Dalla Corte dei Conti Sezioni Riunite affermato il seguente diritto.
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“Al percettore di pensione privilegiata tabellare spetta l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SEZIONI RIUNITE SENTENZA 29 2017 PENSIONI 13/09/2017
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SEZIONI RIUNITE SENTENZA 29 13/09/2017
Sentenza n. 29/2017/QM
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE
composta dai seguenti magistrati:
Alberto AVOLI Presidente
Antonio CIARAMELLA Consigliere
Pina Maria Adriana LA CAVA Consigliere
Maria Elisabetta LOCCI Consigliere relatore
Giuseppina MAIO Consigliere
Francesca PADULA Consigliere
Gerardo DE MARCO Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio su questione di massima, iscritto al n. 541/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni riunite, deferita dalla Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello della Corte dei conti con sentenza/ordinanza n. 15/2017, depositata il 12 gennaio 2017, pronunciata sul giudizio di appello n. 50326, proposto dal Ministero dell’economia e delle finanze avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per la Sardegna del 27 ottobre 2015, n. 250/2015, e contro il signor Bruno ERGOI.
Visti gli atti di causa.
Uditi, nell’udienza del 14 giugno 2017, con l’assistenza del Segretario Dr.ssa Maria Elvira ADDONIZIO, il relatore Cons. Maria Elisabetta LOCCI, gli Avvocati Andrea LIPPI e Simonetta MARCHETTI, ed il pubblico Ministero, nella persona del vice Procuratore generale Antongiulio MARTINA. Non presente l’Avvocatura dello Stato.
Ritenuto in
FATTO
1. Con la sentenza/ordinanza in epigrafe, la Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello ha posto la seguente questione di massima: “Se al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”.
2. Rileva, in narrativa, il Giudice remittente che la Sezione giurisdizionale per la Sardegna, con la sentenza n. 250/2015, aveva dichiarato il diritto del sig. ERGOI all’ indennità integrativa speciale in misura intera, ivi compresa la 13^ mensilità, sulla pensione privilegiata tabellare di cui è titolare, a decorrere dall’8 luglio 2009, in costanza di percezione di altra pensione INPS dell’assicurazione generale obbligatoria, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria sui relativi arretrati.
Avverso la pronuncia aveva interposto appello il Ministero dell’economia e delle finanze, chiedendone la riforma, nel senso di limitare il beneficio alla misura corrispondente al cosiddetto “minimo INPS”, in ragione della persistenza del divieto di cumulo dell’ indennità integrativa speciale , principio applicabile anche alle pensioni INPS dell’A.G.O., poiché provviste di un accessorio finalizzato a mantenere inalterato il potere di acquisto della moneta.
Il sig. ERGOI, con il patrocinio degli avv.ti Andrea LIPPI e Simonetta MARCHETTI, aveva sostenuto, in ordine al merito della questione, che non si porrebbe alcun problema di cumulo dell’ indennità integrativa speciale , non essendo previsto alcun analogo beneficio sul trattamento INPS dell’A.G.O., invocando l’applicazione dei principi dettati dalla sentenza di queste Sezioni riunite, n. 54/2015/QM, ancorché pronunciata per la diversa ipotesi di contestuale percezione di una pensione tabellare e di un trattamento INPS – ex INPDAP, liquidato dopo il 1° gennaio 1995.
Nel ritenere inconferente il richiamo alla sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite, 23 ottobre 2008 n. 25616, contenuto nel gravame, il ricorrente aveva addotto che, pur volendo considerare impossibile il cumulo dell’ indennità in parola con le quote aggiuntive previste per le pensioni INPS dell’A.G.O., comunque la prima dovrebbe essere corrisposta a scapito delle seconde, anche perché riferita a un trattamento pensionistico avente decorrenza più remota. In ogni caso, avendo le pensioni tabellari natura risarcitoria, le stesse sarebbero pienamente cumulabili con altri trattamenti pensionistici, effetto che si estenderebbe anche all’ indennità integrativa speciale su tali prestazioni corrisposta.
3. La Sezione remittente, respinta l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa dell’ERGOI, ha sospeso la pronuncia nel merito dell’appello, e ha rimesso a queste Sezioni riunite la riportata questione di massima, evidenziando come, nelle ipotesi di diritto del titolare di pensione privilegiata tabellare a percepire su detto trattamento l’ indennità integrativa speciale , in misura intera, in costanza di altro trattamento pensionistico INPS dell'assicurazione generale obbligatoria, sia dato registrare un contrasto giurisprudenziale.
Difatti, la stessa Sezione I centrale, dopo aver inizialmente aderito all’orientamento che, in ragione della natura risarcitoria (indennitaria e non previdenziale), delle pensioni privilegiate tabellari escludeva l’applicazione del “divieto di cumulo” (sentenza n. 808/2014), ha di poi mutato indirizzo (inaugurato con sentenza n. 1013/2014, relativa a due trattamenti pubblici, e confermato con sentenze n. 327/2015 e n. 544 del 30 ottobre 2015), giungendo all’approdo che, nel caso di duplice pensione, spetti l’ indennità integrativa speciale anche sul secondo trattamento pensionistico, ma solo limitatamente alla misura necessaria per ottenere l’integrazione della pensione sino all’importo corrispondente al trattamento minimo previsto per il fondo pensione lavoratori dipendenti (cosiddetto “minimo INPS”), data la vigenza del principio che vieta la duplicazione di incrementi pensionistici, comunque denominati, collegati con il costo della vita e la previsione, per le pensioni INPS, di un sistema di perequazione che sostituisce l’ indennità integrativa speciale .
Diversamente, la Sezione seconda giurisdizionale di appello, con la sentenza n. 613/2016 (e analogamente con le sentenze n. 612/2016 e n. 188/2014), ha accolto la tesi favorevole ai pensionati, evidenziando che “secondo il sistema pensionistico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria a carico dell’INPS, esteso dal 1°.1.1995 anche alle forme di previdenza esclusive o sostitutive di tale sistema, l’ indennità integrativa speciale (ove percepita quale componente della retribuzione) non costituisce un elemento accessorio della pensione ed è invece considerata – ai fini del calcolo della pensione e come ogni altro elemento retributivo assoggettato a contribuzione – quale parte integrante della retribuzione pensionabile”. Peraltro, poiché “per la pensione liquidata dall’INPS secondo le norme vigenti per l’Assicurazione Generale Obbligatoria non esiste un emolumento separato dalla stessa pensione assimilabile all’ indennità integrativa speciale , viene meno la stessa ragion d’essere del divieto di cumulo”.
4. L’Avvocatura generale dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’economia e delle finanze, si è costituita nel presente giudizio depositando all’uopo memoria difensiva in data 29 maggio 2017, con la quale ha chiesto che la questione di massima sia decisa nel senso di stabilire che "al percettore di pensione privilegiata tabellare spetta l' indennità integrativa speciale in misura limitata al cosiddetto minimo INPS, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell'Assicurazione Generale Obbligatoria, con ogni conseguenza di legge”.
Ad avviso dell’Avvocatura, la declaratoria d'illegittimità pronunciata dalla Consulta avrebbe travolto le sole norme relative al divieto di cumulo nel caso di prestazioni rese alle dipendenze di terzi, sia pubblici che privati (art. 99, quinto comma, del D.P.R. 23.12.1973 n. 1092, e art. 17, primo comma, della legge 21.12.1978 n. 843), rimanendo fermo il divieto di cumulo dell' indennità integrativa speciale in misura intera su plurime pensioni, posto dall'art. 99, secondo comma, del D.P.R. n. 1092/73, tuttora vigente, di talché potrebbe farsi salvo il solo importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il fondo pensione lavoratori dipendenti.
A conforto di tale assunto ha richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 494 del 31.12.1993, le sentenze delle Sezioni riunite di questa Corte n. 14/QM/2003 del 18.06.2003/11.07.2003, e n. 2/QM/2006 del 22.02.2006, nonché diversi precedenti del Giudice d’appello (tra cui, terza Sezione giurisdizionale d'appello, sentenza n. 163/08 del 9–12/5/2008, e prima Sezione giurisdizionale d'appello, sentenza n. 236/2008/A del 16-28/5/2008).
Nessuna novità sarebbe stata introdotta dall'art. 1, comma 776, della legge 266/2006, come precisato da queste Sezioni riunite con sentenza n. l/QM/2009, con la quale è stata ribadita la vigenza del divieto di cumulo, né potrebbe sostenersi, come argomentato dal difensore del ricorrente, che la indennità integrativa speciale abbia mutato natura, quanto meno dal 01.01.1995, per inferirne una sorta di diritto alla riliquidazione delle pensioni, con percezione in misura integrale dell’emolumento, in quanto tali conclusioni non parrebbero confortate dall’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, e dall'andamento del cammino legislativo.
Difatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 197 del 2010, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 99, secondo comma, del D.P.R. n. 1092/1973, avrebbe ribadito i principi affermati nei suoi precedenti interventi, e confermato il divieto per il pensionato di fruire in misura intera dell' indennità integrativa speciale su più trattamenti pensionistici, fatto salvo il limite del c.d. minimo INPS, mantenendo un orientamento condiviso dalle Sezioni centrali d'appello della Corte dei conti, con le sentenze: nn. 371/2009, 842/2012, 58/2012, 30/2013 e 675/2014, della III Sezione centrale; n. 13/2014 della II Sezione centrale; nn. 163/2008, 236/2008, 256/2009, 9/2010/A, 127/2010, 926/2013, 242/2014/A, 302/2014/A, 1125/2014/A, della I Sezione centrale.
Inoltre, lo stesso Giudice d’appello (I Sezione giurisdizionale centrale, sentenze n. 327, 544, e 597 del 2015, e 34 del 2016, e III Sezione giurisdizionale centrale, sentenza n. 54 del 2016), nel condividere il principio affermato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 25616/2008), avrebbe chiarito che anche il trattamento pensionistico INPS ha una voce corrispondente all’ indennità integrativa speciale , mentre non sarebbe applicabile, al caso di specie, la sentenza delle Sezioni riunite n. 54/15 del 25.09.2015, poiché riferita a fattispecie diversa, inerente a pensione tabellare percepita in costanza di altro trattamento erogato dall'ex INPDAP, in cui l'emolumento non è più erogato come assegno accessorio, ma conglobato nella base pensionabile. Anzi, proprio la ratio di siffatta ultima pronuncia delle Sezioni riunite confermerebbe, ad avviso della difesa erariale, la sussistenza di un divieto di cumulo integrale, avendo, comunque, i trattamenti INPS dell’A.G.O., un accessorio finalizzato a mantenere inalterato il potere di acquisto della moneta.
Infine, a supporto di una lettura sostanzialistica e non meramente nominalistica del regime dell' indennità , con esclusione del cumulo integrale, militerebbe il combinato disposto degli artt. 2 e 81 Cost., ai sensi dei quali è preteso da ciascuno l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica e sociale, che non potrebbe che estrinsecarsi anche nel contribuire, singolarmente, come membro della comunità statale, all'obiettivo dello Stato di assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
Alla luce delle disposizioni costituzionali, quindi, si giustificherebbe un'interpretazione della normativa primaria che, in questa fase storica dell'ordinamento vigente, impedisca qualsivoglia duplicazione di trattamenti economici a carico delle finanze pubbliche.
5. Il signor ERGOI si è costituito nel presente giudizio con il patrocinio degli Avv.ti Andrea LIPPI e Simonetta MARCHETTI, con memoria depositata in data 1° giugno 2017, con la quale è stato conclusivamente richiesto che sia dichiarato “il diritto del percettore di pensione privilegiata tabellare a conseguire la indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, in contemporanea titolarità di altro trattamento di quiescenza INPS dell'A.G.O.”, sulla scorta delle seguenti argomentazioni.
In primo luogo, non sembrerebbe ammissibile la tesi del Ministero, secondo il quale la indennità integrativa speciale debba e possa limitarsi per ragioni meramente reddituali, facendo a tal fine richiamo a quanto erroneamente affermato da due sole sentenze del Giudice d’appello (la n. 544/2015, del 30.10.2015, e la n. 327/2015, del 20.05.2015, entrambe della prima Sezione centrale), che hanno negato il diritto a percepire la indennità integrativa speciale in costanza di altra pensione INPS dell'A.G.O. in forza di un "principio immanente" nel nostro ordinamento – ancorato a mere ragioni reddituali – per cui "il titolare di più pensioni può godere della indennità integrativa speciale su un solo trattamento pensionistico".
