EQUO INDENNIZZO
Re: PENSIONE E MALATTIA
Messaggio da tarpal43 »
Sono un Sott.le dei CC, chiedo un aiuto su ciò che riguradano le mie cause di servizio, già valutate dal Comitato di Verifica di Roma, una con tab. B e l'altra con 8° ctg. La prima riconosciuta nel 2005 e l'altra nel 2006, ma da questo periodo non mi è stata ancora notificata la somma dell'equo indennizzo già comunque richiesto nel momento in cui iniziai l'iter burocratico di riconoscimento. Inoltre, nel mese di dicembre 2010 chiamai il call center del Min. della Difesa, ed un'addetta mi disse che non trovava i miei decreti di riconoscimento e che dovevo richiamare verso la metà di gennaio c.m. per saperne qualcosa in più. Purtroppo dopo numerose telefonate il numero di telefono del Min. della Difesa risulta sempre occupato. Mi conviene a questo punto inoltrare una richiesta ufficiale tramite l'URP del mio Cdo? Ed inoltre i tempi di pagamento dell'equo indennizzo relativamente al sottoscritto sono nella norma, ed ai fini della pensione privilegiata, la dicitura "a vita" relativo al mio decreto di riconoscimento per la causa di servizio 8^ ctg. non la riporta ? Grazie della collaborazione. Saluti
EQUO INDENNIZZO
Messaggio da tarpal43 »
Sono un Sott.le dei CC, chiedo un aiuto su ciò che riguradano le mie cause di servizio, già valutate dal Comitato di Verifica di Roma, una con tab. B e l'altra con 8° ctg. La prima riconosciuta nel 2005 e l'altra nel 2006, ma da questo periodo non mi è stata ancora notificata la somma dell'equo indennizzo già comunque richiesto nel momento in cui iniziai l'iter burocratico di riconoscimento. Inoltre, nel mese di dicembre 2010 chiamai il call center del Min. della Difesa, ed un'addetta mi disse che non trovava i miei decreti di riconoscimento e che dovevo richiamare verso la metà di gennaio c.m. per saperne qualcosa in più. Purtroppo dopo numerose telefonate il numero di telefono del Min. della Difesa risulta sempre occupato. Mi conviene a questo punto inoltrare una richiesta ufficiale tramite l'URP del mio Cdo? Ed inoltre i tempi di pagamento dell'equo indennizzo relativamente al sottoscritto sono nella norma, ed ai fini della pensione privilegiata, la dicitura "a vita" relativo al mio decreto di riconoscimento per la causa di servizio 8^ ctg. non la riporta ? Grazie della collaborazione. Salutitarpal43
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Re: EQUO INDENNIZZO
Per opportuna notizia
N. 00691/2011REG.PROV.COLL.
N. 06303/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6303 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Carrozzo, con domicilio eletto presso Fausto Bucellato in Roma, viale Angelico 45;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'ottemperanza
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 06352/2009, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE EQUO INDENNIZZO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parte ricorrente l’avv. Carrozzo e l'avv. dello Stato Melillo per il Ministero;.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La sig.ra OMISSIS, quale vedova ed erede del maresciallo di prima classe dell’Aeronautica Militare OMISSIS, già in servizio presso il Gruppo Radar dell’A.M. di Omissis, impugnava innanzi al TAR per la Puglia Sezione di Lecce il decreto del Ministero della difesa del 30/10/2006 di reiezione della domanda prodotta a suo tempo dal defunto sottufficiale, di concessione di equo indennizzo, nonchè i presupposti pareri del Comitato di Verifica delle causa di servizio ( CVCS ) n……. del 30/9/2005 e n…. del 10/5/2006.
L’adito Tar con sentenza n.131/2009 accoglieva il proposto gravame, sul rilievo, in sostanza che l’Amministrazione in relazione alla patologie denunciate dal militare non aveva tenuto conto delle condizioni ambientali e di lavoro in cui il dipendente era stato costretto a lavorare.
L’Amministrazione della Difesa impugnava tale sentenza ritenendola erronea .
Questa Sezione con sentenza n.6352 del 16 /10/2009 ha confermato il dispositivo dell’appellata sentenza anche se con diversa motivazione .
Questo Giudice d’appello , in particolare, ha ritenuto fondate le censure di omessa valutazione di documentazione rilevante e di difetto di motivazione dedotte col ricorso di primo grado , ritenendo tali vizi di legittimità sussistenti con riferimento sia alla determinazione negativamente assunta sia ai pareri resi dal Comitato di Verifica delle cause di servizio. Lo stesso Giudice ha lasciato libera ed impregiudicata la potestà valutativa di merito dell’Amministrazione cui ha fatto implicito rinvio per le ulteriori, definitive determinazioni.
Successivamente, il Ministero intimato ha richiesto ( con nota dell’11/11/2009) al Comitato di verifica un nuovo parere e il predetto CVCS con delibera dell’11/12/2009 ha confermato i precedenti pareri negativi.
Quindi con decreto del dirigente della Direzione Generale della Previdenza Militare del 29/4/2009 è stato emesso da parte del Ministero della Difesa , in espressa applicazione della decisione di questa Sezione n.6352/2009 un “ nuovo provvedimento negativo sulla base delle nuove motivazioni espresse dal Comitato di verifica “.
La parte interessata, ritenendo che l’Amministrazione si sia sottratta all’obbligo di conformarsi alle statuizioni rese con la decisione n.6352/09 ha proposto ricorso per la corretta esecuzione del giudicato derivante da detta decisione.
In particolare, a sostegno del rimedio giurisdizionale azionato, la sig.ra OMISSIS ha dedotto i vizi di violazione del giusto procedimento e del giudicato nonché di violazione ed elusione del giudicato.
Si è costituita in giudizio per resistere al gravame l’Amministrazione statale intimata.
Tanto premesso, in via prioritariamente logica, il Collegio ritiene che a fronte dei “nuovi atti “ assunti dall’Amministrazione , la controversia rimane comunque nell’alveo del giudizio di ottemperanza di cui all’art.37 della legge n.1034/1971 ( ora art.114 c.p.a. ) .
Invero, il procedimento proseguito con il parere del Comitato di Verifica dell’11/12/2009 e culminato con la determinazione ministeriale del 25/4/2010 è stato attivato in espressa esecuzione della decisione n.6352/09, come inequivocabilmente riportato nella parte narrativa di detta determinazione e come altrettanto ancor più inequivocabilmente precisato nella nota ( “in ottemperanza della decisione di cui all’oggetto “) dell’11/11/2009 con cui è stato chiesto al Comitato di Verifica di formulare un parere tenendo conto di quanto statuito dal Consiglio di Stato con la citata decisione.
Se così è, nella specie, vengono in rilievo questioni che vanno valutate non come vizi di un nuovo, autonomo procedimento, ma in termini di esecuzione del giudicato.
Ciò precisato, occorre verificare, quanto al merito del problema qui sollevato, se gli atti adottati siano o meno elusivi del giudicato di cui si chiede la corretta esecuzione.
A tale quesito deve darsi risposta affermativa.
Invero, come si evince dalla lettura della decisione di cui si chiede l’ottemperanza , in quella sede questa Sezione, nel rilevare i vizi di legittimità dell’omessa valutazione di documentazione rilevante e di difetto di motivazione, ha precisato che i pareri resi dal Comitato di Verifiche posti alla base del provvedimento di diniego poi annullato in sede giurisdizionale, quanto alla motivazione in essi contenuta , “impediscono di verificare se effettivamente sia stata tenuta in conto tutta la documentazione di ufficio e , in particolare, la relazione del 23 febbraio 2002 del Comandante del ……. Gruppo Radar dell’Aeronautica Militare di OMISSIS nella quale risulta contenuto un parere medico legale…, che , sia per la sua provenienza ( Amministrazione ) sia per il suo contenuto, certamente meritava di essere specificatamente preso in esame dal CVCS ed espressamente valutato attraverso un motivazione puntuale…”.
Con la predetta statuizione il Giudice ha puntualizzato la consistenza dell’obbligo motivazionale posto a carico dell’Amministrazione, e cioè quello di rendere espressamente conto dei documenti testè citati e della loro relativa valutazione.
Ebbene, non risulta che sia stato adempiuto ad un siffatto onere posto dal giudicante , se è vero che nel parere reso dal Comitato di Verifica dell’11/12/2010, fatto poi pedissequamente proprio dall’Amministrazione con il provvedimento del 25/4/2010, non v’è indicazione della documentazione rilevante sottolineata in sentenza ( sopra riportata ) , né traccia dell’avvenuta valutazione della medesima.
L’Amministrazione, perciò, non ha prestato adempimento alla statuizione giurisdizionale di questa Sezione , risultando inottemperante al giudicato, mentre ha adottato atti che sono elusivi delle statuizioni testè riportate e perciò stesso illegittimi.
Va conseguentemente dichiarato l’obbligo del Ministero e del Comitato di Verifica di adottare gli atti , di rispettiva competenza, di definizione della richiesta di equo indennizzo per cui è causa in piena conformità a quanto specificatamente statuito con la sentenza di questa Sezione n.6352/09 e secondo criteri di leale diligenza ed imparzialità.
Nell’eventualità che l’Amministrazione intimata non ottemperi a tale obbligo entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di notificazione e/o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, il Collegio nomina sin da ora quale Commissario ad acta il Segretario Generale della Difesa affinchè provveda, anche a mezzo di dirigente espressamente delegato, alla puntuale esecuzione del giudicato, in via sostitutiva .
Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), pronunziando sul ricorso per ottemperanza in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto, dichiara l’obbligo del Ministero della Difesa - Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al lavoro dei volontari congedati - di provvedere alla esatta e leale esecuzione del giudicato, come esposto in motivazione, nel termine perentorio, di giorni 60 ( sessanta ) dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione.
Decorso inutilmente tale termine, provvederà, su semplice istanza di parte, il Commissario ad acta nominato nella persona del Segretario Generale della Difesa, il quale provvederà, anche a mezzo di dirigente da lui delegato, ai menzionati incombenti, in via sostitutiva, nell’ulteriore termine perentorio di trenta giorni.
Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio che si liquidano complessivamente in euro 3.000( tremila ) oltre spese generali, IVA e CPA: oltre alle spese eventualmente spettanti al Commissario ad acta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente FF
Vito Poli, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2011
N. 00691/2011REG.PROV.COLL.
N. 06303/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6303 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Carrozzo, con domicilio eletto presso Fausto Bucellato in Roma, viale Angelico 45;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'ottemperanza
della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. IV n. 06352/2009, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONCESSIONE EQUO INDENNIZZO
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parte ricorrente l’avv. Carrozzo e l'avv. dello Stato Melillo per il Ministero;.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La sig.ra OMISSIS, quale vedova ed erede del maresciallo di prima classe dell’Aeronautica Militare OMISSIS, già in servizio presso il Gruppo Radar dell’A.M. di Omissis, impugnava innanzi al TAR per la Puglia Sezione di Lecce il decreto del Ministero della difesa del 30/10/2006 di reiezione della domanda prodotta a suo tempo dal defunto sottufficiale, di concessione di equo indennizzo, nonchè i presupposti pareri del Comitato di Verifica delle causa di servizio ( CVCS ) n……. del 30/9/2005 e n…. del 10/5/2006.
L’adito Tar con sentenza n.131/2009 accoglieva il proposto gravame, sul rilievo, in sostanza che l’Amministrazione in relazione alla patologie denunciate dal militare non aveva tenuto conto delle condizioni ambientali e di lavoro in cui il dipendente era stato costretto a lavorare.
L’Amministrazione della Difesa impugnava tale sentenza ritenendola erronea .
Questa Sezione con sentenza n.6352 del 16 /10/2009 ha confermato il dispositivo dell’appellata sentenza anche se con diversa motivazione .
Questo Giudice d’appello , in particolare, ha ritenuto fondate le censure di omessa valutazione di documentazione rilevante e di difetto di motivazione dedotte col ricorso di primo grado , ritenendo tali vizi di legittimità sussistenti con riferimento sia alla determinazione negativamente assunta sia ai pareri resi dal Comitato di Verifica delle cause di servizio. Lo stesso Giudice ha lasciato libera ed impregiudicata la potestà valutativa di merito dell’Amministrazione cui ha fatto implicito rinvio per le ulteriori, definitive determinazioni.
Successivamente, il Ministero intimato ha richiesto ( con nota dell’11/11/2009) al Comitato di verifica un nuovo parere e il predetto CVCS con delibera dell’11/12/2009 ha confermato i precedenti pareri negativi.
Quindi con decreto del dirigente della Direzione Generale della Previdenza Militare del 29/4/2009 è stato emesso da parte del Ministero della Difesa , in espressa applicazione della decisione di questa Sezione n.6352/2009 un “ nuovo provvedimento negativo sulla base delle nuove motivazioni espresse dal Comitato di verifica “.
La parte interessata, ritenendo che l’Amministrazione si sia sottratta all’obbligo di conformarsi alle statuizioni rese con la decisione n.6352/09 ha proposto ricorso per la corretta esecuzione del giudicato derivante da detta decisione.
In particolare, a sostegno del rimedio giurisdizionale azionato, la sig.ra OMISSIS ha dedotto i vizi di violazione del giusto procedimento e del giudicato nonché di violazione ed elusione del giudicato.
Si è costituita in giudizio per resistere al gravame l’Amministrazione statale intimata.
Tanto premesso, in via prioritariamente logica, il Collegio ritiene che a fronte dei “nuovi atti “ assunti dall’Amministrazione , la controversia rimane comunque nell’alveo del giudizio di ottemperanza di cui all’art.37 della legge n.1034/1971 ( ora art.114 c.p.a. ) .
Invero, il procedimento proseguito con il parere del Comitato di Verifica dell’11/12/2009 e culminato con la determinazione ministeriale del 25/4/2010 è stato attivato in espressa esecuzione della decisione n.6352/09, come inequivocabilmente riportato nella parte narrativa di detta determinazione e come altrettanto ancor più inequivocabilmente precisato nella nota ( “in ottemperanza della decisione di cui all’oggetto “) dell’11/11/2009 con cui è stato chiesto al Comitato di Verifica di formulare un parere tenendo conto di quanto statuito dal Consiglio di Stato con la citata decisione.
Se così è, nella specie, vengono in rilievo questioni che vanno valutate non come vizi di un nuovo, autonomo procedimento, ma in termini di esecuzione del giudicato.
Ciò precisato, occorre verificare, quanto al merito del problema qui sollevato, se gli atti adottati siano o meno elusivi del giudicato di cui si chiede la corretta esecuzione.
A tale quesito deve darsi risposta affermativa.
Invero, come si evince dalla lettura della decisione di cui si chiede l’ottemperanza , in quella sede questa Sezione, nel rilevare i vizi di legittimità dell’omessa valutazione di documentazione rilevante e di difetto di motivazione, ha precisato che i pareri resi dal Comitato di Verifiche posti alla base del provvedimento di diniego poi annullato in sede giurisdizionale, quanto alla motivazione in essi contenuta , “impediscono di verificare se effettivamente sia stata tenuta in conto tutta la documentazione di ufficio e , in particolare, la relazione del 23 febbraio 2002 del Comandante del ……. Gruppo Radar dell’Aeronautica Militare di OMISSIS nella quale risulta contenuto un parere medico legale…, che , sia per la sua provenienza ( Amministrazione ) sia per il suo contenuto, certamente meritava di essere specificatamente preso in esame dal CVCS ed espressamente valutato attraverso un motivazione puntuale…”.
Con la predetta statuizione il Giudice ha puntualizzato la consistenza dell’obbligo motivazionale posto a carico dell’Amministrazione, e cioè quello di rendere espressamente conto dei documenti testè citati e della loro relativa valutazione.
Ebbene, non risulta che sia stato adempiuto ad un siffatto onere posto dal giudicante , se è vero che nel parere reso dal Comitato di Verifica dell’11/12/2010, fatto poi pedissequamente proprio dall’Amministrazione con il provvedimento del 25/4/2010, non v’è indicazione della documentazione rilevante sottolineata in sentenza ( sopra riportata ) , né traccia dell’avvenuta valutazione della medesima.
L’Amministrazione, perciò, non ha prestato adempimento alla statuizione giurisdizionale di questa Sezione , risultando inottemperante al giudicato, mentre ha adottato atti che sono elusivi delle statuizioni testè riportate e perciò stesso illegittimi.
Va conseguentemente dichiarato l’obbligo del Ministero e del Comitato di Verifica di adottare gli atti , di rispettiva competenza, di definizione della richiesta di equo indennizzo per cui è causa in piena conformità a quanto specificatamente statuito con la sentenza di questa Sezione n.6352/09 e secondo criteri di leale diligenza ed imparzialità.
Nell’eventualità che l’Amministrazione intimata non ottemperi a tale obbligo entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di notificazione e/o comunicazione in via amministrativa della presente decisione, il Collegio nomina sin da ora quale Commissario ad acta il Segretario Generale della Difesa affinchè provveda, anche a mezzo di dirigente espressamente delegato, alla puntuale esecuzione del giudicato, in via sostitutiva .
Le spese del presente giudizio vanno poste a carico della parte soccombente e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), pronunziando sul ricorso per ottemperanza in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto, dichiara l’obbligo del Ministero della Difesa - Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al lavoro dei volontari congedati - di provvedere alla esatta e leale esecuzione del giudicato, come esposto in motivazione, nel termine perentorio, di giorni 60 ( sessanta ) dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa della presente decisione.
Decorso inutilmente tale termine, provvederà, su semplice istanza di parte, il Commissario ad acta nominato nella persona del Segretario Generale della Difesa, il quale provvederà, anche a mezzo di dirigente da lui delegato, ai menzionati incombenti, in via sostitutiva, nell’ulteriore termine perentorio di trenta giorni.
Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio che si liquidano complessivamente in euro 3.000( tremila ) oltre spese generali, IVA e CPA: oltre alle spese eventualmente spettanti al Commissario ad acta.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Armando Pozzi, Presidente FF
Vito Poli, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Vito Carella, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/01/2011
Re: EQUO INDENNIZZO
Interessante chiarimento.
----------------------------------------
Motivo:
Richiesta di parere sull’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
1) - il Ministero, in relazione a dubbi interpretativi sollevati dagli interessati in sede di predisposizione di un provvedimento concessivo di equo indennizzo in favore degli eredi di un dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha formulato il quesito in merito:
- alla base di calcolo dell'equo indennizzo;
- all'applicazione della riduzione del 50% dell'equo indennizzo per cumulo con la pensione privilegiata.
N.B.: - per comprendere bene, leggete il tutto qui sotto.
----------------------------------------------------------------------
PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201701596 - Public 2017-07-05 -
-Numero 01596/2017 e data 04/07/2017 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 14 giugno 2017
NUMERO AFFARE 00785/2017
OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.
Richiesta di parere sull’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
LA SEZIONE
Vista la relazione con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento pubblica sicurezza ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Luttazi.
Premesso:
1.- Il Ministero dell’interno, con nota pervenuta il 2 maggio 2017, ha chiesto a questo Consiglio di Stato un parere in merito all’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
Segnatamente il Ministero, in relazione a dubbi interpretativi sollevati dagli interessati in sede di predisposizione di un provvedimento concessivo di equo indennizzo in favore degli eredi di un dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha formulato il quesito in merito:
- alla base di calcolo dell'equo indennizzo;
- all'applicazione della riduzione del 50% dell'equo indennizzo per cumulo con la pensione privilegiata.
2. – Il Ministero prospetta in fatto che il citato dirigente generale della Polizia di Stato:
- in data 22 marzo 2012, allorché era ancora in attività, aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità;
- immediatamente dopo – il l° aprile 2012 - cessava dal servizio per limiti di età;
- nel luglio dello stesso anno 2012 il medesimo presentava istanza di riconoscimento della pensione privilegiata e, per la medesima infermità, dell'equo indennizzo;
- in data 11 agosto 2012 decedeva;
- la Commissione medico ospedaliera di La Spezia, nel procedimento su istanza di parte, in data 8 aprile 2014 dichiarava l'infermità ascrivibile alla l^ categoria; e in data 20 aprile 2015 il Comitato di verifica per le cause di servizio esprimeva parere favorevole al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità; ed era pertanto emesso il relativo decreto;
- nel correlato procedimento di concessione dell'equo indennizzo era comunicata agli eredi la quantificazione dell'importo loro spettante; e richiesta la documentazione necessaria per la liquidazione.
L’equo indennizzo, come da prassi interpretativa, era così quantificato dal Ministero:
- prendendo a base per il calcolo lo stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda con esclusione del valore delle classi e eventuali scatti di anzianità maturati;
- con riduzione della metà, come disposto dall'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, avendo il dipendente conseguito per la stessa infermità anche la pensione privilegiata.
Gli eredi però contestavano la quantificazione, richiedendo (oltre al computo di interessi e rivalutazione monetaria dalla data del decesso, tematica però non oggetto di richiesta di parere):
- come base di calcolo lo stipendio tabellare in godimento comprensivo di classi e scatti di anzianità, essendo l’istanza successiva al 1° gennaio 2006 (data di entrata in vigore del citato articolo 1, comma 210, della legge n. 266/2005, modificativo dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
- un importo pieno e non ridotto al 50% (non essendovi stato, vivo il dipendente, cumulo tra pensione privilegiata ed equo indennizzo).
3. – Il Ministero sottopone il duplice quesito segnalando la delicatezza e l’incidenza economica della tematica generale ad esso relative.
Considerato:
1.- Relativamente alla base per il calcolo dell’equo indennizzo per i dirigenti della Polizia di Stato il dubbio interpretativo del Ministero è fra le seguenti due disposizioni:
1) il previgente articolo 1, comma 119, terzo e quarto periodo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (“Per la determinazione dell'equo indennizzo si considera, in ogni caso, lo stipendio tabellare iniziale. Sono esclusi eventuali emolumenti aggiuntivi, ivi compresi quelli spettanti per riconoscimento di anzianità”);
2) il successivo articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266 (“Nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la determinazione dell'equo indennizzo spettante per la perdita dell'integrità fisica riconosciuta dipendente da causa di servizio si considera l'importo dello stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda, con esclusione di tutte le altre voci retributive anche aventi carattere fisso e continuativo”), più favorevole del precedente perché pone a base del computo non più “lo stipendio tabellare iniziale” ma “lo stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda”.
La nuova previsione, testé indicata sub 2), riguarda “i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, e quindi anche i dirigenti della Polizia di Stato [articolo 1, comma 2, testé citato: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado … ”].
Il personale dirigente della Polizia di Stato però, diversamente dalla maggioranza dei restanti dipendenti delle amministrazioni pubbliche, la cui struttura retributiva è, rispetto alla citata normativa sub 1), notevolmente mutata, ha mantenuto un trattamento economico particolare.
Esso risulta dall’articolo 24 (“Revisione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato”), comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, il quale prevede: ”A decorrere dal 1° gennaio 1998 gli stipendi, l'indennità integrativa speciale e gli assegni fissi e continuativi dei docenti e dei ricercatori universitari, del personale dirigente della Polizia di Stato e gradi di qualifiche corrispondenti, dei Corpi di polizia civili e militari, dei colonnelli e generali delle Forze armate, del personale dirigente della carriera prefettizia, nonché del personale della carriera diplomatica, sono adeguati di diritto annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'ISTAT, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l'indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo Istituto per l'elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali”.
