota n.GDAP-0343822-2012 del 27 settembre 2012 e pervenuta in Segreteria il 1° ottobre 2012, con la quale il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) chiede il parere del Consiglio di Stato sull’affare in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore, Consigliere Damiano Nocilla;
PREMESSO
Riferisce l’Amministrazione che l’art. 42, co. 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 prevede che il coniuge convivente o, in mancanza, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, e, in caso di mancanza di costoro, i genitori adottivi, nonché, in assenza dei soggetti testè indicati, i figli conviventi e, non essendovi neppure questi ultimi, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità, i quali si trovino nelle condizioni di usufruire dei benefici di cui all’art. 33, co. 1, d.lgs. n. 151 del 2001, ovvero all’art. 33, commi 2 e 3, legge n. 104 del 1992, hanno diritto a fruire del congedo di cui al co. 2 dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000, vale a dire un congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, durante il quale è loro corrisposta un’indennità equivalente all’ultima retribuzione, con i limiti, però, fissati dal medesimo art. 42.
A norma dell’art. 4, co. 2, della legge n. 53 del 2000, recante congedi per eventi e cause particolari: «I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del co. 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria».
Rileva, peraltro l’Amministrazione che, per ogni altro tipo di congedo, il d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 prevede esplicitamente la computabilità dei detti periodi ai fini dell’anzianità, senza lasciare alcun margine interpretativo in merito (si veda art. 22, art. 34 etc).
L’Amministrazione penitenziaria fa presente che, con circolare n.GDAP.0083564-2008 del 6 marzo 2008 ha precisato che ”….. il congedo in esame
costituisce oggetto di un diritto potestativo del dipendente. Conseguentemente l’Amministrazione non può negarne la concessione (neppure se vi siano altri familiari in condizione di prestare assistenza al disabile), ma solamente differirne la decorrenza per un periodo massimo di sessanta giorni dal momento di ricezione della richiesta del dipendente. Il congedo può essere usufruito anche in maniera frazionata. Tuttavia non può superare complessivamente i due anni per lo stesso oggetto portatore di handicap (e ciò neppure nel caso in cui sia usufruito alternativamente dai due genitori ovvero nel caso in cui sia goduto in parte dal coniuge e per altra parte da altro legittimato). Inoltre, il periodo concesso per tale congedo rientra nell’ambito del periodo complessivo di due anni di congedo per gravi e documentati motivi familiari di cui all’art. 4, co. 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53. A norma dell’art. 4, co. 2, ultima parte, legge n. 53 del 2000, il congedo non è computato nell’anzianità di servizio. Esso, tuttavia, a norma dell’art. 42, co. 5, d.lgs. n. 151 del 2001, è coperto da contribuzione figurativa e dunque è utile ai fini del trattamento di quiescenza...”.
Ricorda ancora l’Amministrazione che questo Consiglio, pronunciandosi in ordine ad un ricorso straordinario promosso da una dipendente, ha espresso il parere (Sez. II – n. 04867/2010) che il ricorso stesso dovesse essere accolto sulla base del fatto che l’interpretazione della norma, di cui all’art. 42, co. 5, d.lgs. 16 marzo 2001 n. 151, data della circolare del DAP n. 83564 del 6 marzo 2008, non potrebbe più essere condivisa poiché si porrebbe in contrasto con il complesso normativo che avrebbe trovato recente sistemazione nel d.lgs. 18 luglio 2011 n. 119, recante “Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”.
Poiché il successivo art. 43, co. 5 dello stesso d.lgs. 26 marzo 2001 n.151 che, ai fini del trattamento economico e normativo, prevede che per i riposi ed i permessi di cui al presente capo “si applicano le disposizioni di cui all’art. 34, co. 5”, che testualmente dispone: “I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”, la predetta pronuncia ha ritenuto che, con riferimento alla situazione in specie, fossero superate le disposizioni contenute al co. 2 dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, che avrebbero legittimato il diniego del computo del periodo di assenza dal servizio per congedo per assistenza al familiare con grave handicap, dovrebbe riconoscersi la computabilità di detto congedo nell’anzianità di servizio ai fini della progressione in carriera.