Né argomenti a favore di una decurtazione della indennità integrativa speciale potrebbero trarsi dall'art. 24, comma 25 del d.l. n. 201/2011 (convertito in legge n. 214/2011), posto a fondamento delle indicate pronunce, in ragione della intervenuta caducazione della norma ad opera della Corte costituzionale, con sentenza n. 70/2015 (pubblicata in epoca precedente all’adozione delle sentenze d’appello, perciò impugnate per revocazione).
In ogni modo, spetterebbe al solo legislatore stabilire se la indennità integrativa speciale possa essere limitata in ragione del mero reddito percepito dal pensionato, nel rispetto, peraltro, dei principi costituzionali di proporzionalità ed adeguatezza del trattamento di quiescenza.
A non voler considerare che una decisione della Corte dei conti che neghi la percezione dell’emolumento, non per un "divieto di cumulo" della indennità integrativa speciale , di cui all’art. 99, comma 2 del D.P.R. n. 1092/73 e ss. mod., o all'art. 19 commi 1 e 2 della l. 843/1978, bensì soltanto per motivi reddituali, eccederebbe immancabilmente il potere giurisdizionale, in violazione degli artt. 103, 111 e 117 Cost., poiché verrebbe, nei fatti, applicata non già una norma esistente, bensì una norma giurisprudenzialmente creata e, di conseguenza, inammissibilmente esercitata.
In conclusione, alla luce del quadro ordinamentale e delle pronunce della Consulta (sentenze 29-31 dicembre 1993 n. 494, e 13-22 dicembre 1989, n. 566), dovrebbe trarsi il principio che qualora il pensionato sia percettore di due trattamenti che contemplino la indennità integrativa speciale autonoma e separata, vada fatto salvo l'importo della indennità integrativa speciale fino alla concorrenza del "minimo INPS” sul secondo trattamento.
nel caso di specie, peraltro, la indennità integrativa speciale non sarebbe stata autonomamente liquidata nel trattamento di pensione INPS dell'A.G.O., di talché l'importo della indennità integrativa speciale sull'altra pensione (quella tabellare), non essendo in alcun modo limitato dalla legge, dovrebbe essere corrisposto nella misura integrale.
Non trattandosi di un caso di "cumulo" di più indennità integrative speciali, tale emolumento non potrebbe essere limitato al c.d. minimo INPS, in assenza di alcun substrato normativo positivo, per cui la questione proposta dovrebbe essere dichiarata in tal senso inammissibile, non potendosi sindacare la spettanza o meno della indennità integrativa speciale integrale in ordine ad un parametro meramente reddituale del pensionato, pur se ingenerato da altro trattamento pensionistico.
Ad avviso della difesa dell’originario ricorrente, una lettura sistematica della normativa di riferimento dovrebbe portare ad escludere l’applicazione alla fattispecie in esame della norma di cui all'art. 99 del D.P.R. n. 1092/73, sia pur contemperata dal principio formulato dalla Corte costituzionale e dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, in quanto diretta a regolare il "divieto di cumulo" su plurimi trattamenti pensionistici pubblici ante 01.01.1995, liquidati con indennità integrativa speciale separata.
Il ricorrente, al contrario, non avrebbe un secondo trattamento pensionistico statale e, oltretutto, sulla pensione liquidata dall'NPS (dell'A.G.O.), calcolata mediante il conglobamento di tutte le voci che vanno a formare il cespite pensionistico, poi ridotto all'80%, non vi sarebbe alcun emolumento liquidato a titolo di indennità integrativa speciale , separatamente dall'importo pensione.
Difatti, nel regime dell’A.G.O., l'emolumento corrispondente alla indennità integrativa speciale (la cosiddetta "scala mobile"), era stato assorbito (e conglobato), sia negli stipendi che nelle pensioni già da tempo, così divenendo parte integrante del trattamento pensionistico e perdendo la funzione propria di adeguamento dinamico di rivalutazione.
Da ciò l’applicabilità, anche per le pensioni INPS dell'A.G.O., dei principi affermati dalle Sezioni riunite con sentenza n. 54 del 25/09/2015, in forza dei quali nessun problema di cumulo si porrebbe in ordine alle pensioni statali liquidate dopo il 01.01.1995, proprio in relazione al conglobamento dell' indennità in questione, e della marginalizzazione della funzione propria dell'adeguamento al costo della vita, che il Legislatore, come descritto dal dato testuale delle leggi 724/1994 e 335/1995, ha mutuato dall’ordinamento pensionistico INPS dell’A.G.O..
Inoltre, poiché il petitum e la causa petendi del presente giudizio sarebbero limitate alla spettanza della indennità integrativa speciale sulla pensione tabellare statale nella misura integrale, non dovrebbero trovare ingresso le ulteriori argomentazioni della difesa erariale sulla presunta permanenza di un divieto di cumulo, in ragione del disposto di cui all'art. 19 della l. 834/1978, in forza del quale sarebbero non dovute, sulla pensione INPS dell’A.G.O., in ipotesi di contestuale percezione di trattamento di pensione ordinaria liquidato con indennità integrativa speciale separata, le c.d. quote aggiuntive.
Peraltro, in virtù sia del dato testuale della norma richiamata, sia dell’orientamento costante dalla Suprema Corte, in compresenza di pensioni pubbliche con indennità integrativa speciale separata e pensioni INPS dell'A.G.O., andrebbe privilegiata sempre la concessione della indennità integrativa speciale sulla pensione statale, divenendo semmai non spettanti le quote aggiuntive sulla pensione dell'A.G.O. (Sentenze Cass. n.25616 del 2008, e n. 11010 del 2009).
In altre parole, in tali delineate ipotesi, la pensione liquidata dall'INPS dell'A.G.O. non andrebbe aggiornata con le quote aggiuntive annuali.
Rileverebbe, infine, la specifica natura, esclusivamente risarcitoria, della pensione privilegiata tabellare (ai sensi del combinato disposto dell'art. 49 della legge 30 aprile 1969 n. 153 e dell'art. 3 della legge 25 novembre 1971 n. 1079), che ne consentirebbe la piena cumulabilità con altri trattamenti pensionistici (cfr. Cass., sentenze n. 6414/1992, n. 8619/1993, n. 12219/2004).
6. La Procura generale ha depositato memoria in data 1° giugno 2017, con la quale ha chiesto che, alla questione deferita, sia data soluzione nel senso che “al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”.
A sostegno delle rassegnate conclusioni, ha formulato le seguenti osservazioni e considerazioni.
In primo luogo, la questione sarebbe da considerare ammissibile in quanto, alla luce dei precedenti richiamati dalla sentenza/ordinanza di deferimento, parrebbe sussistere un contrasto giurisprudenziale orizzontale in grado d'appello (cfr. SS.RR. 01.06.2011 n. 10/2011/QM), ancorché non potrebbe affermarsi che le pronunce citate contengano "l'elaborazione coerente ed organica di argomentazioni, volte alla dimostrazione di una tesi decisoria risolutiva della questione in rilievo".
Difatti, all'orientamento espresso dalla II Sezione giur. d'appello, con le sentenze n. 188/2014, n. 613/2016 e n. 612/2016, in forza del quale non sarebbe configurabile il "cumulo", in ragione della ritenuta mancanza, nella pensione liquidata dall'INPS, secondo le norme vigenti per l'assicurazione generale obbligatoria, di un emolumento separato dalla stessa pensione assimilabile all' indennità integrativa speciale , si contrappone l'orientamento espresso della I Sezione giur. d'appello con sentenze n. 544/2015 e n. 327/2014, per il quale "nel caso di due trattamenti pensionistici, almeno uno dei quali sia garantito da sistema di adeguamento comunque denominato, l' indennità integrativa speciale spetta solo su un trattamento, potendo, al più, il secondo trattamento, su cui non è corrisposta l' indennità integrativa speciale , essere integrato al cd minimo INPS".
Ha, peraltro segnalato come, nella sentenza n. 808/2014 della I Sezione, il riconoscimento dell' indennità in misura intera sulla pensione tabellare si fondi sulla rilevata natura di trattamento risarcitorio, indennitario e non previdenziale, della pensione tabellare.
Nel merito della questione, la Procura generale ha ritenuto che non siano condivisibili né le argomentazioni, né le conclusioni, cui è pervenuta la I Sezione giur. centrale con le sentenze nn. 544/2015 e 327/2014.
In proposito, ha osservato come le fattispecie ivi decise non riguardino il caso di soggetto intestatario di più pensioni pubbliche, cui parimenti acceda l' indennità integrativa speciale (con correlata questione del cumulo), ma la diversa ipotesi, oggetto della deferita questione di massima, di titolarità, in capo al medesimo soggetto, di una pensione pubblica (pensione tabellare), cui accede l' indennità integrativa speciale , e di un trattamento pensionistico erogato dall'I.N.P.S., secondo il regime dell'A.G.O. cui non accede l' indennità integrativa ma, eventualmente, altro analogo trattamento di adeguamento al costo della vita.
Per tali ipotesi non dovrebbero, pertanto, trovare applicazione gli artt. 2, sesto comma, della l. 324/1959 e 99, secondo comma, del D.P.R. n. 1092/1973, con il correttivo di cui alle sentenze della Corte costituzionale nn. 172 del 22.04.1991, e 494 del 31.12.1993, ma la diversa disposizione di cui all'art. 19, della l. n. 843/1978, dettata per regolare, appunto, l'ipotesi del cumulo di analoghi trattamenti, collegati con le variazioni del costo della vita. Conseguentemente, non potrebbe affermarsi, come invece ritenuto dalla I Sezione giur. centrale, con le summenzionate sentenze nn. 544/2015 e 327/2014, che l' indennità integrativa speciale sul trattamento tabellare competa solo nella misura del c.d. "minimo INPS".
Avuto riguardo alle sentenze n. 808/2014 della I Sezione, e n. 188/2014, n. 613/2016 e n. 612/2016 della Il Sezione, la Procura generale, nel condividerne le conclusioni, ha ritenuto non condivisibili le motivazioni addotte.
In particolare, la ratio decidendi della sentenza n.808/2014 della I Sezione sarebbe incentrata sulla natura risarcitoria della pensione privilegiata tabellare, elemento privo di qualsivoglia rilievo, alla luce di quanto affermato da queste Sezioni riunite, con sentenza del 25.09. 2015, n.54.
Del pari, non sarebbe convincente la motivazione contenuta nelle altre sentenze della Sezione Il giur. centrale, nella parte in cui hanno escluso la configurabilità del cumulo, in ragione della ritenuta mancanza, nella pensione liquidata dall'INPS secondo le norme vigenti per l'assicurazione generale obbligatoria, di un emolumento separato dalla pensione, analogo all' indennità integrativa speciale .
Difatti, nel regime dell’A.G.O. spetterebbe, comunque, la perequazione automatica conseguente al variare dell’indice del costo vita, a norma dell’art. 10, comma 3, della legge n. 160 del 1975 (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 04/10/2011, n. 20262) e, dunque, un emolumento che svolgerebbe, per i titolari di pensione a carico del fondo pensione lavoratori dipendenti, la medesima funzione assolta dall' indennità integrativa speciale .
Anche nell’ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, l'art. 19, primo comma, della l. 21/12/1978, n. 843, avrebbe previsto il divieto di cumulo, per i titolari di due o più pensioni, di siffatti trattamenti di adeguamento al costo della vita (a decorrere dal 1° gennaio 1979).
La disposizione conterrebbe un principio applicabile anche in ipotesi di contemporanea percezione di una pensione dell'assicurazione generale obbligatoria e di una pensione dello Stato, provvista di indennità integrativa speciale , a seguito della sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 25616 del 23.10.2008, con la quale la Suprema Corte aveva risolto il contrasto di indirizzi ermeneutici insorto in ordine all'ambito di operatività dell'art. 19 della l. 843/1978 (si era ritenuto, in precedenza, che la norma riferisse il divieto di cumulo esclusivamente ai titolari di più pensioni "a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti" o "a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o comunque integrative dell’assicurazione generale obbligatoria", mentre non fosse applicabile in caso di concorso di una pensione dell'A.G.O. e di una a carico dello Stato).
Alla soluzione ermeneutica espressa dalle Sezioni unite si sarebbe conformata la giurisprudenza successiva (cfr., ex multis, Cass. civ. Sez. VI – lav., ordinanza, 08-10-2015, n. 20169; Cass. civ. Sez. lav., 11.02.2010, n. 3109; Cass. civ. Sez. lav., 01.02.2010, n. 2286).