Questo meccanismo di automatico adeguamento retributivo fa sì che per il personale in argomento, in sede di quantificazione dell’equo indennizzo, lo “stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda”, viene in sostanza a coincidere con lo stipendio tabellare iniziale, non potendo considerarsi “stipendio tabellare” quello dovuto ai meccanismi di adeguamento retributivo di cui al citato articolo 24, comma 1, della legge n. 448/1998.
Va dunque condivisa la linea interpretativa sinora adottata dal richiedente Ministero.
2. – Circa la corresponsione agli eredi della metà dell’equo indennizzo, come disposto dall'articolo 50, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686 (“L'equo indennizzo, determinato a norma del precedente articolo, è ridotto della metà se l'impiegato consegua anche la pensione privilegiata”) si ritiene invece - conformemente alle prevalenti pronunce di questo Consiglio di Stato - che la linea interpretativa del Ministero non possa condividersi.
Ciò per la decisiva considerazione che - in assenza di specifiche disposizioni sugli eredi del dipendente al quale siano stati attribuiti equo indennizzo e pensione privilegiata - la fattispecie in cui il dipendente cumula – in vita - equo indennizzo e pensione privilegiata, e dunque vengono a cumularsi in capo allo stesso soggetto benefici aventi medesima ratio (quella di ristorare l’interessato per una infermità dipendente da causa di servizio), differisce dalla fattispecie in cui – non più in vita l’interessato – i suoi eredi hanno titolo per successione all’equo indennizzo e iure proprio alla pensione privilegiata (di reversibilità): v., oltre alle pronunce citate nel quesito (Cons. Stato, Sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6946; Sez. VI., 11 marzo 2010, n. 1434): Cons. Stato, Adunanza plenaria, 1° marzo 1984, n. 4; Sez. VI, 20 ottobre 2009, n. 7936; cfr. anche Sez. V, 29 gennaio 1999, n. 86; v. anche, sul tema, Corte costituzionale, sentenza 30 ottobre 1997 - 5 novembre 1997, n. 321.
P.Q.M.
Nei sensi suesposti è il parere.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giancarlo Luttazi Mario Luigi Torsello
IL SEGRETARIO
Luisa Calderone
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Motivo:
Richiesta di parere sull’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
1) - il Ministero, in relazione a dubbi interpretativi sollevati dagli interessati in sede di predisposizione di un provvedimento concessivo di equo indennizzo in favore degli eredi di un dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha formulato il quesito in merito:
- alla base di calcolo dell'equo indennizzo;
- all'applicazione della riduzione del 50% dell'equo indennizzo per cumulo con la pensione privilegiata.
N.B.: - per comprendere bene, leggete il tutto qui sotto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201701596 - Public 2017-07-05 -
-Numero 01596/2017 e data 04/07/2017 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 14 giugno 2017
NUMERO AFFARE 00785/2017
OGGETTO:
Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza.
Richiesta di parere sull’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
LA SEZIONE
Vista la relazione con la quale il Ministero dell'interno - Dipartimento pubblica sicurezza ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Luttazi.
Premesso:
1.- Il Ministero dell’interno, con nota pervenuta il 2 maggio 2017, ha chiesto a questo Consiglio di Stato un parere in merito all’interpretazione dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, così come modificato dall'articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266, nonché dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, recante il regolamento di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.
Segnatamente il Ministero, in relazione a dubbi interpretativi sollevati dagli interessati in sede di predisposizione di un provvedimento concessivo di equo indennizzo in favore degli eredi di un dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha formulato il quesito in merito:
- alla base di calcolo dell'equo indennizzo;
- all'applicazione della riduzione del 50% dell'equo indennizzo per cumulo con la pensione privilegiata.
2. – Il Ministero prospetta in fatto che il citato dirigente generale della Polizia di Stato:
- in data 22 marzo 2012, allorché era ancora in attività, aveva chiesto il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità;
- immediatamente dopo – il l° aprile 2012 - cessava dal servizio per limiti di età;
- nel luglio dello stesso anno 2012 il medesimo presentava istanza di riconoscimento della pensione privilegiata e, per la medesima infermità, dell'equo indennizzo;
- in data 11 agosto 2012 decedeva;
- la Commissione medico ospedaliera di La Spezia, nel procedimento su istanza di parte, in data 8 aprile 2014 dichiarava l'infermità ascrivibile alla l^ categoria; e in data 20 aprile 2015 il Comitato di verifica per le cause di servizio esprimeva parere favorevole al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità; ed era pertanto emesso il relativo decreto;
- nel correlato procedimento di concessione dell'equo indennizzo era comunicata agli eredi la quantificazione dell'importo loro spettante; e richiesta la documentazione necessaria per la liquidazione.
L’equo indennizzo, come da prassi interpretativa, era così quantificato dal Ministero:
- prendendo a base per il calcolo lo stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda con esclusione del valore delle classi e eventuali scatti di anzianità maturati;
- con riduzione della metà, come disposto dall'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686, avendo il dipendente conseguito per la stessa infermità anche la pensione privilegiata.
Gli eredi però contestavano la quantificazione, richiedendo (oltre al computo di interessi e rivalutazione monetaria dalla data del decesso, tematica però non oggetto di richiesta di parere):
- come base di calcolo lo stipendio tabellare in godimento comprensivo di classi e scatti di anzianità, essendo l’istanza successiva al 1° gennaio 2006 (data di entrata in vigore del citato articolo 1, comma 210, della legge n. 266/2005, modificativo dell'articolo l, comma 119, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
- un importo pieno e non ridotto al 50% (non essendovi stato, vivo il dipendente, cumulo tra pensione privilegiata ed equo indennizzo).
3. – Il Ministero sottopone il duplice quesito segnalando la delicatezza e l’incidenza economica della tematica generale ad esso relative.
Considerato:
1.- Relativamente alla base per il calcolo dell’equo indennizzo per i dirigenti della Polizia di Stato il dubbio interpretativo del Ministero è fra le seguenti due disposizioni:
1) il previgente articolo 1, comma 119, terzo e quarto periodo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (“Per la determinazione dell'equo indennizzo si considera, in ogni caso, lo stipendio tabellare iniziale. Sono esclusi eventuali emolumenti aggiuntivi, ivi compresi quelli spettanti per riconoscimento di anzianità”);
2) il successivo articolo l, comma 210, della legge 23 dicembre 2015, n. 266 (“Nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per la determinazione dell'equo indennizzo spettante per la perdita dell'integrità fisica riconosciuta dipendente da causa di servizio si considera l'importo dello stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda, con esclusione di tutte le altre voci retributive anche aventi carattere fisso e continuativo”), più favorevole del precedente perché pone a base del computo non più “lo stipendio tabellare iniziale” ma “lo stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda”.
La nuova previsione, testé indicata sub 2), riguarda “i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, e quindi anche i dirigenti della Polizia di Stato [articolo 1, comma 2, testé citato: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado … ”].
Il personale dirigente della Polizia di Stato però, diversamente dalla maggioranza dei restanti dipendenti delle amministrazioni pubbliche, la cui struttura retributiva è, rispetto alla citata normativa sub 1), notevolmente mutata, ha mantenuto un trattamento economico particolare.
Esso risulta dall’articolo 24 (“Revisione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato”), comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, il quale prevede: ”A decorrere dal 1° gennaio 1998 gli stipendi, l'indennità integrativa speciale e gli assegni fissi e continuativi dei docenti e dei ricercatori universitari, del personale dirigente della Polizia di Stato e gradi di qualifiche corrispondenti, dei Corpi di polizia civili e militari, dei colonnelli e generali delle Forze armate, del personale dirigente della carriera prefettizia, nonché del personale della carriera diplomatica, sono adeguati di diritto annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall'ISTAT, conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l'indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo Istituto per l'elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali”.
Questo meccanismo di automatico adeguamento retributivo fa sì che per il personale in argomento, in sede di quantificazione dell’equo indennizzo, lo “stipendio tabellare in godimento alla data di presentazione della domanda”, viene in sostanza a coincidere con lo stipendio tabellare iniziale, non potendo considerarsi “stipendio tabellare” quello dovuto ai meccanismi di adeguamento retributivo di cui al citato articolo 24, comma 1, della legge n. 448/1998.
Va dunque condivisa la linea interpretativa sinora adottata dal richiedente Ministero.
2. – Circa la corresponsione agli eredi della metà dell’equo indennizzo, come disposto dall'articolo 50, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686 (“L'equo indennizzo, determinato a norma del precedente articolo, è ridotto della metà se l'impiegato consegua anche la pensione privilegiata”) si ritiene invece - conformemente alle prevalenti pronunce di questo Consiglio di Stato - che la linea interpretativa del Ministero non possa condividersi.
Ciò per la decisiva considerazione che - in assenza di specifiche disposizioni sugli eredi del dipendente al quale siano stati attribuiti equo indennizzo e pensione privilegiata - la fattispecie in cui il dipendente cumula – in vita - equo indennizzo e pensione privilegiata, e dunque vengono a cumularsi in capo allo stesso soggetto benefici aventi medesima ratio (quella di ristorare l’interessato per una infermità dipendente da causa di servizio), differisce dalla fattispecie in cui – non più in vita l’interessato – i suoi eredi hanno titolo per successione all’equo indennizzo e iure proprio alla pensione privilegiata (di reversibilità): v., oltre alle pronunce citate nel quesito (Cons. Stato, Sez. IV, 22 ottobre 2004, n. 6946; Sez. VI., 11 marzo 2010, n. 1434): Cons. Stato, Adunanza plenaria, 1° marzo 1984, n. 4; Sez. VI, 20 ottobre 2009, n. 7936; cfr. anche Sez. V, 29 gennaio 1999, n. 86; v. anche, sul tema, Corte costituzionale, sentenza 30 ottobre 1997 - 5 novembre 1997, n. 321.
P.Q.M.
Nei sensi suesposti è il parere.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giancarlo Luttazi Mario Luigi Torsello
IL SEGRETARIO
Luisa Calderone
Re: EQUO INDENNIZZO
Messaggio da spartagus57 »
Buongiorno volevo porre un quesito e se qualcuno mi sa rispondere grazie, un mio amico e collega, ebbe un incidente stradale con autovettura di servizio inseguendo dei malfattori questi ultimi li buttarono fuori strada, il collega riporto molti trauma e fu riformato con passaggio nei ruoli civili gli viene riconosciuta la causa di servizio e nel fratempo passa ai ruoli civili, prende l'equoindenizzo, dopo un po di tempo presenta una interdipendenza per la stessa causa di servizio il comitato di verifica gli congede questa ennesima onterdipendenza lui chiede l'equoindenizzo pero il ministero della difesa persociv non gli vuole pagare l'equo indenizzo perche dice che secondo la legge Monti i civili del Ministero della difesa non hanno piu diritto dell'equo indenizzo, be io dico una cosa che c'entra il danno che si e procurato quando ero militare e il lavoro civile se nella vita lavorativa civile non ha mai avuto nessuna causa di servizio, vi è qualcuno che puo chiarire grazie.
Re: EQUO INDENNIZZO
Il risarcimento del danno non è cumulabile con l'Equo Indennizzo.
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Il CdS in Adunanza Plenaria precisa:
1) - L’Amministrazione statale è, infatti, l’unico soggetto che deve corrispondere sia l’indennità prevista dalle leggi sopra indicate sia la somma risarcitoria in qualità di datore di lavoro pubblico. Ed è questa la principale diversità rispetto alla questione posta all’esame delle Sezioni unite.
2) - L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non possono essere cumulate.
3) - Tale esito interpretativo si fonda su talune ragioni (6.3.1.), è confermato dall’esistenza di alcune fattispecie (6.3.2.) e non è contraddetto (6.3.3.) dalle argomentazioni difensive della parte appellata.
4) - In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.
5) - Questo esito interpretativo trova conferma sia in fattispecie legalmente previste sia in talune fattispecie cosi come interpretate dalla Corte di Cassazione.
N.B.: leggete il tutto qui sotto o copiatevi il tutto se v'interessa.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE P ,numero provv.: 201800001
Numero ricorso:201606730
Pubblicato il 23/02/2018
N. 00001/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00008/2017 REG. RIC. A. P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2017, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sabrina Mannarino e Vincenzo Davide Greco, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Gaetano Rampini, 16;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione I, 20 aprile 2016, n. 849.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Giannuzzi e l’avvocato Mannarino.
FATTO
1.– Il dr. OMISSIS- ha esposto, in un ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, di avere svolto, sin dal mese di ottobre del 1989, funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura della Repubblica di Paola ed, in tale qualità, «per oltre un decennio, a causa dei numerosi impegni di lavoro, resi ulteriormente gravosi dal rilevante carico di procedimenti penali assegnatogli, nonché dallo svolgimento delle funzioni di Procuratore della Repubblica nel lungo periodo di vacanza del posto, (…) è stato costretto a trattenersi quotidianamente presso gli uffici della Procura, spesso fino a tarda ora».
In particolare, da una relazione svolta dalla unità sanitaria locale, a seguito del sopralluogo effettuato presso l’edificio che ospita la Procura in data 30 ottobre 1995, sarebbe emerso «che i muri esterni erano costituiti da lastre piane in cemento-amianto, sostenute da profilati in alluminio» e che «le perforazioni presenti nelle lastre in cemento avevano determinato, con l’emissione di polvere, il rilascio di fibre di amianto».
Nonostante le autorità sanitarie avessero conseguentemente manifestato «la necessità che le lastre in cemento amianto venissero rimosse, sostituite, ovvero bonificate nel modo più idoneo, in quanto rappresentavano una grave fonte di inquinamento ambientale», i relativi lavori non sarebbero stati eseguiti se non tardivamente ed in maniera incompleta.
In data 4 dicembre 2001 il dr. -OMISSIS- ha presentato istanza di riconoscimento di dipendenza di infermità da causa di servizio, allegando le risultanze di un esame radiologico effettuato in data 19 luglio 2001, dal quale era emersa la «presenza di immagine di pus da riferire ad ulcera in fase florida» ed aggiungendo di essere stato sottoposto, in data 31 agosto 2001, ad un intervento chirurgico per l’asportazione di una formazione neoplastica, poi risultata essere un «carcinoma renale a cellule chiare ben differenziato (GI) con focali aspetti papillari con micro focolaio di infiltrazioni della capsula reale».
Il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 2 marzo 2005, ha dichiarato la dipendenza da causa di servizio delle infermità «malattia peptica ulcerosa duodenale» ed «esiti di nefrectomia parziale sinistra con resezione parziale della X^ costa per carcinoma sx a cellule chiare, ben differenziato (G1)» e ha riconosciuto al dr. -OMISSIS- «la misura massima prevista dalle vigenti disposizioni di legge ai fini della concessione dell’equo indennizzo», ascritto alla quarta categoria della tabella A e liquidato in misura pari ad € 49.567,07, somma poi materialmente corrisposta al ricorrente in virtù dei decreti di autorizzazione al pagamento emessi dal resistente Ministero in data 21 aprile 2005 e 16 maggio 2005.
1.1.– Per le ragioni sin qui riportate dr. -OMISSIS- ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute subito a seguito dell’esposizione all’amianto e quantificato nella somma di euro 150.000,00.
Da tale somma, nella prospettiva del ricorrente, non avrebbe dovuto essere detratto l’importo già percepito a titolo di equo indennizzo, che costituirebbe uno «strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale», mentre il risarcimento sarebbe «finalizzato a ripristinare integralmente il danno subito, in tutte le sue qualificazioni».
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 20 aprile 2016, n. 849 ha accolto il ricorso, riconoscendo a favore del dr. -OMISSIS-, a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva di euro 85.180,00. In particolare, il primo giudice ha ritenuto che «come da costante orientamento della giurisprudenza, le prestazioni indennitarie riconosciute dalla legge in favore dei pubblici dipendenti affetti da patologie contratte per causa di servizio ovvero per le vittime del dovere concorrono con il diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale dell’amministrazione in ordine al medesimo pregiudizio all’integrità psicofisica patita dal dipendente». L’importo di quelle prestazioni «non può cioè venire detratto da quanto spettante per il diverso titolo risarcitorio, dovendosi escludere che ricorra un’ipotesi di compensatio lucri cum damno». Si è affermato, infatti, che l’illecito mentre «costituisce fatto genetico e costitutivo della pretesa al risarcimento, rappresenta una mera occasione rispetto alla spettanza dell’indennità che sorge per il solo fatto che la lesione sia avvenuta nell’espletamento di un servizio di istituto del soggetto, indipendentemente dalla responsabilità civile dell’amministrazione datrice di lavoro e in misura autonoma dall’effettiva entità del pregiudizio subito dall’interessato, ciò che rileva è l’assenza della finalità compensativo-sostitutiva propria del risarcimento».
3.– Il Ministero della giustizia ha proposto appello, fondato sull’unico motivo della ritenuta «violazione e falsa applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, desumibile dall’art. 1223 c.c.».
Secondo il Ministero «la necessità dello scomputo dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno di quanto corrisposto all’appellato proprio in ragione della riconosciuta dipendenza dal servizio della patologia contratta per effetto dell’esposizione all’amianto è imposta dall’esigenza di evitare l’ingiustificato arricchimento determinato dal porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della giustizia) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo».
3.1.– Si è costituito in giudizio il ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.– La Quarta Sezione, con ordinanza 6 giugno 2017, n. 2719, ha ritenuto che, in materia, sia riscontrabile un contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza della Corte di cassazione.
Un primo orientamento tradizionale, cui si è uniformato il Tribunale amministrativo, ritiene che in questi casi possa operare il cumulo tra indennizzo e risarcimento, venendo in rilievo fonti diverse delle obbligazioni dovute e la condotta illecita è mera “occasione” e non “causa” dell’attribuzione dell’indennità.
Un secondo orientamento minoritario sostiene, invece, che in questi casi debba operare la compensatio lucri cum damno, in quanto ciò che rileva è che la condotta sia unica e, nella specie, il fatto illecito deve considerarsi “causa” dell’attribuzione dell’indennità.
La Sezione – «in considerazione del pregio delle argomentazioni poste a sostegno del più recente indirizzo, dell’esposto contrasto giurisprudenziale fra Sezioni della Corte di cassazione e della possibilità che tale contrasto possa svilupparsi anche in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato» – ha ritenuto «opportuno deferire il presente ricorso all’esame dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 4, c.p.a., per la decisione del seguente punto di diritto (e conseguentemente per la eventuale definizione dell’intera controversia): “se sia possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie previdenziali”».
5.– Le parti hanno depositato memorie difensive nel presente giudizio.
In particolare, la parte appellata ha messo in rilievo come, in questo caso, non possa opera la regola della compensatio in quanto: i) sussiste una diversità di titoli delle obbligazioni, che hanno natura e presupposti diversi, che giustificherebbe il cumulo tra le somme pretese; ii) la disciplina degli indennizzi da corrispondere in presenza di infermità derivanti da cause di servizio ha puntualmente indicato i fattori che devono ridurre l’indennità da corrispondere e tra questi non è menzionata la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno (art. 50 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686); iii) nella specie viene in rilievo il risarcimento del danno non patrimoniale, in relazione al quale, da un lato, non sarebbe neanche astrattamente ipotizzabile «un rischio di arricchimento del danneggiato», non potendo il danno alla persona «essere riparato in base a criteri convenzionali» e pertanto il danneggiato non potrebbe «neanche ritrovarsi in una situazione più favorevole rispetto a quella generata dall’illecito»; dall’altro, «viene in rilievo un danno biologico (…) che assume una rilevanza particolare all’interno del danno non patrimoniale risarcibile»; dall’altro ancora, l’art. 1223 cod. civ. «fa riferimento alla “perdita” e al “mancato guadagno” subiti dal creditore», che identificherebbero concetti che «attengono al patrimonio del danneggiato (…) ma sono invece estranei al risarcimento del danno non patrimoniale, riguardo al quale non è concepibile una tale distinzione»; iv) nella fattispecie in esame, la responsabilità dovrebbe avere una funziona sanzionatoria per la presenza di una condotta dell’amministrazione che avrebbe posto in evidenza «gravi mancanze nella tutela dell’integrità del dipendente», con la conseguenza che la «relativa condanna ha un effetto di stimolo per il corretto adempimento dei doveri facenti capo all’amministrazione».
Infine, si è chiesto, anche qualora venisse vietato il cumulo, di affermare il principio di diritto ai soli giudizi proposti dopo la decisione della Plenaria «in conformità al principio di irretroattività dei mutamenti giurisprudenziali incidenti sul diritto vivente».
6.– La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 13 dicembre 2017.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato attiene alla valenza del principio della cd. compensatio lucri cum damno (di seguito anche solo compensatio) nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente.
In particolare, si tratta di accertare se la somma spettante a titolo risarcitorio per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l’indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato dal risarcimento del danno.
2.– La soluzione di tale questione non può essere unitaria ma è strettamente correlata alla specificità delle fattispecie concrete.
Prima di esaminarle è opportuno trattare alcune questioni di carattere generale che definiscono il contesto sistematico comune in cui esse si inseriscono.
La prima questione attiene ai titoli delle obbligazioni (1173 cod. civ.) dai quali sorgono rapporti giuridici, che definiscono anche le cause giustificative degli spostamenti patrimoniali. Tali rapporti, anche in ragione, tra l’altro, dei soggetti coinvolti, possono avere natura semplice o complessa. In particolare, vi possono essere rapporti obbligatori con un solo soggetto responsabile e obbligato, eventualmente in forma complessa, ovvero più rapporti obbligatori collegati che possono, in ragioni di variabili dipendenti dal caso concreto, giustificare l’attribuzione di una o di più prestazioni patrimoniali.
La seconda questione attiene alla struttura della responsabilità civile e contrattuale e, in particolare, per quanto rileva in questa sede, alla cd. causalità giuridica nonché alla funzione della responsabilità stessa.
In relazione alla causalità giuridica, l’art. 1223 cod. civ., richiamato anche dall’art. 2056 cod. civ., dispone che «il risarcimento del danno per l’inadempimento per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».
L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione ritiene che le suddette disposizioni non pongano una vera e propria regola causale bensì prevedano criteri di determinazione del danno risarcibile in applicazione della teoria della causalità adeguata, che impone di considerare danni conseguenza risarcibili solo quelli riconducibili al fatto illecito secondo principi di regolarità causale che fanno applicazione del criterio dell’id quod plerunque accidit. In questa ottica, la giurisprudenza ritiene risarcibile anche il danno mediato o indiretto, purché sia prodotto da una sequela normale di eventi che traggono origine dal fatto originario (Cass. civ., sez. III, n. 29 febbraio 2016, 3893; id., sez. II, 24 aprile 2012, n. 6474; id., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274; id., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche la causalità giuridica deve essere considerata una causalità in senso tecnico, da accertare secondo la regola probatoria del “più probabile che non”).
In relazione alla funzione del risarcimento del danno, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, hanno affermato, con riferimento alla responsabilità civile, che essa può perseguire plurime finalità che si pongono su piani differenti (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601).
