Buongiorno a tutti, avrei tre domande:
1) in caso di procedimento penale arrivato in Cassazione e rinviato da quest'ultima in appello per il solo riconteggio della pena, da quando decorre il termine di convocazione della commissione predetta?
2) nel caso sia stato già riformato e non ci siano elementi per la destituzione, c è possibilità di prendere le somme detratte per la sospensione?
3) ricordo una sentenza di un collega che seppur condannato vince il ricorso perché la commissione fu convocata in ritardo rispetto 180 giorni. Qualcuno lo può pubblicare perché non riesco a ritrovarla?
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Termini Commissione per destituzione
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Re: Termini Commissione per destituzione
Messaggio da naturopata »
1)In base a quello che scrivi, avendo la Cassazione rimesso alla Corte di Appello, anche solo ai fini del riconteggio della pena (che non è cosa da poco), la Corte emetterà nuova sentenza (tra l'altro ulteriormente appellabile) e sole quando quest'ultima sarà definitiva e irrevocabile e da quando l'Amm.ne ne avrà piena conoscenza, o dalla notifica della cancelleria o direttamente dal condannato, decorrerà il termine per iniziare e concludere l'eventuale procedimento disciplinare;ariete74 ha scritto:Buongiorno a tutti, avrei tre domande:
1) in caso di procedimento penale arrivato in Cassazione e rinviato da quest'ultima in appello per il solo riconteggio della pena, da quando decorre il termine di convocazione della commissione predetta?
2) nel caso sia stato già riformato e non ci siano elementi per la destituzione, c è possibilità di prendere le somme detratte per la sospensione?
3) ricordo una sentenza di un collega che seppur condannato vince il ricorso perché la commissione fu convocata in ritardo rispetto 180 giorni. Qualcuno lo può pubblicare perché non riesco a ritrovarla?
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2)di regola si, tranne gli eventuali periodi di custodia cautelare;
3)al momento non t'interessa, comunque ce ne sono alcune.
Re: Termini Commissione per destituzione
Messaggio da ariete74 »
I termini non decorrono dalla data di pubblicazione della sentenza? Mi era sembrato di vedere alcuni ricorsi accolti perché appunto il termine fosse quello della pubblicazione e non quello della generica presa di conoscenzanaturopata ha scritto:1)In base a quello che scrivi, avendo la Cassazione rimesso alla Corte di Appello, anche solo ai fini del riconteggio della pena (che non è cosa da poco), la Corte emetterà nuova sentenza (tra l'altro ulteriormente appellabile) e sole quando quest'ultima sarà definitiva e irrevocabile e da quando l'Amm.ne ne avrà piena conoscenza, o dalla notifica della cancelleria o direttamente dal condannato, decorrerà il termine per iniziare e concludere l'eventuale procedimento disciplinare;ariete74 ha scritto:Buongiorno a tutti, avrei tre domande:
1) in caso di procedimento penale arrivato in Cassazione e rinviato da quest'ultima in appello per il solo riconteggio della pena, da quando decorre il termine di convocazione della commissione predetta?
2) nel caso sia stato già riformato e non ci siano elementi per la destituzione, c è possibilità di prendere le somme detratte per la sospensione?
3) ricordo una sentenza di un collega che seppur condannato vince il ricorso perché la commissione fu convocata in ritardo rispetto 180 giorni. Qualcuno lo può pubblicare perché non riesco a ritrovarla?
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2)di regola si, tranne gli eventuali periodi di custodia cautelare;
3)al momento non t'interessa, comunque ce ne sono alcune.
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Re: Termini Commissione per destituzione
Messaggio da naturopata »
Leggende metropolitane, ma poi per te non è definito proprio nulla. Leggi qui e vedi recenti precedenti:
La L. 19/1990 assoggetta l'esercizio dell'azione disciplinare di stato del personale condannato con sentenza passata in giudicato, al rispetto dei seguenti termini:
- 180 giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna, per l'inizio del procedimento disciplinare mediante la contestazione degli addebiti;
- 90 giorni dall'instaurazione del procedimento disciplinare, per la conclusione dello stesso attraverso l'emanazione del provvedimento conclusivo (tenendo presente che tale arco temporale ricomprende
anche l'eventuale fase dinanzi al Consiglio o Commissione di disciplina).