L’Amministrazione ricorda, peraltro come, in una pronuncia precedente, di pochi giorni a quella or ora richiamata (n. 3188/2010 del 26 ottobre 2011, a fronte della n. 4867/2010 del 9 novembre 2011) la medesima Sez. II abbia ritenuto che l’art. 42, co. 5, facesse espresso rinvio al co. 2 dell’art. 4 l. n. 53 del 2000 e che i periodi di congedo straordinario fossero valutabili per intero esclusivamente per il trattamento di quiescenza, mentre non avrebbero potuto essere valutabili né ai fini del trattamento di fine servizio né del trattamento di fine rapporto, oltre a non avere effetto sulle ferie e sulla tredicesima mensilità, confermandosi con ciò la legittimità della circolare 6 marzo 2008, n. 83564.
Si rileva, inoltre, che il novellato art. 42, co. 5 quinquies, prevede che il congedo in argomento non sia utile ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto, mentre il co. 5 ter stabilisce che i periodi di assenza a tale titolo siano coperti da contribuzione figurativa nella misura specificata dal successivo paragrafo. La predetta statuizione stabilisce che “per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5 bis, 5 ter e 5 quater introdotti dall’art. 4 del d.lgs. n. 119 del 2011, si applicano le disposizioni dell’art. 4, co. 2 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, dovendosi desumere che i periodi fruiti a titolo di congedo straordinario retribuito non siano computabili nell’anzianità giuridica valida ai fini della progressione di carriera.
Al fine di superare la situazione di incertezza, derivante anche da pronunce contrastanti del medesimo organo appartenente al plesso della giustizia amministrativa, l’Amministrazione chiede il parere di questo Consiglio.
CONSIDERATO
Nella sistematica del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, così come modificato dal d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, emanati in seguito alle deleghe contenute nelle leggi 8 marzo 2000, n. 53, e 4 novembre 2010, n. 183, e contenenti il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, l’art. 42 è collocato nel capo VI dedicato ai riposi e permessi e si collega, più o meno esplicitamente, alla disciplina del capo V dedicato ai c.d. congedi parentali, ai quali si applica l’art. 34 del suddetto d.lgs. n. 151 del 2001, che stabilisce che per il periodo di congedo parentale è dovuta ai lavoratori un’indennità e che i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia, nonché quanto previsto dall’art. 22, commi 4, 6 e 7 (con esclusione quindi di quanto previsto dal co. 5, che prevede che i periodi di congedo per maternità, essendo computati nell’anzianità di servizio come detto al co. 3, sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa). Ne deriva che anche per i congedi parentali dovrebbe ritenersi che la legge operi una distinzione tra “anzianità di servizio” e “attività lavorativa da considerare ai fini della progressione nella carriera”.
Quanto poi al congedo disciplinato dal co. 5 dell’art. 42, non vi è dubbio che esso si inserisca concettualmente – come letteralmente previsto dalla disposizione in questione – nei congedi di cui all’art. 4, co. 2, l. 8 marzo 2000, n. 53, che prevede puntualmente che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del co. 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni” e che “durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali, il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria”.
In particolare, l’originario art. 42, c. 5, del d.lgs. n. 151/2001 è stato novellato dall’art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. 18 luglio 2011 n. 119, che ha introdotto una nuova disciplina per i congedi di cui all’art. 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, anche allo scopo di tener conto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 233 del 2005, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009: disciplina, questa, contenuta nell’art. 42, commi da 5 a 5 quinquies. L’art. 42, c. 5 quinquies, nel prevedere che il periodo di cui al comma 5 (e cioè il periodo di congedo ivi previsto) non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto si invia, per l’ulteriore disciplina, per quanto non espressamente previsto, all’art. 4, c. 2 della legge 8 marzo 2000 n. 53. Tale disposizione prevede espressamente, per quel che in questa sede rileva, che il congedo non è computato all’anzianità di servizio.
Esiste, quindi, una apposita disciplina speciale per i congedi parentali di cui all’art. 42 d.lgs. 151 del 2001, che esclude l’applicabilità della norma di cui all’art. 43, c. 3, del medesimo d.lgs. n. 151 del 2001, che rimanda all’art. 3, c. 5 alla stregua del quale “i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”.
In altri termini, le nuove disposizioni contenute nei commi 5 bis, 5 ter e 5 quater dell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 hanno, comunque, espressamente previsto l’applicabilità, al congedo di cui al precedente c. 5, dell’art. 4, c. 2 della legge n. 53 del 2000, che dispone appunto la non computabilità di tale congedo nell’anzianità di servizio ed ai fini previdenziali. Sono quindi le stesse nuove disposizioni ad escludere, con una speciale disciplina, la computabilità del congedo di cui all’art. 42, c. 5, e l’applicabilità della diversa regola generale, di cui agli artt. 42, c. 2 e 34, c. 5 del d.lgs. 151 del 2001.