Peraltro, ad avviso della Procura generale, l’applicazione del divieto di cumulo di cui all'art. 19, primo comma, della l. n. 843/1978, se rilevante per i trattamenti pensionistici INPS dell'assicurazione generale obbligatoria, oggetto di cognizione da parte dell'Autorità giudiziaria ordinaria, sarebbe priva di rilevanza pratica, avuto riguardo alle pensioni oggetto di cognizione da parte della Corte dei conti.
Infatti, ai sensi del secondo comma della richiamata disposizione, qualora su una delle pensioni trovi applicazione la l. 31 luglio 1975. n. 364, continua a corrispondersi l' indennità integrativa speciale di cui alla legge stessa, restando in ogni caso non dovuta la quota aggiuntiva di cui all'art. 10, della legge n. 160/1975, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita (cfr. sentenza n. 25616/2008 cit.).
Ne conseguirebbe che, in ogni caso, al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti l' indennità integrativa speciale sulla pensione statale in godimento, appartenente alla cognizione di questa Corte, a nulla rilevando, alla luce del chiaro disposto di cui all'art. 19, secondo comma, l. n. 843/1978 che sia, altresì, titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’assicurazione generale obbligatoria.
La cognizione sulla eventuale operatività del divieto di cumulo di cui all' art. 19, primo comma, l. n. 843/1978, e sulla spettanza, o meno, delle quote aggiuntive di cui all'art. 10 della l. n. 160/1975, o di eventuale altro trattamento di adeguamento al costo della vita sarebbe, difatti, demandata all'Autorità giudiziaria ordinaria.
Sulla pensione privilegiata tabellare, sarebbe, inoltre, dovuta l’ indennità integrativa speciale sul rateo di tredicesima mensilità, a termini dell'art. 3, primo comma, l. 364/1975, il quale ha previsto che, a decorrere dall'anno 1976, l' indennità integrativa speciale mensile sia corrisposta al personale in quiescenza, anche in aggiunta atta tredicesima mensilità, per un importo lordo pari alla differenza tra la misura spettante nel mese di dicembre dell'anno considerato, e quella fissata al 10 gennaio 1975 in £.38.720.
7. Nella pubblica udienza del 14 giugno 2017, l’Avvocato LIPPI, nel richiamare le difese in atti, ha sottolineato la scarsa rilevanza pratica della giurisprudenza sul divieto di cumulo, in ragione dell’evoluzione normativa sulle modalità di computo dei trattamenti pensionistici in genere. In particolare, poi, essendo l’ERGOI titolare di trattamento INPS sul quale non sono corrisposte le quote aggiuntive, non dovrebbe aver luogo alcuna limitazione.
Il pubblico Ministero, nella persona del vice Procuratore generale Antongiulio MARTINA, ha integralmente richiamato la memoria scritta, precisando che il divieto di cumulo, come operante nel regime dell’A.G.O. escluderebbe il riconoscimento delle quote aggiuntive, per la cui valutazione sarebbe competente il Giudice ordinario.
La causa in questi termini è stata trattenuta per la decisione.
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FINE PRIMA PARTE
continua
Pensione privilegiata cumulabile con altri trattamenti quis
Re: Pensione privilegiata cumulabile con altri trattamenti q
SECONDA PARTE
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Considerato in
DIRITTO
1. Il Collegio deve, preliminarmente, valutare l’ammissibilità e la rilevanza nel giudizio a quo della questione di massima.
L’art. 1, comma 7, del d.l. n. 453 del 15.11.1993, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 19 del 14.01.1994, come integrato dal comma secondo dell’articolo 42 della legge 18 giugno 2009 n. 69 disponeva che “Le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del Procuratore generale”.
La giurisprudenza di queste Sezioni riunite, al riguardo, ha delineato i presupposti necessari ai fini del deferimento, consentito in presenza di una questione rilevante per la decisione di merito, e nella quale sia emerso un contrasto giurisprudenziale, individuato “con riferimento alla sua tipologia, rispetto agli organi giudicanti (contrasto c.d. verticale, fra sezioni di grado diverso, ovvero orizzontale, in primo o in secondo grado)”.
E’ stata poi, già da tempo, esclusa qualsiasi considerazione per il contrasto verticale, “per evidenti ragioni connesse alla naturale dialettica giurisprudenziale fra le Sezioni di appello e quelle di primo grado, assumendo ovviamente le prime una posizione di “prevalenza” in forza della posizione assunta nella costruzione processuale” (cfr. sentenza n. 17/2011/QM), mentre il contrasto orizzontale è stato ritenuto rilevante solo laddove verificatosi tra Sezioni di appello, che svolgono “un primo essenziale ruolo nomofilattico di armonizzazione e di consolidamento interpretativo del diritto vivente” (SS.RR. n. 10/QM/2011; nello stesso senso, n. 1/QM/2010 e n. 8/QM/2010), e che si configura in presenza di “una pluralità di pronunce rese da giudici diversi in un periodo di tempo più o meno ampio”, che integri un contrasto “tra orientamenti” (SS.RR. n. 10/QM/2011).
L’approdo giurisprudenziale cui sono pervenute queste Sezioni riunite può dirsi recepito dal d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016, recante il codice di giustizia contabile, il quale, agli articoli 11, comma 3, e 114, ha previsto che le Sezioni riunite in sede giurisdizionale decidono … “sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali d'appello, dal Presidente della Corte dei conti, ovvero a richiesta del procuratore generale”, deferimento che, ai sensi del successivo art. 114, può avvenire “d'ufficio o anche a seguito di istanza formulata dal procuratore generale o da ciascuna delle parti del giudizio d'impugnazione”.
L’individuazione dei soggetti cui è demandata la possibilità del deferimento, dal cui novero risultano escluse le Corti territoriali, rimarca, oltre ad un chiaro intento deflattivo, la necessità che il contrasto emerga nel giudizio in secondo grado, proprio in conseguenza della funzione di armonizzazione e di prima nomofilachia, rimessa alle Sezioni d’appello.
Difatti, come già precisato, “solo allorquando il “filtro” delle sezioni di appello non sia riuscito a consolidare l’univocità dell’indirizzo interpretativo, si rende necessario l’intervento delle Sezioni riunite, chiamate a rendere una pronuncia chiarificatrice sull’esatta interpretazione della norma e, più in generale, del punto in diritto” (cfr. SS.RR. n. 10/2011/QM).
Anche nella vigenza del nuovo codice di giustizia contabile, resta comunque fermo che il presupposto per la rimessione della questione di massima da parte delle Sezioni di appello non è solo il rilevante contrasto fra le sezioni medesime, bensì anche la prospettazione di una questione connotata da oggettiva particolare complessità e da specifica valenza innovativa, questione di per sé idonea ad essere riferita ad una ampia platea di giudizi.
Tanto si desume dall’interpretazione letterale e funzionale del primo comma dell’articolo 114, là dove non si rinviene alcun riferimento al contrasto.
Peraltro il contrasto – anche in primo grado – può essere valorizzato solo nell’ipotesi disciplinata dal successivo comma terzo di deferimento da parte del Presidente della corte o del Procuratore generale.
Alla luce di quanto esposto in narrativa, e di quanto rappresentato dalla Sezione remittente, il Collegio ritiene che la questione all’esame sia connotata vuoi dalla rilevanza, data l’incidenza pregiudiziale della risoluzione della medesima sulla decisione nel merito del giudizio, pendente presso la Sezione prima centrale, vuoi dalla ammissibilità, dato il contrasto tra orientamenti rilevato in grado d’appello.
2. Al riguardo, occorre brevemente ricordare che, in ipotesi di titolare di trattamento pensionistico tabellare con indennità integrativa speciale separata, e di contemporaneo percepimento di pensione INPS, regime dell’A.G.O., la Sezione prima giurisdizionale centrale, dopo aver inizialmente aderito all’orientamento giurisprudenziale che, in ragione della natura risarcitoria delle pensioni privilegiate tabellari, aveva ritenuto inapplicabile il divieto di cumulo (sentenza n. 808/2014), con le più recenti pronunce ha mutato indirizzo (sentenze n. 327/2015 e n. 544 del 30 ottobre 2015), giungendo all’approdo che, nel caso di duplice pensione, spetti l’ indennità integrativa speciale anche sul secondo trattamento pensionistico, ma solo limitatamente al cosiddetto “minimo INPS”.
Per contro, la Sezione seconda giurisdizionale centrale (sentenze n. 612/2016, 613/2016 e n. 188/2014) ha riconosciuto il diritto alla misura intera, in quanto “per la pensione liquidata dall’INPS secondo le norme vigenti per l’Assicurazione Generale Obbligatoria non esiste un emolumento separato dalla stessa pensione assimilabile all’ indennità integrativa speciale ”, di talché viene meno la stessa ragion d’essere del divieto di cumulo.
3. Valuta il Collegio, in primo luogo, che sia da ritenersi superato l’orientamento espresso dalla sentenza n. 808/2014 della Sezione prima centrale, ripreso tra le argomentazioni a sostegno del riconoscimento dell’emolumento in misura integrale dalla difesa del ricorrente, alla luce dei principi statuiti da queste Sezioni riunite con sentenza n. 54/2015/QM del 25 settembre 2015, che vanno integralmente confermati e condivisi.
In tale pronuncia è stato chiaramente indicato che nessuna incidenza può assumere la natura, risarcitoria o retributiva, dell’emolumento pensionistico, in quanto il “meccanismo che il legislatore del 1959 (art. 2, legge n. 324/1959 ed art. 99, comma 1, D.P.R. n. 1092/1973) aveva predisposto al fine di garantire l’emolumento medesimo dall’erosione determinata dalla svalutazione monetaria” aveva trovato “pacificamente applicazione, in modo del tutto identico, sia sulle pensioni ordinarie che su quelle tabellari”. Analoga indistinta applicazione è stata data all’art. 99, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973, pur con il correttivo introdotto dalla Corte costituzionale con sentenza 29 - 31 dicembre 1993, n.494.
Non può, pertanto, che ribadirsi che “ogni tentativo mirato a volere differenziare la lettura di quel complesso normativo, a posteriori, al fine di valorizzarne un diverso impatto sui due tipi di trattamenti pensionistici in relazione all’art. 15, comma 3, della legge n. 724/1994 e della legge n. 335/1995, appare del tutto ultroneo, anche alla luce della circostanza che per entrambi i trattamenti trova applicazione, adesso, il nuovo meccanismo perequativo di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 503/1992 ed art. 34, comma 1, della legge n. 448/1998” (cfr. sentenza n. 54/2015/QM cit.).
Ad analoghe conclusioni non può che pervenirsi con riferimento al regime dell’A.G.O. per il quale, laddove dovesse rinvenirsi un emolumento corrispondente alla indennità integrativa speciale , nessuna rilevanza potrebbe attribuirsi alla natura risarcitoria della pensione tabellare, al fine di non incorrere in un eventuale divieto di cumulo.
4. Del pari, alcun peso può essere dato alle conseguenze che potrebbero riverberarsi sul bilancio dello Stato dalla pronuncia assunta in questa sede, circostanza rappresentata dalla difesa erariale, posto che il “parametro decisorio è costituito esclusivamente dal quadro normativo vigente, interpretato – ove necessario – sulla base dei principi generali, anche di rango costituzionale” (cfr. sentenza n. 54/2015/QM cit.).
La decisione del Giudice, che trova radice nell’interpretazione delle norme secondo i prescritti canoni ermeneutici, non può che prescindere da qualsiasi valutazione, estranea all’ambito del giudizio, sulle possibili ripercussioni finanziarie sul bilancio, o sulla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
Tali criteri, così come i principi costituzionali invocati dalla predetta difesa (artt. 2 e 81 Cost.), sono destinati a conformare in primo luogo l’attività del Legislatore, venendo in rilievo, nell’ambito del giudizio, solo qualora una norma, destinata a regolare la fattispecie in concreto sottoposta all’esame del Giudice, si ponga in contrasto con detti principi o con altri, di pari valore, che per ipotesi governino la materia scrutinata.
Non può, per contro, invocarsi l’immanenza di tali principi per trarne la conseguenza che qualsiasi norma, specie nell’odierna situazione finanziaria dello Stato italiano, che comporti o possa comportare una spesa per le amministrazioni, violi di per sé il dettato costituzionale.
5. Ciò premesso, il thema decidendum involge l’esame di due distinti aspetti, ovvero la vigenza e l’estensione del principio del divieto di cumulo di trattamenti collegati con il costo della vita, quali esistenti nell’ambito dei diversi regimi pensionistici e, ancora, l’esistenza e attuale vigenza, per le pensioni INPS dell’A.G.O., di emolumenti rapportabili alla indennità integrativa speciale e, in particolare, la valenza ed effettività dell'emolumento previsto dall'art. 10, della legge n. 160/1975 (cd. quota aggiuntiva).