La finalità generale e prioritaria è compensativa: lo scopo è di reintegrare la sfera giuridica del danneggiato ponendolo, in attuazione del cd. principio di indifferenza, nella situazione in cui si sarebbe trovato senza il fatto illecito.
La finalità generale e secondaria è «preventiva (o deterrente o dissuasiva)»: lo scopo è anche quello di evitare la reiterazione del fatto illecito.
La finalità specifica ulteriore è «sanzionatoria-punitiva»: lo scopo è di “punire” il danneggiante mediante la condanna, nei soli casi in cui la legge lo consenta in coerenza con i limiti che la Costituzione pone nella conformazione delle regole di responsabilità (cfr. art. 25), a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per eliminare i pregiudizi conseguenti al fatto illecito.
Gli aspetti esaminati propri della responsabilità civile valgono, con i necessari adattamenti, anche con riferimento alla responsabilità contrattuale.
La finalità generale e prioritaria è, infatti, anche in questo caso, compensativa.
La finalità specifica ulteriore sanzionatoria-punitiva è configurabile soltanto nei casi in cui vi sia una espressa previsione di legge: si pensi, a titolo esemplificativo, alla conversione del contratto di mutuo da oneroso a gratuito nel caso in cui le parti abbiamo previsto l’obbligo di corrispondere interessi usurari (art. 1815 cod. civ.). Il principio di parità delle parti del contratto, quale proiezione del principio costituzionale di eguaglianza, esclude anche che esse possano prevedere, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, rimedi risarcitori di natura punitiva. La stessa norma che contempla la clausola penale (art. 1382 cod. civ.) deve essere interpretata nel senso di attribuire ai contraenti un potere che ha una finalità esclusivamente risarcitoria come dimostra la previsione, attuativa del principio di buona fede oggettiva, del potere di riduzione d’ufficio da parte del giudice nel caso in cui l’ammontare della penale sia manifestamente eccessivo (art. 1384 cod. civ.).
3.– Le diverse fattispecie concrete, inserite nel descritto contesto generale, presentando, accanto a specifiche peculiarietà, taluni elementi comuni, possono essere collocate, per fini ordinatori, in tre diverse categorie, che si differenziano sul piano dei titoli delle obbligazioni e dei soggetti responsabili e obbligati, con implicazioni diverse in punto di causa giustificativa delle attribuzioni, nonché di causalità giuridica e funzione della responsabilità.
4.– La prima categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e obbligato ad effettuare una prestazione derivante da un unico titolo.
Si tratta di casi in cui la stessa condotta, ricorrendo i presupposti previsti per le diverse forme di responsabilità, può cagionare un danno e contestualmente un vantaggio nella sfera giuridica del danneggiato.
Tali fattispecie contemplano “rapporti obbligatori bilaterali” in cui compaiono, eventualmente in forma complessa, una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata.
La giurisprudenza e la dottrina non hanno mai dubitato della necessità di valutare l’entità dei vantaggi conseguiti dal danneggiato ai fini della determinazione effettiva del danno.
Sul piano strutturale, tale risultato si raggiunge accertando che la causa giustificativa del vantaggio sia rappresentata dalla commissione dell’illecito, con conseguente applicazione della regola della causalità giuridica che, come esposto, costituisce, secondo la prevalente ricostruzione, una modalità di determinazione del danno subito. Ne consegue che nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell’illecito occorre considerare anche il lucro eventualmente acquisito al patrimonio della parte lesa che, in quanto tale, riduce l’area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile.
Sul piano funzionale, l’istituto in esame impedisce che il danneggiante sia costretto a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare il patrimonio leso.
In questa prospettiva, la compensatio lucri cum damno non ha una sua autonomia dommatica ma rappresenta una mera espressione descrittiva di una delle possibili modalità di impiego del meccanismo causale nella fase di determinazione dei pregiudizi.
5.– La seconda categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati sulla base di titoli differenti.
Si tratta di fattispecie in cui il sistema prevede, in forme diversificate, accanto all’obbligo di risarcire il danno derivante da titolo illecito (2043 o 1218 cod. civ.) anche l’obbligo di corrispondere una indennità o somma a vario titolo.
In primo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione privata contro i danni derivanti da fonte contrattuale che obbligano l’assicuratore, verso pagamento di un premio, a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro in attuazione del cd. principio indennitario (artt. 1882 cod. civ. e ss.).
In secondo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione sociale disciplinate da leggi speciali (art. 1886 cod. civ.), che sono, a loro volta, riconducibili ad istituti differenti, quali, da un lato, quelli che apprestano ai lavoratori, nell’ambito di particolari sistemi contributivi, una tutela contro gli infortuni e le malattie professionali ovvero una tutela previdenziale in caso di invalidità (e altri eventi), dall’altro, quelli che assicurano ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale, mediante, ad esempio, la corresponsione di un’indennità di accompagnamento (cfr. art. 38 Cost.).
Infine, possono venire in rilievo singole previsioni di legge che contemplano l’indennità da corrispondere per finalità solidaristiche a favore, ad esempio, di familiari di vittime cadute in servizio ovvero di vittime del terrorismo.
Le descritte fattispecie si caratterizzano per la presenza di “rapporti giuridici trilaterali” ovvero, più precisamente, di duplici rapporti bilaterali: i) la relazione tra parte responsabile obbligata a titolo di illecito e parte danneggiata; ii) la relazione tra quest’ultima e altra parte obbligata a titolo diverso a seconda della vicenda che viene in rilievo.
Tali situazioni rendono più complessa la ricostruzione dei modi di operatività della compensatio.
Non è questa la sede per proporre una possibile soluzione, in quanto si tratta di questioni che, con le ordinanze sopra indicate, sono state rimesse all’esame delle Sezioni unite della Cassazione. E’, pertanto, sufficiente riportare, in sintesi, come già fatto nell’ordinanza di rimessione alla Plenaria, i due orientamenti che si sono formati nell’ambito della giurisprudenza della Cassazione, ai soli fini di porre in rilievo la differenza rispetto alla vicenda in esame.
Un primo e maggioritario orientamento ritiene che, per le fattispecie rientranti in questa categoria, non sia applicabile la regola della compensatio ma quella del cumulo.
In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli delle obbligazioni e dei relativi rapporti giuridici sottostanti costituisca una idonea causa giustificativa delle differenti attribuzioni patrimoniali e, conseguentemente, la condotta illecita rappresenta non la “causa” dell’indennità a vario titolo corrisposta ma la mera “occasione” di essa. Non si può, pertanto, applicare la regola della causalità giuridica ai fini del computo delle indennità nella fase di determinazione effettiva del danno.
Sul piano funzionale, non vi sono rischi di sovracompensazioni economiche proprio perché la diversità delle ragioni giustificative delle attribuzioni patrimoniali impedisce di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno.
Un secondo orientamento, fatto proprio dalle ordinanze di rimessione alle Sezioni unite, ritiene, invece, che anche in questi casi debba applicarsi la regola della compensatio.
In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli non giustifichi l’esito cui perviene l’opposto indirizzo interpretativo in quanto ciò che rileva è che la condotta (e non il titolo) sia unica e che essa costituisca la “causa” sia del danno sia dell’attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso. In particolare, sul piano della causalità giuridica, si sottolinea, non è «corretto interpretare l’art. 1223 cod. civ. in modo asimmetrico e ritenere che “il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato” quando si tratta di accertare il danno, ed esigere al contrario che lo sia, quando si tratta di accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito» (Cass. civ., sez. III, n. 15534 del 2017, cit.).
Sul piano funzionale, ammettendo il cumulo e non la compensatio, si assegna una funzione sovracompensativa al risarcimento del danno. Anche le indennità sopra indicate sono, infatti, riconducibili eziologicamente al fatto illecito e dunque hanno una finalità compensativa del pregiudizio subito dalla parte lesa.
Questi aspetti sono resi ancora più complessi dal meccanismo della surrogazione prevista dall’art. 1916 cod. civ. e dalla legislazione speciale. In particolare, tale articolo dispone che «l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili».
Il danneggiante, infatti, si sottolinea nelle ordinanze di rimessione, potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato sia, a seguito della successione nel rapporto obbligatorio, al soggetto o ente che ha corrisposto l’indennità alla parte lesa. Si verrebbe così ad attribuire – sul presupposto che i benefici collaterali corrisposti non abbiano valenza autonoma giustificativa delle relative attribuzioni patrimoniali – una funzione punitiva al risarcimento del danno in mancanza di una espressa previsione di legge che lo consenta. L’unica possibilità per evitare questo risultato sarebbe quello di ritenere che non operi la surrogazione. Ma tale esito, sottolinea la Cassazione, sarebbe contraddittorio in presenza di norme imperative che la contemplano e che non potrebbero essere derogate con atto di autonomia delle parti. Sotto altro aspetto, nelle ordinanze di rimessione si pone in evidenza, con implicazioni sulla funzione deterrente della responsabilità, che «l'istituto della surrogazione e la stima del danno da fatto illecito non sono legati da alcun nesso di implicazione bilaterale»: infatti, «se le conseguenze del fatto illecito sono state eliminate dall'intervento d'un assicuratore (privato o sociale che sia), ovvero da un qualsiasi ente pubblico o privato, il pagamento da tale soggetto compiuto, se ha avuto per effetto o per scopo quello di eliminare le conseguenze dannose, andrà sempre detratto dal credito risarcitorio, a nulla rilevando nè che l'ente pagatore non abbia diritto alla surrogazione, nè che, avendolo, vi abbia rinunciato».
In definitiva, si tratta di accertare se i due rapporti giuridici che vengono in rilievo, mantenendo una loro autonomia e dunque una valenza “bilaterale”, abbiano ciascuno una propria causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali che consente il cumulo tra di esse ovvero se tali rapporti, anche in ragione della operatività del meccanismo della surrogazione (di cui occorre valutare l’eventuale derogabilità convenzionale), siano strettamente collegati con sussistenza di una sostanziale “unitaria” causa di giustificazione delle attribuzioni patrimoniali che impone l’operatività della compensatio tra di esse mediante l’applicazione del meccanismo della regolarità causale.
6.– La terza fattispecie è quella in cui è presente un’unica condotta responsabile, un solo soggetto obbligato e titoli differenti delle obbligazioni.
La vicenda concreta all’esame di questa Adunanza plenaria si inserisce in questo ambito.
Nella specie, la parte appellata: i) ha già ottenuto dal Ministero della Giustizia una somma a titolo di indennità per infermità dipendente da causa di servizio conseguente all’esposizione a fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro; ii) ha chiesto con il presente giudizio la condanna dello stesso Ministero al risarcimento anche del danno alla salute subito per la medesima ragione senza detrazione della somma già corrisposta a titolo di indennità.
La soluzione della questione all’esame della Plenaria presuppone la previa individuazione dei titoli delle obbligazioni che vengono in rilievo e della loro natura, nonché dei soggetti del rapporto obbligatorio.
6.1.– Il primo titolo dell’obbligazione risarcitoria è regolato dall’art. 2087 cod. civ., applicabile anche in ambito pubblicistico, il quale prevede che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
In relazione alla natura di tale obbligazione, è controversa la sua riconducibilità alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale.
Il prevalente orientamento seguito dalla Corte di Cassazione, che questo Collegio condivide, ritiene che la responsabilità del datore di lavoro abbia natura contrattuale e rinvenga la propria fonte nel contratto di lavoro che, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è integrato dalla norma di legge, sopra riportata, che prevede doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore.
Sul piano strutturale, tale qualificazione dell’illecito implica, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che: il lavoratore deve provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’inadempimento del datore di lavoro e i danni conseguenza; il datore di lavoro deve provare l’assenza di colpa e pertanto di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865).
L’accertamento di tale responsabilità, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, dà diritto, sussistendone i presupposti, anche al risarcimento del danno non patrimoniale e, in particolare, del cd. danno biologico.
A tale proposito, l’art. 2059 cod. civ. dispone che tale voce di danno «deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge».
La Corte di Cassazione, con orientamento oramai costante, ha chiarito che, ai fini del danno ingiusto, la “legge” può essere sia quella “costituzionale”, con tutela dei diritti fondamentali della persona, sia quella “ordinaria” che può stabilire la risarcibilità anche di posizioni soggettive non riconducibili all’area dei diritti della persona (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972). Ai fini del danno conseguenza, viene in rilievo la cd. «sofferenza morale», che costituisce l’aspetto interiore del danno, e il cd. «danno esistenziale», che costituisce «l’impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana» e cioè l’incidenza dell’illecito nella sfera dinamico relazionale del soggetto, in quanto «i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo» sono «il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana» (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766).
Si tratta di un danno avente “natura unitaria”, il che sta «sta a significare che non v'è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto» (Cass. n. 7766 del 2016, cit). Ne consegue che il danno biologico, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, non potrebbe ricevere un trattamento differenziato.
La Cassazione, a partire dalla citata sentenza n. 26972 del 2008, ha ritenuto che l’art. 2059 cod. civ., nonostante manchi una espressa norma di collegamento, sia applicabile anche in ambito contrattuale. In particolare, in assenza di una espressa previsione di legge che contempli tale danno, è necessario che il contenuto dell’obbligazione contrattuale, individuato anche alla luce della causa in concreto e dunque della ragione pratica dell’affare, sia costituito dal dovere di protezione di un diritto fondamentale della persona del creditore. Invero, l’art. 1174 cod. civ., prevedendo che la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve corrispondere a un interesse, «anche non patrimoniale», del creditore, sembra assegnare all’autonomia negoziale delle parti il potere di selezionare gli interessi tutelabili con conseguente applicabilità del meccanismo risarcitorio in esame anche a prescindere dall’esistenza di un diritto costituzionalmente protetto ovvero di una espressa previsione legislativa.
Nella fattispecie in esame, è comunque indubbio che viene in rilievo un diritto della persona costituzionalmente tutelato, in quanto l’art. 2087 cod. civ. pone a carico del datore di lavoro il dovere di proteggere proprio la sfera personale del lavoratore e in particolare il diritto all’integrità psico-fisica. La violazione di tale norma autorizza la corresponsione anche del danno non patrimoniale.
Sul piano funzionale, la norma in esame, anche in presenza di un danno non patrimoniale, impone che il risarcimento del danno, in attuazione delle regole della causalità giuridica, venga corrisposto con finalità esclusivamente compensative. Il legislatore non ha autorizzato, infatti, la previsione di forme di danni punitivi.
6.1.1.– Il titolo della seconda obbligazione è regolato dall’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale prevede(va) che «per le infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio è a carico dell’amministrazione la spesa per la corresponsione di un equo indennizzo per la perdita dell’integrità fisica eventualmente subita dall’impiegato». Il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686 (Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3) dispone(va) che l’indennità si determina secondo equità ed essa è «ridotta della metà se l’impiegato consegua anche la pensione privilegiata» e, inoltre, va dedotto «quanto eventualmente percepito dall’impiegato in virtù di assicurazione a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione». Per i dipendenti degli enti pubblici la relativa disciplina è contenuta nell’art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70).
Il procedimento per ottenere tale indennità è stato disciplinato, dapprima dal decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 349 e, successivamente, dal decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461.
Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), non applicabile ratione temporis, ha abrogato, tra l’altro, l’istituto «dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio», ferma «la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali». La norma continua prevedendo che la disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica: i) «nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico»; ii) «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».
In relazione alla natura di tale indennità questa Adunanza plenaria ha ritenuto che essa sia diversa dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno e deve essere considerata alla stessa stregua delle altre indennità corrisposte in costanza di rapporto di lavoro, per le seguenti ragioni.
Sul piano strutturale, nella disciplina dell’indennità «il legislatore prescinde da ogni riferimento a criteri di responsabilità conseguenti al verificarsi dell’evento dannoso» e «la perdita dell’integrità fisica è valutata tenendo esclusivamente conto delle oggettive condizioni di tempo e di luogo nelle quali la prestazione lavorativa risulta effettuata ed in presenza delle quali si è verificata la lamentata menomazione» (sentenza 16 aprile 1985, n. 14; nello stesso senso 8 ottobre 2009, n. 5).
Sul piano funzionale, le norme di legge, sopra riportate non proteggono il bene «integrità psico-fisica» che «è solo l’occasione dell’erogazione, ma la speciale condizione del dipendente divenuto infermo in ragione del suo rapporto con l’amministrazione e del servizio prestato». Il fine, pertanto, «non è risarcitorio ma si inserisce nell’ambito di un sinallagma in cui si intrecciano prestazioni e controprestazioni di contenuto plurimo» e «appare avvicinabile ad una delle tante indennità che l’amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio» (sentenza 16 luglio 1993, n. 9). Lungo questa linea, più recentemente, si è affermato come il legislatore abbia «preso in considerazione l’interesse pubblico collegato allo svolgimento di determinate attività particolarmente pericolose per la salute o anche solo le condizioni disagevoli per l’espletamento delle mansioni dei dipendenti pubblici ed ha predisposto un regime di ristoro del lavoratore pubblico dipendente che in occasione dello svolgimento di dette attività subisca una rilevante lesione della sua integrità fisica». Ne consegue che «pur nell’adempimento ordinario e diligente delle obbligazioni di entrambe le parti del rapporto di lavoro, può accadere che si verifichino menomazioni della integrità fisica del lavoratore sia in ragione della pericolosità obiettiva delle lavorazioni (…) che in relazione allo svolgimento di ogni altra mansione del lavoratore» (sentenza n. 5 del 2009, cit.).
Tale orientamento deve essere rimeditato.
Deve ritenersi, infatti, che l’indennità in questione ha natura sostanzialmente analoga a quella risarcitoria da illecito contrattuale, per le seguenti ragioni.
Sul piano strutturale, la nozione di “indennità” è normalmente collegata ad una condotta che integra gli estremi di un atto lecito dannoso, in quanto tale autorizzato dal sistema.
La nozione di “indennità” è però compatibile anche con una condotta che integri gli estremi di un atto illecito, in quanto tale vietato dal sistema.
Si può trattare, in questi casi, di un illecito che non è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o protezione di matrice contrattuale ovvero della violazione di un dovere generale del neminem laedere di matrice extracontrattuale ma di un dovere contemplato da una specifica disposizione di legge. Il sistema delle fonti delle obbligazioni, cui si è fatto cenno in premessa, consente di costruire modelli di responsabilità che si fondano su requisiti oggettivi e soggettivi diversi (cfr. Cass civ., sez. II, 16 dicembre 2015, n. 25292)
Nella fattispecie in esame, questo Collegio ritiene che le riportate norme di disciplina della materia prevedano un’indennità che può essere conseguenza sia un di atto illecito sia di un atto lecito dannoso.
In particolare, la prima ipotesi, che rileva in questa sede, ricorre nel caso in cui la lesione dell’integrità fisica subita dal dipendente sia causata dalla condotta contra ius del datore di lavoro che non ha adottato le cautele necessarie ed idonee a proteggere la sfera giuridica del lavoratore. Si tratta di una responsabilità che può prescindere dal dolo o dalla colpa.
La seconda ipotesi ricorre nel caso in cui sussiste solo una connessione con l’attività lavorativa senza che sia individuabile un comportamento illecito del datore di lavoro. In tale caso, però, non si pone un problema di concorso di responsabilità con possibile cumulo dei rimedi, in quanto, non venendo in rilievo un illecito, non può trovare applicazione l’art. 2087 cod. civ.
Sul piano funzionale, la finalità perseguita, in ogni caso, è quella di compensare la sfera giuridica del lavoratore leso sia pure attraverso un meccanismo, come appena sottolineato, strutturalmente differente da quello risarcitorio.
Il «bene protetto» è anche in questo caso l’integrità psico-fisica del dipendente ed essa costituisce non l’occasione ma la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale. Non può, pertanto, ritenersi, anche alla luce dell’evoluzione del sistema giuslavoristico e delle forme di tutela della persona, che l’indennità in esame sia assimilabile alle “altre” indennità corrisposte in costanza di rapporto. Il risultato cui era pervenuta l’Adunanza plenaria, con le sentenze citate, considerava, infatti, il lavoratore esclusivamente come prestatore di attività “destinatario” in quanto tale di diverse indennità e non anche come “persona” protetta dal relativo contratto.
6.2.– I soggetti che vengono in rilievo si inseriscono in un “rapporto obbligatorio bilaterale” in cui compare una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata.
L’Amministrazione statale è, infatti, l’unico soggetto che deve corrispondere sia l’indennità prevista dalle leggi sopra indicate sia la somma risarcitoria in qualità di datore di lavoro pubblico. Ed è questa la principale diversità rispetto alla questione posta all’esame delle Sezioni unite.
6.3.– L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non possono essere cumulate.
Tale esito interpretativo si fonda su talune ragioni (6.3.1.), è confermato dall’esistenza di alcune fattispecie (6.3.2.) e non è contraddetto (6.3.3.) dalle argomentazioni difensive della parte appellata.
6.3.1.– Sul piano della struttura degli illeciti, la presenza di una condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente unitari che giustifica l’attribuzione di una, altrettanto unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare la sfera personale della parte lesa.
In questi casi, l’applicazione delle regole della causalità giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato, senza che le suddette attribuzioni possano cumularsi tra di esse.
Non si tratta, pertanto, di applicare la regola della compensatio nella sua versione “tradizionale”, che presuppone che la medesima condotta determini un “danno” e un “vantaggio”. Come già esposto, tale regola non ha una sua autonomia ed è riconducibile alle tecniche di determinazione del danno che, nella specie, trovano applicazione in modo ancora più lineare e diretto. In questo caso, infatti, la medesima condotta ha determinato solo “danni” e dunque effetti pregiudizievoli, con la conseguenza che occorre evitare il “cumulo di voci risarcitorie” e non “il cumulo di danno e di lucro”.
Sul piano della funzione degli illeciti, il riconoscimento del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva. L’esistenza, infatti, di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per esso l’obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo. Tale risultato, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato, non può ammettersi in quanto manca una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo e dunque che autorizzi un rimedio sovracompensativo e non sarebbe nemmeno configurabile una duplice causa dell’attribuzione patrimoniale.
In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.
6.3.2.– Questo esito interpretativo trova conferma sia in fattispecie legalmente previste sia in talune fattispecie cosi come interpretate dalla Corte di Cassazione.
In relazione alle prime, è sufficiente menzionare l’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990 che, in caso di comportamento illecito dell’amministrazione conseguente alla violazione del termine di conclusione del procedimento, dispone che l’istante ha diritto sia, sussistendone i presupposti, al risarcimento del danno sia ad un indennizzo «per il mero ritardo», aggiungendo, sul presupposto della medesima finalità della misura riparatoria contemplata, che «in tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento».
In relazione alle seconde, la Cassazione ha affermato che, in presenza di una danno da emoderivati infetti, il Ministero può essere ritenuto responsabile, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 2043 cod. civ., per omessa vigilanza. La legge 25 febbraio 1992, n. 210 prevede la corresponsione da parte del Ministero della sanità di un «indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati». La Cassazione ha affermato che l’indennizzo corrisposto al danneggiato deve essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento «posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione» (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26152).
6.3.3.– Questo esito interpretativo non è inciso dalle seguenti argomentazioni difensive della parte appellata.