Pertanto la legislazione – anche dopo le modifiche recentissime – ha inteso attrarre i congedi di cui al co. 5 dell’art. 42 d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nell’ambito della disciplina di cui all’art. 4, co. 2, l. 8 marzo 2000, n. 53 (cfr. la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 1 del 3 febbraio 2012), sicchè non è possibile sostenere che quest’ultima disposizione sia da considerare superata dall’art. 43, co. 2, d.lgs. n. 151 del 2001, che ai riposi e permessi (va notato, però, stante la diversa natura di permessi e congedi, come specificata dal Consiglio di Stato con parere n. 3389 del 2005, che la disposizione parla di permessi e non di congedi) previsti dal capo VI si applicano le disposizioni, di cui all’art. 34, co. 5, visto che il congedo in questione trova una sua disciplina speciale nei commi 5, 5 bis, 5 ter, 5 quater, 5 quinquies e 6 dell’art. 42 succitato. Come specificato dalla succitata circolare della Funzione pubblica la validità dei periodi ai fini del calcolo dell’anzianità riguarda la loro computabilità ai fini del raggiungimento del diritto a pensione, essendo coperti da contribuzione, ma non sembra poter raggiungere l’equivalenza al servizio effettivo da prendere in considerazione ai fini della progressione di carriera.
La conseguenza immediata della suddetta sistematica è che nulla appare mutato, in seguito all’emanazione del d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, nel fondamento di rango primario di quanto disposto dalla circolare del DAP del 6 marzo 2008 n. 83564.
Si ricorda, peraltro, che lo stesso T.U. n. 151 del 2001, nel disciplinare i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e paternità, (art. 1, c. 1), fa espressamente salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi e da ogni altra disposizione. L’eventuale esistenza di disposizioni del genere sarà dall’Amministrazione riferente segnalata nelle proprie circolari.
P.Q.M.
Nei sensi di cui in motivazione è il parere del Consiglio di Stato.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Damiano Nocilla Alessandro Pajno
IL SEGRETARIO
Tiziana Tomassini
parere in ordine alla computabilità dei periodi di congedo parentale ai fini della progressione di carriera
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14/03/2013 201208190 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 28/11/2012
Numero 01275/2013 e data 14/03/2013
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 28 novembre 2012
NUMERO AFFARE 08190/2012
OGGETTO:
Ministero della giustizia dipartimento amministrazione penitenziaria.
Richiesta di parere in ordine alla computabilità dei periodi di congedo parentale ai fini della progressione di carriera.
LA SEZIONE
Vista la relazione del 4 settembre 2012, trasmessa con nota n.GDAP-0343822-2012 del 27 settembre 2012 e pervenuta in Segreteria il 1° ottobre 2012, con la quale il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria) chiede il parere del Consiglio di Stato sull’affare in oggetto;
Esaminati gli atti ed udito il relatore ed estensore, Consigliere Damiano Nocilla;
PREMESSO
Riferisce l’Amministrazione che l’art. 42, co. 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 prevede che il coniuge convivente o, in mancanza, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, e, in caso di mancanza di costoro, i genitori adottivi, nonché, in assenza dei soggetti testè indicati, i figli conviventi e, non essendovi neppure questi ultimi, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità, i quali si trovino nelle condizioni di usufruire dei benefici di cui all’art. 33, co. 1, d.lgs. n. 151 del 2001, ovvero all’art. 33, commi 2 e 3, legge n. 104 del 1992, hanno diritto a fruire del congedo di cui al co. 2 dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000, vale a dire un congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, durante il quale è loro corrisposta un’indennità equivalente all’ultima retribuzione, con i limiti, però, fissati dal medesimo art. 42.
A norma dell’art. 4, co. 2, della legge n. 53 del 2000, recante congedi per eventi e cause particolari: «I dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del co. 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni. Durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali; il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria».
Rileva, peraltro l’Amministrazione che, per ogni altro tipo di congedo, il d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 prevede esplicitamente la computabilità dei detti periodi ai fini dell’anzianità, senza lasciare alcun margine interpretativo in merito (si veda art. 22, art. 34 etc).
