Ricorso pero
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Sezione LOMBARDIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 138 Pubblicazione 09/07/2018
SENT. N. 138/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Primo Referendario dott.ssa Giuseppina Veccia,
all'udienza pubblica del giorno 3 luglio 2018,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di pensione, iscritto al n. 29084 del registro di segreteria, promosso da Z. M. nato a omissis residente in omissis, omissis, rappresentato e difeso dall'avv.to Mario Bacci (pec:
mariobacci@ordineavvocatiroma.org), presso il cui studio in Roma, alla Via Luigi Capuana n. 207, è elettivamente domiciliato,
contro
- MINISTERO dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.,;
- COMANDO GENERALE della Guardia di Finanza, in persona del Comandante p.t.;
- INPS - Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, Direzione Provinciale di MILANO, in persona del Direttore legale rappresentante p.t,
per
il riconoscimento del diritto, ai fini della determinazione della base contributiva e di calcolo della pensione, all'attribuzione degli emolumenti pensionabili non conferiti durante il c.d. “blocco retributivo", ai sensi dell’art. 9, comma 1 e 21, D.L. n. 78/2010, convertito in L. n. 122/2010, a far data dal 1° gennaio 2015.
VISTI il T.U. delle leggi sulla Corte dei conti approvato con il R.D. 12 luglio 1934 nr. 1214 ed il Codice della giustizia contabile di cui al Decreto Legislativo nr. 174 del 2016, in particolare, gli articoli 151 e seguenti,
VISTO il ricorso e tutti gli altri documenti di causa,
Premesso in
FATTO
Il ricorrente, ex appartenente al Corpo della Guardia di Finanza, è stato collocato in congedo assoluto nell'arco temporale intercorrente tra il omissis e omissis, periodo in cui ha trovato applicazione il c.d. "blocco retributivo" di cui all’art. 9, comma 21 del D.L. n. 78/2010 e lamentano, pertanto, quali attuali titolari dei rispettivi trattamenti previdenziali, la mancata riliquidazione della pensione con il calcolo dei benefici economici maturati ed acquisiti prima del collocamento in quiescenza e "sospesi" nel periodo previsto dal citato art. 9, comma 21.
Tale omissione avrebbe determinato, innanzitutto, una disparità di trattamento rispetto al personale in servizio alla data del omissis, al quale, riferisce parte ricorrente, sono stati corrisposti i benefici economici maturati durante il c.d. "blocco", comportando, invece, per i ricorrenti, un’ irrazionale e definitiva decurtazione del rispettivo trattamento pensionistico.
Evocate pronunce della Corte Costituzionale - chiamata ad esprimersi sulla legittimità costituzionale della c.d. “cristallizzazione “ degli incrementi economici, rispetto alla quale la Corte ha ritenuto giustificato e legittimo l’intervento normativo a causa della notoria esigenza di contenimento della spesa pubblica solo ove tale sacrificio abbia carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario ed utile allo scopo prefisso - parte ricorrente afferma il suo diritto a vedersi riliquidare il trattamento pensionistico in ragione dei benefici economici maturati nel periodo di “sospensione” evidenziando come, diversamente operando, l’Amministrazione farebbe discendere dal “blocco delle retribuzioni” un effetto permanente in loro pregiudizio, ove, invece, il legislatore aveva previsto solo una “sospensione” e non una “eliminazione” di tali benefici .
Qualora, pertanto, non si ritenesse di addivenire in via immediata ad una siffatta interpretazione, l’istante chiede che, previa dichiarazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, per violazione di principi costituzionalmente garantiti, nella specie gli artt. 1, 3, 4, 36, 38, 53 e 97 Cost., sia comunque riconosciuto il diritto alla rideterminazione del proprio trattamento pensionistico, nei termini sopra precisati.
Con memoria del 20 aprile 2018, si è costituita la Guardia di Finanza opponendo la correttezza del proprio operato. In particolare, l’Amministrazione finanziaria ha evidenziato che il c.d. “blocco stipendiale” ha inevitabilmente prodotto effetti sul trattamento di quiescenza di coloro che, cessati dal servizio durante la sua vigenza, non hanno percepito gli emolumenti stipendiali colpiti dal blocco, i quali conseguentemente non sono entrati a far parte della base pensionabile. Con ordinanza n. 32/2018 è stato disposto il rinnovo della notifica del ricorso all’INPS all’indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro presso il Ministero della Giustizia di cui all’art.12, comma 12, del D.L. n.179/2017 o, in mancanza, mediante deposito presso la Segreteria di questa Sezione, ai sensi dell’art.12, comma 6, D.L. n.179/2017 cit, fissando la nuova udienza alla data del 3 luglio 2018, ore 12.00.