In ordine al primo aspetto, vi è da ribadire, come più volte sottolineato da queste Sezioni riunite, che i vari interventi della Corte costituzionale non hanno prodotto l’espunzione dall’ordinamento del divieto posto dall’art. 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo cui “al titolare di più pensioni o assegni l’ indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo”.
A tale norma corrisponde, nell’ambito della gestione delle pensioni INPS dell’A.G.O., l’art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, che in ragione della coesistenza di diversi sistemi di calcolo dei trattamenti pensionistici ha previsto, in termini generali, che “a decorrere dal 1 gennaio 1979 ai titolari di più pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o delle gestioni dei lavoratori autonomi, o a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o, comunque, integrative dell'assicurazione generale obbligatoria sopra richiamata o che ne comportino l'esclusione o l'esonero, la quota aggiunta di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, comma 3, l'incremento dell' indennità integrativa speciale di cui alla l. 31 luglio 1975, n. 364, art. 1, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita, sono dovuti una sola volta”.
Entrambe le disposizioni, dunque, se da un lato sono dirette alla salvaguardia della situazione reddituale, del lavoratore o del pensionato, rispondente ai principi di tutela posti dagli artt. 36 e 38 Cost., dall’altro pongono il limite che il meccanismo dettato per l’adeguamento al costo della vita operi su un solo trattamento, al fine di evitare duplicazioni che, all’epoca in cui le norme erano state emanate avevano una consistenza e un’incidenza notevole non solo sul trattamento pensionistico, ma anche su quello percepito in costanza di servizio (le indennità a tal fine previste, vuoi la integrativa speciale che quella di contingenza hanno costituito, per un certo lasso temporale, in ragione degli altissimi livelli di inflazione, una parte assai cospicua, se non addirittura in certi casi la maggiore, degli emolumenti percepiti).
Orbene, all’indomani degli interventi della Corte costituzionale, non può ritenersi più operante un divieto di cumulo generalizzato, essendo venuto meno, in virtù di sentenze di mero annullamento, per l’ipotesi di pensionato che presti opera retribuita (sentenza 15-29 aprile 1992, n. 204, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, primo comma, l. n. 843/1978, e sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 566, con cui è stata dichiarata l'illegittimità del quinto comma dell'art. 99, D.P.R. n. 1092/1973), ed operando in misura parziale (con la salvaguardia del minimo I.N.P.S.), nel caso di percettori di plurimi trattamenti pensionistici, a prescindere dalla gestione nel cui ambito gli stessi risultino erogati.
Discende, dalla disciplina che, in parallelo e con analoghe disposizioni, ha normato la materia, sia per le pensioni dell’A.G.O. che per quelle pubbliche, che il principio della spettanza dell’adeguamento al costo della vita, seppure con i correttivi introdotti dalla Consulta, non debba essere valutato nell’ambito più ristretto della singola gestione, per evenienza sottoposto all’esame del Giudice, ma debba essere considerato nel suo complesso, giacché espressione di una regola generale corrispondente, ancor prima che allo stretto canone interpretativo della legge, a criteri di giustizia sociale e contemperamento di contrapposti interessi che, da sempre, informano l’attività del Legislatore.
Vero è che, all’indomani della caducazione del divieto per il pensionato che presta opera retribuita, la questione, riferita al percettore di plurimi trattamenti di pensione, è stata diverse volte sottoposta al sindacato di legittimità, ma con esiti che, come chiaramente indicato da queste Sezioni riunite (sentenze n. 14/QM/2003 dell’11/07/2003; 2/QM/2006 del 22/02/2006 e, infine, n. 1/QM/2009 del 26 febbraio 2009), non hanno comportato il venir meno del divieto, avendo la Corte costituzionale, tenuto “ben distinta l’ipotesi di cumulo dell’ indennità integrativa speciale su pensione e retribuzione da quella di doppia pensione, emettendo nel primo caso sentenze di mero annullamento e, nel secondo caso, sentenze additive che hanno avuto l’effetto di estendere, alle disposizioni recanti il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale nei confronti del titolare di due pensioni, il principio della salvaguardia del minimo INPS contenuto nell’art.17, 1° comma, della legge n.843 del 1978” (cfr., oltre a quelle sopra citate, sentenze C. cost. n. 172 del 1991; n. 494 del 1993; n. 516/2000).
Ma l’assetto ordinamentale e, con esso, il regime di adeguamento dei trattamenti pensionistici, ha subito un’evoluzione che consente di riconsiderare l’effettivo ambito di applicazione del divieto che, per quanto si dirà in appresso, può allo stato ritenersi di portata limitata.
Già con la sentenza n. 2/QM/2006 cit., queste Sezioni riunite si erano poste il problema della persistente validità di “un parametro reddituale minimo come riferimento del divieto di cumulo, o se invece debba prendersi in considerazione l'entità del trattamento pensionistico, per configurare oggi la possibilità per il legislatore di addivenire alla decurtazione della pensione, scegliendo tra diverse soluzioni che comunque rispettino l'esigenza di un equilibrio del sistema retributivo e pensionistico”, in ragione dell'entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, che aveva conglobato l' indennità integrativa speciale nella base pensionabile.
Con la successiva sentenza n. 1/QM/2009, sollecitata dagli interventi legislativi e della Corte costituzionale medio tempore adottati (cfr. ordinanze n.89 dell’8 marzo 2005, e n.119 del 24 aprile 2008), è stato riesaminato funditus il quadro ordinamentale e, in particolare, la disciplina entrata in vigore successivamente al 31.12.1994, fino alla legge n.296/2006, ancorché con riferimento alla gestione delle pensioni dei dipendenti pubblici.
In tale occasione, nel constatare che “il diverso trattamento dell’ indennità integrativa speciale per le pensioni liquidate fino al 31.12.1994 è essenzialmente una norma di salvaguardia di miglior trattamento per le posizioni pregresse, poiché consente ai titolari di pensione liquidata, appunto, prima del 1.1.1995 di conservare l’ indennità integrativa speciale nella misura intera, senza le riduzioni conseguenti ad un suo inserimento nella base pensionabile”, è stato ritenuto che “le disposizioni recate dalla legge 27.12.2006, n.296, art.1, comma 774, relativo alla interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41 della legge n 335 del 1995, sulla indennità integrativa speciale su pensioni di reversibilità, comma 775, che fa salvi tutti i trattamenti in materia così come attribuiti da giudicati, con riassorbimento sui futuri miglioramenti e comma 776, che, con disposizione simmetrica a quella contenuta nel precitato comma 774 (sentenza n. 74/2008 della Corte costituzionale), abroga, con effetto dal 1.1.2007 (data di entrata in vigore della stessa legge n. 296/2006), l’art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994, non hanno modificato l’assetto normativo valevole per il periodo anteriore a tale ultima data, quale modellatosi con le varie sentenze della Corte costituzionale, relativo al tema del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale su plurimi trattamenti di pensione per il periodo antecedente al 1°.1.1995”.
Si è così giunti all’approdo (cfr. SS.RR. n.54/2015/QM cit.) della inoperatività del divieto nelle ipotesi in cui un soggetto sia percettore di due trattamenti pensionistici, uno dei quali erogato dopo il 1° gennaio 1995, poiché “l’intervenuto conglobamento dell’ indennità ha cagionato un prevalente assorbimento nel trattamento, così da marginalizzare (o addirittura elidere del tutto) la funzione propria dell’istituto di adeguamento dinamico di rivalutazione”.
Peraltro, ad analoghe conclusioni non può che pervenirsi con riferimento alle pensioni dell’A.G.O. erogate dall’INPS cui, va detto per inciso, la normativa introdotta a partire dal 1994, in un’ottica di progressiva armonizzazione delle basi contributive previste dalle diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico e privato, si è ispirata, mutuando i criteri di computo e di adeguamento del trattamento di pensione.
Così il comma 3 dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994 ha stabilito che, “con decorrenza dal 1° gennaio 1995, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, iscritte alle forme di previdenza esclusive dell’assicurazione obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle stesse forme di previdenza, la pensione spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa la indennità integrativa speciale , ovvero indennità di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita spettante”.
Il processo di uniformizzazione dei trattamenti pensionistici è proseguito con la legge del 16.8.1995, n. 335, il quale all’art. 1, ha definito i nuovi criteri di calcolo, attraverso la commisurazione di tali trattamenti alla contribuzione, per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, e dando particolare rilievo, nel rispetto della pluralità delle gestioni previdenziali, alla stabilizzazione della spesa pensionistica in correlazione con il prodotto interno lordo. La legge ha altresì recepito, per coloro che potevano far valere un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni al 31 dicembre 1995, i criteri di calcolo già introdotti dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con decorrenza dal 1° gennaio 1993, per i quali l’ indennità integrativa speciale entra a far parte del trattamento pensionistico globale, perdendo la natura, come già detto, di assegno separato.
Orbene, deve essere a questo punto considerato che, nell’ambito dell’A.G.O., una funzione analoga a quella dell’ indennità integrativa speciale era svolta, per il personale in attività, dall’assegno di contingenza. Quest’ultimo, analogamente alla predetta indennità , a conferma del parallelismo normativo e anche fattuale esistente tra i due istituti, viene abbandonato con il protocollo di intesa tra Governo e parti sociali del 31 luglio 1992 (l’ indennità integrativa speciale subisce la stessa sorte, a seguito di referendum specifico, sempre nel 1992), costituendo una voce che compare in maniera distinta, pur rimanendo immutata nell’importo all’epoca raggiunto, per i trattamenti stipendiali.
Sotto tale profilo, pertanto, il problema del cumulo potrebbe porsi esclusivamente nei confronti di un soggetto percettore di indennità integrativa speciale separata su pensione statale, e di indennità di contingenza su pensione INPS dell’A.G.O., dovendosi ritenere costituzionalmente illegittimo il divieto di cumulo di indennità di contingenza, o comunque, di emolumenti parimenti diretti a sopperire ad un maggior costo della vita), non di per sé, “in relazione alla originaria funzione della indennità di contingenza (o similare) come elemento aggiuntivo (correlato a percentuale di stipendio o pensione) e separato dalla retribuzione o pensione, con finalità di adeguarla ad un livello minimo rispetto alle variazioni del costo della vita, ma qualora non sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo per le attività alle quali si riferisce, al di sotto del quale non debba operare il divieto stesso” (Corte costituzionale, sent. n. 516/2000).
Peraltro, una siffatta semplificazione non terrebbe nel debito conto il diverso sistema di calcolo del trattamento pensionistico, e i meccanismi di perequazione previsti nell’uno e altro ordinamento (pensioni INPS dell’A.G.O. e pensioni pubbliche), che hanno condotto all’emanazione dell’art. 19, primo comma, della l. 21/12/1978, n. 843, in cui il divieto di cumulo opera non più su un livello che si potrebbe definire principale (corresponsione degli emolumenti), ma su di un piano più prettamente “accessorio”, involgendo il diverso aspetto della perequazione, per quanto qui di rilievo, dei trattamenti pensionistici, come chiaramente desumibile dal tenore letterale della norma, che stabilisce “a decorrere dal 1 gennaio 1979 ai titolari di più pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o delle gestioni dei lavoratori autonomi o a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o, comunque, integrative dell'assicurazione generale obbligatoria sopra richiamata o che ne comportino l'esclusione o l'esonero, la quota aggiunta di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, comma 3, l'incremento dell' indennità integrativa speciale di cui alla l. 31 luglio 1975, n. 364, art. 1, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita, sono dovuti una sola volta” (comma 1), e prosegue affermando che “ai fini previsti dal precedente comma, qualora su una delle pensioni trovi applicazione la l. 31 luglio 1975, n. 364, continua a corrispondersi l' indennità integrativa speciale di cui alla legge stessa, restando in ogni caso non dovuta la quota aggiuntiva di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita” (comma 2).
Traspare con piena evidenza, dal tenore letterale della riportata disposizione, che la stessa appare diretta a regolare la perequazione delle pensioni del fondo pensione lavoratori dipendenti e le possibili duplicazioni o interferenze con il sistema di determinazione (all’epoca nuovo) dei punti di variazione dell’indice del costo della vita ai fini dell’ indennità integrativa speciale , mentre il divieto di cumulo tout court trova separata previsione nell'art. 17 del medesimo testo normativo, che specifica che “l' indennità integrativa speciale non è cumulabile con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. Deve comunque, essere fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il fondo lavoratori dipendenti”, criterio, quest’ultimo, che è stato fatto proprio dalla Corte costituzionale nel determinare i limiti di operatività del predetto divieto.