In relazione alla espressa previsione da parte della normativa di settore sull’equo indennizzo dei fattori che sono idonei a ridurre l’indennità da corrispondere e che non ricomprenderebbero la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno (art. 50 del d.p.r. n. 686 del 1957), deve rilevarsi come non si possa ritenere che essi siano gli unici rilevanti. Ciò in quanto, alla luce dei principi generali che regolano la materia, sarebbe stata necessaria una esplicita previsione idonea ad assegnare carattere di esclusività ai divieti di cumulo.
In relazione alla impossibilità di applicare la regola della compensatio al danno non patrimoniale per la sua natura che escluderebbe la stessa astratta possibilità di una riparazione, in base a “criteri convenzionali”, dell’interesse personale leso, deve rilevarsi come anche tale voce di danno abbia una finalità compensativa e debbano essere previste modalità risarcitorie idonee ad evitare ingiustificati arricchimenti. La “non patrimonialità” del bene leso e soprattutto delle conseguenze derivanti dal fatto lesivo non esclude la possibilità che si proceda, in via equitativa e con l’ausilio di meccanismi tabellari da calare sempre nell’ambito di processi personalizzati che valorizzino le peculiarietà del caso concreto, ad una determinazione quantitativa degli effetti economici negativi subiti dal soggetto leso. In altri termini, la particolare natura del pregiudizio alla persona non esclude che si provveda ad una sua quantificazione.
In tale ottica, se si ammettesse la possibilità di cumulare somme dovute anche a titolo diverso la conseguenza sarebbe quella di assegnare una valenza punitiva al danno risarcibile in contrasto con la più volte enunciata regola della finalità compensativa in assenza di una espressa previsione legislativa.
7.– La decisione dell’intera controversia, ai sensi dell’art. 99, comma 4, comporta l’accoglimento dell’appello.
In via preliminare deve rilevarsi come la regola della compensatio, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte privata resistente, non può ritenersi applicabile soltanto a rapporti futuri e non anche a quelli in corso.
Gli enunciati giurisprudenziali hanno, infatti, natura formalmente dichiarativa. La diversa opinione «finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione» (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 novembre 2015, n. 9).
Affinché un orientamento del giudice della nomofilachia possa avere efficacia solo per il futuro devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: «a) che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; b) che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; c) che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte» (così Cass. civ., 11 marzo 2013, n. 5962).
Nella fattispecie in esame non occorre applicare una norma processuale e nemmeno attinente al procedimento amministrativo, e, in ogni caso, non risulta che vi sia stato né un mutamento imprevedibile di orientamento in ragione anche degli indirizzi interpretativi seguiti nell’ambito della giurisprudenza della Corte di Cassazione né una incidenza negativa sul diritto di azione della parte appellata.
Chiarito ciò, nella specie il Tribunale amministrativo ha ritenuto, applicando la regola del cumulo, che il ricorrente avesse diritto ad aggiungere all’indennità già percepita il risarcimento del danno non patrimoniale.
La controversia in esame deve, invece, essere risolta, in applicazione dei principi sin qui esposti, mediante l’applicazione della regola del divieto di cumulo.
Occorra detrarre, pertanto, dall’ammontare della somma risarcitoria pari ad euro 85.180,00 la somma di euro 49.567,07 già corrisposta dall’amministrazione a titolo di indennizzo. L’amministrazione deve, pertanto, corrispondere alla parte appellata la somma di euro 35.612,93.
8.– Alla luce di quanto sin qui esposto occorre formulare il seguente principio di diritto limitatamente alla questione relativa al cumulo tra risarcimento e indennità dovute da enti pubblici e non anche, perché non rilevante, da assicuratori privati o sociali: “la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”.
9.– Le spese del presente grado di giudizio, in ragione della complessità della questione risolta, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, definitivamente pronunciando, enunciato il principio di diritto riportato al punto 8 del diritto:
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere alla parte appellata la somma di euro 35.613,07;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Franco Frattini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
IL PRESIDENTE
Alessandro Pajno
L'ESTENSORE IL SEGRETARIO
Vincenzo Lopilato
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Il CdS in Adunanza Plenaria precisa:
1) - L’Amministrazione statale è, infatti, l’unico soggetto che deve corrispondere sia l’indennità prevista dalle leggi sopra indicate sia la somma risarcitoria in qualità di datore di lavoro pubblico. Ed è questa la principale diversità rispetto alla questione posta all’esame delle Sezioni unite.
2) - L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non possono essere cumulate.
3) - Tale esito interpretativo si fonda su talune ragioni (6.3.1.), è confermato dall’esistenza di alcune fattispecie (6.3.2.) e non è contraddetto (6.3.3.) dalle argomentazioni difensive della parte appellata.
4) - In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.
5) - Questo esito interpretativo trova conferma sia in fattispecie legalmente previste sia in talune fattispecie cosi come interpretate dalla Corte di Cassazione.
N.B.: leggete il tutto qui sotto o copiatevi il tutto se v'interessa.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE P ,numero provv.: 201800001
Numero ricorso:201606730
Pubblicato il 23/02/2018
N. 00001/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00008/2017 REG. RIC. A. P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8 di A.P. del 2017, proposto dal Ministero della Giustizia, in persona del Ministero pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Sabrina Mannarino e Vincenzo Davide Greco, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Gaetano Rampini, 16;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione I, 20 aprile 2016, n. 849.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2017 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Giannuzzi e l’avvocato Mannarino.
FATTO
1.– Il dr. OMISSIS- ha esposto, in un ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sede di Catanzaro, di avere svolto, sin dal mese di ottobre del 1989, funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso la Procura della Repubblica di Paola ed, in tale qualità, «per oltre un decennio, a causa dei numerosi impegni di lavoro, resi ulteriormente gravosi dal rilevante carico di procedimenti penali assegnatogli, nonché dallo svolgimento delle funzioni di Procuratore della Repubblica nel lungo periodo di vacanza del posto, (…) è stato costretto a trattenersi quotidianamente presso gli uffici della Procura, spesso fino a tarda ora».
In particolare, da una relazione svolta dalla unità sanitaria locale, a seguito del sopralluogo effettuato presso l’edificio che ospita la Procura in data 30 ottobre 1995, sarebbe emerso «che i muri esterni erano costituiti da lastre piane in cemento-amianto, sostenute da profilati in alluminio» e che «le perforazioni presenti nelle lastre in cemento avevano determinato, con l’emissione di polvere, il rilascio di fibre di amianto».
Nonostante le autorità sanitarie avessero conseguentemente manifestato «la necessità che le lastre in cemento amianto venissero rimosse, sostituite, ovvero bonificate nel modo più idoneo, in quanto rappresentavano una grave fonte di inquinamento ambientale», i relativi lavori non sarebbero stati eseguiti se non tardivamente ed in maniera incompleta.
In data 4 dicembre 2001 il dr. -OMISSIS- ha presentato istanza di riconoscimento di dipendenza di infermità da causa di servizio, allegando le risultanze di un esame radiologico effettuato in data 19 luglio 2001, dal quale era emersa la «presenza di immagine di pus da riferire ad ulcera in fase florida» ed aggiungendo di essere stato sottoposto, in data 31 agosto 2001, ad un intervento chirurgico per l’asportazione di una formazione neoplastica, poi risultata essere un «carcinoma renale a cellule chiare ben differenziato (GI) con focali aspetti papillari con micro focolaio di infiltrazioni della capsula reale».
Il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura, con provvedimento del 2 marzo 2005, ha dichiarato la dipendenza da causa di servizio delle infermità «malattia peptica ulcerosa duodenale» ed «esiti di nefrectomia parziale sinistra con resezione parziale della X^ costa per carcinoma sx a cellule chiare, ben differenziato (G1)» e ha riconosciuto al dr. -OMISSIS- «la misura massima prevista dalle vigenti disposizioni di legge ai fini della concessione dell’equo indennizzo», ascritto alla quarta categoria della tabella A e liquidato in misura pari ad € 49.567,07, somma poi materialmente corrisposta al ricorrente in virtù dei decreti di autorizzazione al pagamento emessi dal resistente Ministero in data 21 aprile 2005 e 16 maggio 2005.
1.1.– Per le ragioni sin qui riportate dr. -OMISSIS- ha chiesto al Tribunale amministrativo regionale la condanna del Ministero della giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale alla salute subito a seguito dell’esposizione all’amianto e quantificato nella somma di euro 150.000,00.
Da tale somma, nella prospettiva del ricorrente, non avrebbe dovuto essere detratto l’importo già percepito a titolo di equo indennizzo, che costituirebbe uno «strumento a contenuto patrimoniale di natura previdenziale», mentre il risarcimento sarebbe «finalizzato a ripristinare integralmente il danno subito, in tutte le sue qualificazioni».
2.– Il Tribunale amministrativo, con sentenza 20 aprile 2016, n. 849 ha accolto il ricorso, riconoscendo a favore del dr. -OMISSIS-, a titolo di risarcimento del danno, la somma complessiva di euro 85.180,00. In particolare, il primo giudice ha ritenuto che «come da costante orientamento della giurisprudenza, le prestazioni indennitarie riconosciute dalla legge in favore dei pubblici dipendenti affetti da patologie contratte per causa di servizio ovvero per le vittime del dovere concorrono con il diritto al risarcimento del danno da responsabilità contrattuale o extracontrattuale dell’amministrazione in ordine al medesimo pregiudizio all’integrità psicofisica patita dal dipendente». L’importo di quelle prestazioni «non può cioè venire detratto da quanto spettante per il diverso titolo risarcitorio, dovendosi escludere che ricorra un’ipotesi di compensatio lucri cum damno». Si è affermato, infatti, che l’illecito mentre «costituisce fatto genetico e costitutivo della pretesa al risarcimento, rappresenta una mera occasione rispetto alla spettanza dell’indennità che sorge per il solo fatto che la lesione sia avvenuta nell’espletamento di un servizio di istituto del soggetto, indipendentemente dalla responsabilità civile dell’amministrazione datrice di lavoro e in misura autonoma dall’effettiva entità del pregiudizio subito dall’interessato, ciò che rileva è l’assenza della finalità compensativo-sostitutiva propria del risarcimento».
3.– Il Ministero della giustizia ha proposto appello, fondato sull’unico motivo della ritenuta «violazione e falsa applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, desumibile dall’art. 1223 c.c.».
Secondo il Ministero «la necessità dello scomputo dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno di quanto corrisposto all’appellato proprio in ragione della riconosciuta dipendenza dal servizio della patologia contratta per effetto dell’esposizione all’amianto è imposta dall’esigenza di evitare l’ingiustificato arricchimento determinato dal porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero della giustizia) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo».
3.1.– Si è costituito in giudizio il ricorrente in primo grado, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.– La Quarta Sezione, con ordinanza 6 giugno 2017, n. 2719, ha ritenuto che, in materia, sia riscontrabile un contrasto interpretativo nell’ambito della giurisprudenza della Corte di cassazione.
Un primo orientamento tradizionale, cui si è uniformato il Tribunale amministrativo, ritiene che in questi casi possa operare il cumulo tra indennizzo e risarcimento, venendo in rilievo fonti diverse delle obbligazioni dovute e la condotta illecita è mera “occasione” e non “causa” dell’attribuzione dell’indennità.
Un secondo orientamento minoritario sostiene, invece, che in questi casi debba operare la compensatio lucri cum damno, in quanto ciò che rileva è che la condotta sia unica e, nella specie, il fatto illecito deve considerarsi “causa” dell’attribuzione dell’indennità.
La Sezione – «in considerazione del pregio delle argomentazioni poste a sostegno del più recente indirizzo, dell’esposto contrasto giurisprudenziale fra Sezioni della Corte di cassazione e della possibilità che tale contrasto possa svilupparsi anche in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato» – ha ritenuto «opportuno deferire il presente ricorso all’esame dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 4, c.p.a., per la decisione del seguente punto di diritto (e conseguentemente per la eventuale definizione dell’intera controversia): “se sia possibile o meno sottrarre dal complessivo importo dovuto al danneggiato a titolo di risarcimento del danno gli emolumenti di carattere indennitario versati da assicuratori privati o sociali ovvero da enti pubblici, specie previdenziali”».
5.– Le parti hanno depositato memorie difensive nel presente giudizio.
In particolare, la parte appellata ha messo in rilievo come, in questo caso, non possa opera la regola della compensatio in quanto: i) sussiste una diversità di titoli delle obbligazioni, che hanno natura e presupposti diversi, che giustificherebbe il cumulo tra le somme pretese; ii) la disciplina degli indennizzi da corrispondere in presenza di infermità derivanti da cause di servizio ha puntualmente indicato i fattori che devono ridurre l’indennità da corrispondere e tra questi non è menzionata la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno (art. 50 del d.p.r. 3 maggio 1957, n. 686); iii) nella specie viene in rilievo il risarcimento del danno non patrimoniale, in relazione al quale, da un lato, non sarebbe neanche astrattamente ipotizzabile «un rischio di arricchimento del danneggiato», non potendo il danno alla persona «essere riparato in base a criteri convenzionali» e pertanto il danneggiato non potrebbe «neanche ritrovarsi in una situazione più favorevole rispetto a quella generata dall’illecito»; dall’altro, «viene in rilievo un danno biologico (…) che assume una rilevanza particolare all’interno del danno non patrimoniale risarcibile»; dall’altro ancora, l’art. 1223 cod. civ. «fa riferimento alla “perdita” e al “mancato guadagno” subiti dal creditore», che identificherebbero concetti che «attengono al patrimonio del danneggiato (…) ma sono invece estranei al risarcimento del danno non patrimoniale, riguardo al quale non è concepibile una tale distinzione»; iv) nella fattispecie in esame, la responsabilità dovrebbe avere una funziona sanzionatoria per la presenza di una condotta dell’amministrazione che avrebbe posto in evidenza «gravi mancanze nella tutela dell’integrità del dipendente», con la conseguenza che la «relativa condanna ha un effetto di stimolo per il corretto adempimento dei doveri facenti capo all’amministrazione».
Infine, si è chiesto, anche qualora venisse vietato il cumulo, di affermare il principio di diritto ai soli giudizi proposti dopo la decisione della Plenaria «in conformità al principio di irretroattività dei mutamenti giurisprudenziali incidenti sul diritto vivente».
6.– La causa è stata decisa all’esito della camera di consiglio del 13 dicembre 2017.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato attiene alla valenza del principio della cd. compensatio lucri cum damno (di seguito anche solo compensatio) nella fase di determinazione del danno cagionato dal datore di lavoro pubblico ad un proprio dipendente.
In particolare, si tratta di accertare se la somma spettante a titolo risarcitorio per lesione della salute conseguente alla esalazione di amianto nei luoghi di lavoro sia cumulabile con l’indennizzo percepito a seguito del riconoscimento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ovvero se tale indennizzo debba essere decurtato dal risarcimento del danno.
2.– La soluzione di tale questione non può essere unitaria ma è strettamente correlata alla specificità delle fattispecie concrete.
Prima di esaminarle è opportuno trattare alcune questioni di carattere generale che definiscono il contesto sistematico comune in cui esse si inseriscono.
La prima questione attiene ai titoli delle obbligazioni (1173 cod. civ.) dai quali sorgono rapporti giuridici, che definiscono anche le cause giustificative degli spostamenti patrimoniali. Tali rapporti, anche in ragione, tra l’altro, dei soggetti coinvolti, possono avere natura semplice o complessa. In particolare, vi possono essere rapporti obbligatori con un solo soggetto responsabile e obbligato, eventualmente in forma complessa, ovvero più rapporti obbligatori collegati che possono, in ragioni di variabili dipendenti dal caso concreto, giustificare l’attribuzione di una o di più prestazioni patrimoniali.
La seconda questione attiene alla struttura della responsabilità civile e contrattuale e, in particolare, per quanto rileva in questa sede, alla cd. causalità giuridica nonché alla funzione della responsabilità stessa.
In relazione alla causalità giuridica, l’art. 1223 cod. civ., richiamato anche dall’art. 2056 cod. civ., dispone che «il risarcimento del danno per l’inadempimento per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta».
L’orientamento prevalente della Corte di Cassazione ritiene che le suddette disposizioni non pongano una vera e propria regola causale bensì prevedano criteri di determinazione del danno risarcibile in applicazione della teoria della causalità adeguata, che impone di considerare danni conseguenza risarcibili solo quelli riconducibili al fatto illecito secondo principi di regolarità causale che fanno applicazione del criterio dell’id quod plerunque accidit. In questa ottica, la giurisprudenza ritiene risarcibile anche il danno mediato o indiretto, purché sia prodotto da una sequela normale di eventi che traggono origine dal fatto originario (Cass. civ., sez. III, n. 29 febbraio 2016, 3893; id., sez. II, 24 aprile 2012, n. 6474; id., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274; id., sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2013, n. 21255, ritiene, invece, che anche la causalità giuridica deve essere considerata una causalità in senso tecnico, da accertare secondo la regola probatoria del “più probabile che non”).
In relazione alla funzione del risarcimento del danno, le Sezioni unite della Corte di Cassazione, con sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, hanno affermato, con riferimento alla responsabilità civile, che essa può perseguire plurime finalità che si pongono su piani differenti (Cass. civ., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601).
La finalità generale e prioritaria è compensativa: lo scopo è di reintegrare la sfera giuridica del danneggiato ponendolo, in attuazione del cd. principio di indifferenza, nella situazione in cui si sarebbe trovato senza il fatto illecito.
La finalità generale e secondaria è «preventiva (o deterrente o dissuasiva)»: lo scopo è anche quello di evitare la reiterazione del fatto illecito.
La finalità specifica ulteriore è «sanzionatoria-punitiva»: lo scopo è di “punire” il danneggiante mediante la condanna, nei soli casi in cui la legge lo consenta in coerenza con i limiti che la Costituzione pone nella conformazione delle regole di responsabilità (cfr. art. 25), a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per eliminare i pregiudizi conseguenti al fatto illecito.
Gli aspetti esaminati propri della responsabilità civile valgono, con i necessari adattamenti, anche con riferimento alla responsabilità contrattuale.
La finalità generale e prioritaria è, infatti, anche in questo caso, compensativa.
La finalità specifica ulteriore sanzionatoria-punitiva è configurabile soltanto nei casi in cui vi sia una espressa previsione di legge: si pensi, a titolo esemplificativo, alla conversione del contratto di mutuo da oneroso a gratuito nel caso in cui le parti abbiamo previsto l’obbligo di corrispondere interessi usurari (art. 1815 cod. civ.). Il principio di parità delle parti del contratto, quale proiezione del principio costituzionale di eguaglianza, esclude anche che esse possano prevedere, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, rimedi risarcitori di natura punitiva. La stessa norma che contempla la clausola penale (art. 1382 cod. civ.) deve essere interpretata nel senso di attribuire ai contraenti un potere che ha una finalità esclusivamente risarcitoria come dimostra la previsione, attuativa del principio di buona fede oggettiva, del potere di riduzione d’ufficio da parte del giudice nel caso in cui l’ammontare della penale sia manifestamente eccessivo (art. 1384 cod. civ.).
3.– Le diverse fattispecie concrete, inserite nel descritto contesto generale, presentando, accanto a specifiche peculiarietà, taluni elementi comuni, possono essere collocate, per fini ordinatori, in tre diverse categorie, che si differenziano sul piano dei titoli delle obbligazioni e dei soggetti responsabili e obbligati, con implicazioni diverse in punto di causa giustificativa delle attribuzioni, nonché di causalità giuridica e funzione della responsabilità.
4.– La prima categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e obbligato ad effettuare una prestazione derivante da un unico titolo.
Si tratta di casi in cui la stessa condotta, ricorrendo i presupposti previsti per le diverse forme di responsabilità, può cagionare un danno e contestualmente un vantaggio nella sfera giuridica del danneggiato.
Tali fattispecie contemplano “rapporti obbligatori bilaterali” in cui compaiono, eventualmente in forma complessa, una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata.
La giurisprudenza e la dottrina non hanno mai dubitato della necessità di valutare l’entità dei vantaggi conseguiti dal danneggiato ai fini della determinazione effettiva del danno.
Sul piano strutturale, tale risultato si raggiunge accertando che la causa giustificativa del vantaggio sia rappresentata dalla commissione dell’illecito, con conseguente applicazione della regola della causalità giuridica che, come esposto, costituisce, secondo la prevalente ricostruzione, una modalità di determinazione del danno subito. Ne consegue che nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell’illecito occorre considerare anche il lucro eventualmente acquisito al patrimonio della parte lesa che, in quanto tale, riduce l’area dei danni effettivamente cagionati dalla condotta del responsabile.
Sul piano funzionale, l’istituto in esame impedisce che il danneggiante sia costretto a corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare il patrimonio leso.
In questa prospettiva, la compensatio lucri cum damno non ha una sua autonomia dommatica ma rappresenta una mera espressione descrittiva di una delle possibili modalità di impiego del meccanismo causale nella fase di determinazione dei pregiudizi.
5.– La seconda categoria è quella che ricomprende fattispecie che si caratterizzano per la presenza di un solo soggetto autore della condotta responsabile e di due soggetti obbligati sulla base di titoli differenti.
Si tratta di fattispecie in cui il sistema prevede, in forme diversificate, accanto all’obbligo di risarcire il danno derivante da titolo illecito (2043 o 1218 cod. civ.) anche l’obbligo di corrispondere una indennità o somma a vario titolo.
In primo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione privata contro i danni derivanti da fonte contrattuale che obbligano l’assicuratore, verso pagamento di un premio, a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro in attuazione del cd. principio indennitario (artt. 1882 cod. civ. e ss.).
In secondo luogo, possono venire in rilievo forme di assicurazione sociale disciplinate da leggi speciali (art. 1886 cod. civ.), che sono, a loro volta, riconducibili ad istituti differenti, quali, da un lato, quelli che apprestano ai lavoratori, nell’ambito di particolari sistemi contributivi, una tutela contro gli infortuni e le malattie professionali ovvero una tutela previdenziale in caso di invalidità (e altri eventi), dall’altro, quelli che assicurano ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale, mediante, ad esempio, la corresponsione di un’indennità di accompagnamento (cfr. art. 38 Cost.).
Infine, possono venire in rilievo singole previsioni di legge che contemplano l’indennità da corrispondere per finalità solidaristiche a favore, ad esempio, di familiari di vittime cadute in servizio ovvero di vittime del terrorismo.
Le descritte fattispecie si caratterizzano per la presenza di “rapporti giuridici trilaterali” ovvero, più precisamente, di duplici rapporti bilaterali: i) la relazione tra parte responsabile obbligata a titolo di illecito e parte danneggiata; ii) la relazione tra quest’ultima e altra parte obbligata a titolo diverso a seconda della vicenda che viene in rilievo.
Tali situazioni rendono più complessa la ricostruzione dei modi di operatività della compensatio.
Non è questa la sede per proporre una possibile soluzione, in quanto si tratta di questioni che, con le ordinanze sopra indicate, sono state rimesse all’esame delle Sezioni unite della Cassazione. E’, pertanto, sufficiente riportare, in sintesi, come già fatto nell’ordinanza di rimessione alla Plenaria, i due orientamenti che si sono formati nell’ambito della giurisprudenza della Cassazione, ai soli fini di porre in rilievo la differenza rispetto alla vicenda in esame.