Con memoria depositata via p.e.c. in data 25 giugno 2018 si è costituito l’INPS cui il ricorso e gli atti di causa sono stati notificati da parte ricorrente secondo quanto disposto nella richiamata ordinanza n. 32/2018.
L’istituto previdenziale - eccepiti, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione di questa Corte in favore del giudice del rapporto di lavoro nonché la carenza di legittimazione passiva dell’I.N.P.S., ha argomentato circa la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese e onorari di causa.
All’odierna pubblica udienza, nessuno presente per il ricorrente, il capitano Giovanni Vannucci per la Guardia di finanza e l’avv. Giulio Peco per l’INPS, si sono riportati alle memorie depositate in atti insistendo per le rispettive conclusioni.
La causa è passata in decisione, con conseguente lettura del dispositivo e fissazione del termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.
Considerato in
DIRITTO
Il presente giudizio si fonda sulla corretta applicazione della disposizione che ha previsto il c.d. “blocco retributivo”, l’art.9, comma 21, del d.l. 78/2010 in forza del quale: “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 cosi' come previsti dall’art., 24 della l. 448/98, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale dell’art. 3 del d.lgs 165/2001 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”
In via pregiudiziale devono essere respinte le eccezioni formulate da INPS.
Come noto la giurisdizione va determinata, ai sensi dell'art. 386 c.p.c., sulla base dell'oggetto della domanda secondo il criterio del petitum sostanziale e non v’è dubbio che , nel caso di specie il sig. Z. chieda il riconoscimento di benefici economici a valere sui rispettivi trattamenti pensionistici, benchè l’omesso computo tragga origine dalla mancata erogazione, non oggetto di contestazione, dei medesimi benefici in costanza di servizio.
La domanda, così come formulata, riguarda dunque la misura della pensione di cui il ricorrente è titolare e rientra, pertanto, nella “materia di pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato” (oggi la Gestione dipendenti pubblici - ex INPDAP in seno all’INPS), che, ai sensi degli artt. 13, comma 9 e 62 comma 1 del R.D. n. 1214/1934 (T.U. delle leggi sulla Corte dei conti) consente di radicare la giurisdizione di questa Corte.
Sul punto, peraltro, appare opportuno richiamare l’ordinanza n. 18573 in data 22 settembre 2016 della Cassazione Civile, la quale, pronunciando a Sezioni Unite su regolamento di giurisdizione proposto d’ufficio da altra Sez. giurisdizionale di questa Corte, ha dichiarato la giurisdizione del giudice contabile in ordine alla domanda di un dipendente avente ad oggetto una maggiorazione contributiva, così argomentando: “L’oggetto della domanda, pertanto, riguarda un beneficio rilevante al fine della quantificazione dell’anzianità contributiva utile per la determinazione dell’an e del quantum del trattamento pensionistico. Di conseguenza, trattandosi di pensione spettante a un dipendente pubblico, tale domanda è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti, la quale ha giurisdizione esclusiva sui provvedimenti inerenti al diritto, alla misura ed alla decorrenza della pensione dei pubblici dipendenti, nonché degli altri assegni che ne costituiscono parte integrante (in termini v. Cass. Sez. Un. 19-12-2014 n. 26935 e Cass. Sez. Un. 20-10-2010 n. 21490; Cass. Sez. I n. 11-9-2009 n. 19614)”.