Al riguardo, va ricordato che, ai fini della cosiddetta perequazione automatica, introdotta per la prima volta dalla legge del 30 aprile 1969 n. 153 per l'assicurazione generale obbligatoria (era previsto, all’art. 19, l’aumento delle pensioni in misura percentuale pari all'incremento dell'indice del costo della vita, calcolato dall'ISTAT per la scala mobile della retribuzione ai lavoratori dell'industria), il meccanismo introdotto dall’art. 10 (commi 3 e 4), della legge 3 giugno 1975 n. 160, stabiliva, per le pensioni superiori al minimo, l’utilizzo di due coefficienti: a) uno variabile, rappresentato dalla differenza tra l'aumento percentuale dei tassi delle retribuzioni minime contrattuali e la variazione, parimenti percentuale, del costo della vita; b) uno fisso, attraverso l’attribuzione di una "quota aggiuntiva" “pari al prodotto che si ottiene moltiplicando il valore unitario, di seguito fissato per ciascun punto, per il numero dei punti di contingenza che sono stati accertati per i lavoratori dell'industria nei quattro trimestri relativi al periodo compreso dal diciassettesimo al sesto mese anteriore a quello da cui ha effetto l'aumento delle pensioni”.
Dunque, con "punti" di importo predeterminato dalla stessa legge, e uguali per tutte le pensioni, a prescindere dall'ammontare delle stesse (erano escluse, come in precedenza, le gestioni speciali, che pertanto restavano ancora soggette ai rispettivi ordinamenti).
Il successivo d.l. 23 dicembre 1977, n. 943, art. 1, convertito nella l. 27 febbraio 1978, n. 41, aveva esteso la descritta perequazione a tutte le pensioni erogate da gestioni previdenziali obbligatorie o integrative dell'A.G.O., o che ne comportino l'esclusione o l'esonero. Rimanevano escluse le pensioni dello Stato ed altre pensioni del settore pubblico per le quali, però, in aggiunta all'aggiornamento al costo della vita garantito dalla indennità integrativa speciale , in forza della l. 26 aprile 1976, n. 177 (art. 1 e 4), era previsto un collegamento alla dinamica delle retribuzioni.
Il sistema introdotto dalla legge n. 160/1975, per la scarsa incidenza dell’elemento variabile, e la preponderante rilevanza di quello fisso, aveva comportato l’effetto di favorire la conservazione del potere di acquisto delle pensioni meno alte, incidendo negativamente su quelle medio-alte (c.d. appiattimento), tanto che, va sottolineato, proprio il carattere temporaneo e contingente della disciplina dettata dall’art. 10 della legge n. 160/1975 aveva portato la Corte costituzionale, pur riconoscendo che essa avesse inciso in maniera profondamente ineguale sulle pensioni, a ritenerne la conformità a Costituzione (cfr. sent. 17/12/1985 n. 349).
Di talché, con successiva legge n. 730 del 27 dicembre 1983 (cfr. art. 21), la descritta disciplina è stata abbandonata, disponendosi che, con decorrenza dal 1 gennaio 1984, l’adeguamento dei trattamenti pensionistici dovesse avvenire in ragione degli indici reali di svalutazione e dovesse essere attribuito sull’ammontare complessivo del trattamento di quiescenza, nelle misure spettanti, secondo aliquote decrescenti per fasce d’importo. Per siffatto calcolo, le pensioni alle quali si applica la disciplina dell' indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, dal 1° maggio 1984 erano considerate comprensive dell' indennità stessa (cfr. comma 8, art. 21).
Tale diverso sistema (perequazione automatica) è stato mantenuto ed esteso nel corso degli anni successivi, fino a divenire l’unico mezzo per salvaguardare il potere di acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, oramai svincolati dall’andamento delle retribuzioni del personale in attività, in ragione delle rappresentate esigenze di contenimento della spesa pubblica, e all’enunciato scopo di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo, come previsto dall’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante “delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.
In attuazione di tale delega, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11, ha disposto all’art. che gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni si applicano sulla base del solo adeguamento al costo della vita con cadenza annuale, e con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, stabilendo, inoltre, che tali aumenti vengano calcolati “applicando all’importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, relativo all’anno precedente il mese di decorrenza dell’aumento, all’analogo valore medio relativo all’anno precedente”.
Successivamente, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure di stabilizzazione della finanza pubblica), all’art. 59, comma 4, ha precisato che la perequazione automatica costituisce, a decorrere dal 1998, l’unica forma di adeguamento delle prestazioni pensionistiche, “con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento, anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”.
L’art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”, ha definito le modalità di applicazione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni, stabilendo, con effetto dal 1° gennaio 1999, che lo stesso “si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui all'articolo 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'aumento della rivalutazione automatica dovuto in applicazione del presente comma viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo”.
Di seguito, l’art. 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001”), ha fissato la misura entro la quale si applica l’indice di rivalutazione automatica a decorrere dal 1° gennaio 2001, limitandolo al 90% per i trattamenti pensionistici compresi tra tre e cinque volte il cd. minimo INPS, e al 75% per le fasce di importo superiori a cinque volte il predetto minimo.
In attuazione delle disposizioni sopra richiamate, annualmente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro del lavoro, viene determinata la percentuale di variazione sulla cui base devono essere calcolati gli aumenti di perequazione automatica delle pensioni, sui quali, ai fini di completezza espositiva, va ricordato che il Legislatore è intervenuto a più riprese, spinto dalla contingente situazione economica, ulteriormente limitando o addirittura bloccandone l’attribuzione, per le fasce pensionistiche più elevate (si vedano, da ultimo l’art. 24, comma 25, del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, dichiarato costituzionalmente illegittimo, e il successivo art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2015, n. 109).
Dalla ripercorsa evoluzione legislativa discende, con palese evidenza, che il problema di un possibile cumulo, ai fini perequativi, dell’ indennità integrativa speciale e delle quote aggiunte possa verificarsi esclusivamente in presenza di soggetti che, titolari di pensione statale (o amministrati dalle gestioni speciale INPS) con la indennità integrativa speciale separata, siano andati in quiescenza nell’arco temporale in cui il sistema introdotto dalla legge n. 160/1975 è rimasto in vigore, venendo meno per coloro i quali abbiano percepito la pensione a decorrere dal 1° gennaio 1984 (termine posto dalla legge n. 730/1983). A conforto di tale conclusione valga considerare che le pronunce della Corte di cassazione invocate dalla difesa del ricorrente e dalla Procura generale e richiamate anche nelle pronunce del Giudice d’appello, o hanno riguardato percettori di più trattamenti pensionistici attribuiti nel periodo di vigenza delle norme esaminate (in particolare, la sentenza n. 25616 del 23.10.2008 delle SS.UU., richiamata in appello, si è pronunciata su fattispecie di titolare di pensione INPS con decorrenza dal 1 luglio 1980, e di una pensione dello Stato con decorrenza dal 19.5.1971; cfr. anche sentenza n. 3109/2010), o ipotesi di percezione di doppia indennità integrativa speciale , anch’essa risalente (Sez. L, Sentenza n. 11010 del 13/05/2009, richiamata dalla difesa dell’ERGOI).
Rimane da valutare se un analogo problema di cumulo debba ritenersi sussistente avuto riguardo agli emolumenti “principali” collegati con le variazioni del costo della vita (per semplicità espositiva: indennità integrativa speciale e indennità di contingenza). Anche in tal caso, l’operatività del divieto, seguendo il ragionamento e le motivazioni già espresse da queste Sezioni riunite con sentenza n. 54/2015/QM, può dirsi sussistente per un limitato arco temporale.
A detti fini, peraltro, sono necessarie alcune precisazioni, posto che la dizione “Assicurazione Generale Obbligatoria”, ricomprende il fondo pensione lavoratori dipendenti, nonché una serie di fondi speciali che nel tempo sono stati soppressi (si pensi al fondo volo; fondo poste; fondo Autoferrotranvieri) ma che avevano una disciplina speciale che, in via transitoria, ha continuato a trovare applicazione per gli assicurati e i pensionati ivi iscritti al momento della soppressione.
In tale multiforme panorama, va detto che, con specifico riferimento alla assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, già la legge 04/04/1952, n. 218, agli articoli 9 e 10, nel dettare le norme di adeguamento del trattamento pensionistico (già basato, all’evidenza, sul versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro), aveva stabilito che il “nuovo” trattamento sostituiva “l'assegno integrativo, l' indennità di caropane e gli assegni straordinari e supplementari di contingenza di cui al d.lgs. lgt. 1° marzo 1945, n. 177, al d.lgs. C.P.S. 6 maggio 1947, n. 563, al d.lgs. C.P.S. 29 luglio 1947. n. 689, alla l. 14 giugno 1949, n. 322, e successive modificazioni” (art. 10).
Di poi, per le pensioni con decorrenza successiva al 30 giugno 1982 dell’A.G.O., l’art. 3 della legge n. 297 del 1982, aveva determinato, all’ottavo comma, la retribuzione da prendere a base per la pensione, nella quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro (o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria) risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione. Aveva, altresì, stabilito, all’undicesimo comma, la rivalutazione della retribuzione media settimanale di ciascun anno solare in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuo del costo della vita, tra l'anno solare di riferimento e quello precedente la decorrenza della pensione.
Con l’articolo 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n.67, interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 86 del 1988, aggiunto dalla legge di conversione n. 160 del 1988, ai fini di mitigazione del sistema, è stato disposto che a decorrere dal 1° gennaio 1988, la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l’assicurazione doveva essere calcolata sulla media delle retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982, e relative alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione, dando luogo a una quota aggiunta di pensione da sommarsi alla pensione determinata in base al limite massimo, divenendo parte integrata della stessa.
Tali modalità di calcolo della pensione si innestano su un sistema regolato dal c.d.<< tetto pensionabile>>, di talché non può parlarsi, in tale ambito, di attribuzione separata di indennità di contingenza o trattamenti similari.
Peraltro, in considerazione della compresenza di differenti fondi pensionistici che, pur mantenendo specifiche normative, sono confluiti nell’A.G.O. (senza considerare le forme sostitutive ed esclusive), diventa necessario individuare un chiaro discrimine temporale a partire dal quale tutti gli emolumenti diretti a compensare il variare del costo della vita e per l’innanzi, eventualmente, separatamente liquidati, sono stati inevitabilmente conglobati nella base pensionabile. Detto discrimine è quello del 1° gennaio 1993, individuato dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, in base al quale “per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrative dall'INPS, l'importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993”.
Al quesito posto dalla Sezione prima centrale d’appello va quindi data risposta affermativa, con la precisazione che per i periodi, limitati per l’invero, in cui alla luce delle precedenti motivazioni sia dato ravvisare la permanenza del divieto di cumulo, sia esso riferito agli emolumenti che si sono definiti principali, ovvero a quelli accessori (incrementi perequativi), sarà cura del Giudice delle pensioni verificare nel concreto quale sia la duplicazione degli emolumenti, e statuire di conseguenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 19, secondo comma, della legge n. 843/1978, tenuto conto che, qualora la pensione dell’INPS sia stata erogata in epoca successiva alle indicate soglie temporali, diversificate in ragione della natura degli emolumenti considerati, al percettore di trattamento pensionistico statale con indennità integrativa speciale separata, tale beneficio spetterà nella misura intera. Ciò in quanto, in difformità dalle conclusioni della Procura generale, il Collegio non ritiene che debba demandarsi all'Autorità giudiziaria ordinaria la cognizione sulla eventuale operatività del divieto di cumulo di cui all' art. 19, primo comma, l. 843/1978, e sulla spettanza, o meno, delle quote aggiuntive di cui all'art. 10 della l. 160/1975, o di eventuale altro trattamento di adeguamento al costo della vita erogato sulla pensione INPS dell'assicurazione generale obbligatoria.
Confortano tale conclusione da un lato, la circostanza che il divieto di cumulo, nei limiti in cui può dirsi vigente, corrisponde al necessario “bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa” (Corte cost. sentenza n. 119 del 1991; nello stesso senso, cfr. ordinanza n. 531 del 2002; sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993), cui si contrappone l’interesse dei pensionati a mantenere il più possibile inalterato il potere d’acquisto dei trattamenti percepiti.