L'art. 9 della L.19/1990 prevede espressamente che il termine di 180 giorni per l'avvio del procedimento disciplinare decorra "dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna".
Ai fini del decorso di tale termine deve ritenersi insufficiente una qualunque non qualificata conoscenza della avvenuta emanazione della sentenza e della sua irrevocabilità: occorre la conoscenza ufficiale, che può ritenersi raggiunta solo attraverso una comunicazione proveniente dalla cancelleria del giudice presso cui il giudicato si è formato, oppure l'acquisizione, anche per altra via (ad es. ad opera dello stesso militare interessato), di copia della sentenza, anche per estratto del solo dispositivo.
A tale comunicazione la predetta cancelleria provvede:
- d'ufficio;
- su iniziativa dell'Amministrazione a seguito di richiesta formale (25).
(25) Non esistendo alcuna norma che sancisca il dovere di comunicazione della sentenza da parte dell'A.G. all'Amministrazione, ai fini di un pronto esercizio dell'azione disciplinare è necessario che le vicende penali in corso nei confronti del personale militare vengano attentamente e costantemente seguite presso gli uffici competenti, a cura delle autorità investite della potestà disciplinare.
Perplessità sull'applicazione del termine di 180 giorni previsto dall'art. 9 della L. 19/1990 sono sorte per l'ipotesi in cui il procedimento disciplinare di stato debba essere avviato nei confronti di un militare che abbia già perso il grado per altra causa.
Potrebbe infatti verificarsi che nei confronti di quest'ultimo, successivamente alla perdita del grado, vengano a concludersi altre vicende penali suscettibili di apprezzamento anche in sede disciplinare
per le quali, in considerazione dello stato giuridico di soldato semplice in cui l'interessato già si trova ed in mancanza quindi del requisito soggettivo, non si siano potute intraprendere azioni disciplinari.
Nel frattempo, lo stesso militare potrebbe proporre ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di rimozione, ottenerne l'annullamento e quindi pretendere di essere reintegrato nella sua posizione "ex tunc".
Orbene, il periodo intercorso tra la data di rimozione e quella dell'annullamento o revoca del provvedimento di stato potrebbe essere superiore ai 180 giorni previsti per l'inizio del procedimento disciplinare non instauratosi, a suo tempo, per mancanza del requisito soggettivo.
Pertanto, ci si chiede se debba considerarsi preclusa per l'Amministrazione la possibilità di procedere alla valutazione disciplinare di quei fatti, definitisi posteriormente alla irrogazione della perdita del grado, successivamente annullata.
Secondo l'autorevole parere del Consiglio di Stato (26), una volta che per effetto del giudicato della giurisdizione amministrativa il soggetto ipotizzato sia stato reintegrato nel suo status, dalla data di ripristino del grado decorre un nuovo termine di 180 giorni per l'avvio del procedimento disciplinare.
(26) Comm. Spec. P.I., parere n.736 del 3 giugno 1992.
In relazione al termine conclusivo, il Consiglio di Stato, con quattro diverse ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, nella parte in cui dispone che il procedimento disciplinare per la destituzione del pubblico dipendente, a seguito di condanna penale, debba concludersi entro il termine, non derogabile, di 90 giorni (27).
Il giudice delle leggi ha dichiarato non fondata la questione sulla base dei rilievi di seguito esposti (28), mettendo in evidenza come nell'impianto normativo vigente esistano due distinte scansioni temporali, che devono essere prese entrambe in considerazione.
Nel corso del primo termine (180 giorni), l'Amministrazione vaglierà le risultanze processuali che hanno portato alla condanna del dipendente e deciderà se dare inizio al procedimento disciplinare mediante la contestazione degli addebiti; seguiranno poi i successivi 90 giorni entro cui il procedimento deve concludersi.
Il più lungo termine di avvio di 180 giorni appare congruo in considerazione della maggiore delicatezza delle valutazioni disciplinari che l'Amministrazione deve operare sui fatti riscontrati in sede penale.