L’Amministrazione penitenziaria fa presente che, con circolare n.GDAP.0083564-2008 del 6 marzo 2008 ha precisato che ”….. il congedo in esame
costituisce oggetto di un diritto potestativo del dipendente. Conseguentemente l’Amministrazione non può negarne la concessione (neppure se vi siano altri familiari in condizione di prestare assistenza al disabile), ma solamente differirne la decorrenza per un periodo massimo di sessanta giorni dal momento di ricezione della richiesta del dipendente. Il congedo può essere usufruito anche in maniera frazionata. Tuttavia non può superare complessivamente i due anni per lo stesso oggetto portatore di handicap (e ciò neppure nel caso in cui sia usufruito alternativamente dai due genitori ovvero nel caso in cui sia goduto in parte dal coniuge e per altra parte da altro legittimato). Inoltre, il periodo concesso per tale congedo rientra nell’ambito del periodo complessivo di due anni di congedo per gravi e documentati motivi familiari di cui all’art. 4, co. 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53. A norma dell’art. 4, co. 2, ultima parte, legge n. 53 del 2000, il congedo non è computato nell’anzianità di servizio. Esso, tuttavia, a norma dell’art. 42, co. 5, d.lgs. n. 151 del 2001, è coperto da contribuzione figurativa e dunque è utile ai fini del trattamento di quiescenza...”.
Ricorda ancora l’Amministrazione che questo Consiglio, pronunciandosi in ordine ad un ricorso straordinario promosso da una dipendente, ha espresso il parere (Sez. II – n. 04867/2010) che il ricorso stesso dovesse essere accolto sulla base del fatto che l’interpretazione della norma, di cui all’art. 42, co. 5, d.lgs. 16 marzo 2001 n. 151, data della circolare del DAP n. 83564 del 6 marzo 2008, non potrebbe più essere condivisa poiché si porrebbe in contrasto con il complesso normativo che avrebbe trovato recente sistemazione nel d.lgs. 18 luglio 2011 n. 119, recante “Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi”.
Poiché il successivo art. 43, co. 5 dello stesso d.lgs. 26 marzo 2001 n.151 che, ai fini del trattamento economico e normativo, prevede che per i riposi ed i permessi di cui al presente capo “si applicano le disposizioni di cui all’art. 34, co. 5”, che testualmente dispone: “I periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”, la predetta pronuncia ha ritenuto che, con riferimento alla situazione in specie, fossero superate le disposizioni contenute al co. 2 dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, che avrebbero legittimato il diniego del computo del periodo di assenza dal servizio per congedo per assistenza al familiare con grave handicap, dovrebbe riconoscersi la computabilità di detto congedo nell’anzianità di servizio ai fini della progressione in carriera.
L’Amministrazione ricorda, peraltro come, in una pronuncia precedente, di pochi giorni a quella or ora richiamata (n. 3188/2010 del 26 ottobre 2011, a fronte della n. 4867/2010 del 9 novembre 2011) la medesima Sez. II abbia ritenuto che l’art. 42, co. 5, facesse espresso rinvio al co. 2 dell’art. 4 l. n. 53 del 2000 e che i periodi di congedo straordinario fossero valutabili per intero esclusivamente per il trattamento di quiescenza, mentre non avrebbero potuto essere valutabili né ai fini del trattamento di fine servizio né del trattamento di fine rapporto, oltre a non avere effetto sulle ferie e sulla tredicesima mensilità, confermandosi con ciò la legittimità della circolare 6 marzo 2008, n. 83564.
Si rileva, inoltre, che il novellato art. 42, co. 5 quinquies, prevede che il congedo in argomento non sia utile ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto, mentre il co. 5 ter stabilisce che i periodi di assenza a tale titolo siano coperti da contribuzione figurativa nella misura specificata dal successivo paragrafo. La predetta statuizione stabilisce che “per quanto non espressamente previsto dai commi 5, 5 bis, 5 ter e 5 quater introdotti dall’art. 4 del d.lgs. n. 119 del 2011, si applicano le disposizioni dell’art. 4, co. 2 della legge 8 marzo 2000, n. 53”, dovendosi desumere che i periodi fruiti a titolo di congedo straordinario retribuito non siano computabili nell’anzianità giuridica valida ai fini della progressione di carriera.
Al fine di superare la situazione di incertezza, derivante anche da pronunce contrastanti del medesimo organo appartenente al plesso della giustizia amministrativa, l’Amministrazione chiede il parere di questo Consiglio.