Ma l’individuazione di meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni è riservata alla valutazione discrezionale del Legislatore il quale ha inteso evitare la duplicazione di emolumenti diretti allo stesso fine con disposizioni che, seppure prima facie sembrerebbero formalmente destinate ad intervenire su distinti rami dell’ordinamento pensionistico, lette nel loro insieme, e in ragione delle sovrapposizioni ed intersezioni ravvisabili nelle singole fattispecie concrete, non possono che “formare sistema” e vanno intese ed applicate nella loro interezza.
Per altro verso, non può essere trascurato che lo stesso tenore letterale dell'art. 19, compresa la specifica formulazione del comma 2, depone per una disciplina di carattere generale che prevede e dirime il possibile concorso di pensione dell'A.G.O. e di pensione dello Stato (“gestioni sostitutive o esclusive”).
Il tutto in un’ottica che deve necessariamente portare, in ragione del principio fondante dell’economia processuale e della concentrazione, ad una pronuncia il più possibile esaustiva, vieppiù quando chi è chiamato a rendere giustizia sia, come il Giudice delle pensioni, “Giudice del rapporto” sottoposto al suo esame.
6. Alla luce di tutte le argomentazioni che precedono, al quesito: “Se al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”, va data soluzione affermativa.
Non vi è luogo a provvedere per le spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale:
- ritenuta l’ammissibilità della questione di massima deferita;
- ritenuta la rilevanza della questione nel giudizio a quo con riferimento al giudizio di appello promosso;
- richiamate le precisazioni di cui in motivazione;
AFFERMA
il seguente principio di diritto: “Al percettore di pensione privilegiata tabellare spetta l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di cui all’art. 116, comma 3, del d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 giugno 2017.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Maria Elisabetta LOCCI) (Alberto AVOLI)
Depositata in Segreteria in data Il Direttore della Segreteria
13 settembre 2017 Maria Laura Iorio
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Considerato in
DIRITTO
1. Il Collegio deve, preliminarmente, valutare l’ammissibilità e la rilevanza nel giudizio a quo della questione di massima.
L’art. 1, comma 7, del d.l. n. 453 del 15.11.1993, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 19 del 14.01.1994, come integrato dal comma secondo dell’articolo 42 della legge 18 giugno 2009 n. 69 disponeva che “Le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del Procuratore generale”.
La giurisprudenza di queste Sezioni riunite, al riguardo, ha delineato i presupposti necessari ai fini del deferimento, consentito in presenza di una questione rilevante per la decisione di merito, e nella quale sia emerso un contrasto giurisprudenziale, individuato “con riferimento alla sua tipologia, rispetto agli organi giudicanti (contrasto c.d. verticale, fra sezioni di grado diverso, ovvero orizzontale, in primo o in secondo grado)”.
E’ stata poi, già da tempo, esclusa qualsiasi considerazione per il contrasto verticale, “per evidenti ragioni connesse alla naturale dialettica giurisprudenziale fra le Sezioni di appello e quelle di primo grado, assumendo ovviamente le prime una posizione di “prevalenza” in forza della posizione assunta nella costruzione processuale” (cfr. sentenza n. 17/2011/QM), mentre il contrasto orizzontale è stato ritenuto rilevante solo laddove verificatosi tra Sezioni di appello, che svolgono “un primo essenziale ruolo nomofilattico di armonizzazione e di consolidamento interpretativo del diritto vivente” (SS.RR. n. 10/QM/2011; nello stesso senso, n. 1/QM/2010 e n. 8/QM/2010), e che si configura in presenza di “una pluralità di pronunce rese da giudici diversi in un periodo di tempo più o meno ampio”, che integri un contrasto “tra orientamenti” (SS.RR. n. 10/QM/2011).
L’approdo giurisprudenziale cui sono pervenute queste Sezioni riunite può dirsi recepito dal d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016, recante il codice di giustizia contabile, il quale, agli articoli 11, comma 3, e 114, ha previsto che le Sezioni riunite in sede giurisdizionale decidono … “sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali d'appello, dal Presidente della Corte dei conti, ovvero a richiesta del procuratore generale”, deferimento che, ai sensi del successivo art. 114, può avvenire “d'ufficio o anche a seguito di istanza formulata dal procuratore generale o da ciascuna delle parti del giudizio d'impugnazione”.
L’individuazione dei soggetti cui è demandata la possibilità del deferimento, dal cui novero risultano escluse le Corti territoriali, rimarca, oltre ad un chiaro intento deflattivo, la necessità che il contrasto emerga nel giudizio in secondo grado, proprio in conseguenza della funzione di armonizzazione e di prima nomofilachia, rimessa alle Sezioni d’appello.
Difatti, come già precisato, “solo allorquando il “filtro” delle sezioni di appello non sia riuscito a consolidare l’univocità dell’indirizzo interpretativo, si rende necessario l’intervento delle Sezioni riunite, chiamate a rendere una pronuncia chiarificatrice sull’esatta interpretazione della norma e, più in generale, del punto in diritto” (cfr. SS.RR. n. 10/2011/QM).
Anche nella vigenza del nuovo codice di giustizia contabile, resta comunque fermo che il presupposto per la rimessione della questione di massima da parte delle Sezioni di appello non è solo il rilevante contrasto fra le sezioni medesime, bensì anche la prospettazione di una questione connotata da oggettiva particolare complessità e da specifica valenza innovativa, questione di per sé idonea ad essere riferita ad una ampia platea di giudizi.
Tanto si desume dall’interpretazione letterale e funzionale del primo comma dell’articolo 114, là dove non si rinviene alcun riferimento al contrasto.
Peraltro il contrasto – anche in primo grado – può essere valorizzato solo nell’ipotesi disciplinata dal successivo comma terzo di deferimento da parte del Presidente della corte o del Procuratore generale.
Alla luce di quanto esposto in narrativa, e di quanto rappresentato dalla Sezione remittente, il Collegio ritiene che la questione all’esame sia connotata vuoi dalla rilevanza, data l’incidenza pregiudiziale della risoluzione della medesima sulla decisione nel merito del giudizio, pendente presso la Sezione prima centrale, vuoi dalla ammissibilità, dato il contrasto tra orientamenti rilevato in grado d’appello.
2. Al riguardo, occorre brevemente ricordare che, in ipotesi di titolare di trattamento pensionistico tabellare con indennità integrativa speciale separata, e di contemporaneo percepimento di pensione INPS, regime dell’A.G.O., la Sezione prima giurisdizionale centrale, dopo aver inizialmente aderito all’orientamento giurisprudenziale che, in ragione della natura risarcitoria delle pensioni privilegiate tabellari, aveva ritenuto inapplicabile il divieto di cumulo (sentenza n. 808/2014), con le più recenti pronunce ha mutato indirizzo (sentenze n. 327/2015 e n. 544 del 30 ottobre 2015), giungendo all’approdo che, nel caso di duplice pensione, spetti l’ indennità integrativa speciale anche sul secondo trattamento pensionistico, ma solo limitatamente al cosiddetto “minimo INPS”.
Per contro, la Sezione seconda giurisdizionale centrale (sentenze n. 612/2016, 613/2016 e n. 188/2014) ha riconosciuto il diritto alla misura intera, in quanto “per la pensione liquidata dall’INPS secondo le norme vigenti per l’Assicurazione Generale Obbligatoria non esiste un emolumento separato dalla stessa pensione assimilabile all’ indennità integrativa speciale ”, di talché viene meno la stessa ragion d’essere del divieto di cumulo.
3. Valuta il Collegio, in primo luogo, che sia da ritenersi superato l’orientamento espresso dalla sentenza n. 808/2014 della Sezione prima centrale, ripreso tra le argomentazioni a sostegno del riconoscimento dell’emolumento in misura integrale dalla difesa del ricorrente, alla luce dei principi statuiti da queste Sezioni riunite con sentenza n. 54/2015/QM del 25 settembre 2015, che vanno integralmente confermati e condivisi.
In tale pronuncia è stato chiaramente indicato che nessuna incidenza può assumere la natura, risarcitoria o retributiva, dell’emolumento pensionistico, in quanto il “meccanismo che il legislatore del 1959 (art. 2, legge n. 324/1959 ed art. 99, comma 1, D.P.R. n. 1092/1973) aveva predisposto al fine di garantire l’emolumento medesimo dall’erosione determinata dalla svalutazione monetaria” aveva trovato “pacificamente applicazione, in modo del tutto identico, sia sulle pensioni ordinarie che su quelle tabellari”. Analoga indistinta applicazione è stata data all’art. 99, comma 2, del D.P.R. n. 1092/1973, pur con il correttivo introdotto dalla Corte costituzionale con sentenza 29 - 31 dicembre 1993, n.494.
Non può, pertanto, che ribadirsi che “ogni tentativo mirato a volere differenziare la lettura di quel complesso normativo, a posteriori, al fine di valorizzarne un diverso impatto sui due tipi di trattamenti pensionistici in relazione all’art. 15, comma 3, della legge n. 724/1994 e della legge n. 335/1995, appare del tutto ultroneo, anche alla luce della circostanza che per entrambi i trattamenti trova applicazione, adesso, il nuovo meccanismo perequativo di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 503/1992 ed art. 34, comma 1, della legge n. 448/1998” (cfr. sentenza n. 54/2015/QM cit.).
Ad analoghe conclusioni non può che pervenirsi con riferimento al regime dell’A.G.O. per il quale, laddove dovesse rinvenirsi un emolumento corrispondente alla indennità integrativa speciale , nessuna rilevanza potrebbe attribuirsi alla natura risarcitoria della pensione tabellare, al fine di non incorrere in un eventuale divieto di cumulo.
4. Del pari, alcun peso può essere dato alle conseguenze che potrebbero riverberarsi sul bilancio dello Stato dalla pronuncia assunta in questa sede, circostanza rappresentata dalla difesa erariale, posto che il “parametro decisorio è costituito esclusivamente dal quadro normativo vigente, interpretato – ove necessario – sulla base dei principi generali, anche di rango costituzionale” (cfr. sentenza n. 54/2015/QM cit.).
La decisione del Giudice, che trova radice nell’interpretazione delle norme secondo i prescritti canoni ermeneutici, non può che prescindere da qualsiasi valutazione, estranea all’ambito del giudizio, sulle possibili ripercussioni finanziarie sul bilancio, o sulla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
Tali criteri, così come i principi costituzionali invocati dalla predetta difesa (artt. 2 e 81 Cost.), sono destinati a conformare in primo luogo l’attività del Legislatore, venendo in rilievo, nell’ambito del giudizio, solo qualora una norma, destinata a regolare la fattispecie in concreto sottoposta all’esame del Giudice, si ponga in contrasto con detti principi o con altri, di pari valore, che per ipotesi governino la materia scrutinata.
Non può, per contro, invocarsi l’immanenza di tali principi per trarne la conseguenza che qualsiasi norma, specie nell’odierna situazione finanziaria dello Stato italiano, che comporti o possa comportare una spesa per le amministrazioni, violi di per sé il dettato costituzionale.
5. Ciò premesso, il thema decidendum involge l’esame di due distinti aspetti, ovvero la vigenza e l’estensione del principio del divieto di cumulo di trattamenti collegati con il costo della vita, quali esistenti nell’ambito dei diversi regimi pensionistici e, ancora, l’esistenza e attuale vigenza, per le pensioni INPS dell’A.G.O., di emolumenti rapportabili alla indennità integrativa speciale e, in particolare, la valenza ed effettività dell'emolumento previsto dall'art. 10, della legge n. 160/1975 (cd. quota aggiuntiva).
In ordine al primo aspetto, vi è da ribadire, come più volte sottolineato da queste Sezioni riunite, che i vari interventi della Corte costituzionale non hanno prodotto l’espunzione dall’ordinamento del divieto posto dall’art. 99, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, secondo cui “al titolare di più pensioni o assegni l’ indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo”.
A tale norma corrisponde, nell’ambito della gestione delle pensioni INPS dell’A.G.O., l’art. 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843, che in ragione della coesistenza di diversi sistemi di calcolo dei trattamenti pensionistici ha previsto, in termini generali, che “a decorrere dal 1 gennaio 1979 ai titolari di più pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o delle gestioni dei lavoratori autonomi, o a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o, comunque, integrative dell'assicurazione generale obbligatoria sopra richiamata o che ne comportino l'esclusione o l'esonero, la quota aggiunta di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, comma 3, l'incremento dell' indennità integrativa speciale di cui alla l. 31 luglio 1975, n. 364, art. 1, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita, sono dovuti una sola volta”.