Il successivo termine di 90 giorni risulta idoneo a contemperare i contrapposti interessi della regolarità del contraddittorio posta a garanzia dell'incolpato mediante la previsione di termini infraprocedimentali e quello di una sollecita conclusione del procedimento.
Rimane da chiarire se il suddetto termine di 90 giorni prenda a decorrere dalla data dell'effettivo avvio del procedimento, ovvero dalla scadenza dei primi 180 giorni: in base a concordanti indicazioni di ordine logico e sistematico deve ritenersi che sia esatta la seconda soluzione.
(27) Secondo il remittente l'amministrazione non può rispettare il citato termine, dovendo dare applicazione alle norme di garanzia introdotte dal T.U. degli impiegati civili dello Stato; onde la natura perentoria del termine fa sì che debbano intendersi abrogate le precedenti norme attinenti alle diverse fasi endoprocedimentali. In questo modo, però, si vengono a ledere gli artt. 3 e 97 della Costituzione, perchè il termine ristretto impedisce una ponderata valutazione dei fatti.
(28) C. Cost., 28 maggio 1999 n. 197.
In concreto, detratti 60 giorni, non comprimibili perchè relativi a termini posti a tutela dell'impiegato, residuerebbero all'Amministrazione solo 30 giorni per dare corso all'intero procedimento.
Tale prospettiva appare poco verosimile, in considerazione dei tempi, nel complesso più ampi, che il legislatore ha stimato ragionevole assegnare per il compimento delle fasi endoprocedimentali.
Pertanto, dovendosi dare alla norma un'interpretazione che ne assicuri la coerenza con il principio di ragionevolezza e con il sistema in cui è inserita, il termine di conclusione del procedimento disciplinare ex art. 9, secondo comma, va calcolato a partire dalla scadenza virtuale del primo termine di 180 giorni; sicchè l'Amministrazione disporrà di un termine complessivo di 270 giorni a far data dalla conoscenza della decisione irrevocabile di condanna (29).
(29) Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2000 n. 5029; Cons. St., sez. IV, 26 giugno 2000 n. 3605; Cons. St., ad. plen., 25 gennaio 2000 n. 4. Si tratta, invero, di un ammirevole equilibrismo giuridico, volto nella sostanza a salvaguardare la coerenza sistematica di una norma che, in realtà, nel fissare in 90 giorni il termine per la conclusione del procedimento, non ha tenuto conto delle fasi in cui si articola al suo interno il procedimento disciplinare e dei tempi necessari per rispettarle.
Il nuovo art. 1393 c.o.m.: il venir meno della “pregiudiziale penale”
La L. 7 agosto 2015, n. 124, dapprima, e il D. Lgs. 26 aprile 2016, n. 91, poi, riformando l’art. 1393 c.o.m.36, hanno modificato anche nell’Ordinamento Militare il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
L’attuale comma 1 dell’art. 1393 c.o.m. prevede che “il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare, ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall’impiego di cui all’articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare”.
Nella sua nuova formulazione, l’art. 1393 ha introdotto come regola generale che il procedimento disciplinare che abbia a oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, sia proseguito e concluso anche in pendenza di procedimento penale.
Questa regola è inderogabile nel caso di esercizio dell'azione disciplinare per infrazioni di minor gravità estranee al rapporto di servizio e, pertanto, in tali ipotesi non sono ammessi la sospensione o il rinvio del procedimento.
Il principio conosce, invece, due rilevanti eccezioni, laddove si tratti di:
– infrazioni di maggior gravità: qualora si riscontri particolare complessità dell'accertamento o qualora, all’esito degli accertamenti preliminari, non si disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, è ammesso il rinvio del procedimento;
– atti e comportamenti compiuti dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio: questa ipotesi esclude la possibilità di avviare il procedimento disciplinare (“non è comunque promosso”) e obbliga a sospendere quello già avviato (“se già iniziato è sospeso”).
In relazione a questa seconda tipologia di condotte, la locuzione “nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio” richiede un nesso di strumentalità diretto tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto rimproverato al Militare. Sono, di conseguenza, escluse le azioni che, ancorché compiute in orario e luogo di servizio, attengono esclusivamente alla sfera individuale del soggetto perché in nessuna misura idonee a realizzare un interesse o un fine proprio dell’Amministrazione.