Un primo e maggioritario orientamento ritiene che, per le fattispecie rientranti in questa categoria, non sia applicabile la regola della compensatio ma quella del cumulo.
In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli delle obbligazioni e dei relativi rapporti giuridici sottostanti costituisca una idonea causa giustificativa delle differenti attribuzioni patrimoniali e, conseguentemente, la condotta illecita rappresenta non la “causa” dell’indennità a vario titolo corrisposta ma la mera “occasione” di essa. Non si può, pertanto, applicare la regola della causalità giuridica ai fini del computo delle indennità nella fase di determinazione effettiva del danno.
Sul piano funzionale, non vi sono rischi di sovracompensazioni economiche proprio perché la diversità delle ragioni giustificative delle attribuzioni patrimoniali impedisce di assegnare valenza punitiva al risarcimento del danno.
Un secondo orientamento, fatto proprio dalle ordinanze di rimessione alle Sezioni unite, ritiene, invece, che anche in questi casi debba applicarsi la regola della compensatio.
In particolare, sul piano strutturale, si afferma come la diversità dei titoli non giustifichi l’esito cui perviene l’opposto indirizzo interpretativo in quanto ciò che rileva è che la condotta (e non il titolo) sia unica e che essa costituisca la “causa” sia del danno sia dell’attribuzione di somme finalizzate a reintegrare il patrimonio leso. In particolare, sul piano della causalità giuridica, si sottolinea, non è «corretto interpretare l’art. 1223 cod. civ. in modo asimmetrico e ritenere che “il rapporto fra illecito ed evento può anche non essere diretto ed immediato” quando si tratta di accertare il danno, ed esigere al contrario che lo sia, quando si tratta di accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito» (Cass. civ., sez. III, n. 15534 del 2017, cit.).
Sul piano funzionale, ammettendo il cumulo e non la compensatio, si assegna una funzione sovracompensativa al risarcimento del danno. Anche le indennità sopra indicate sono, infatti, riconducibili eziologicamente al fatto illecito e dunque hanno una finalità compensativa del pregiudizio subito dalla parte lesa.
Questi aspetti sono resi ancora più complessi dal meccanismo della surrogazione prevista dall’art. 1916 cod. civ. e dalla legislazione speciale. In particolare, tale articolo dispone che «l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili».
Il danneggiante, infatti, si sottolinea nelle ordinanze di rimessione, potrebbe essere costretto a corrispondere la medesima somma sia al danneggiato sia, a seguito della successione nel rapporto obbligatorio, al soggetto o ente che ha corrisposto l’indennità alla parte lesa. Si verrebbe così ad attribuire – sul presupposto che i benefici collaterali corrisposti non abbiano valenza autonoma giustificativa delle relative attribuzioni patrimoniali – una funzione punitiva al risarcimento del danno in mancanza di una espressa previsione di legge che lo consenta. L’unica possibilità per evitare questo risultato sarebbe quello di ritenere che non operi la surrogazione. Ma tale esito, sottolinea la Cassazione, sarebbe contraddittorio in presenza di norme imperative che la contemplano e che non potrebbero essere derogate con atto di autonomia delle parti. Sotto altro aspetto, nelle ordinanze di rimessione si pone in evidenza, con implicazioni sulla funzione deterrente della responsabilità, che «l'istituto della surrogazione e la stima del danno da fatto illecito non sono legati da alcun nesso di implicazione bilaterale»: infatti, «se le conseguenze del fatto illecito sono state eliminate dall'intervento d'un assicuratore (privato o sociale che sia), ovvero da un qualsiasi ente pubblico o privato, il pagamento da tale soggetto compiuto, se ha avuto per effetto o per scopo quello di eliminare le conseguenze dannose, andrà sempre detratto dal credito risarcitorio, a nulla rilevando nè che l'ente pagatore non abbia diritto alla surrogazione, nè che, avendolo, vi abbia rinunciato».
In definitiva, si tratta di accertare se i due rapporti giuridici che vengono in rilievo, mantenendo una loro autonomia e dunque una valenza “bilaterale”, abbiano ciascuno una propria causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali che consente il cumulo tra di esse ovvero se tali rapporti, anche in ragione della operatività del meccanismo della surrogazione (di cui occorre valutare l’eventuale derogabilità convenzionale), siano strettamente collegati con sussistenza di una sostanziale “unitaria” causa di giustificazione delle attribuzioni patrimoniali che impone l’operatività della compensatio tra di esse mediante l’applicazione del meccanismo della regolarità causale.
6.– La terza fattispecie è quella in cui è presente un’unica condotta responsabile, un solo soggetto obbligato e titoli differenti delle obbligazioni.
La vicenda concreta all’esame di questa Adunanza plenaria si inserisce in questo ambito.
Nella specie, la parte appellata: i) ha già ottenuto dal Ministero della Giustizia una somma a titolo di indennità per infermità dipendente da causa di servizio conseguente all’esposizione a fibre di amianto presenti nel luogo di lavoro; ii) ha chiesto con il presente giudizio la condanna dello stesso Ministero al risarcimento anche del danno alla salute subito per la medesima ragione senza detrazione della somma già corrisposta a titolo di indennità.
La soluzione della questione all’esame della Plenaria presuppone la previa individuazione dei titoli delle obbligazioni che vengono in rilievo e della loro natura, nonché dei soggetti del rapporto obbligatorio.
6.1.– Il primo titolo dell’obbligazione risarcitoria è regolato dall’art. 2087 cod. civ., applicabile anche in ambito pubblicistico, il quale prevede che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
In relazione alla natura di tale obbligazione, è controversa la sua riconducibilità alla responsabilità contrattuale o extracontrattuale.
Il prevalente orientamento seguito dalla Corte di Cassazione, che questo Collegio condivide, ritiene che la responsabilità del datore di lavoro abbia natura contrattuale e rinvenga la propria fonte nel contratto di lavoro che, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., è integrato dalla norma di legge, sopra riportata, che prevede doveri di prestazione finalizzati ad assicurare la tutela della salute del lavoratore.
Sul piano strutturale, tale qualificazione dell’illecito implica, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., che: il lavoratore deve provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’inadempimento del datore di lavoro e i danni conseguenza; il datore di lavoro deve provare l’assenza di colpa e pertanto di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (da ultimo, Cass. civ., sez. lav., 15 giugno 2017, n. 14865).
L’accertamento di tale responsabilità, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, dà diritto, sussistendone i presupposti, anche al risarcimento del danno non patrimoniale e, in particolare, del cd. danno biologico.
A tale proposito, l’art. 2059 cod. civ. dispone che tale voce di danno «deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge».
La Corte di Cassazione, con orientamento oramai costante, ha chiarito che, ai fini del danno ingiusto, la “legge” può essere sia quella “costituzionale”, con tutela dei diritti fondamentali della persona, sia quella “ordinaria” che può stabilire la risarcibilità anche di posizioni soggettive non riconducibili all’area dei diritti della persona (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972). Ai fini del danno conseguenza, viene in rilievo la cd. «sofferenza morale», che costituisce l’aspetto interiore del danno, e il cd. «danno esistenziale», che costituisce «l’impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana» e cioè l’incidenza dell’illecito nella sfera dinamico relazionale del soggetto, in quanto «i due autentici momenti essenziali della sofferenza dell’individuo» sono «il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana» (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766).
Si tratta di un danno avente “natura unitaria”, il che sta «sta a significare che non v'è alcuna diversità nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato dalla lesione di un diritto costituzionalmente protetto» (Cass. n. 7766 del 2016, cit). Ne consegue che il danno biologico, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellata, non potrebbe ricevere un trattamento differenziato.
La Cassazione, a partire dalla citata sentenza n. 26972 del 2008, ha ritenuto che l’art. 2059 cod. civ., nonostante manchi una espressa norma di collegamento, sia applicabile anche in ambito contrattuale. In particolare, in assenza di una espressa previsione di legge che contempli tale danno, è necessario che il contenuto dell’obbligazione contrattuale, individuato anche alla luce della causa in concreto e dunque della ragione pratica dell’affare, sia costituito dal dovere di protezione di un diritto fondamentale della persona del creditore. Invero, l’art. 1174 cod. civ., prevedendo che la prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve corrispondere a un interesse, «anche non patrimoniale», del creditore, sembra assegnare all’autonomia negoziale delle parti il potere di selezionare gli interessi tutelabili con conseguente applicabilità del meccanismo risarcitorio in esame anche a prescindere dall’esistenza di un diritto costituzionalmente protetto ovvero di una espressa previsione legislativa.
Nella fattispecie in esame, è comunque indubbio che viene in rilievo un diritto della persona costituzionalmente tutelato, in quanto l’art. 2087 cod. civ. pone a carico del datore di lavoro il dovere di proteggere proprio la sfera personale del lavoratore e in particolare il diritto all’integrità psico-fisica. La violazione di tale norma autorizza la corresponsione anche del danno non patrimoniale.
Sul piano funzionale, la norma in esame, anche in presenza di un danno non patrimoniale, impone che il risarcimento del danno, in attuazione delle regole della causalità giuridica, venga corrisposto con finalità esclusivamente compensative. Il legislatore non ha autorizzato, infatti, la previsione di forme di danni punitivi.
6.1.1.– Il titolo della seconda obbligazione è regolato dall’art. 68 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale prevede(va) che «per le infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio è a carico dell’amministrazione la spesa per la corresponsione di un equo indennizzo per la perdita dell’integrità fisica eventualmente subita dall’impiegato». Il decreto del Presidente della Repubblica 3 maggio 1957, n. 686 (Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3) dispone(va) che l’indennità si determina secondo equità ed essa è «ridotta della metà se l’impiegato consegua anche la pensione privilegiata» e, inoltre, va dedotto «quanto eventualmente percepito dall’impiegato in virtù di assicurazione a carico dello Stato o di altra pubblica amministrazione». Per i dipendenti degli enti pubblici la relativa disciplina è contenuta nell’art. 32 del decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1976, n. 411 (Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti pubblici di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70).
Il procedimento per ottenere tale indennità è stato disciplinato, dapprima dal decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 349 e, successivamente, dal decreto del Presidente della Repubblica 29 ottobre 2001, n. 461.
Il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), non applicabile ratione temporis, ha abrogato, tra l’altro, l’istituto «dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio», ferma «la tutela derivante dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali». La norma continua prevedendo che la disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica: i) «nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico»; ii) «ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data».
In relazione alla natura di tale indennità questa Adunanza plenaria ha ritenuto che essa sia diversa dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno e deve essere considerata alla stessa stregua delle altre indennità corrisposte in costanza di rapporto di lavoro, per le seguenti ragioni.
Sul piano strutturale, nella disciplina dell’indennità «il legislatore prescinde da ogni riferimento a criteri di responsabilità conseguenti al verificarsi dell’evento dannoso» e «la perdita dell’integrità fisica è valutata tenendo esclusivamente conto delle oggettive condizioni di tempo e di luogo nelle quali la prestazione lavorativa risulta effettuata ed in presenza delle quali si è verificata la lamentata menomazione» (sentenza 16 aprile 1985, n. 14; nello stesso senso 8 ottobre 2009, n. 5).
Sul piano funzionale, le norme di legge, sopra riportate non proteggono il bene «integrità psico-fisica» che «è solo l’occasione dell’erogazione, ma la speciale condizione del dipendente divenuto infermo in ragione del suo rapporto con l’amministrazione e del servizio prestato». Il fine, pertanto, «non è risarcitorio ma si inserisce nell’ambito di un sinallagma in cui si intrecciano prestazioni e controprestazioni di contenuto plurimo» e «appare avvicinabile ad una delle tante indennità che l’amministrazione conferisce ai propri dipendenti in relazione alle vicende del servizio» (sentenza 16 luglio 1993, n. 9). Lungo questa linea, più recentemente, si è affermato come il legislatore abbia «preso in considerazione l’interesse pubblico collegato allo svolgimento di determinate attività particolarmente pericolose per la salute o anche solo le condizioni disagevoli per l’espletamento delle mansioni dei dipendenti pubblici ed ha predisposto un regime di ristoro del lavoratore pubblico dipendente che in occasione dello svolgimento di dette attività subisca una rilevante lesione della sua integrità fisica». Ne consegue che «pur nell’adempimento ordinario e diligente delle obbligazioni di entrambe le parti del rapporto di lavoro, può accadere che si verifichino menomazioni della integrità fisica del lavoratore sia in ragione della pericolosità obiettiva delle lavorazioni (…) che in relazione allo svolgimento di ogni altra mansione del lavoratore» (sentenza n. 5 del 2009, cit.).
Tale orientamento deve essere rimeditato.
Deve ritenersi, infatti, che l’indennità in questione ha natura sostanzialmente analoga a quella risarcitoria da illecito contrattuale, per le seguenti ragioni.
Sul piano strutturale, la nozione di “indennità” è normalmente collegata ad una condotta che integra gli estremi di un atto lecito dannoso, in quanto tale autorizzato dal sistema.
La nozione di “indennità” è però compatibile anche con una condotta che integri gli estremi di un atto illecito, in quanto tale vietato dal sistema.
Si può trattare, in questi casi, di un illecito che non è conseguenza della violazione di un dovere di prestazione o protezione di matrice contrattuale ovvero della violazione di un dovere generale del neminem laedere di matrice extracontrattuale ma di un dovere contemplato da una specifica disposizione di legge. Il sistema delle fonti delle obbligazioni, cui si è fatto cenno in premessa, consente di costruire modelli di responsabilità che si fondano su requisiti oggettivi e soggettivi diversi (cfr. Cass civ., sez. II, 16 dicembre 2015, n. 25292)
Nella fattispecie in esame, questo Collegio ritiene che le riportate norme di disciplina della materia prevedano un’indennità che può essere conseguenza sia un di atto illecito sia di un atto lecito dannoso.
In particolare, la prima ipotesi, che rileva in questa sede, ricorre nel caso in cui la lesione dell’integrità fisica subita dal dipendente sia causata dalla condotta contra ius del datore di lavoro che non ha adottato le cautele necessarie ed idonee a proteggere la sfera giuridica del lavoratore. Si tratta di una responsabilità che può prescindere dal dolo o dalla colpa.
La seconda ipotesi ricorre nel caso in cui sussiste solo una connessione con l’attività lavorativa senza che sia individuabile un comportamento illecito del datore di lavoro. In tale caso, però, non si pone un problema di concorso di responsabilità con possibile cumulo dei rimedi, in quanto, non venendo in rilievo un illecito, non può trovare applicazione l’art. 2087 cod. civ.
Sul piano funzionale, la finalità perseguita, in ogni caso, è quella di compensare la sfera giuridica del lavoratore leso sia pure attraverso un meccanismo, come appena sottolineato, strutturalmente differente da quello risarcitorio.
Il «bene protetto» è anche in questo caso l’integrità psico-fisica del dipendente ed essa costituisce non l’occasione ma la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale. Non può, pertanto, ritenersi, anche alla luce dell’evoluzione del sistema giuslavoristico e delle forme di tutela della persona, che l’indennità in esame sia assimilabile alle “altre” indennità corrisposte in costanza di rapporto. Il risultato cui era pervenuta l’Adunanza plenaria, con le sentenze citate, considerava, infatti, il lavoratore esclusivamente come prestatore di attività “destinatario” in quanto tale di diverse indennità e non anche come “persona” protetta dal relativo contratto.
6.2.– I soggetti che vengono in rilievo si inseriscono in un “rapporto obbligatorio bilaterale” in cui compare una sola parte responsabile ed obbligata ed una sola parte danneggiata.
L’Amministrazione statale è, infatti, l’unico soggetto che deve corrispondere sia l’indennità prevista dalle leggi sopra indicate sia la somma risarcitoria in qualità di datore di lavoro pubblico. Ed è questa la principale diversità rispetto alla questione posta all’esame delle Sezioni unite.
6.3.– L’analisi congiunta dei profili sin qui esaminati relativi ai titoli e ai soggetti delle obbligazioni che vengono in rilievo conduce a ritenere che le somme corrisposte non possono essere cumulate.
Tale esito interpretativo si fonda su talune ragioni (6.3.1.), è confermato dall’esistenza di alcune fattispecie (6.3.2.) e non è contraddetto (6.3.3.) dalle argomentazioni difensive della parte appellata.
6.3.1.– Sul piano della struttura degli illeciti, la presenza di una condotta unica responsabile che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito, aventi entrambe finalità compensativa del medesimo bene giuridico, in capo allo stesso soggetto determina la nascita di rapporti obbligatori sostanzialmente unitari che giustifica l’attribuzione di una, altrettanto unitaria, prestazione patrimoniale finalizzata a reintegrare la sfera personale della parte lesa.
In questi casi, l’applicazione delle regole della causalità giuridica impone che venga compensato e liquidato soltanto il danno effettivamente subito dal danneggiato, senza che le suddette attribuzioni possano cumularsi tra di esse.
Non si tratta, pertanto, di applicare la regola della compensatio nella sua versione “tradizionale”, che presuppone che la medesima condotta determini un “danno” e un “vantaggio”. Come già esposto, tale regola non ha una sua autonomia ed è riconducibile alle tecniche di determinazione del danno che, nella specie, trovano applicazione in modo ancora più lineare e diretto. In questo caso, infatti, la medesima condotta ha determinato solo “danni” e dunque effetti pregiudizievoli, con la conseguenza che occorre evitare il “cumulo di voci risarcitorie” e non “il cumulo di danno e di lucro”.
Sul piano della funzione degli illeciti, il riconoscimento del cumulo implicherebbe l’attribuzione alla responsabilità contrattuale di una funzione punitiva. L’esistenza, infatti, di un solo soggetto responsabile e obbligato comporterebbe per esso l’obbligo di corrispondere una somma superiore a quella necessaria per reintegrare la sfera del danneggiato con ingiustificata locupletazione da parte di quest’ultimo. Tale risultato, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato, non può ammettersi in quanto manca una espressa previsione legislativa che contempli un illecito punitivo e dunque che autorizzi un rimedio sovracompensativo e non sarebbe nemmeno configurabile una duplice causa dell’attribuzione patrimoniale.
In definitiva, nella fattispecie in esame l’accertata finalità compensativa di entrambi i titoli delle obbligazioni concorrenti e del conseguente meccanismo risarcitorio, nonché la semplicità del rapporto che evita le possibili complicazioni ricostruttive connesse al funzionamento della surrogazione, impedisce che possa operare il cumulo tra danno e indennità.
6.3.2.– Questo esito interpretativo trova conferma sia in fattispecie legalmente previste sia in talune fattispecie cosi come interpretate dalla Corte di Cassazione.
In relazione alle prime, è sufficiente menzionare l’art. 2-bis della legge n. 241 del 1990 che, in caso di comportamento illecito dell’amministrazione conseguente alla violazione del termine di conclusione del procedimento, dispone che l’istante ha diritto sia, sussistendone i presupposti, al risarcimento del danno sia ad un indennizzo «per il mero ritardo», aggiungendo, sul presupposto della medesima finalità della misura riparatoria contemplata, che «in tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento».
In relazione alle seconde, la Cassazione ha affermato che, in presenza di una danno da emoderivati infetti, il Ministero può essere ritenuto responsabile, ricorrendo i presupposti previsti dall’art. 2043 cod. civ., per omessa vigilanza. La legge 25 febbraio 1992, n. 210 prevede la corresponsione da parte del Ministero della sanità di un «indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati». La Cassazione ha affermato che l’indennizzo corrisposto al danneggiato deve essere integralmente scomputato dalle somme corrisposte a titolo di risarcimento «posto che in caso contrario la vittima si avvantaggerebbe di un ingiustificato arricchimento, godendo, in relazione al fatto lesivo del medesimo interesse tutelato di due diverse attribuzioni patrimoniali dovute dallo stesso soggetto (il Ministero della salute) ed aventi causa dal medesimo fatto (trasfusione di sangue o somministrazione» (Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2014, n. 26152).
6.3.3.– Questo esito interpretativo non è inciso dalle seguenti argomentazioni difensive della parte appellata.
In relazione alla espressa previsione da parte della normativa di settore sull’equo indennizzo dei fattori che sono idonei a ridurre l’indennità da corrispondere e che non ricomprenderebbero la somma corrisposta a titolo di risarcimento del danno (art. 50 del d.p.r. n. 686 del 1957), deve rilevarsi come non si possa ritenere che essi siano gli unici rilevanti. Ciò in quanto, alla luce dei principi generali che regolano la materia, sarebbe stata necessaria una esplicita previsione idonea ad assegnare carattere di esclusività ai divieti di cumulo.
In relazione alla impossibilità di applicare la regola della compensatio al danno non patrimoniale per la sua natura che escluderebbe la stessa astratta possibilità di una riparazione, in base a “criteri convenzionali”, dell’interesse personale leso, deve rilevarsi come anche tale voce di danno abbia una finalità compensativa e debbano essere previste modalità risarcitorie idonee ad evitare ingiustificati arricchimenti. La “non patrimonialità” del bene leso e soprattutto delle conseguenze derivanti dal fatto lesivo non esclude la possibilità che si proceda, in via equitativa e con l’ausilio di meccanismi tabellari da calare sempre nell’ambito di processi personalizzati che valorizzino le peculiarietà del caso concreto, ad una determinazione quantitativa degli effetti economici negativi subiti dal soggetto leso. In altri termini, la particolare natura del pregiudizio alla persona non esclude che si provveda ad una sua quantificazione.
In tale ottica, se si ammettesse la possibilità di cumulare somme dovute anche a titolo diverso la conseguenza sarebbe quella di assegnare una valenza punitiva al danno risarcibile in contrasto con la più volte enunciata regola della finalità compensativa in assenza di una espressa previsione legislativa.
7.– La decisione dell’intera controversia, ai sensi dell’art. 99, comma 4, comporta l’accoglimento dell’appello.
In via preliminare deve rilevarsi come la regola della compensatio, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte privata resistente, non può ritenersi applicabile soltanto a rapporti futuri e non anche a quelli in corso.
Gli enunciati giurisprudenziali hanno, infatti, natura formalmente dichiarativa. La diversa opinione «finisce per attribuire alla esegesi valore ed efficacia normativa in contrasto con la logica intrinseca della interpretazione e con il principio costituzionale della separazione dei poteri venendosi a porre in sostanza come una fonte di produzione» (Cons. Stato, Ad. Plen., 2 novembre 2015, n. 9).
Affinché un orientamento del giudice della nomofilachia possa avere efficacia solo per il futuro devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: «a) che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; b) che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; c) che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte» (così Cass. civ., 11 marzo 2013, n. 5962).
Nella fattispecie in esame non occorre applicare una norma processuale e nemmeno attinente al procedimento amministrativo, e, in ogni caso, non risulta che vi sia stato né un mutamento imprevedibile di orientamento in ragione anche degli indirizzi interpretativi seguiti nell’ambito della giurisprudenza della Corte di Cassazione né una incidenza negativa sul diritto di azione della parte appellata.
Chiarito ciò, nella specie il Tribunale amministrativo ha ritenuto, applicando la regola del cumulo, che il ricorrente avesse diritto ad aggiungere all’indennità già percepita il risarcimento del danno non patrimoniale.
La controversia in esame deve, invece, essere risolta, in applicazione dei principi sin qui esposti, mediante l’applicazione della regola del divieto di cumulo.