Entrambe le disposizioni, dunque, se da un lato sono dirette alla salvaguardia della situazione reddituale, del lavoratore o del pensionato, rispondente ai principi di tutela posti dagli artt. 36 e 38 Cost., dall’altro pongono il limite che il meccanismo dettato per l’adeguamento al costo della vita operi su un solo trattamento, al fine di evitare duplicazioni che, all’epoca in cui le norme erano state emanate avevano una consistenza e un’incidenza notevole non solo sul trattamento pensionistico, ma anche su quello percepito in costanza di servizio (le indennità a tal fine previste, vuoi la integrativa speciale che quella di contingenza hanno costituito, per un certo lasso temporale, in ragione degli altissimi livelli di inflazione, una parte assai cospicua, se non addirittura in certi casi la maggiore, degli emolumenti percepiti).
Orbene, all’indomani degli interventi della Corte costituzionale, non può ritenersi più operante un divieto di cumulo generalizzato, essendo venuto meno, in virtù di sentenze di mero annullamento, per l’ipotesi di pensionato che presti opera retribuita (sentenza 15-29 aprile 1992, n. 204, con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, primo comma, l. n. 843/1978, e sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 566, con cui è stata dichiarata l'illegittimità del quinto comma dell'art. 99, D.P.R. n. 1092/1973), ed operando in misura parziale (con la salvaguardia del minimo I.N.P.S.), nel caso di percettori di plurimi trattamenti pensionistici, a prescindere dalla gestione nel cui ambito gli stessi risultino erogati.
Discende, dalla disciplina che, in parallelo e con analoghe disposizioni, ha normato la materia, sia per le pensioni dell’A.G.O. che per quelle pubbliche, che il principio della spettanza dell’adeguamento al costo della vita, seppure con i correttivi introdotti dalla Consulta, non debba essere valutato nell’ambito più ristretto della singola gestione, per evenienza sottoposto all’esame del Giudice, ma debba essere considerato nel suo complesso, giacché espressione di una regola generale corrispondente, ancor prima che allo stretto canone interpretativo della legge, a criteri di giustizia sociale e contemperamento di contrapposti interessi che, da sempre, informano l’attività del Legislatore.
Vero è che, all’indomani della caducazione del divieto per il pensionato che presta opera retribuita, la questione, riferita al percettore di plurimi trattamenti di pensione, è stata diverse volte sottoposta al sindacato di legittimità, ma con esiti che, come chiaramente indicato da queste Sezioni riunite (sentenze n. 14/QM/2003 dell’11/07/2003; 2/QM/2006 del 22/02/2006 e, infine, n. 1/QM/2009 del 26 febbraio 2009), non hanno comportato il venir meno del divieto, avendo la Corte costituzionale, tenuto “ben distinta l’ipotesi di cumulo dell’ indennità integrativa speciale su pensione e retribuzione da quella di doppia pensione, emettendo nel primo caso sentenze di mero annullamento e, nel secondo caso, sentenze additive che hanno avuto l’effetto di estendere, alle disposizioni recanti il divieto di cumulo della indennità integrativa speciale nei confronti del titolare di due pensioni, il principio della salvaguardia del minimo INPS contenuto nell’art.17, 1° comma, della legge n.843 del 1978” (cfr., oltre a quelle sopra citate, sentenze C. cost. n. 172 del 1991; n. 494 del 1993; n. 516/2000).
Ma l’assetto ordinamentale e, con esso, il regime di adeguamento dei trattamenti pensionistici, ha subito un’evoluzione che consente di riconsiderare l’effettivo ambito di applicazione del divieto che, per quanto si dirà in appresso, può allo stato ritenersi di portata limitata.
Già con la sentenza n. 2/QM/2006 cit., queste Sezioni riunite si erano poste il problema della persistente validità di “un parametro reddituale minimo come riferimento del divieto di cumulo, o se invece debba prendersi in considerazione l'entità del trattamento pensionistico, per configurare oggi la possibilità per il legislatore di addivenire alla decurtazione della pensione, scegliendo tra diverse soluzioni che comunque rispettino l'esigenza di un equilibrio del sistema retributivo e pensionistico”, in ragione dell'entrata in vigore della legge n. 724 del 1994, che aveva conglobato l' indennità integrativa speciale nella base pensionabile.
Con la successiva sentenza n. 1/QM/2009, sollecitata dagli interventi legislativi e della Corte costituzionale medio tempore adottati (cfr. ordinanze n.89 dell’8 marzo 2005, e n.119 del 24 aprile 2008), è stato riesaminato funditus il quadro ordinamentale e, in particolare, la disciplina entrata in vigore successivamente al 31.12.1994, fino alla legge n.296/2006, ancorché con riferimento alla gestione delle pensioni dei dipendenti pubblici.
In tale occasione, nel constatare che “il diverso trattamento dell’ indennità integrativa speciale per le pensioni liquidate fino al 31.12.1994 è essenzialmente una norma di salvaguardia di miglior trattamento per le posizioni pregresse, poiché consente ai titolari di pensione liquidata, appunto, prima del 1.1.1995 di conservare l’ indennità integrativa speciale nella misura intera, senza le riduzioni conseguenti ad un suo inserimento nella base pensionabile”, è stato ritenuto che “le disposizioni recate dalla legge 27.12.2006, n.296, art.1, comma 774, relativo alla interpretazione autentica dell’art. 1, comma 41 della legge n 335 del 1995, sulla indennità integrativa speciale su pensioni di reversibilità, comma 775, che fa salvi tutti i trattamenti in materia così come attribuiti da giudicati, con riassorbimento sui futuri miglioramenti e comma 776, che, con disposizione simmetrica a quella contenuta nel precitato comma 774 (sentenza n. 74/2008 della Corte costituzionale), abroga, con effetto dal 1.1.2007 (data di entrata in vigore della stessa legge n. 296/2006), l’art. 15, comma 5, della legge n. 724/1994, non hanno modificato l’assetto normativo valevole per il periodo anteriore a tale ultima data, quale modellatosi con le varie sentenze della Corte costituzionale, relativo al tema del divieto di cumulo della indennità integrativa speciale su plurimi trattamenti di pensione per il periodo antecedente al 1°.1.1995”.
Si è così giunti all’approdo (cfr. SS.RR. n.54/2015/QM cit.) della inoperatività del divieto nelle ipotesi in cui un soggetto sia percettore di due trattamenti pensionistici, uno dei quali erogato dopo il 1° gennaio 1995, poiché “l’intervenuto conglobamento dell’ indennità ha cagionato un prevalente assorbimento nel trattamento, così da marginalizzare (o addirittura elidere del tutto) la funzione propria dell’istituto di adeguamento dinamico di rivalutazione”.
Peraltro, ad analoghe conclusioni non può che pervenirsi con riferimento alle pensioni dell’A.G.O. erogate dall’INPS cui, va detto per inciso, la normativa introdotta a partire dal 1994, in un’ottica di progressiva armonizzazione delle basi contributive previste dalle diverse gestioni obbligatorie dei settori pubblico e privato, si è ispirata, mutuando i criteri di computo e di adeguamento del trattamento di pensione.
Così il comma 3 dell’art. 15 della legge n. 724 del 1994 ha stabilito che, “con decorrenza dal 1° gennaio 1995, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’art.1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, iscritte alle forme di previdenza esclusive dell’assicurazione obbligatoria, nonché per le altre categorie di dipendenti iscritti alle stesse forme di previdenza, la pensione spettante viene determinata sulla base degli elementi retributivi assoggettati a contribuzione, ivi compresa la indennità integrativa speciale , ovvero indennità di contingenza, ovvero l’assegno per il costo della vita spettante”.
Il processo di uniformizzazione dei trattamenti pensionistici è proseguito con la legge del 16.8.1995, n. 335, il quale all’art. 1, ha definito i nuovi criteri di calcolo, attraverso la commisurazione di tali trattamenti alla contribuzione, per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, e dando particolare rilievo, nel rispetto della pluralità delle gestioni previdenziali, alla stabilizzazione della spesa pensionistica in correlazione con il prodotto interno lordo. La legge ha altresì recepito, per coloro che potevano far valere un'anzianità contributiva inferiore ai diciotto anni al 31 dicembre 1995, i criteri di calcolo già introdotti dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, con decorrenza dal 1° gennaio 1993, per i quali l’ indennità integrativa speciale entra a far parte del trattamento pensionistico globale, perdendo la natura, come già detto, di assegno separato.
Orbene, deve essere a questo punto considerato che, nell’ambito dell’A.G.O., una funzione analoga a quella dell’ indennità integrativa speciale era svolta, per il personale in attività, dall’assegno di contingenza. Quest’ultimo, analogamente alla predetta indennità , a conferma del parallelismo normativo e anche fattuale esistente tra i due istituti, viene abbandonato con il protocollo di intesa tra Governo e parti sociali del 31 luglio 1992 (l’ indennità integrativa speciale subisce la stessa sorte, a seguito di referendum specifico, sempre nel 1992), costituendo una voce che compare in maniera distinta, pur rimanendo immutata nell’importo all’epoca raggiunto, per i trattamenti stipendiali.
Sotto tale profilo, pertanto, il problema del cumulo potrebbe porsi esclusivamente nei confronti di un soggetto percettore di indennità integrativa speciale separata su pensione statale, e di indennità di contingenza su pensione INPS dell’A.G.O., dovendosi ritenere costituzionalmente illegittimo il divieto di cumulo di indennità di contingenza, o comunque, di emolumenti parimenti diretti a sopperire ad un maggior costo della vita), non di per sé, “in relazione alla originaria funzione della indennità di contingenza (o similare) come elemento aggiuntivo (correlato a percentuale di stipendio o pensione) e separato dalla retribuzione o pensione, con finalità di adeguarla ad un livello minimo rispetto alle variazioni del costo della vita, ma qualora non sia fissato un limite minimo o trattamento complessivo per le attività alle quali si riferisce, al di sotto del quale non debba operare il divieto stesso” (Corte costituzionale, sent. n. 516/2000).
Peraltro, una siffatta semplificazione non terrebbe nel debito conto il diverso sistema di calcolo del trattamento pensionistico, e i meccanismi di perequazione previsti nell’uno e altro ordinamento (pensioni INPS dell’A.G.O. e pensioni pubbliche), che hanno condotto all’emanazione dell’art. 19, primo comma, della l. 21/12/1978, n. 843, in cui il divieto di cumulo opera non più su un livello che si potrebbe definire principale (corresponsione degli emolumenti), ma su di un piano più prettamente “accessorio”, involgendo il diverso aspetto della perequazione, per quanto qui di rilievo, dei trattamenti pensionistici, come chiaramente desumibile dal tenore letterale della norma, che stabilisce “a decorrere dal 1 gennaio 1979 ai titolari di più pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o delle gestioni dei lavoratori autonomi o a carico delle gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive o, comunque, integrative dell'assicurazione generale obbligatoria sopra richiamata o che ne comportino l'esclusione o l'esonero, la quota aggiunta di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, comma 3, l'incremento dell' indennità integrativa speciale di cui alla l. 31 luglio 1975, n. 364, art. 1, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita, sono dovuti una sola volta” (comma 1), e prosegue affermando che “ai fini previsti dal precedente comma, qualora su una delle pensioni trovi applicazione la l. 31 luglio 1975, n. 364, continua a corrispondersi l' indennità integrativa speciale di cui alla legge stessa, restando in ogni caso non dovuta la quota aggiuntiva di cui alla l. 3 giugno 1975, n. 160, art. 10, o altro analogo trattamento collegato con le variazioni del costo della vita” (comma 2).
Traspare con piena evidenza, dal tenore letterale della riportata disposizione, che la stessa appare diretta a regolare la perequazione delle pensioni del fondo pensione lavoratori dipendenti e le possibili duplicazioni o interferenze con il sistema di determinazione (all’epoca nuovo) dei punti di variazione dell’indice del costo della vita ai fini dell’ indennità integrativa speciale , mentre il divieto di cumulo tout court trova separata previsione nell'art. 17 del medesimo testo normativo, che specifica che “l' indennità integrativa speciale non è cumulabile con la retribuzione percepita in costanza di rapporto di lavoro alle dipendenze di terzi. Deve comunque, essere fatto salvo l'importo corrispondente al trattamento minimo di pensione previsto per il fondo lavoratori dipendenti”, criterio, quest’ultimo, che è stato fatto proprio dalla Corte costituzionale nel determinare i limiti di operatività del predetto divieto.