In altri termini, l’Autorità Militare competente deve innanzitutto accertare se la vicenda nella quale è rimasto coinvolto il Militare si inquadri nello svolgimento di una prestazione lavorativa i cui effetti sono tipicamente attribuibili all’Amministrazione. Ove la risposta sia affermativa, è evidente che l’asserita illiceità penale della vicenda determina una situazione di potenziale conflitto di interessi tra il Militare e l’Amministrazione, conflitto che ha indotto il Legislatore a demandare per intero a un organo terzo e imparziale (l’Autorità Giudiziaria) l’accertamento in concreto dei fatti.
Qualora, invece, non sia dato riscontrare alcuna connessione dei fatti con il servizio, l’Autorità Militare competente dovrà dare corso agli “accertamenti preliminari”, vale a dire a quel complesso di attività che consentono di raccogliere elementi conoscitivi utili a delineare compiutamente i contorni del fatto, per la sua successiva valutazione sul piano disciplinare. Questa attività istruttoria, ai sensi dell’art. 1393, comma 1, c.o.m. può dare luogo a esiti differenti a seconda che la condotta (extra-lavorativa o commessa in servizio ma non in adempimento di obblighi e doveri di servizio) sia:
– di lieve entità e facile accertamento istruttorio, nel qual caso si avvierà e concluderà un procedimento disciplinare di corpo;
– di maggiore gravità e di non complesso accertamento istruttorio, nel qual caso si avvierà e concluderà un procedimento disciplinare di corpo finalizzato all’irrogazione di una consegna di rigore o un procedimento disciplinare di stato;
– di maggiore gravità e di complesso accertamento istruttorio ovvero di accertamento istruttorio dai risultati insufficienti, nel qual caso non si promuoverà alcun procedimento disciplinare fino alla conclusione definitiva di quello penale.
La L. 19/1990 assoggetta l'esercizio dell'azione disciplinare di stato del personale condannato con sentenza passata in giudicato, al rispetto dei seguenti termini:
- 180 giorni dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna, per l'inizio del procedimento disciplinare mediante la contestazione degli addebiti;
- 90 giorni dall'instaurazione del procedimento disciplinare, per la conclusione dello stesso attraverso l'emanazione del provvedimento conclusivo (tenendo presente che tale arco temporale ricomprende
anche l'eventuale fase dinanzi al Consiglio o Commissione di disciplina).
L'art. 9 della L.19/1990 prevede espressamente che il termine di 180 giorni per l'avvio del procedimento disciplinare decorra "dalla data in cui l'Amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna".
Ai fini del decorso di tale termine deve ritenersi insufficiente una qualunque non qualificata conoscenza della avvenuta emanazione della sentenza e della sua irrevocabilità: occorre la conoscenza ufficiale, che può ritenersi raggiunta solo attraverso una comunicazione proveniente dalla cancelleria del giudice presso cui il giudicato si è formato, oppure l'acquisizione, anche per altra via (ad es. ad opera dello stesso militare interessato), di copia della sentenza, anche per estratto del solo dispositivo.
A tale comunicazione la predetta cancelleria provvede:
- d'ufficio;
- su iniziativa dell'Amministrazione a seguito di richiesta formale (25).
(25) Non esistendo alcuna norma che sancisca il dovere di comunicazione della sentenza da parte dell'A.G. all'Amministrazione, ai fini di un pronto esercizio dell'azione disciplinare è necessario che le vicende penali in corso nei confronti del personale militare vengano attentamente e costantemente seguite presso gli uffici competenti, a cura delle autorità investite della potestà disciplinare.
Perplessità sull'applicazione del termine di 180 giorni previsto dall'art. 9 della L. 19/1990 sono sorte per l'ipotesi in cui il procedimento disciplinare di stato debba essere avviato nei confronti di un militare che abbia già perso il grado per altra causa.
Potrebbe infatti verificarsi che nei confronti di quest'ultimo, successivamente alla perdita del grado, vengano a concludersi altre vicende penali suscettibili di apprezzamento anche in sede disciplinare
per le quali, in considerazione dello stato giuridico di soldato semplice in cui l'interessato già si trova ed in mancanza quindi del requisito soggettivo, non si siano potute intraprendere azioni disciplinari.