CONSIDERATO
Nella sistematica del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, così come modificato dal d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, emanati in seguito alle deleghe contenute nelle leggi 8 marzo 2000, n. 53, e 4 novembre 2010, n. 183, e contenenti il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, l’art. 42 è collocato nel capo VI dedicato ai riposi e permessi e si collega, più o meno esplicitamente, alla disciplina del capo V dedicato ai c.d. congedi parentali, ai quali si applica l’art. 34 del suddetto d.lgs. n. 151 del 2001, che stabilisce che per il periodo di congedo parentale è dovuta ai lavoratori un’indennità e che i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia, nonché quanto previsto dall’art. 22, commi 4, 6 e 7 (con esclusione quindi di quanto previsto dal co. 5, che prevede che i periodi di congedo per maternità, essendo computati nell’anzianità di servizio come detto al co. 3, sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attività lavorativa). Ne deriva che anche per i congedi parentali dovrebbe ritenersi che la legge operi una distinzione tra “anzianità di servizio” e “attività lavorativa da considerare ai fini della progressione nella carriera”.
Quanto poi al congedo disciplinato dal co. 5 dell’art. 42, non vi è dubbio che esso si inserisca concettualmente – come letteralmente previsto dalla disposizione in questione – nei congedi di cui all’art. 4, co. 2, l. 8 marzo 2000, n. 53, che prevede puntualmente che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, fra i quali le patologie individuate ai sensi del co. 4, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni” e che “durante tale periodo il dipendente conserva il posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Il congedo non è computato nell’anzianità di servizio né ai fini previdenziali, il lavoratore può procedere al riscatto, ovvero al versamento dei relativi contributi, calcolati secondo i criteri della prosecuzione volontaria”.
In particolare, l’originario art. 42, c. 5, del d.lgs. n. 151/2001 è stato novellato dall’art. 4, comma 1, lett. b, del d.lgs. 18 luglio 2011 n. 119, che ha introdotto una nuova disciplina per i congedi di cui all’art. 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53, anche allo scopo di tener conto delle sentenze della Corte Costituzionale n. 233 del 2005, n. 158 del 2007, n. 19 del 2009: disciplina, questa, contenuta nell’art. 42, commi da 5 a 5 quinquies. L’art. 42, c. 5 quinquies, nel prevedere che il periodo di cui al comma 5 (e cioè il periodo di congedo ivi previsto) non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto si invia, per l’ulteriore disciplina, per quanto non espressamente previsto, all’art. 4, c. 2 della legge 8 marzo 2000 n. 53. Tale disposizione prevede espressamente, per quel che in questa sede rileva, che il congedo non è computato all’anzianità di servizio.
Esiste, quindi, una apposita disciplina speciale per i congedi parentali di cui all’art. 42 d.lgs. 151 del 2001, che esclude l’applicabilità della norma di cui all’art. 43, c. 3, del medesimo d.lgs. n. 151 del 2001, che rimanda all’art. 3, c. 5 alla stregua del quale “i periodi di congedo parentale sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”.
In altri termini, le nuove disposizioni contenute nei commi 5 bis, 5 ter e 5 quater dell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 hanno, comunque, espressamente previsto l’applicabilità, al congedo di cui al precedente c. 5, dell’art. 4, c. 2 della legge n. 53 del 2000, che dispone appunto la non computabilità di tale congedo nell’anzianità di servizio ed ai fini previdenziali. Sono quindi le stesse nuove disposizioni ad escludere, con una speciale disciplina, la computabilità del congedo di cui all’art. 42, c. 5, e l’applicabilità della diversa regola generale, di cui agli artt. 42, c. 2 e 34, c. 5 del d.lgs. 151 del 2001.
Pertanto la legislazione – anche dopo le modifiche recentissime – ha inteso attrarre i congedi di cui al co. 5 dell’art. 42 d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nell’ambito della disciplina di cui all’art. 4, co. 2, l. 8 marzo 2000, n. 53 (cfr. la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 1 del 3 febbraio 2012), sicchè non è possibile sostenere che quest’ultima disposizione sia da considerare superata dall’art. 43, co. 2, d.lgs. n. 151 del 2001, che ai riposi e permessi (va notato, però, stante la diversa natura di permessi e congedi, come specificata dal Consiglio di Stato con parere n. 3389 del 2005, che la disposizione parla di permessi e non di congedi) previsti dal capo VI si applicano le disposizioni, di cui all’art. 34, co. 5, visto che il congedo in questione trova una sua disciplina speciale nei commi 5, 5 bis, 5 ter, 5 quater, 5 quinquies e 6 dell’art. 42 succitato. Come specificato dalla succitata circolare della Funzione pubblica la validità dei periodi ai fini del calcolo dell’anzianità riguarda la loro computabilità ai fini del raggiungimento del diritto a pensione, essendo coperti da contribuzione, ma non sembra poter raggiungere l’equivalenza al servizio effettivo da prendere in considerazione ai fini della progressione di carriera.