Occorra detrarre, pertanto, dall’ammontare della somma risarcitoria pari ad euro 85.180,00 la somma di euro 49.567,07 già corrisposta dall’amministrazione a titolo di indennizzo. L’amministrazione deve, pertanto, corrispondere alla parte appellata la somma di euro 35.612,93.
8.– Alla luce di quanto sin qui esposto occorre formulare il seguente principio di diritto limitatamente alla questione relativa al cumulo tra risarcimento e indennità dovute da enti pubblici e non anche, perché non rilevante, da assicuratori privati o sociali: “la presenza di un’unica condotta responsabile, che fa sorgere due obbligazioni da atto illecito in capo al medesimo soggetto derivanti da titoli diversi aventi la medesima finalità compensativa del pregiudizio subito dallo stesso bene giuridico protetto, determina la costituzione di un rapporto obbligatorio sostanzialmente unitario che giustifica, in applicazione della regola della causalità giuridica e in coerenza con la funzione compensativa e non punitiva della responsabilità, il divieto del cumulo con conseguente necessità di detrarre dalla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno contrattuale quella corrisposta a titolo indennitario”.
9.– Le spese del presente grado di giudizio, in ragione della complessità della questione risolta, giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, definitivamente pronunciando, enunciato il principio di diritto riportato al punto 8 del diritto:
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere alla parte appellata la somma di euro 35.613,07;
b) dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Franco Frattini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Luigi Maruotti, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
IL PRESIDENTE
Alessandro Pajno
L'ESTENSORE IL SEGRETARIO
Vincenzo Lopilato
Re: EQUO INDENNIZZO
Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite, visto il recente mutamento di giurisprudenza in tema di cumulo dell’azione risarcitoria e impugnatoria per il riconoscimento dell’equo indennizzo.
Re: EQUO INDENNIZZO
Ricorso al Tar Accolto.
L'Amministrazione ci riprova sempre, ma noi, ci dobbiamo scambiare l'informazione sempre per il bene di tutti noi.
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1) - è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
2) - Il ricorrente espone di aver prestato servizio militare quale Vigile del Fuoco, volontario ausiliario, dal 3 gennaio 1981 al 31 dicembre 1981, e di aver ivi contratto -OMISSIS-, che è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio dalla Corte dei Conti con -OMISSIS- in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il Decreto dell’8 gennaio 2001 concessivo della pensione previlegiata di 6^ cat. vitalizia dalla data del congedo.
3) - Ottenuto tale riconoscimento, l’interessato ha chiesto che per la stessa infermità gli fosse liquidato anche il conseguente equo indennizzo.
4) - nel provvedimento non vi è alcun richiamo alla sentenza della Corte dei Conti sulla cui base è stato riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
5) - il riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio, effettuato dalla Corte dei Conti, deve ritenersi acquisito anche ai fini dell’equo indennizzo.
IL TAR LAZIO precisa:
6) - che una sentenza che accerti la dipendenza da causa di servizio di una infermità debba essere presa in considerazione anche ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo.
7) - Per il richiamato principio dell’unicità dell’accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente,
- ) - la sentenza della Corte dei Conti che ha accertato la dipendenza da causa di servizio della patologia del ricorrente costituisce, dunque, titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo; -
- ) - pertanto, il rigetto della relativa istanza, presentata dal sig. -OMISSIS-, deve ritenersi viziato sotto i denunciati profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere.
P.S.: rileggi il punto n. 7 suindicato.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201806177, - Public 2018-06-04 -
Pubblicato il 04/06/2018
N. 06177/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00570/2007 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 570 del 2007, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato dalla dott.ssa Angela Carriero e difeso dall’avvocato Massimo Cassiano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via G. Palumbo, 26;
contro
Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del decreto n. 140233/E.I. del 26 ottobre 2006, notificato il 21 novembre 2006, con il quale è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 13 aprile 2018 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato il 10 gennaio 2007 e depositato il successivo 22 gennaio, il sig. -OMISSIS- ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del decreto emesso dal Ministero dell’Interno in data 26 ottobre 2006, a lui notificato il 21 novembre 2006, con il quale è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
2. Il ricorrente espone di aver prestato servizio militare quale Vigile del Fuoco, volontario ausiliario, dal 3 gennaio 1981 al 31 dicembre 1981, e di aver ivi contratto -OMISSIS-, che è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio dalla Corte dei Conti con -OMISSIS- in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il Decreto dell’8 gennaio 2001 concessivo della pensione previlegiata di 6^ cat. vitalizia dalla data del congedo.
Ottenuto tale riconoscimento, l’interessato ha chiesto che per la stessa infermità gli fosse liquidato anche il conseguente equo indennizzo.
Pur tuttavia, l’amministrazione, con il gravato provvedimento ha negato tale diritto.
3. Avverso l’impugnato provvedimento, il ricorrente deduce:
I. Eccesso di potere per illogicità manifesta e travisamento dei fatti, in quanto nel provvedimento non vi è alcun richiamo alla sentenza della Corte dei Conti sulla cui base è stato riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
II. Violazione di legge, art. 12, d.p.r. n. 461/2001, perché il riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio, effettuato dalla Corte dei Conti, deve ritenersi acquisito anche ai fini dell’equo indennizzo.
4. La resistente amministrazione non si è costituita in giudizio.
5. Alla pubblica udienza del 13 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Come già costantemente affermato da questo Tribunale (ex plurimis, Tar Lazio, I, 9 gennaio 2014, n. 206; Tar Lazio, II, 27 settembre 2004, n. 9803):
a) con l'art. 12, D.P.R. 461/01, il legislatore ha stabilito che "II riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell'ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio".
Ne discende che una sentenza che accerti la dipendenza da causa di servizio di una infermità debba essere presa in considerazione anche ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo.
b) “Nella specie, non è in discussione l'autonomia funzionale della procedura per l'attribuzione dell'equo indennizzo, rispetto a quella concessiva del trattamento pensionistico privilegiato. Tuttavia, pur nella diversità degli effetti dei due procedimenti, previdenziale l'uno e pensionistico l'altro, i due istituti hanno a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente. Pertanto, ritenuta la valenza plurima di tale accertamento, in relazione ai diversi benefici previsti dal sistema normativo, il riconoscimento dell'infermità come dipendente da causa di servizio deve ritenersi acquisito, anche ai fini dell'equo indennizzo, una volta che sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale della Corte dei Conti - come nel caso in esame - dichiarativa del diritto del ricorrente a pensione privilegiata, in base alla stessa infermità (V. Cons. Stato sez. V, 17 maggio 1996, n. 566 e Sez. IV, 30 aprile 1999 n. 746)” (Tar Lazio, sez. II, 27 settembre 2004, n. 9803).
2. Nel caso di specie, l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della patologia da cui era affetto il ricorrente è avvenuto con la sentenza della Corte dei Conti n. -OMISSIS-, passata in giudicato, in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il decreto dell’8 gennaio 2001, concessivo del trattamento di pensione privilegiata di VI cat. vitalizia dalla data del congedo.
Per il richiamato principio dell’unicità dell’accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente, la sentenza della Corte dei Conti che ha accertato la dipendenza da causa di servizio della patologia del ricorrente costituisce, dunque, titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo; pertanto, il rigetto della relativa istanza, presentata dal sig. -OMISSIS-, deve ritenersi viziato sotto i denunciati profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere.
3. Per tutto quanto esposto il ricorso deve, dunque, essere accolto con conseguente annullamento del decreto del 26 ottobre 2006 con cui è stato negato il riconoscimento dell’equo indennizzo per -OMISSIS-.
4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il gravato decreto.
Condanna la resistente amministrazione, in persona legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 800,00 (euro ottocento/00), oltre oneri ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Marco Poppi, Consigliere
Francesca Romano, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesca Romano Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
L'Amministrazione ci riprova sempre, ma noi, ci dobbiamo scambiare l'informazione sempre per il bene di tutti noi.
------------------------------------
1) - è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
2) - Il ricorrente espone di aver prestato servizio militare quale Vigile del Fuoco, volontario ausiliario, dal 3 gennaio 1981 al 31 dicembre 1981, e di aver ivi contratto -OMISSIS-, che è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio dalla Corte dei Conti con -OMISSIS- in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il Decreto dell’8 gennaio 2001 concessivo della pensione previlegiata di 6^ cat. vitalizia dalla data del congedo.
3) - Ottenuto tale riconoscimento, l’interessato ha chiesto che per la stessa infermità gli fosse liquidato anche il conseguente equo indennizzo.
4) - nel provvedimento non vi è alcun richiamo alla sentenza della Corte dei Conti sulla cui base è stato riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
5) - il riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio, effettuato dalla Corte dei Conti, deve ritenersi acquisito anche ai fini dell’equo indennizzo.
IL TAR LAZIO precisa:
6) - che una sentenza che accerti la dipendenza da causa di servizio di una infermità debba essere presa in considerazione anche ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo.
7) - Per il richiamato principio dell’unicità dell’accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente,
- ) - la sentenza della Corte dei Conti che ha accertato la dipendenza da causa di servizio della patologia del ricorrente costituisce, dunque, titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo; -
- ) - pertanto, il rigetto della relativa istanza, presentata dal sig. -OMISSIS-, deve ritenersi viziato sotto i denunciati profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere.
P.S.: rileggi il punto n. 7 suindicato.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
--------------------------------------------------------------------
SENTENZA ,sede di ROMA ,sezione SEZIONE 1B ,numero provv.: 201806177, - Public 2018-06-04 -
Pubblicato il 04/06/2018
N. 06177/2018 REG. PROV. COLL.
N. 00570/2007 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 570 del 2007, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato dalla dott.ssa Angela Carriero e difeso dall’avvocato Massimo Cassiano, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via G. Palumbo, 26;
contro
Ministero dell'Interno - Dipartimento dei Vigili del Fuoco non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del decreto n. 140233/E.I. del 26 ottobre 2006, notificato il 21 novembre 2006, con il quale è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 13 aprile 2018 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso notificato il 10 gennaio 2007 e depositato il successivo 22 gennaio, il sig. -OMISSIS- ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l’annullamento del decreto emesso dal Ministero dell’Interno in data 26 ottobre 2006, a lui notificato il 21 novembre 2006, con il quale è stata respinta la domanda di equo indennizzo per -OMISSIS- per asserita non dipendenza da causa di servizio della patologia.
2. Il ricorrente espone di aver prestato servizio militare quale Vigile del Fuoco, volontario ausiliario, dal 3 gennaio 1981 al 31 dicembre 1981, e di aver ivi contratto -OMISSIS-, che è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio dalla Corte dei Conti con -OMISSIS- in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il Decreto dell’8 gennaio 2001 concessivo della pensione previlegiata di 6^ cat. vitalizia dalla data del congedo.
Ottenuto tale riconoscimento, l’interessato ha chiesto che per la stessa infermità gli fosse liquidato anche il conseguente equo indennizzo.
Pur tuttavia, l’amministrazione, con il gravato provvedimento ha negato tale diritto.
3. Avverso l’impugnato provvedimento, il ricorrente deduce:
I. Eccesso di potere per illogicità manifesta e travisamento dei fatti, in quanto nel provvedimento non vi è alcun richiamo alla sentenza della Corte dei Conti sulla cui base è stato riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata.
II. Violazione di legge, art. 12, d.p.r. n. 461/2001, perché il riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio, effettuato dalla Corte dei Conti, deve ritenersi acquisito anche ai fini dell’equo indennizzo.
4. La resistente amministrazione non si è costituita in giudizio.
5. Alla pubblica udienza del 13 aprile 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Come già costantemente affermato da questo Tribunale (ex plurimis, Tar Lazio, I, 9 gennaio 2014, n. 206; Tar Lazio, II, 27 settembre 2004, n. 9803):
a) con l'art. 12, D.P.R. 461/01, il legislatore ha stabilito che "II riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'infermità o lesione costituisce accertamento definitivo anche nell'ipotesi di successiva richiesta di equo indennizzo e di trattamento pensionistico di privilegio".
Ne discende che una sentenza che accerti la dipendenza da causa di servizio di una infermità debba essere presa in considerazione anche ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo.
b) “Nella specie, non è in discussione l'autonomia funzionale della procedura per l'attribuzione dell'equo indennizzo, rispetto a quella concessiva del trattamento pensionistico privilegiato. Tuttavia, pur nella diversità degli effetti dei due procedimenti, previdenziale l'uno e pensionistico l'altro, i due istituti hanno a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente. Pertanto, ritenuta la valenza plurima di tale accertamento, in relazione ai diversi benefici previsti dal sistema normativo, il riconoscimento dell'infermità come dipendente da causa di servizio deve ritenersi acquisito, anche ai fini dell'equo indennizzo, una volta che sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale della Corte dei Conti - come nel caso in esame - dichiarativa del diritto del ricorrente a pensione privilegiata, in base alla stessa infermità (V. Cons. Stato sez. V, 17 maggio 1996, n. 566 e Sez. IV, 30 aprile 1999 n. 746)” (Tar Lazio, sez. II, 27 settembre 2004, n. 9803).
2. Nel caso di specie, l’accertamento della dipendenza da causa di servizio della patologia da cui era affetto il ricorrente è avvenuto con la sentenza della Corte dei Conti n. -OMISSIS-, passata in giudicato, in esito alla quale il Ministero dell’Interno ha emesso il decreto dell’8 gennaio 2001, concessivo del trattamento di pensione privilegiata di VI cat. vitalizia dalla data del congedo.
Per il richiamato principio dell’unicità dell’accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente, la sentenza della Corte dei Conti che ha accertato la dipendenza da causa di servizio della patologia del ricorrente costituisce, dunque, titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo; pertanto, il rigetto della relativa istanza, presentata dal sig. -OMISSIS-, deve ritenersi viziato sotto i denunciati profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere.
3. Per tutto quanto esposto il ricorso deve, dunque, essere accolto con conseguente annullamento del decreto del 26 ottobre 2006 con cui è stato negato il riconoscimento dell’equo indennizzo per -OMISSIS-.
4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il gravato decreto.
Condanna la resistente amministrazione, in persona legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 800,00 (euro ottocento/00), oltre oneri ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2018 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Marco Poppi, Consigliere
Francesca Romano, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesca Romano Concetta Anastasi
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: EQUO INDENNIZZO
Messaggio da naturopata »
Non è dato comprendere come possa non riconoscersi questa causa di servizio.
Pubblicato il 18/05/2018
N. 00832/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00750/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 750 del 2016, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato Danilo Lorenzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 47°Reggimento Fanteria,4;
contro
Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui Uffici in Lecce, via Rubichi, è domiciliato;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale n. 8750 del 2.11.2015, notificata il 15.2.2016, con cui è stata negata la dipendenza da causa di servizio delle patologie contratte dal ricorrente nonché dei pareri pos. n. 17228/2014 e 17216/2015 emessi dal C.V.C.S. e di tutti gli atti agli stessi preordinati, connessi e/o consequenziali nonché per la declaratoria del diritto al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio con tutte le conseguenze di legge, ivi compresa la liquidazione dell'equo indennizzo spettante.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2018 il dott. Carlo Dibello e uditi i difensori avv. D. Lorenzo per il ricorrente e avv. dello Stato A. Roberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, brigadiere della Guardia di Finanza, ha impugnato la Determinazione Dirigenziale in epigrafe, che ha escluso la dipendenza da causa di servizio della seguente patologia accertata a suo carico: “Ipertensione arteriosa sistodiastolica con radice aortica e aorta ascendente dilatata e flussometria transmitralica coma da ridotto rilasciamento diastolico del ventricolo sx”.
A sostegno del ricorso, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di gravame: violazione dell’art. 64 d.P.R. n. 1092/73, in combinato disposto con il d.P.R. n. 461/01; eccesso di potere per travisamento e omessa valutazione dei fatti; manifesta irragionevolezza; motivazione errata.
All’udienza del 31.1.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Costituitasi in giudizio, la difesa erariale ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.
2. Con l’unico motivo di gravame, variamente articolato, deduce il ricorrente l’illegittimità dell’atto impugnato, per non avere l’Amministrazione tenuto conto, ai fini dell’accertamento del rapporto causale esistente tra la patologia riscontrata a suo carico e la causa di servizio, della peculiare attività da lui concretamente svolta.
Le censure sono fondate.
2.2. Premette il Collegio che, per condivisa giurisprudenza amministrativa, “Gli accertamenti sulla dipendenza di una patologia da causa di servizio rientrano nella discrezionalità tecnica del Comitato di verifica per le cause di servizio, la cui valutazione conclusiva sul nesso eziologico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità sofferta dal pubblico dipendente, in quanto basato su cognizioni di scienza medico-specialistica e medico-legale, non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale, a meno che non emergano vizi del procedimento o vizi di manifesta irragionevolezza della motivazione per l'inattendibilità metodologica delle conclusioni ovvero per il travisamento dei fatti o, ancora, per la mancata considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale […]” (C.d.S, III 27 febbraio 2018 n. 1212).
2.3. Tanto premesso, e venendo ora al caso in esame, si legge nel parere n. 229 del 28.7.2014 che la patologia da cui il ricorrente è affetto “… non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio trattandosi di affezione frequentemente di natura primitiva, insorgente sovente in individui con familiarità ipertensiva con probabile errore genetico e conseguente alterazione del pompo del sodio a livello della membrana cellulare, favorita da fattori individuali legati ad abitudini di vita del soggetto. Nel determinismo e nel successivo decorso dell’affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può aver svolto il servizio prestato, tenuto anche conto delle modalità di svolgimento e dei disagi descritti negli atti i quali, considerati nel loro insieme, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero concausa efficiente e determinante”.
3. Tale essendo il contenuto del suddetto parere, di seguito confermato dal Comitato di Verifica e indi posto a base dell’impugnato diniego, reputa il Collegio che esso sconti un evidente deficit motivazionale.
Invero, al fine dell’accertamento del nesso eziologico tra l’accertata patologia e la causa di servizio, occorre aver riguardo alle specifiche attività svolte dal ricorrente, specie qualora – come nel caso in esame – esse presentino tratti del tutto singolari, come tali esulanti dal normale corso del determinismo causale.
E invero, emerge dagli atti di causa che:
- durante il suo servizio presso la Brigata di Napoli, il ricorrente è rimasto coinvolto nel 1991 in un conflitto a fuoco, con numerosi colpi d’arma esplosi al suo indirizzo da parte di noti camorristi che avevano appena ucciso un militare dell’Arma dei Carabinieri. A tale situazione il ricorrente reagiva esplodendo alcuni colpi d’arma all’indirizzo degli assalitori, uno dei quali successivamente decedeva a causa delle ferite riportate nel conflitto a fuoco con il ricorrente. Per tale episodio il -OMISSIS- ha ricevuto una medaglia d’argento al valor militare dal Presidente della Repubblica;
- a causa delle minacce subite dalla malavita organizzata, il ricorrente è stato trasferito per motivi d’urgenza a Taranto, dove è rimasto coinvolto in altri due episodi di conflitto a fuoco con contrabbandieri locali, uno dei quali deceduto a seguito delle ferite dei colpi esplosi dal ricorrente;
- nel 2000 il ricorrente ha subito l’incendio doloso della propria abitazione.
Alla luce di tali accadimenti, è di tutta evidenza che il ricorrente è stato sottoposto, a causa e nell’esercizio delle proprie funzioni, a gravi e reiterati turbamenti psico-fisici, in astratto suscettibili di comprometterne l’equilibrio.
4. Per tali ragioni, si imponeva, nella specie, una motivazione particolarmente rafforzata in ordine alle ragioni per le quali doveva ritenersi esclusa la valenza, quantomeno concausale, degli episodi dei quali egli era rimasto vittima, con l’accertato stato patologico di “ipertensione arteriosa sistodiastolica”, in lui riscontrato.
In tal senso l’Amministrazione non ha operato, essendosi limitata ad affermare che i fatti occorsi nell’ambito del servizio svolto dal ricorrente “… non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero concausa efficiente e determinante”, senza tuttavia spiegarne le ragioni.
Per tali ragioni, reputa il Collegio la sussistenza del deficit motivazionale dedotto dal ricorrente.
5. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’atto impugnato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, e annulla per l’effetto l’atto impugnato.
Condanna l’Amministrazione resistente al rimborso delle spese di lite sostenute dal ricorrente, che si liquidano in € 2.500 per onorario, oltre rimborso del contributo unificato, spese generali e IVA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Carlo Dibello, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Dibello Eleonora Di Santo
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 18/05/2018
N. 00832/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00750/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 750 del 2016, proposto da
-OMISSIS-rappresentato e difeso dall'avvocato Danilo Lorenzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 47°Reggimento Fanteria,4;
contro
Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui Uffici in Lecce, via Rubichi, è domiciliato;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale n. 8750 del 2.11.2015, notificata il 15.2.2016, con cui è stata negata la dipendenza da causa di servizio delle patologie contratte dal ricorrente nonché dei pareri pos. n. 17228/2014 e 17216/2015 emessi dal C.V.C.S. e di tutti gli atti agli stessi preordinati, connessi e/o consequenziali nonché per la declaratoria del diritto al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio con tutte le conseguenze di legge, ivi compresa la liquidazione dell'equo indennizzo spettante.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2018 il dott. Carlo Dibello e uditi i difensori avv. D. Lorenzo per il ricorrente e avv. dello Stato A. Roberti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, brigadiere della Guardia di Finanza, ha impugnato la Determinazione Dirigenziale in epigrafe, che ha escluso la dipendenza da causa di servizio della seguente patologia accertata a suo carico: “Ipertensione arteriosa sistodiastolica con radice aortica e aorta ascendente dilatata e flussometria transmitralica coma da ridotto rilasciamento diastolico del ventricolo sx”.
A sostegno del ricorso, il ricorrente ha articolato i seguenti motivi di gravame: violazione dell’art. 64 d.P.R. n. 1092/73, in combinato disposto con il d.P.R. n. 461/01; eccesso di potere per travisamento e omessa valutazione dei fatti; manifesta irragionevolezza; motivazione errata.
All’udienza del 31.1.2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Costituitasi in giudizio, la difesa erariale ha chiesto il rigetto del ricorso, con vittoria delle spese di lite.
2. Con l’unico motivo di gravame, variamente articolato, deduce il ricorrente l’illegittimità dell’atto impugnato, per non avere l’Amministrazione tenuto conto, ai fini dell’accertamento del rapporto causale esistente tra la patologia riscontrata a suo carico e la causa di servizio, della peculiare attività da lui concretamente svolta.
Le censure sono fondate.
2.2. Premette il Collegio che, per condivisa giurisprudenza amministrativa, “Gli accertamenti sulla dipendenza di una patologia da causa di servizio rientrano nella discrezionalità tecnica del Comitato di verifica per le cause di servizio, la cui valutazione conclusiva sul nesso eziologico tra l'attività lavorativa svolta e l'infermità sofferta dal pubblico dipendente, in quanto basato su cognizioni di scienza medico-specialistica e medico-legale, non è sindacabile nel merito in sede giurisdizionale, a meno che non emergano vizi del procedimento o vizi di manifesta irragionevolezza della motivazione per l'inattendibilità metodologica delle conclusioni ovvero per il travisamento dei fatti o, ancora, per la mancata considerazione di circostanze di fatto tali da poter incidere sulla valutazione finale […]” (C.d.S, III 27 febbraio 2018 n. 1212).