Nel frattempo, lo stesso militare potrebbe proporre ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di rimozione, ottenerne l'annullamento e quindi pretendere di essere reintegrato nella sua posizione "ex tunc".
Orbene, il periodo intercorso tra la data di rimozione e quella dell'annullamento o revoca del provvedimento di stato potrebbe essere superiore ai 180 giorni previsti per l'inizio del procedimento disciplinare non instauratosi, a suo tempo, per mancanza del requisito soggettivo.
Pertanto, ci si chiede se debba considerarsi preclusa per l'Amministrazione la possibilità di procedere alla valutazione disciplinare di quei fatti, definitisi posteriormente alla irrogazione della perdita del grado, successivamente annullata.
Secondo l'autorevole parere del Consiglio di Stato (26), una volta che per effetto del giudicato della giurisdizione amministrativa il soggetto ipotizzato sia stato reintegrato nel suo status, dalla data di ripristino del grado decorre un nuovo termine di 180 giorni per l'avvio del procedimento disciplinare.
(26) Comm. Spec. P.I., parere n.736 del 3 giugno 1992.
In relazione al termine conclusivo, il Consiglio di Stato, con quattro diverse ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, nella parte in cui dispone che il procedimento disciplinare per la destituzione del pubblico dipendente, a seguito di condanna penale, debba concludersi entro il termine, non derogabile, di 90 giorni (27).
Il giudice delle leggi ha dichiarato non fondata la questione sulla base dei rilievi di seguito esposti (28), mettendo in evidenza come nell'impianto normativo vigente esistano due distinte scansioni temporali, che devono essere prese entrambe in considerazione.
Nel corso del primo termine (180 giorni), l'Amministrazione vaglierà le risultanze processuali che hanno portato alla condanna del dipendente e deciderà se dare inizio al procedimento disciplinare mediante la contestazione degli addebiti; seguiranno poi i successivi 90 giorni entro cui il procedimento deve concludersi.
Il più lungo termine di avvio di 180 giorni appare congruo in considerazione della maggiore delicatezza delle valutazioni disciplinari che l'Amministrazione deve operare sui fatti riscontrati in sede penale.
Il successivo termine di 90 giorni risulta idoneo a contemperare i contrapposti interessi della regolarità del contraddittorio posta a garanzia dell'incolpato mediante la previsione di termini infraprocedimentali e quello di una sollecita conclusione del procedimento.
Rimane da chiarire se il suddetto termine di 90 giorni prenda a decorrere dalla data dell'effettivo avvio del procedimento, ovvero dalla scadenza dei primi 180 giorni: in base a concordanti indicazioni di ordine logico e sistematico deve ritenersi che sia esatta la seconda soluzione.
(27) Secondo il remittente l'amministrazione non può rispettare il citato termine, dovendo dare applicazione alle norme di garanzia introdotte dal T.U. degli impiegati civili dello Stato; onde la natura perentoria del termine fa sì che debbano intendersi abrogate le precedenti norme attinenti alle diverse fasi endoprocedimentali. In questo modo, però, si vengono a ledere gli artt. 3 e 97 della Costituzione, perchè il termine ristretto impedisce una ponderata valutazione dei fatti.
(28) C. Cost., 28 maggio 1999 n. 197.
In concreto, detratti 60 giorni, non comprimibili perchè relativi a termini posti a tutela dell'impiegato, residuerebbero all'Amministrazione solo 30 giorni per dare corso all'intero procedimento.
Tale prospettiva appare poco verosimile, in considerazione dei tempi, nel complesso più ampi, che il legislatore ha stimato ragionevole assegnare per il compimento delle fasi endoprocedimentali.
Pertanto, dovendosi dare alla norma un'interpretazione che ne assicuri la coerenza con il principio di ragionevolezza e con il sistema in cui è inserita, il termine di conclusione del procedimento disciplinare ex art. 9, secondo comma, va calcolato a partire dalla scadenza virtuale del primo termine di 180 giorni; sicchè l'Amministrazione disporrà di un termine complessivo di 270 giorni a far data dalla conoscenza della decisione irrevocabile di condanna (29).
