Anche ai magistrati del TAR negata la causa di servizio

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Anche ai magistrati del TAR negata la causa di servizio

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Colleghi traditori :D . Era meglio andare alla Corte dei Conti :D , ma magari lo farà :D

Sentenza n.2975/2019 Consiglio di Stato

Con domanda in data 10 aprile 1999 al Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, l’appellato, magistrato amministrativo all’epoca in servizio presso la sede de L’Aquila, aveva chiesto la corresponsione dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata per infermità dipendenti da causa di servizio.

Il Giudice di prime cure ha quindi accolto il ricorso “sulla base delle risultanze emerse dalla disposta consulenza tecnica d’ufficio, che il collegio recepisce ed alla quale rinvia per i contenuti di dettaglio” e ha previsto la corresponsione al ricorrente a titolo di equo indennizzo della somma di € 9.206,14, disponendo la compensazione delle spese con addebito alle Amministrazioni resistenti (in solido) degli onorari spettanti al consulente tecnico d'ufficio.

4. L’appello è fondato.

Occorre in primo luogo rilevare che la sentenza impugnata ha accolto il ricorso “sulla base delle risultanze della disposta consulenza tecnica d’ufficio che il collegio recepisce e alla quale rinvia per i contenuti di dettaglio”.

In merito alla disposizione della consulenza va ricordato, prima di tutto, l’orientamento consolidato di questo Consiglio per cui “la possibilità di procedere ad una consulenza tecnica d’ufficio non può estendersi sino a determinare e legittimare una sostituzione del giudice alle valutazioni compiute dall'amministrazione tramite il proprio Comitato di Verifica per cui il giudice può disporla solo per verificare specifici e concreti aspetti che rimangono in dubbio e che un'ulteriore perizia sia in grado di chiarire efficacemente, nonostante il tempo trascorso”(cfr. Cons. St. Sez. III, 1 agosto 2018, n. 4774 e 29 dicembre 2017, n. 6175; Sez. VI, 13 gennaio 2004, n. 1204; sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 31).

La giurisprudenza di questo Consiglio ha chiarito che, nell'ambito del pubblico impiego, una normale attività di servizio non può essere considerata concausa dell'insorgere di un'infermità a carico del dipendente, in assenza di comprovate situazioni di particolarità ed eccezionalità, tali da far presumere che, sull'insorgenza o aggravamento dell'infermità, si siano casualmente innestati, individuati, qualificati e rilevanti elementi riconducibili al servizio (Cons. Stato sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 618). Perciò, nella nozione di concausa efficiente e determinante di servizio possono farsi rientrare soltanto fatti ed eventi eccedenti le ordinarie condizioni di lavoro, gravosi per intensità e durata, che vanno necessariamente documentati, con esclusione, quindi, delle circostanze e condizioni del tutto generiche, quali inevitabili disagi, fatiche e momenti di stress, che costituiscono fattore di rischio ordinario in relazione alla singola tipologia di prestazione lavorativa (cfr. Cons. St., sez. IV, n. 4619/2017, cit.).

E’ quindi fondata la tesi dell’Avvocatura generale dello Stato per cui con la relazione peritale, su cui la sentenza impugnata ha basato l’accoglimento del ricorso, è stata fornita solo una valutazione meramente possibilistica del nesso causale, senza che sia stato formulato un motivato giudizio di qualificata probabilità necessario per poter configurare una concausa efficiente e determinante.

Pertanto, l’appello va accolto, con conseguente rigetto del ricorso di primo grado, unitamente ai motivi aggiunti.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.


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