In tal senso, peraltro, è la consolidata giurisprudenza delle stesse Sezioni Unite della Cassazione Civile, che con la recente sentenza 9 giugno 2016 n. 11849 hanno ribadito che “la Corte dei conti giudica sui ‘ricorsi in materia di pensione, a carico totale o parziale dello Stato (R.D. n. 1214 del 1934, art. 13)’”, e che “in questo ambito la sua giurisdizione è esclusiva e ricomprende tutte le controversie funzionali alla pensione…”. Con riguardo, poi, al difetto di legittimazione passiva sollevato dall’Istituto previdenziale, anche tale eccezione risulta infondata, atteso che detto Istituto, benché mero ordinatore secondario di spesa, è, tuttavia, tenuto alla diretta erogazione del trattamento pensionistico dei ricorrenti, la corretta determinazione del quale non può non avere effetti diretti nella sua sfera patrimoniale, come, peraltro, dimostrato dall’azione di rivalsa sovente promossa dal medesimo Istituto nei confronti dell’Amministrazione ordinatrice primaria di spesa, nei giudizi pensionistici aventi ad oggetto il recupero di somme indebitamente erogate dall’istituto e dichiarate non più ripetibili.
Nel merito, il diverso tenore letterale della disposizione nelle due distinte ipotesi disciplinate al secondo ed al terzo periodo del riprodotto comma 21 consente di giungere a soluzioni differenziate anche con riguardo alla determinazione del trattamento pensionistico di dipendenti che, collocati in congedo nell’arco temporale del c.d. “blocco retributivo”, siano stati in detto periodo, privati del riconoscimento di benefici di mera natura economica, quali maturazione di classi e scatti stipendiali, (secondo periodo) ovvero per i quali le progressioni di carriera maturate abbiano avuto effetti meramente giuridici (terzo periodo) .
Mentre, infatti, in tale ultimo caso il citato comma 21 dell’art. 9 D.L. n. 78/2010 “sterilizza” gli effetti economici delle progressioni di carriera (così sent. Corte cost. n. 154/2014) che, comunque, producono effetti a fini esclusivamente giuridici e, una volta cessata la sospensione, riprendono a produrre altresì effetti economici che non possono non essere computati anche a fini pensionistici, diversa previsione riguarda i meccanismi di progressione automatica degli stipendi, vale a dire incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozione, rispetto ai quali il medesimo comma 21 prevede che “gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”.
La differente disciplina, contenuta in due distinte previsioni comporta altresì che differenti siano gli effetti nella determinazione del trattamento pensionistico.
Poiché, infatti, gli anni 2011-2014 sono stati dal legislatore esclusi dal computo degli anni “utili” alla maturazione dei benefici economici, ne deriva che per coloro i quali, come i ricorrenti, abbiano subito gli effetti del blocco retributivo, in realtà non si sono mai realizzati i presupposti (raggiungimento di un certo numero di anni di servizio) necessari per il godimento di tali benefici economici che, dunque, a nessun titolo potrebbero poi trovare ingresso nel trattamento pensionistico.
Nel caso di specie, il sig. Z., posto in quiescenza in data omissis con il grado di Omissis, ha visto esclusi dall’ultima busta paga sia la misura economica dell'assegno funzionale commisurato all'anzianità di servizio pari ad anni 32 sia il parametro correlato alla permanenza nel grado (+ 8) di Omissis.
Trattasi, dunque di incrementi stipendiali parametrali non connessi a promozione la cui mancata erogazione e - unico profilo qui di interesse - il cui mancato computo nel trattamento pensionistico non appare contrario al dettato costituzionale.
I profili di illegittimità costituzionale fatti valere da parte ricorrente hanno, infatti, già formato oggetto di esame da parte della Corte costituzionale che, in diverse pronunce, ha escluso per la norma in esame, sia pure sotto il profilo della minore retribuzione ma con principi estensibili ad ipotesi del minore trattamento pensionistico, le censure di disparità di trattamento rispetto ad altri dipendenti che avevano già raggiunto il grado superiore o maturato l’anzianità prima del 2011.
In particolare, il Giudice delle leggi ha affermato che non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità ed anzi “è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità”, naturalmente in situazioni determinate e che “in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica , a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti.” (OMISSIS OMISSIS del 2014.
Né una ingiustificata disparità di trattamento sarebbe ravvisabile rispetto a coloro che, ancora in servizio dopo il omissis, una volta cessato il c.d. “blocco retributivo” abbiano visto nuovamente decorrere, ai fini degli emolumenti in esame, l’anzianità di servizio. Essi, infatti, hanno regolarmente ricevuto, a partire dall’ omissis - dopo aver maturato, esclusi gli anni in questione, la prevista anzianità - i benefici oggi in esame, sebbene correttamente non abbiano recuperato alcunché degli emolumenti non percepiti a causa della cristallizzazione retributiva.