La conseguenza immediata della suddetta sistematica è che nulla appare mutato, in seguito all’emanazione del d.lgs. 18 luglio 2011, n. 119, nel fondamento di rango primario di quanto disposto dalla circolare del DAP del 6 marzo 2008 n. 83564.
Si ricorda, peraltro, che lo stesso T.U. n. 151 del 2001, nel disciplinare i congedi, i riposi, i permessi e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori connessi alla maternità e paternità di figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché il sostegno economico alla maternità e paternità, (art. 1, c. 1), fa espressamente salve le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi e da ogni altra disposizione. L’eventuale esistenza di disposizioni del genere sarà dall’Amministrazione riferente segnalata nelle proprie circolari.
P.Q.M.
Nei sensi di cui in motivazione è il parere del Consiglio di Stato.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Damiano Nocilla Alessandro Pajno
IL SEGRETARIO
Tiziana Tomassini
Re: Periodo di congedo per assistenza a figlio sensi 151/200
ORDINANZA N. 280 ANNO 2013
Art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
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1) - il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
2) - la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
3) - di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
LA CORTE COSTITUZIONALE precisa:
4) - con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
5) - che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
6) - che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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ORDINANZA N. 280
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Voghera nel procedimento vertente tra M.F. e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di M.F.;
udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);
che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’ordinanza del Tribunale di Voghera, contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104»;
che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
che la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
che, di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
che il Tribunale rimettente ha preso atto delle modifiche cui è andato incontro l’art. 42, comma 5, richiamando gli interventi additivi della Corte costituzionale, che hanno ampliato il novero dei soggetti beneficiari del congedo retribuito, e che sono stati recepiti dal legislatore, in particolare, con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi);
che il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame, sotto il profilo della mancata estensione del beneficio a favore del nipote, discendente di secondo grado, convivente con la persona affetta da invalidità grave;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata, la quale – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non consentirebbe di includere il nipote (discendente di secondo grado) nel novero dei lavoratori legittimati a fruire del congedo;
che il Tribunale ricorda, anche alla luce delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale, che la materia dei congedi è attinente all’esigenza di assicurare continuità nell’assistenza e nelle cure del soggetto disabile, indipendentemente dal suo status di figlio, essendo diretta a tutelare le esigenze primarie e fondamentali del disabile grave, favorendo l’assistenza in ambito familiare;
che lo status di discendente è anche fonte d’obbligo alimentare in base all’art. 433 del codice civile, nell’ambito del quale il discendente, in mancanza di figli, è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore;
che, alla luce di tali premesse, il rimettente ritiene che l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi del disabile stesso, contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disparità di trattamento risulterebbe evidente, e priva di ragionevole giustificazione, se posta a confronto con la condizione dei fratelli o delle sorelle del soggetto affetto da handicap grave;
che la disposizione impugnata determinerebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché l’apporto dei familiari alla cura del congiunto gravemente disabile è da considerarsi funzionale al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;
che sarebbe violato altresì l’art. 2 Cost., in quanto verrebbe meno la possibilità di garantire al disabile assistenza continuativa all’interno del nucleo familiare, con evidenti riflessi pregiudizievoli sulla sfera della socializzazione e dell’integrazione della persona disabile;
che, infine, vi sarebbe violazione dell’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di garantire la necessaria assistenza determinerebbe il concreto rischio di un deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica della persona disabile;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
Considerato che il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della stessa;
che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Voghera con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2013.
Art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
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1) - il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
2) - la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
3) - di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
LA CORTE COSTITUZIONALE precisa:
4) - con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
5) - che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
6) - che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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ORDINANZA N. 280
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Voghera nel procedimento vertente tra M.F. e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di M.F.;
udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.
Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);
che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’ordinanza del Tribunale di Voghera, contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104»;
che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;
che la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;
che, di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;
che il Tribunale rimettente ha preso atto delle modifiche cui è andato incontro l’art. 42, comma 5, richiamando gli interventi additivi della Corte costituzionale, che hanno ampliato il novero dei soggetti beneficiari del congedo retribuito, e che sono stati recepiti dal legislatore, in particolare, con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi);
che il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame, sotto il profilo della mancata estensione del beneficio a favore del nipote, discendente di secondo grado, convivente con la persona affetta da invalidità grave;
che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata, la quale – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non consentirebbe di includere il nipote (discendente di secondo grado) nel novero dei lavoratori legittimati a fruire del congedo;
che il Tribunale ricorda, anche alla luce delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale, che la materia dei congedi è attinente all’esigenza di assicurare continuità nell’assistenza e nelle cure del soggetto disabile, indipendentemente dal suo status di figlio, essendo diretta a tutelare le esigenze primarie e fondamentali del disabile grave, favorendo l’assistenza in ambito familiare;
che lo status di discendente è anche fonte d’obbligo alimentare in base all’art. 433 del codice civile, nell’ambito del quale il discendente, in mancanza di figli, è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore;
che, alla luce di tali premesse, il rimettente ritiene che l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi del disabile stesso, contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disparità di trattamento risulterebbe evidente, e priva di ragionevole giustificazione, se posta a confronto con la condizione dei fratelli o delle sorelle del soggetto affetto da handicap grave;
che la disposizione impugnata determinerebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché l’apporto dei familiari alla cura del congiunto gravemente disabile è da considerarsi funzionale al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;
che sarebbe violato altresì l’art. 2 Cost., in quanto verrebbe meno la possibilità di garantire al disabile assistenza continuativa all’interno del nucleo familiare, con evidenti riflessi pregiudizievoli sulla sfera della socializzazione e dell’integrazione della persona disabile;
che, infine, vi sarebbe violazione dell’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di garantire la necessaria assistenza determinerebbe il concreto rischio di un deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica della persona disabile;
che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;
che, con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.
Considerato che il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della stessa;
che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;
che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Voghera con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2013.
Re: Periodo di congedo per assistenza a figlio sensi 151/200
congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni.
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29/11/2013 201310250 Sentenza Breve 1B
N. 10250/2013 REG.PROV.COLL.
N. 07968/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7968 del 2012, proposto da:
F. C., rappresentata e difesa dall'avv. M. A., con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico - Difesa Civile, in persona del Ministro in carica e del Capo Dipartimento p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (prot. uscita 0018619 del 18.06.2012), recante il rigetto dell’istanza di fruizione del congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che con il presente mezzo di gravame, notificato il 31 luglio 2013 e depositato il successivo 9 ottobre, la parte istante - in qualità di assistente in servizio presso il Comando Provinciale di …… dei Vigili del Fuoco - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe poiché lesivo del proprio interesse al riconoscimento dei benefici relativi alla fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni, prospettando come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici, ed in particolare l’errata valutazione del presupposto di fatto richiesto dalla legge e denominato “referente unico”;
Ritenuto che le medesime doglianze sono finalizzate a dimostrare che l’atto impugnato si fonda su un’errata interpretazione del disposto normativo di riferimento, laddove in verità il comma 5/bis del citato art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001, inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119, dispone che “ Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto.”;
Atteso che gli argomenti enunciati nell’unico motivo di gravame risultano essere fondati in ragione della motivazione posta a base del provvedimento impugnato, laddove si afferma che non risulta comprovata la sussistenza di elementi che dimostrino lo status di “referente unico” che, nel caso di specie, sarebbe escluso dalla presenza di altri due fratelli residenti a ……. di Roma;
Considerato, altresì, che la suddetta interpretazione non trova riscontro sia nella lettera della norma sopra esposta, sia nella circolare (tra l’altro richiamata nel corpo del provvedimento di diniego) della Funzione Pubblica n. 1 del 2012, poiché l’intento delle diverse norme di cui si è data applicazione è solo quello di impedire che il beneficio in discussione sia riconosciuto a più soggetti legittimati in quanto lavoratori;
Considerato, inoltre, che la circostanza posta a base della motivazione del provvedimento gravato (“presenza di altri due fratelli residenti a …… di Roma”) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’impedimento normativo alla concessione del congedo per l’assistenza alle persone in situazione di disabilità grave, per la semplice ragione che la stessa p.a. avrebbe dovuto quantomeno accertare che almeno uno dei due soggetti specificati già godesse del beneficio in discussione;
Ritenuto che, nel caso di specie, vi sono i presupposti per pronunciare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 del c.p.a., una sentenza in forma semplificata in quanto, dagli atti depositati, si desume un evidente travisamento della legge e delle circolari allo scopo richiamate;
Ritenuto, pertanto, che il presente gravame va accolto e conseguentemente annullato il provvedimento impugnato perché viziato da violazione di legge, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione resistente;
Considerato, infine, che le spese seguono come di norma la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno, parte resistente, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre la rifusione dell’importo del contributo unificato versato pari ad € 300,00 (trecento), a favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente FF, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2013
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29/11/2013 201310250 Sentenza Breve 1B