2.3. Tanto premesso, e venendo ora al caso in esame, si legge nel parere n. 229 del 28.7.2014 che la patologia da cui il ricorrente è affetto “… non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio trattandosi di affezione frequentemente di natura primitiva, insorgente sovente in individui con familiarità ipertensiva con probabile errore genetico e conseguente alterazione del pompo del sodio a livello della membrana cellulare, favorita da fattori individuali legati ad abitudini di vita del soggetto. Nel determinismo e nel successivo decorso dell’affezione, di natura prevalentemente endogena, nessun ruolo può aver svolto il servizio prestato, tenuto anche conto delle modalità di svolgimento e dei disagi descritti negli atti i quali, considerati nel loro insieme, non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero concausa efficiente e determinante”.
3. Tale essendo il contenuto del suddetto parere, di seguito confermato dal Comitato di Verifica e indi posto a base dell’impugnato diniego, reputa il Collegio che esso sconti un evidente deficit motivazionale.
Invero, al fine dell’accertamento del nesso eziologico tra l’accertata patologia e la causa di servizio, occorre aver riguardo alle specifiche attività svolte dal ricorrente, specie qualora – come nel caso in esame – esse presentino tratti del tutto singolari, come tali esulanti dal normale corso del determinismo causale.
E invero, emerge dagli atti di causa che:
- durante il suo servizio presso la Brigata di Napoli, il ricorrente è rimasto coinvolto nel 1991 in un conflitto a fuoco, con numerosi colpi d’arma esplosi al suo indirizzo da parte di noti camorristi che avevano appena ucciso un militare dell’Arma dei Carabinieri. A tale situazione il ricorrente reagiva esplodendo alcuni colpi d’arma all’indirizzo degli assalitori, uno dei quali successivamente decedeva a causa delle ferite riportate nel conflitto a fuoco con il ricorrente. Per tale episodio il -OMISSIS- ha ricevuto una medaglia d’argento al valor militare dal Presidente della Repubblica;
- a causa delle minacce subite dalla malavita organizzata, il ricorrente è stato trasferito per motivi d’urgenza a Taranto, dove è rimasto coinvolto in altri due episodi di conflitto a fuoco con contrabbandieri locali, uno dei quali deceduto a seguito delle ferite dei colpi esplosi dal ricorrente;
- nel 2000 il ricorrente ha subito l’incendio doloso della propria abitazione.
Alla luce di tali accadimenti, è di tutta evidenza che il ricorrente è stato sottoposto, a causa e nell’esercizio delle proprie funzioni, a gravi e reiterati turbamenti psico-fisici, in astratto suscettibili di comprometterne l’equilibrio.
4. Per tali ragioni, si imponeva, nella specie, una motivazione particolarmente rafforzata in ordine alle ragioni per le quali doveva ritenersi esclusa la valenza, quantomeno concausale, degli episodi dei quali egli era rimasto vittima, con l’accertato stato patologico di “ipertensione arteriosa sistodiastolica”, in lui riscontrato.
In tal senso l’Amministrazione non ha operato, essendosi limitata ad affermare che i fatti occorsi nell’ambito del servizio svolto dal ricorrente “… non risultano tali da assurgere al ruolo di causa, ovvero concausa efficiente e determinante”, senza tuttavia spiegarne le ragioni.
Per tali ragioni, reputa il Collegio la sussistenza del deficit motivazionale dedotto dal ricorrente.
5. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, l’annullamento dell’atto impugnato.
6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, e annulla per l’effetto l’atto impugnato.
Condanna l’Amministrazione resistente al rimborso delle spese di lite sostenute dal ricorrente, che si liquidano in € 2.500 per onorario, oltre rimborso del contributo unificato, spese generali e IVA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Carlo Dibello, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Dibello Eleonora Di Santo
IL SEGRETARIO
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Re: EQUO INDENNIZZO
Messaggio da naturopata »
Idem come sopra:
Pubblicato il 12/04/2018
N. 00632/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01013/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
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Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1013 del 2013, proposto da --OMISSIS-in proprio e nella qualità di vedova ed erede di --OMISSIS-rappresentata e difesa dall'avvocato Danilo Lorenzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 47°Reggimento Fanteria,4;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui uffici in Lecce, via F.Rubichi, sono per legge domiciliati;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale n. 756 del Comando Generale della Guardia di Finanza datata 18.2.2013, notificata il 27.3.2013, con cui è stata negata la dipendenza da causa di servizio delle patologie denunciate dal dante causa -OMISSIS-- nonché del parere emesso dal C.V.C.S. nell'adunanza n. 48/2012 e di tutti gli atti agli stessi preordinati, connessi e/o consequenziali, nonché per la declaratoria del diritto al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2018 la dott.ssa Katiuscia Papi e uditi per le parti i difensori avv. D. Lorenzo per la ricorrente e avv. dello Stato S. Libertini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 22/5/2013 la Sig.ra --OMISSIS-in proprio e in qualità di vedova e successore del Sig. --OMISSIS-deceduto il 13/7/2001, chiedeva l’annullamento del provvedimento n. 756 adottato dal Comitato Generale della Guardia di Finanza in data 18/2/2013, con il quale veniva negata la dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia riscontrata al -OMISSIS-, e del conforme parere emesso dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio in data 13/2/2012, nell’adunanza n. 48/2012.
I provvedimenti impugnati venivano adottati in seguito a domanda, proposta dal defunto marito della ricorrente --OMISSIS-in data 6/10/1999, volta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia ad esso diagnosticata.
In particolare, l’Appuntato Scelto della Guardia di Finanza --OMISSIS-in capo al quale era stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio di diverse patologie che interessavano l’apparato uditivo (otite acuta bilaterale e otosalpingite sinistra recidivante), in data 6/10/1999, presentava, presso il Comando 17^ Legione della Guardia di Finanza - Sezione Operativa Navale di Otranto, domanda per accertamento della dipendenza da causa di servizio della seguente ulteriore patologia, riscontratagli all’Ospedale Militare di Bari: “Ipoacusia bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB”. La richiesta veniva motivata adducendo l’efficienza causale, nello sviluppo dell’ipoacusia, delle caratteristiche tipiche delle mansioni di nocchiere, alle quali il richiedente era adibito, con particolare riferimento all’esposizione alle intemperie nonché a forti e continui rumori.
In seguito alla domanda del 6/10/1999, la Commissione medica ospedaliera straordinaria presso il Centro Ospedaliero Militare di Taranto, con verbale del 22/6/2011, certificava la sussistenza, in capo al -OMISSIS-, che nel frattempo era deceduto in seguito a un sinistro stradale, di “ipoacusia neurosensoriale bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB”.
Successivamente, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con delibera adottata in data 13/2/2012, nell’adunanza n. 48/2012, affermava che “l’infermità Ipoacusia neurosensoriale bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, trattandosi di riduzione dell’udito per interessamento dell’organo del Corti, riscontrabile, per lo più, come conseguenza di traumi cranici, di traumi acustici (spesso bilaterali), di assunzione di sostanze tossiche otolesive (particolari medicamenti) e, in assenza di essi, da attribuirsi a involuzione naturale dovuta al progredire dell’età, per cui, la menomazione in questione non può ricollegarsi al servizio, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, in quanto dagli atti non risulta che durante il medesimo si sia verificato alcuno degli eventi patogenetici sopra indicati. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.
Sulla base del parere vincolante emesso dal Comitato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Comando Generale della Guardia di Finanza – VI Reparto – Affari giuridici e legislativi – Ufficio Trattamento economico personale in quiescenza, adottava, in data 18/2/2013, Provvedimento n. 92165, con il quale si determinava l’esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia accertata in capo al -OMISSIS-.
Con il ricorso proposto dalla vedova ed erede del de cuius --OMISSIS-venivano mosse, nei confronti dei provvedimenti impugnati, censure compendiate in un unico motivo di ricorso, così articolato: “Eccesso di potere per travisamento e omessa valutazione dei fatti, oltre che irragionevolezza manifesta; motivazione manifestamente errata”. Più specificamente, la ricorrente si doleva della circostanza che il Comitato di Verifica non avesse valutato i precedenti danni subiti dal -OMISSIS- all’apparato uditivo e già riconosciuti imputabili a causa di servizio; che il medesimo organo non avesse considerato se tali pregresse patologie potessero configurare quei traumi uditivi o aver occasionato quell’uso di sostanze tossiche otolesive indicati dal Comitato come probabili cause dell’ipoacusia; della contraddittorietà nell’avere il Comitato individuato, quale causa residuale della patologia, l’indebolimento dell’udito dovuto all’avanzare dell’età, quando il -OMISSIS- decedeva a soli 33 anni; della mancata valutazione delle concrete modalità di espletamento delle mansioni lavorative.
Con il medesimo atto introduttivo, la ricorrente chiedeva altresì l’accertamento e la dichiarazione della dipendenza da causa di servizio della suddetta patologia occorsa al -OMISSIS-, con accertamento e dichiarazione, in capo alla vedova ed erede Sig.ra -OMISSIS-, del diritto all’equo indennizzo.
Si costituiva in giudizio il Ministero delle Finanze, con memoria depositata il 24/6/2013 dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, chiedendo la reiezione del ricorso.
DIRITTO
Ritenuto che il provvedimento del 18/2/2013 e il parere negativo del Comitato di Controllo presentino, in sede di ricostruzione delle cause dell’ipoacusia, da un lato la totale assenza di valutazione di elementi di obiettiva rilevanza nell’odierna vicenda, dall’altro la valorizzazione di elementi inconferenti relativamente alla fattispecie di causa e, rispetto alle circostanze del caso concreto, contraddittori ed illogici;
Considerato infatti che:
- non si fa alcun riferimento alle pregresse patologie dipendenti da causa di servizio che pure avevano interessato l’apparato uditivo del -OMISSIS-, rispetto alle quali nulla si afferma in ordine alla sussistenza, né all’esclusione, di un eventuale legame di tipo eziologico con l’ipoacusia da ultimo lamentata dall’Appuntato successivamente deceduto, irragionevolmente omettendo ogni valutazione in ordine a tali precedenti;
- nell’individuare, quali probabili cause dell’ipoacusia, i traumi acustici e l’uso di particolari medicamenti, non si dà conto in alcun modo dei rapporti di tali elementi con le preesistenti infermità e con i farmaci eventualmente assunti dal -OMISSIS- in occasione delle stesse;
- tra le probabili cause di ipoacusia, il parere reso dal Comitato di Valutazione indica, quale ipotesi residuale da ritenersi operante in difetto di traumi e di uso di sostanze otolesive, l’involuzione naturale dell’udito dovuta al progredire dell’età, ciò con riferimento a un soggetto, --OMISSIS-che è sfortunatamente deceduto all’età di soli 33 anni;
- dalla disamina dell’atto adottato dal Comitato di Verifica, si evince come proprio all’avanzare dell’età dovrebbe probabilmente imputarsi l’ipoacusia del -OMISSIS- (che ha perso la vita, si ribadisce, alla giovane età di 33 anni), posto che tale eziologia residuale opererebbe, a parere del Comitato, ogni volta in cui non sussistano traumi cranici, traumi acustici o uso di sostanze otolesive e, nel caso del defunto coniuge della ricorrente: “dagli atti non risulta che durante (il servizio n.d.r.) si sia verificato alcuno degli eventi patogenici sopra indicati”;
Ritenuto che i gravi profili di vizio del provvedimento impugnato, come sopra individuati, configurino quella manifesta illogicità, carenza di motivazione, travisamento dei fatti e omessa valutazione di circostanze rilevanti che rendono illegittimo il provvedimento per eccesso di potere e violazione di legge in relazione all’art. 3 L. 241/1990, e consentono altresì al giudice amministrativo di disporre l’annullamento dell’atto della p.a. pur in presenza di una fattispecie caratterizzata da discrezionalità tecnica, quale è il potere attribuito al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio ai sensi del D. Lgs. 461/2001: “Gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio costituiscono espressione della cosiddetta discrezionalità tecnica riconosciuta al comitato di verifica per le cause di servizio - che assume le proprie determinazioni in base a cognizioni di scienza medica e specialistica - il che comporta che il sindacato giurisdizionale su tali decisioni deve considerarsi ammesso esclusivamente nelle ipotesi di vizi logici della motivazione che evidenzino un'inattendibilità metodologica o nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza, di palese travisamento dei fatti, di omessa considerazione delle circostanze di fatto, tali da poter incidere sulla valutazione finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito” (TAR Parma – Sez. I, 16/10/2017 n. 640; conf: TAR Napoli, Sez. VI, 28/11/2017 n. 5629; Consiglio di Stato, Sez. VI, 8/3/2017 n. 1106);
Ritenuto pertanto di annullare gli atti impugnati con il ricorso introduttivo della presente causa, nei limiti e per le ragioni sopra esposte;
Considerato che, in sede di riedizione del potere valutativo a seguito del disposto annullamento, l’amministrazione procedente disporrà comunque di ampi margini di discrezionalità tecnica;
Ritenuto che, per quanto precede, la proposta domanda di accertamento sia conseguentemente da dichiararsi inammissibile ai sensi dell’art. 34 comma 2 del Codice del Processo Amministrativo;
Ritenuto altresì, ai sensi del combinato disposto dell’art. 26 del Codice del Processo Amministrativo e 96 c.p.c., di porre le spese di giudizio a carico dell’amministrazione resistente, quantificando le stesse, in ragione della soccombenza parziale, in €. 3.000,00 (Tremila/00) oltre accessori di legge, cui dovranno sommarsi gli importi corrisposti dalla ricorrente a titolo di contributo unificato;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, e in parte lo dichiara inammissibile, nei sensi e per le ragioni di cui in motivazione.
Condanna la parte resistente a rifondere alla ricorrente le spese di lite, che vengono quantificate in €. 3.000,00 (Tremila/00) oltre accessori di legge, nonché alla restituzione delle somme pagate a titolo di contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Katiuscia Papi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Katiuscia Papi Eleonora Di Santo
Pubblicato il 12/04/2018
N. 00632/2018 REG.PROV.COLL.
N. 01013/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1013 del 2013, proposto da --OMISSIS-in proprio e nella qualità di vedova ed erede di --OMISSIS-rappresentata e difesa dall'avvocato Danilo Lorenzo, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 47°Reggimento Fanteria,4;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, presso i cui uffici in Lecce, via F.Rubichi, sono per legge domiciliati;
per l'annullamento
della Determinazione Dirigenziale n. 756 del Comando Generale della Guardia di Finanza datata 18.2.2013, notificata il 27.3.2013, con cui è stata negata la dipendenza da causa di servizio delle patologie denunciate dal dante causa -OMISSIS-- nonché del parere emesso dal C.V.C.S. nell'adunanza n. 48/2012 e di tutti gli atti agli stessi preordinati, connessi e/o consequenziali, nonché per la declaratoria del diritto al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze e del Comando Generale della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 marzo 2018 la dott.ssa Katiuscia Papi e uditi per le parti i difensori avv. D. Lorenzo per la ricorrente e avv. dello Stato S. Libertini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 22/5/2013 la Sig.ra --OMISSIS-in proprio e in qualità di vedova e successore del Sig. --OMISSIS-deceduto il 13/7/2001, chiedeva l’annullamento del provvedimento n. 756 adottato dal Comitato Generale della Guardia di Finanza in data 18/2/2013, con il quale veniva negata la dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia riscontrata al -OMISSIS-, e del conforme parere emesso dal Comitato di Verifica per le Cause di Servizio in data 13/2/2012, nell’adunanza n. 48/2012.
I provvedimenti impugnati venivano adottati in seguito a domanda, proposta dal defunto marito della ricorrente --OMISSIS-in data 6/10/1999, volta al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia ad esso diagnosticata.
In particolare, l’Appuntato Scelto della Guardia di Finanza --OMISSIS-in capo al quale era stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio di diverse patologie che interessavano l’apparato uditivo (otite acuta bilaterale e otosalpingite sinistra recidivante), in data 6/10/1999, presentava, presso il Comando 17^ Legione della Guardia di Finanza - Sezione Operativa Navale di Otranto, domanda per accertamento della dipendenza da causa di servizio della seguente ulteriore patologia, riscontratagli all’Ospedale Militare di Bari: “Ipoacusia bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB”. La richiesta veniva motivata adducendo l’efficienza causale, nello sviluppo dell’ipoacusia, delle caratteristiche tipiche delle mansioni di nocchiere, alle quali il richiedente era adibito, con particolare riferimento all’esposizione alle intemperie nonché a forti e continui rumori.
In seguito alla domanda del 6/10/1999, la Commissione medica ospedaliera straordinaria presso il Centro Ospedaliero Militare di Taranto, con verbale del 22/6/2011, certificava la sussistenza, in capo al -OMISSIS-, che nel frattempo era deceduto in seguito a un sinistro stradale, di “ipoacusia neurosensoriale bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB”.
Successivamente, il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con delibera adottata in data 13/2/2012, nell’adunanza n. 48/2012, affermava che “l’infermità Ipoacusia neurosensoriale bilaterale e simmetrica con perdita di 50 dB non può riconoscersi dipendente da fatti di servizio, trattandosi di riduzione dell’udito per interessamento dell’organo del Corti, riscontrabile, per lo più, come conseguenza di traumi cranici, di traumi acustici (spesso bilaterali), di assunzione di sostanze tossiche otolesive (particolari medicamenti) e, in assenza di essi, da attribuirsi a involuzione naturale dovuta al progredire dell’età, per cui, la menomazione in questione non può ricollegarsi al servizio, neppure sotto il profilo concausale efficiente e determinante, in quanto dagli atti non risulta che durante il medesimo si sia verificato alcuno degli eventi patogenetici sopra indicati. Quanto sopra dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, tutti gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente e tutti i precedenti di servizio risultanti dagli atti”.
Sulla base del parere vincolante emesso dal Comitato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Comando Generale della Guardia di Finanza – VI Reparto – Affari giuridici e legislativi – Ufficio Trattamento economico personale in quiescenza, adottava, in data 18/2/2013, Provvedimento n. 92165, con il quale si determinava l’esclusione della dipendenza da causa di servizio dell’ipoacusia accertata in capo al -OMISSIS-.
Con il ricorso proposto dalla vedova ed erede del de cuius --OMISSIS-venivano mosse, nei confronti dei provvedimenti impugnati, censure compendiate in un unico motivo di ricorso, così articolato: “Eccesso di potere per travisamento e omessa valutazione dei fatti, oltre che irragionevolezza manifesta; motivazione manifestamente errata”. Più specificamente, la ricorrente si doleva della circostanza che il Comitato di Verifica non avesse valutato i precedenti danni subiti dal -OMISSIS- all’apparato uditivo e già riconosciuti imputabili a causa di servizio; che il medesimo organo non avesse considerato se tali pregresse patologie potessero configurare quei traumi uditivi o aver occasionato quell’uso di sostanze tossiche otolesive indicati dal Comitato come probabili cause dell’ipoacusia; della contraddittorietà nell’avere il Comitato individuato, quale causa residuale della patologia, l’indebolimento dell’udito dovuto all’avanzare dell’età, quando il -OMISSIS- decedeva a soli 33 anni; della mancata valutazione delle concrete modalità di espletamento delle mansioni lavorative.
Con il medesimo atto introduttivo, la ricorrente chiedeva altresì l’accertamento e la dichiarazione della dipendenza da causa di servizio della suddetta patologia occorsa al -OMISSIS-, con accertamento e dichiarazione, in capo alla vedova ed erede Sig.ra -OMISSIS-, del diritto all’equo indennizzo.
Si costituiva in giudizio il Ministero delle Finanze, con memoria depositata il 24/6/2013 dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce, chiedendo la reiezione del ricorso.
DIRITTO
Ritenuto che il provvedimento del 18/2/2013 e il parere negativo del Comitato di Controllo presentino, in sede di ricostruzione delle cause dell’ipoacusia, da un lato la totale assenza di valutazione di elementi di obiettiva rilevanza nell’odierna vicenda, dall’altro la valorizzazione di elementi inconferenti relativamente alla fattispecie di causa e, rispetto alle circostanze del caso concreto, contraddittori ed illogici;
Considerato infatti che:
- non si fa alcun riferimento alle pregresse patologie dipendenti da causa di servizio che pure avevano interessato l’apparato uditivo del -OMISSIS-, rispetto alle quali nulla si afferma in ordine alla sussistenza, né all’esclusione, di un eventuale legame di tipo eziologico con l’ipoacusia da ultimo lamentata dall’Appuntato successivamente deceduto, irragionevolmente omettendo ogni valutazione in ordine a tali precedenti;
- nell’individuare, quali probabili cause dell’ipoacusia, i traumi acustici e l’uso di particolari medicamenti, non si dà conto in alcun modo dei rapporti di tali elementi con le preesistenti infermità e con i farmaci eventualmente assunti dal -OMISSIS- in occasione delle stesse;
- tra le probabili cause di ipoacusia, il parere reso dal Comitato di Valutazione indica, quale ipotesi residuale da ritenersi operante in difetto di traumi e di uso di sostanze otolesive, l’involuzione naturale dell’udito dovuta al progredire dell’età, ciò con riferimento a un soggetto, --OMISSIS-che è sfortunatamente deceduto all’età di soli 33 anni;
- dalla disamina dell’atto adottato dal Comitato di Verifica, si evince come proprio all’avanzare dell’età dovrebbe probabilmente imputarsi l’ipoacusia del -OMISSIS- (che ha perso la vita, si ribadisce, alla giovane età di 33 anni), posto che tale eziologia residuale opererebbe, a parere del Comitato, ogni volta in cui non sussistano traumi cranici, traumi acustici o uso di sostanze otolesive e, nel caso del defunto coniuge della ricorrente: “dagli atti non risulta che durante (il servizio n.d.r.) si sia verificato alcuno degli eventi patogenici sopra indicati”;
Ritenuto che i gravi profili di vizio del provvedimento impugnato, come sopra individuati, configurino quella manifesta illogicità, carenza di motivazione, travisamento dei fatti e omessa valutazione di circostanze rilevanti che rendono illegittimo il provvedimento per eccesso di potere e violazione di legge in relazione all’art. 3 L. 241/1990, e consentono altresì al giudice amministrativo di disporre l’annullamento dell’atto della p.a. pur in presenza di una fattispecie caratterizzata da discrezionalità tecnica, quale è il potere attribuito al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio ai sensi del D. Lgs. 461/2001: “Gli accertamenti sulla dipendenza da causa di servizio costituiscono espressione della cosiddetta discrezionalità tecnica riconosciuta al comitato di verifica per le cause di servizio - che assume le proprie determinazioni in base a cognizioni di scienza medica e specialistica - il che comporta che il sindacato giurisdizionale su tali decisioni deve considerarsi ammesso esclusivamente nelle ipotesi di vizi logici della motivazione che evidenzino un'inattendibilità metodologica o nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza, di palese travisamento dei fatti, di omessa considerazione delle circostanze di fatto, tali da poter incidere sulla valutazione finale, nonché di non correttezza dei criteri tecnici e del procedimento seguito” (TAR Parma – Sez. I, 16/10/2017 n. 640; conf: TAR Napoli, Sez. VI, 28/11/2017 n. 5629; Consiglio di Stato, Sez. VI, 8/3/2017 n. 1106);
Ritenuto pertanto di annullare gli atti impugnati con il ricorso introduttivo della presente causa, nei limiti e per le ragioni sopra esposte;
Considerato che, in sede di riedizione del potere valutativo a seguito del disposto annullamento, l’amministrazione procedente disporrà comunque di ampi margini di discrezionalità tecnica;
Ritenuto che, per quanto precede, la proposta domanda di accertamento sia conseguentemente da dichiararsi inammissibile ai sensi dell’art. 34 comma 2 del Codice del Processo Amministrativo;
Ritenuto altresì, ai sensi del combinato disposto dell’art. 26 del Codice del Processo Amministrativo e 96 c.p.c., di porre le spese di giudizio a carico dell’amministrazione resistente, quantificando le stesse, in ragione della soccombenza parziale, in €. 3.000,00 (Tremila/00) oltre accessori di legge, cui dovranno sommarsi gli importi corrisposti dalla ricorrente a titolo di contributo unificato;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati, e in parte lo dichiara inammissibile, nei sensi e per le ragioni di cui in motivazione.