Del pari è stata ritenuta infondata la questione di costituzionalità per violazione degli artt.2, 3 e 53 Cost., in relazione alla presunta natura tributaria della misura in esame (per ultima, cfr. omissis)
Se, dunque, per quanto appena esposto, è da escludersi, per espressa pronuncia della Corte costituzionale, ogni censura di illegittimità del pregiudizio recato al quantum retributivo di talune fasce di dipendenti, alcuna illegittima violazione di diritti può rinvenirsi nel pregiudizio che, di riflesso viene a prodursi sul trattamento pensionistico, atteso che, ai sensi dell’art.53 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, occorre far riferimento alla base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili nella medesima norma indicati, integralmente percepiti.
Tale previsione, peraltro, è espressamente richiamata nell’art. 1866 “Base contributiva e pensionabile” di cui al Codice dell’Ordinamento militare, D.lgs. n.66/2010 che, al primo comma, prevede che “1. La pensione, nel sistema di calcolo retributivo, viene determinata sulla base dello stipendio, dell'indennità integrativa speciale e degli emolumenti retributivi espressamente definiti pensionabili dalla legge, ai sensi dell'articolo 53 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”.
Pertanto, gli emolumenti in questione, non essendo mai entrati nella base retributiva e contributiva dei ricorrenti che non ne hanno maturato i presupposti in quanto “gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti”., non possono evidentemente entrare a far parte delle corrispondenti basi pensionabili.
Nella sentenza n. omissis, avente ad oggetto proprio il sindacato di costituzionalità dell’art. 9 comma 21 d.l. 78/2010, infatti, la stessa Corte Costituzionale, richiamando un suo consolidato orientamento nella materia, ha ravvisato nel carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nell’esigenza di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione.
La Corte, in detta materia, ha negato che sia ravvisabile una lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, posto che “il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni “non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (omissis e omissis).
Per mera completezza, non attenendo tale questione al caso di specie, si evidenzia la differente valutazione delle progressioni di carriera comunque ottenute dai dipendenti, sebbene a soli fini giuridici, nel suddetto arco temporale le quali, a decorrere dal omissis, riprendono a dispiegare i loro effetti anche economici, con ricadute sia retributive che pensionistiche, secondo il disposto del terzo periodo del citato art.9, comma 21 del D.L. n.78/2010, ove si prevede per le progressioni di carriera disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 che abbiano effetto, per i predetti anni, “solo ai fini giuridici”.
Infatti, con la locuzione “per i predetti anni” il legislatore ha reso manifesta la volontà di sospendere gli effetti economici della progressione di carriera solo durante il triennio (diventato poi quadriennio a cagione della L.190/2014 che ha prorogato le misure restrittive per tutto l’anno 2014) facendoli nuovamente decorrere una volta cessato il blocco.
Continuare a non riconoscere gli effetti economici di una progressione di carriera comunque giuridicamente riconosciuta nel suddetto periodo, significherebbe determinare un effetto definitivo penalizzante in capo a taluni soggetti che comunque si sono visti attribuire la nuova qualifica, in violazione dei principi costituzionali e delle condizioni di ragionevolezza evidenziati dalla stessa Corte Costituzionale.
Per quanto sin qui esposto, dunque, dovendo farsi applicazione, nella presente fattispecie, della previsione di cui all’art.9, comma 21, secondo periodo, del D.L. n.78/2010, convertito in L. 122/2010 non può trovare accoglimento la pretesa rideterminazione dei trattamenti pensionistici dei ricorrenti a comprendere benefici economici mai entrati nelle rispettive basi pensionabili. Pertanto, il presente ricorso deve essere respinto.
Stante la particolarità della fattispecie trattata, sussistono i presupposti di legge per compensare le spese di lite.
P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra deduzione, eccezione e domanda,
RESPINGE
Il ricorso presentato da Z. M. ed iscritto al n. 29084 del registro di Segreteria.
Compensa le spese fra le parti del giudizio.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli ulteriori adempimenti.
Così deciso in Milano nella pubblica udienza del giorno 3 luglio 2018.
IL GIUDICE
Giuseppina Veccia
DEPOSITO IN SEGRETERIA IL 9/07/2018