N. 10250/2013 REG.PROV.COLL.
N. 07968/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 7968 del 2012, proposto da:
F. C., rappresentata e difesa dall'avv. M. A., con domicilio eletto presso Tar Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Ministero dell'Interno – Dipartimento Vigili del Fuoco-Soccorso Pubblico - Difesa Civile, in persona del Ministro in carica e del Capo Dipartimento p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile (prot. uscita 0018619 del 18.06.2012), recante il rigetto dell’istanza di fruizione del congedo straordinario ai sensi dell'art. 42, comma 5, del D.Lgs. 26 marzo 2001 n. 151;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che con il presente mezzo di gravame, notificato il 31 luglio 2013 e depositato il successivo 9 ottobre, la parte istante - in qualità di assistente in servizio presso il Comando Provinciale di …… dei Vigili del Fuoco - ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe poiché lesivo del proprio interesse al riconoscimento dei benefici relativi alla fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, richiesto per un periodo continuativo di due anni, prospettando come motivi di impugnazione la violazione di legge e l’eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici, ed in particolare l’errata valutazione del presupposto di fatto richiesto dalla legge e denominato “referente unico”;
Ritenuto che le medesime doglianze sono finalizzate a dimostrare che l’atto impugnato si fonda su un’errata interpretazione del disposto normativo di riferimento, laddove in verità il comma 5/bis del citato art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001, inserito dall'art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. 18 luglio 2011, n. 119, dispone che “ Il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il congedo è accordato a condizione che la persona da assistere non sia ricoverata a tempo pieno, salvo che, in tal caso, sia richiesta dai sanitari la presenza del soggetto che presta assistenza. Il congedo ed i permessi di cui articolo 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l'assistenza alla stessa persona. Per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto.”;
Atteso che gli argomenti enunciati nell’unico motivo di gravame risultano essere fondati in ragione della motivazione posta a base del provvedimento impugnato, laddove si afferma che non risulta comprovata la sussistenza di elementi che dimostrino lo status di “referente unico” che, nel caso di specie, sarebbe escluso dalla presenza di altri due fratelli residenti a ……. di Roma;
Considerato, altresì, che la suddetta interpretazione non trova riscontro sia nella lettera della norma sopra esposta, sia nella circolare (tra l’altro richiamata nel corpo del provvedimento di diniego) della Funzione Pubblica n. 1 del 2012, poiché l’intento delle diverse norme di cui si è data applicazione è solo quello di impedire che il beneficio in discussione sia riconosciuto a più soggetti legittimati in quanto lavoratori;
Considerato, inoltre, che la circostanza posta a base della motivazione del provvedimento gravato (“presenza di altri due fratelli residenti a …… di Roma”) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’impedimento normativo alla concessione del congedo per l’assistenza alle persone in situazione di disabilità grave, per la semplice ragione che la stessa p.a. avrebbe dovuto quantomeno accertare che almeno uno dei due soggetti specificati già godesse del beneficio in discussione;
Ritenuto che, nel caso di specie, vi sono i presupposti per pronunciare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 del c.p.a., una sentenza in forma semplificata in quanto, dagli atti depositati, si desume un evidente travisamento della legge e delle circolari allo scopo richiamate;
Ritenuto, pertanto, che il presente gravame va accolto e conseguentemente annullato il provvedimento impugnato perché viziato da violazione di legge, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione resistente;
Considerato, infine, che le spese seguono come di norma la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno, parte resistente, al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre la rifusione dell’importo del contributo unificato versato pari ad € 300,00 (trecento), a favore della parte ricorrente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente FF, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/11/2013
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