Condanna la parte resistente a rifondere alla ricorrente le spese di lite, che vengono quantificate in €. 3.000,00 (Tremila/00) oltre accessori di legge, nonché alla restituzione delle somme pagate a titolo di contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 28 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Katiuscia Papi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Katiuscia Papi Eleonora Di Santo
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Re: EQUO INDENNIZZO
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COLPO DI STATO:
Pubblicato il 14/06/2018
N. 03670/2018REG.PROV.COLL.
N. 05677/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5677 del 2017, proposto dal Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la signora Sabrina Belli, rappresentata e difesa dall'avvocato Giampiero Chiodo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Giorgio in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 59;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 00734/2017, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione di equo indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora Sabrina Belli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2018 il Consigliere Carlo Schilardi e udito per il Ministero appellante l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sig.ra Sabrina Belli, vedova dell'assistente capo sig. Stefano Deon, deceduto a seguito di un incidente stradale in data 23 luglio 2008, presentava istanza al Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e la conseguente concessione di equo indennizzo per la morte del proprio coniuge.
Il comitato di verifica per le cause di servizio, con parere n. 19580 del 20.10.2010, non riconosceva la causa di servizio ed in conformità l'Amministrazione adottava il d.m. n. 3771/11/N in data 28.6.2011, notificato alla sig.ra Belli in data 30.8.2011, con cui veniva respinta la richiesta di riconoscimento dell'equo indennizzo, provvedimento che non veniva impugnato né da lei né dagli altri eredi del sig. Stefano Deon.
La sig.ra Belli presentava ulteriore domanda all'I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) per la concessione della pensione privilegiata di reversibilità, a seguito del cui respingimento Ella, unitamente alla figlia minore, ricorreva alla Corte dei Conti per la Lombardia che lo rigettava con sentenza n. 322 del 21.6.2012.
Avverso la sentenza la sig.ra Belli proponeva appello e la Corte dei Conti - Sezione prima giurisdizionale centrale, con sentenza n. 91 del 30.1.2015, accoglieva il gravame e rinviava la causa al primo giudice per l'ulteriore esame nel merito.
1.2 La Corte dei Conti per la Lombardia, con sentenza n. 122 del 24.6.2015 accoglieva l'appello e riconosceva alla sig.ra Belli il diritto alla corresponsione della pensione privilegiata di reversibilità di 1^ categoria.
Il Ministero dell'Interno, a seguito di diffida inviata dalla sig.ra Belli a concludere il procedimento concernente il conferimento dell'equo indennizzo, con nota del 27.4.2016 n. 333-H/0173965, replicava che la pratica doveva intendersi conclusa con il d.m. n. 3771/11/n del 28.6.2011.
1.3 Ulteriormente la sig.ra Sabrina Belli con nota del 29.9.2016, considerato che la Corte dei Conti con la sentenza n. 122/2015 aveva riconosciuto dipendente da causa di servizio il decesso del coniuge sig. Stefano Deon, chiedeva al Ministero dell'Interno di revocare il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo.
L'Amministrazione, con nota del 28.10.2016 n. 333H/0173965 ribadiva, tuttavia, che non riteneva di poter adottare alcun altro provvedimento.
La sig.ra Sabrina Belli, quindi, con ricorso del 22.12.2016, impugnava innanzi il T.A.R. per la Lombardia il provvedimento dell'Amministrazione n. 333H/0173965 del 28.10.2016, sostenendo che l'accertamento della causa di servizio nella sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 aveva valore vincolante, lamentando la violazione dell'art. 12 del D.P.R. n. 461/2001 e dell'art. 97 della Costituzione.
1.4 Il T.A.R. con sentenza n. 734 del 29 marzo 2017 ha accolto il ricorso nel presupposto che ... la sentenza della Corte dei Conti che accertava la dipendenza da causa di servizio della patologia del signor Stefano Deon costituisce titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo e pur riconoscendo l'autonomia funzionale della procedura per l'attribuzione dell'equo indennizzo, rispetto a quella concessiva del trattamento pensionistico privilegiato … i due istituti hanno a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente.
Il T.A.R. ha ritenuto, inoltre, che la ricorrente, una volta respinta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l’istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità causa del decesso del proprio marito, non aveva l'onere, come ritenuto dall'Amministrazione, della previa doppia impugnativa - dinanzi al giudice amministrativo e dinanzi al giudice contabile – dell’unico decreto di rigetto, ai fini dell’accertamento dell’unica questione relativa alla dipendenza da causa di servizio della ripetuta infermità.
1.5 Avverso la sentenza il Ministero dell'Interno ha proposto appello.
Si è costituita in giudizio la sig.ra Sabrina Belli che ha chiesto di rigettare l'appello.
All'udienza pubblica del 24 maggio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
2. Con unico articolato motivo il Ministero dell'Interno censura la sentenza del T.A.R. per non aver rilevato la tardività ed inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio ed aver altresì violato le regole relative al riparto di giurisdizione TAR - Conte dei Conti in materia.
L'appello è fondato e va accolto.
La sig.ra Sabrina Belli con istanza del 29.9.2016, considerato che la Corte dei Conti con la sentenza n. 122/2015 aveva riconosciuto dipendente da causa di servizio il decesso del coniuge sig. Stefano Deon, chiedeva al Ministero dell'Interno di revocare il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo precedentemente emesso.
L'Amministrazione, con nota del 28.10.2016 n. 333H/0173965 ribadiva, tuttavia, che non riteneva di poter adottare alcun altro provvedimento ai fini del riconoscimento dell'equo indennizzo in quanto la pratica relativa all'infermità letale risulta definita con l'emissione del d.m. n. 3771/11/N del 28.6.2011 non impugnato nei modi e nei termini previsti dalla normativa vigente … e che la sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 le aveva riconosciuto esclusivamente il diritto a percepire la pensione privilegiata ordinaria.
2.2. Orbene, res melius perpensa il Collegio deve dissentire da quanto ritenuto dal T.A.R. nella sentenza impugnata e cioè che il procedimento per l'attribuzione dell'equo indennizzo e quello per la concessione del trattamento pensionistico privilegiato, pur avendo autonomia funzionale, avrebbero a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico.
I due istituti (pensione privilegiata ed equo indennizzo) sono ancorati, invero, a situazioni giuridiche fondate su distinti presupposti e regolati da separate norme e alla anzidetta diversità dell'oggetto della verifica corrisponde una diversità di disciplina; è conseguentemente possibile, in sede di liquidazione dell’equo indennizzo, susseguente a reclamata dipendenza dell'infermità da causa di servizio, che sussistano provvedimenti contrastanti.
2.3. Ai fini della concessione dell'equo indennizzo non assume alcuna rilevanza, infatti, il riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio ad opera della Corte dei conti nel giudizio volto alla liquidazione della pensione privilegiata, stante l'autonomia tra i due procedimenti. Tanto in considerazione del fatto che, ai fini della pensione privilegiata l'esame viene portato sul nesso tra l'evento e l'infermità che ne è derivata e di cui bisogna accertare la gravità, mentre nel caso dell'equo indennizzo la verifica ha come oggetto il rapporto tra l'infermità stessa e la menomazione che ne è derivata e per la quale viene chiesto l'indennizzo (Consiglio di Stato, sez. IV, 18/12/2006, n. 7618).
Mentre i giudizi riguardanti l'equo indennizzo investono questioni relative al trattamento economico spettante al lavoratore o iure successionis ai suoi eredi nell'ambito del rapporto di impiego (da far valere dinanzi al giudice ordinario o al giudice amministrativo a seconda della natura dell'ente pubblico datore di lavoro e del rapporto di lavoro medesimo), diversamente nelle controversie in materia di pensione privilegiata (devolute alla Corte dei conti) si discute del, riconoscimento della titolarità del diritto alla pensione privilegiata o all'assegno accessorio, in favore di soggetti il cui trattamento pensionistico sia a totale carico dello Stato.
Come sostenuto dall'appellante Ministero, la pensione privilegiata ordinaria e l'equo indennizzo sono, pertanto, benefici autonomi sia per la procedura che per la giurisdizione e va preso atto che la sig.ra Belli non ha impugnato davanti al Giudice amministrativo, nei termini previsti il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo (D.M. n. 3771/11/N del 28.6.2011, notificato il 30.8.2011).
2.4. Di conseguenza la nuova istanza avanzata dalla vedova dell'assistente capo Stefano Deon in data 29 settembre 2016, intesa ad ottenere la revoca del provvedimento negativo emesso sulla richiesta di concessione dell'equo indennizzo, sulla base della sentenza n. 122/2015 del 26.6.2015 della Corte dei Conti per la Lombardia che ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio di detto evento letale, è da ritenersi irricevibile per tardività del ricorso introduttivo del giudizio e ciò perchè tale istanza era stata respinta con provvedimento n. 333H/0173965 del 28.10.2016, notificato in data 9.11.2016, del Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane.
L'impugnazione andava, infatti, proposta nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di provvedimento autoritativo e non paritetico, per cui la posizione soggettiva del pubblico dipendente che aspiri al beneficio indennitario è di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. Né la sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 ha valore di giudicato esterno vincolante ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo, sentenza non suscettibile, peraltro, di valutazione, essendo già stata perfezionata con provvedimento formale l'istanza di equo indennizzo.
2.5. Conclusivamente l'appello va accolto essendo il ricorso in primo grado manifestamente irricevibile a fronte di un provvedimento negatorio delle richieste di concessione dell'equo indennizzo divenuto inoppugnabile.
3. Attesa la complessità interpretative propria della materia, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso avanzato in primo grado dalla signora Sabrina Belli.
Spese dei due gradi di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Schilardi Antonino Anastasi
Pubblicato il 14/06/2018
N. 03670/2018REG.PROV.COLL.
N. 05677/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5677 del 2017, proposto dal Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
la signora Sabrina Belli, rappresentata e difesa dall'avvocato Giampiero Chiodo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Giorgio in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 59;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE III n. 00734/2017, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione di equo indennizzo per infermità dipendente da causa di servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della signora Sabrina Belli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 maggio 2018 il Consigliere Carlo Schilardi e udito per il Ministero appellante l’avvocato dello Stato Giulio Bacosi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La sig.ra Sabrina Belli, vedova dell'assistente capo sig. Stefano Deon, deceduto a seguito di un incidente stradale in data 23 luglio 2008, presentava istanza al Ministero dell'Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e la conseguente concessione di equo indennizzo per la morte del proprio coniuge.
Il comitato di verifica per le cause di servizio, con parere n. 19580 del 20.10.2010, non riconosceva la causa di servizio ed in conformità l'Amministrazione adottava il d.m. n. 3771/11/N in data 28.6.2011, notificato alla sig.ra Belli in data 30.8.2011, con cui veniva respinta la richiesta di riconoscimento dell'equo indennizzo, provvedimento che non veniva impugnato né da lei né dagli altri eredi del sig. Stefano Deon.
La sig.ra Belli presentava ulteriore domanda all'I.N.P.D.A.P. (ora I.N.P.S.) per la concessione della pensione privilegiata di reversibilità, a seguito del cui respingimento Ella, unitamente alla figlia minore, ricorreva alla Corte dei Conti per la Lombardia che lo rigettava con sentenza n. 322 del 21.6.2012.
Avverso la sentenza la sig.ra Belli proponeva appello e la Corte dei Conti - Sezione prima giurisdizionale centrale, con sentenza n. 91 del 30.1.2015, accoglieva il gravame e rinviava la causa al primo giudice per l'ulteriore esame nel merito.
1.2 La Corte dei Conti per la Lombardia, con sentenza n. 122 del 24.6.2015 accoglieva l'appello e riconosceva alla sig.ra Belli il diritto alla corresponsione della pensione privilegiata di reversibilità di 1^ categoria.
Il Ministero dell'Interno, a seguito di diffida inviata dalla sig.ra Belli a concludere il procedimento concernente il conferimento dell'equo indennizzo, con nota del 27.4.2016 n. 333-H/0173965, replicava che la pratica doveva intendersi conclusa con il d.m. n. 3771/11/n del 28.6.2011.
1.3 Ulteriormente la sig.ra Sabrina Belli con nota del 29.9.2016, considerato che la Corte dei Conti con la sentenza n. 122/2015 aveva riconosciuto dipendente da causa di servizio il decesso del coniuge sig. Stefano Deon, chiedeva al Ministero dell'Interno di revocare il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo.
L'Amministrazione, con nota del 28.10.2016 n. 333H/0173965 ribadiva, tuttavia, che non riteneva di poter adottare alcun altro provvedimento.
La sig.ra Sabrina Belli, quindi, con ricorso del 22.12.2016, impugnava innanzi il T.A.R. per la Lombardia il provvedimento dell'Amministrazione n. 333H/0173965 del 28.10.2016, sostenendo che l'accertamento della causa di servizio nella sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 aveva valore vincolante, lamentando la violazione dell'art. 12 del D.P.R. n. 461/2001 e dell'art. 97 della Costituzione.
1.4 Il T.A.R. con sentenza n. 734 del 29 marzo 2017 ha accolto il ricorso nel presupposto che ... la sentenza della Corte dei Conti che accertava la dipendenza da causa di servizio della patologia del signor Stefano Deon costituisce titolo giuridico idoneo anche al riconoscimento dell’ equo indennizzo e pur riconoscendo l'autonomia funzionale della procedura per l'attribuzione dell'equo indennizzo, rispetto a quella concessiva del trattamento pensionistico privilegiato … i due istituti hanno a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico ed alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l'infermità del dipendente.
Il T.A.R. ha ritenuto, inoltre, che la ricorrente, una volta respinta con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l’istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità causa del decesso del proprio marito, non aveva l'onere, come ritenuto dall'Amministrazione, della previa doppia impugnativa - dinanzi al giudice amministrativo e dinanzi al giudice contabile – dell’unico decreto di rigetto, ai fini dell’accertamento dell’unica questione relativa alla dipendenza da causa di servizio della ripetuta infermità.
1.5 Avverso la sentenza il Ministero dell'Interno ha proposto appello.
Si è costituita in giudizio la sig.ra Sabrina Belli che ha chiesto di rigettare l'appello.
All'udienza pubblica del 24 maggio 2018 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
2. Con unico articolato motivo il Ministero dell'Interno censura la sentenza del T.A.R. per non aver rilevato la tardività ed inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio ed aver altresì violato le regole relative al riparto di giurisdizione TAR - Conte dei Conti in materia.
L'appello è fondato e va accolto.
La sig.ra Sabrina Belli con istanza del 29.9.2016, considerato che la Corte dei Conti con la sentenza n. 122/2015 aveva riconosciuto dipendente da causa di servizio il decesso del coniuge sig. Stefano Deon, chiedeva al Ministero dell'Interno di revocare il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo precedentemente emesso.
L'Amministrazione, con nota del 28.10.2016 n. 333H/0173965 ribadiva, tuttavia, che non riteneva di poter adottare alcun altro provvedimento ai fini del riconoscimento dell'equo indennizzo in quanto la pratica relativa all'infermità letale risulta definita con l'emissione del d.m. n. 3771/11/N del 28.6.2011 non impugnato nei modi e nei termini previsti dalla normativa vigente … e che la sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 le aveva riconosciuto esclusivamente il diritto a percepire la pensione privilegiata ordinaria.
2.2. Orbene, res melius perpensa il Collegio deve dissentire da quanto ritenuto dal T.A.R. nella sentenza impugnata e cioè che il procedimento per l'attribuzione dell'equo indennizzo e quello per la concessione del trattamento pensionistico privilegiato, pur avendo autonomia funzionale, avrebbero a presupposto l'unicità dell'accertamento, relativo al medesimo fatto patogenetico.
I due istituti (pensione privilegiata ed equo indennizzo) sono ancorati, invero, a situazioni giuridiche fondate su distinti presupposti e regolati da separate norme e alla anzidetta diversità dell'oggetto della verifica corrisponde una diversità di disciplina; è conseguentemente possibile, in sede di liquidazione dell’equo indennizzo, susseguente a reclamata dipendenza dell'infermità da causa di servizio, che sussistano provvedimenti contrastanti.
2.3. Ai fini della concessione dell'equo indennizzo non assume alcuna rilevanza, infatti, il riconoscimento della dipendenza di infermità da causa di servizio ad opera della Corte dei conti nel giudizio volto alla liquidazione della pensione privilegiata, stante l'autonomia tra i due procedimenti. Tanto in considerazione del fatto che, ai fini della pensione privilegiata l'esame viene portato sul nesso tra l'evento e l'infermità che ne è derivata e di cui bisogna accertare la gravità, mentre nel caso dell'equo indennizzo la verifica ha come oggetto il rapporto tra l'infermità stessa e la menomazione che ne è derivata e per la quale viene chiesto l'indennizzo (Consiglio di Stato, sez. IV, 18/12/2006, n. 7618).
Mentre i giudizi riguardanti l'equo indennizzo investono questioni relative al trattamento economico spettante al lavoratore o iure successionis ai suoi eredi nell'ambito del rapporto di impiego (da far valere dinanzi al giudice ordinario o al giudice amministrativo a seconda della natura dell'ente pubblico datore di lavoro e del rapporto di lavoro medesimo), diversamente nelle controversie in materia di pensione privilegiata (devolute alla Corte dei conti) si discute del, riconoscimento della titolarità del diritto alla pensione privilegiata o all'assegno accessorio, in favore di soggetti il cui trattamento pensionistico sia a totale carico dello Stato.
Come sostenuto dall'appellante Ministero, la pensione privilegiata ordinaria e l'equo indennizzo sono, pertanto, benefici autonomi sia per la procedura che per la giurisdizione e va preso atto che la sig.ra Belli non ha impugnato davanti al Giudice amministrativo, nei termini previsti il provvedimento di diniego dell'equo indennizzo (D.M. n. 3771/11/N del 28.6.2011, notificato il 30.8.2011).
2.4. Di conseguenza la nuova istanza avanzata dalla vedova dell'assistente capo Stefano Deon in data 29 settembre 2016, intesa ad ottenere la revoca del provvedimento negativo emesso sulla richiesta di concessione dell'equo indennizzo, sulla base della sentenza n. 122/2015 del 26.6.2015 della Corte dei Conti per la Lombardia che ha riconosciuto la dipendenza da causa di servizio di detto evento letale, è da ritenersi irricevibile per tardività del ricorso introduttivo del giudizio e ciò perchè tale istanza era stata respinta con provvedimento n. 333H/0173965 del 28.10.2016, notificato in data 9.11.2016, del Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane.
L'impugnazione andava, infatti, proposta nel termine decadenziale di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento impugnato, trattandosi di provvedimento autoritativo e non paritetico, per cui la posizione soggettiva del pubblico dipendente che aspiri al beneficio indennitario è di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. Né la sentenza della Corte dei Conti n. 122/2015 ha valore di giudicato esterno vincolante ai fini del riconoscimento del diritto all'equo indennizzo, sentenza non suscettibile, peraltro, di valutazione, essendo già stata perfezionata con provvedimento formale l'istanza di equo indennizzo.
2.5. Conclusivamente l'appello va accolto essendo il ricorso in primo grado manifestamente irricevibile a fronte di un provvedimento negatorio delle richieste di concessione dell'equo indennizzo divenuto inoppugnabile.
3. Attesa la complessità interpretative propria della materia, ricorrono giusti motivi per compensare tra le parti le spese dei due gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata respinge il ricorso avanzato in primo grado dalla signora Sabrina Belli.
Spese dei due gradi di giudizio compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Schilardi Antonino Anastasi
Re: EQUO INDENNIZZO
Il CdS respinge l'Appello del ricorrente.
- diniego di concessione di equo indennizzo
- in sentenza viene richiamato quanto sancito dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria con la sent. n. 1/2018 (Cons. Stato, ad. plen. 23 febbraio 2018 n. 1).
1) - L’appellante, -OMISSIS- all’epoca dei fatti, era rimasto vittima di incidente stradale su veicolo di servizio guidato da collega. All’esito di giudizio civile per il risarcimento del danno, in cui l’interessato aveva convenuto il suddetto collega, il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa e la società Le Assicurazioni d’Italia, egli aveva ottenuto “l’erogazione da parte della Compagnia del massimale di polizza pari a £ -OMISSIS-”, nonché “la condanna dei responsabili in solido al pagamento della somma di £ -OMISSIS-, oltre interessi e spese legali”.
Il CdS precisa:
2) - Non può accedersi alla tesi dell’appellante per cui nella fattispecie i soggetti obbligati e i rapporti che vengono in rilievo sarebbero due ben distinti, in quanto: l’assicurazione in base alla quale egli aveva percepito la somma di £ -OMISSIS- era a carico dell’Amministrazione e la presenza dell’appellante sul veicolo incidentato era direttamente connessa al rapporto di servizio con la stessa Amministrazione.
- diniego di concessione di equo indennizzo
- in sentenza viene richiamato quanto sancito dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria con la sent. n. 1/2018 (Cons. Stato, ad. plen. 23 febbraio 2018 n. 1).
1) - L’appellante, -OMISSIS- all’epoca dei fatti, era rimasto vittima di incidente stradale su veicolo di servizio guidato da collega. All’esito di giudizio civile per il risarcimento del danno, in cui l’interessato aveva convenuto il suddetto collega, il Ministero dell’interno, il Ministero della difesa e la società Le Assicurazioni d’Italia, egli aveva ottenuto “l’erogazione da parte della Compagnia del massimale di polizza pari a £ -OMISSIS-”, nonché “la condanna dei responsabili in solido al pagamento della somma di £ -OMISSIS-, oltre interessi e spese legali”.
Il CdS precisa:
2) - Non può accedersi alla tesi dell’appellante per cui nella fattispecie i soggetti obbligati e i rapporti che vengono in rilievo sarebbero due ben distinti, in quanto: l’assicurazione in base alla quale egli aveva percepito la somma di £ -OMISSIS- era a carico dell’Amministrazione e la presenza dell’appellante sul veicolo incidentato era direttamente connessa al rapporto di servizio con la stessa Amministrazione.
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