(29) Cons. St., sez. VI, 25 settembre 2000 n. 5029; Cons. St., sez. IV, 26 giugno 2000 n. 3605; Cons. St., ad. plen., 25 gennaio 2000 n. 4. Si tratta, invero, di un ammirevole equilibrismo giuridico, volto nella sostanza a salvaguardare la coerenza sistematica di una norma che, in realtà, nel fissare in 90 giorni il termine per la conclusione del procedimento, non ha tenuto conto delle fasi in cui si articola al suo interno il procedimento disciplinare e dei tempi necessari per rispettarle.
Il nuovo art. 1393 c.o.m.: il venir meno della “pregiudiziale penale”
La L. 7 agosto 2015, n. 124, dapprima, e il D. Lgs. 26 aprile 2016, n. 91, poi, riformando l’art. 1393 c.o.m.36, hanno modificato anche nell’Ordinamento Militare il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
L’attuale comma 1 dell’art. 1393 c.o.m. prevede che “il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare, ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall’impiego di cui all’articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare”.
Nella sua nuova formulazione, l’art. 1393 ha introdotto come regola generale che il procedimento disciplinare che abbia a oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, sia proseguito e concluso anche in pendenza di procedimento penale.
Questa regola è inderogabile nel caso di esercizio dell'azione disciplinare per infrazioni di minor gravità estranee al rapporto di servizio e, pertanto, in tali ipotesi non sono ammessi la sospensione o il rinvio del procedimento.
Il principio conosce, invece, due rilevanti eccezioni, laddove si tratti di:
– infrazioni di maggior gravità: qualora si riscontri particolare complessità dell'accertamento o qualora, all’esito degli accertamenti preliminari, non si disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, è ammesso il rinvio del procedimento;
– atti e comportamenti compiuti dal militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio: questa ipotesi esclude la possibilità di avviare il procedimento disciplinare (“non è comunque promosso”) e obbliga a sospendere quello già avviato (“se già iniziato è sospeso”).
In relazione a questa seconda tipologia di condotte, la locuzione “nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio” richiede un nesso di strumentalità diretto tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto rimproverato al Militare. Sono, di conseguenza, escluse le azioni che, ancorché compiute in orario e luogo di servizio, attengono esclusivamente alla sfera individuale del soggetto perché in nessuna misura idonee a realizzare un interesse o un fine proprio dell’Amministrazione.
In altri termini, l’Autorità Militare competente deve innanzitutto accertare se la vicenda nella quale è rimasto coinvolto il Militare si inquadri nello svolgimento di una prestazione lavorativa i cui effetti sono tipicamente attribuibili all’Amministrazione. Ove la risposta sia affermativa, è evidente che l’asserita illiceità penale della vicenda determina una situazione di potenziale conflitto di interessi tra il Militare e l’Amministrazione, conflitto che ha indotto il Legislatore a demandare per intero a un organo terzo e imparziale (l’Autorità Giudiziaria) l’accertamento in concreto dei fatti.
Qualora, invece, non sia dato riscontrare alcuna connessione dei fatti con il servizio, l’Autorità Militare competente dovrà dare corso agli “accertamenti preliminari”, vale a dire a quel complesso di attività che consentono di raccogliere elementi conoscitivi utili a delineare compiutamente i contorni del fatto, per la sua successiva valutazione sul piano disciplinare. Questa attività istruttoria, ai sensi dell’art. 1393, comma 1, c.o.m. può dare luogo a esiti differenti a seconda che la condotta (extra-lavorativa o commessa in servizio ma non in adempimento di obblighi e doveri di servizio) sia:
– di lieve entità e facile accertamento istruttorio, nel qual caso si avvierà e concluderà un procedimento disciplinare di corpo;
– di maggiore gravità e di non complesso accertamento istruttorio, nel qual caso si avvierà e concluderà un procedimento disciplinare di corpo finalizzato all’irrogazione di una consegna di rigore o un procedimento disciplinare di stato;
– di maggiore gravità e di complesso accertamento istruttorio ovvero di accertamento istruttorio dai risultati insufficienti, nel qual caso non si promuoverà alcun procedimento disciplinare fino alla conclusione definitiva di quello penale.
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