Al riguardo, va ricordato che, ai fini della cosiddetta perequazione automatica, introdotta per la prima volta dalla legge del 30 aprile 1969 n. 153 per l'assicurazione generale obbligatoria (era previsto, all’art. 19, l’aumento delle pensioni in misura percentuale pari all'incremento dell'indice del costo della vita, calcolato dall'ISTAT per la scala mobile della retribuzione ai lavoratori dell'industria), il meccanismo introdotto dall’art. 10 (commi 3 e 4), della legge 3 giugno 1975 n. 160, stabiliva, per le pensioni superiori al minimo, l’utilizzo di due coefficienti: a) uno variabile, rappresentato dalla differenza tra l'aumento percentuale dei tassi delle retribuzioni minime contrattuali e la variazione, parimenti percentuale, del costo della vita; b) uno fisso, attraverso l’attribuzione di una "quota aggiuntiva" “pari al prodotto che si ottiene moltiplicando il valore unitario, di seguito fissato per ciascun punto, per il numero dei punti di contingenza che sono stati accertati per i lavoratori dell'industria nei quattro trimestri relativi al periodo compreso dal diciassettesimo al sesto mese anteriore a quello da cui ha effetto l'aumento delle pensioni”.
Dunque, con "punti" di importo predeterminato dalla stessa legge, e uguali per tutte le pensioni, a prescindere dall'ammontare delle stesse (erano escluse, come in precedenza, le gestioni speciali, che pertanto restavano ancora soggette ai rispettivi ordinamenti).
Il successivo d.l. 23 dicembre 1977, n. 943, art. 1, convertito nella l. 27 febbraio 1978, n. 41, aveva esteso la descritta perequazione a tutte le pensioni erogate da gestioni previdenziali obbligatorie o integrative dell'A.G.O., o che ne comportino l'esclusione o l'esonero. Rimanevano escluse le pensioni dello Stato ed altre pensioni del settore pubblico per le quali, però, in aggiunta all'aggiornamento al costo della vita garantito dalla indennità integrativa speciale , in forza della l. 26 aprile 1976, n. 177 (art. 1 e 4), era previsto un collegamento alla dinamica delle retribuzioni.
Il sistema introdotto dalla legge n. 160/1975, per la scarsa incidenza dell’elemento variabile, e la preponderante rilevanza di quello fisso, aveva comportato l’effetto di favorire la conservazione del potere di acquisto delle pensioni meno alte, incidendo negativamente su quelle medio-alte (c.d. appiattimento), tanto che, va sottolineato, proprio il carattere temporaneo e contingente della disciplina dettata dall’art. 10 della legge n. 160/1975 aveva portato la Corte costituzionale, pur riconoscendo che essa avesse inciso in maniera profondamente ineguale sulle pensioni, a ritenerne la conformità a Costituzione (cfr. sent. 17/12/1985 n. 349).
Di talché, con successiva legge n. 730 del 27 dicembre 1983 (cfr. art. 21), la descritta disciplina è stata abbandonata, disponendosi che, con decorrenza dal 1 gennaio 1984, l’adeguamento dei trattamenti pensionistici dovesse avvenire in ragione degli indici reali di svalutazione e dovesse essere attribuito sull’ammontare complessivo del trattamento di quiescenza, nelle misure spettanti, secondo aliquote decrescenti per fasce d’importo. Per siffatto calcolo, le pensioni alle quali si applica la disciplina dell' indennità integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni ed integrazioni, dal 1° maggio 1984 erano considerate comprensive dell' indennità stessa (cfr. comma 8, art. 21).
Tale diverso sistema (perequazione automatica) è stato mantenuto ed esteso nel corso degli anni successivi, fino a divenire l’unico mezzo per salvaguardare il potere di acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici, oramai svincolati dall’andamento delle retribuzioni del personale in attività, in ragione delle rappresentate esigenze di contenimento della spesa pubblica, e all’enunciato scopo di stabilizzare il rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo, come previsto dall’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, recante “delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale”.
In attuazione di tale delega, il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, art. 11, ha disposto all’art. che gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni si applicano sulla base del solo adeguamento al costo della vita con cadenza annuale, e con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, stabilendo, inoltre, che tali aumenti vengano calcolati “applicando all’importo della pensione spettante alla fine di ciascun periodo la percentuale di variazione che si determina rapportando il valore medio dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, relativo all’anno precedente il mese di decorrenza dell’aumento, all’analogo valore medio relativo all’anno precedente”.
Successivamente, la legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure di stabilizzazione della finanza pubblica), all’art. 59, comma 4, ha precisato che la perequazione automatica costituisce, a decorrere dal 1998, l’unica forma di adeguamento delle prestazioni pensionistiche, “con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento, anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”.
L’art. 34 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”, ha definito le modalità di applicazione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni, stabilendo, con effetto dal 1° gennaio 1999, che lo stesso “si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle relative gestioni per i lavoratori autonomi, nonché dei fondi sostitutivi, esclusivi ed esonerativi della medesima e dei fondi integrativi ed aggiuntivi di cui all'articolo 59, comma 3, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'aumento della rivalutazione automatica dovuto in applicazione del presente comma viene attribuito, su ciascun trattamento, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all'ammontare complessivo”.
Di seguito, l’art. 69 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (“Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001”), ha fissato la misura entro la quale si applica l’indice di rivalutazione automatica a decorrere dal 1° gennaio 2001, limitandolo al 90% per i trattamenti pensionistici compresi tra tre e cinque volte il cd. minimo INPS, e al 75% per le fasce di importo superiori a cinque volte il predetto minimo.
In attuazione delle disposizioni sopra richiamate, annualmente, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato di concerto con il Ministro del lavoro, viene determinata la percentuale di variazione sulla cui base devono essere calcolati gli aumenti di perequazione automatica delle pensioni, sui quali, ai fini di completezza espositiva, va ricordato che il Legislatore è intervenuto a più riprese, spinto dalla contingente situazione economica, ulteriormente limitando o addirittura bloccandone l’attribuzione, per le fasce pensionistiche più elevate (si vedano, da ultimo l’art. 24, comma 25, del decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011 convertito, con modificazioni, in legge 22 dicembre 2011, n. 214, dichiarato costituzionalmente illegittimo, e il successivo art. 1 del decreto-legge 21 maggio 2015, n. 65, convertito, con modificazioni, in legge 17 luglio 2015, n. 109).
Dalla ripercorsa evoluzione legislativa discende, con palese evidenza, che il problema di un possibile cumulo, ai fini perequativi, dell’ indennità integrativa speciale e delle quote aggiunte possa verificarsi esclusivamente in presenza di soggetti che, titolari di pensione statale (o amministrati dalle gestioni speciale INPS) con la indennità integrativa speciale separata, siano andati in quiescenza nell’arco temporale in cui il sistema introdotto dalla legge n. 160/1975 è rimasto in vigore, venendo meno per coloro i quali abbiano percepito la pensione a decorrere dal 1° gennaio 1984 (termine posto dalla legge n. 730/1983). A conforto di tale conclusione valga considerare che le pronunce della Corte di cassazione invocate dalla difesa del ricorrente e dalla Procura generale e richiamate anche nelle pronunce del Giudice d’appello, o hanno riguardato percettori di più trattamenti pensionistici attribuiti nel periodo di vigenza delle norme esaminate (in particolare, la sentenza n. 25616 del 23.10.2008 delle SS.UU., richiamata in appello, si è pronunciata su fattispecie di titolare di pensione INPS con decorrenza dal 1 luglio 1980, e di una pensione dello Stato con decorrenza dal 19.5.1971; cfr. anche sentenza n. 3109/2010), o ipotesi di percezione di doppia indennità integrativa speciale , anch’essa risalente (Sez. L, Sentenza n. 11010 del 13/05/2009, richiamata dalla difesa dell’ERGOI).
Rimane da valutare se un analogo problema di cumulo debba ritenersi sussistente avuto riguardo agli emolumenti “principali” collegati con le variazioni del costo della vita (per semplicità espositiva: indennità integrativa speciale e indennità di contingenza). Anche in tal caso, l’operatività del divieto, seguendo il ragionamento e le motivazioni già espresse da queste Sezioni riunite con sentenza n. 54/2015/QM, può dirsi sussistente per un limitato arco temporale.
A detti fini, peraltro, sono necessarie alcune precisazioni, posto che la dizione “Assicurazione Generale Obbligatoria”, ricomprende il fondo pensione lavoratori dipendenti, nonché una serie di fondi speciali che nel tempo sono stati soppressi (si pensi al fondo volo; fondo poste; fondo Autoferrotranvieri) ma che avevano una disciplina speciale che, in via transitoria, ha continuato a trovare applicazione per gli assicurati e i pensionati ivi iscritti al momento della soppressione.
In tale multiforme panorama, va detto che, con specifico riferimento alla assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, già la legge 04/04/1952, n. 218, agli articoli 9 e 10, nel dettare le norme di adeguamento del trattamento pensionistico (già basato, all’evidenza, sul versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro), aveva stabilito che il “nuovo” trattamento sostituiva “l'assegno integrativo, l' indennità di caropane e gli assegni straordinari e supplementari di contingenza di cui al d.lgs. lgt. 1° marzo 1945, n. 177, al d.lgs. C.P.S. 6 maggio 1947, n. 563, al d.lgs. C.P.S. 29 luglio 1947. n. 689, alla l. 14 giugno 1949, n. 322, e successive modificazioni” (art. 10).
Di poi, per le pensioni con decorrenza successiva al 30 giugno 1982 dell’A.G.O., l’art. 3 della legge n. 297 del 1982, aveva determinato, all’ottavo comma, la retribuzione da prendere a base per la pensione, nella quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro (o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria) risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione. Aveva, altresì, stabilito, all’undicesimo comma, la rivalutazione della retribuzione media settimanale di ciascun anno solare in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuo del costo della vita, tra l'anno solare di riferimento e quello precedente la decorrenza della pensione.
Con l’articolo 21, comma 6, della legge 11 marzo 1988, n.67, interpretato autenticamente dall’art. 3, comma 2-bis, del decreto-legge n. 86 del 1988, aggiunto dalla legge di conversione n. 160 del 1988, ai fini di mitigazione del sistema, è stato disposto che a decorrere dal 1° gennaio 1988, la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l’assicurazione doveva essere calcolata sulla media delle retribuzioni imponibili e pensionabili, rivalutate a norma dell'undicesimo comma dell'art. 3 della legge n. 297 del 1982, e relative alle ultime duecentosessanta settimane di contribuzione, dando luogo a una quota aggiunta di pensione da sommarsi alla pensione determinata in base al limite massimo, divenendo parte integrata della stessa.
Tali modalità di calcolo della pensione si innestano su un sistema regolato dal c.d.<< tetto pensionabile>>, di talché non può parlarsi, in tale ambito, di attribuzione separata di indennità di contingenza o trattamenti similari.
Peraltro, in considerazione della compresenza di differenti fondi pensionistici che, pur mantenendo specifiche normative, sono confluiti nell’A.G.O. (senza considerare le forme sostitutive ed esclusive), diventa necessario individuare un chiaro discrimine temporale a partire dal quale tutti gli emolumenti diretti a compensare il variare del costo della vita e per l’innanzi, eventualmente, separatamente liquidati, sono stati inevitabilmente conglobati nella base pensionabile. Detto discrimine è quello del 1° gennaio 1993, individuato dall'art. 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, in base al quale “per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, e per i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrative dall'INPS, l'importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione corrispondente all'importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolato con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile; b) della quota di pensione corrispondente all'importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993”.
Al quesito posto dalla Sezione prima centrale d’appello va quindi data risposta affermativa, con la precisazione che per i periodi, limitati per l’invero, in cui alla luce delle precedenti motivazioni sia dato ravvisare la permanenza del divieto di cumulo, sia esso riferito agli emolumenti che si sono definiti principali, ovvero a quelli accessori (incrementi perequativi), sarà cura del Giudice delle pensioni verificare nel concreto quale sia la duplicazione degli emolumenti, e statuire di conseguenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 19, secondo comma, della legge n. 843/1978, tenuto conto che, qualora la pensione dell’INPS sia stata erogata in epoca successiva alle indicate soglie temporali, diversificate in ragione della natura degli emolumenti considerati, al percettore di trattamento pensionistico statale con indennità integrativa speciale separata, tale beneficio spetterà nella misura intera. Ciò in quanto, in difformità dalle conclusioni della Procura generale, il Collegio non ritiene che debba demandarsi all'Autorità giudiziaria ordinaria la cognizione sulla eventuale operatività del divieto di cumulo di cui all' art. 19, primo comma, l. 843/1978, e sulla spettanza, o meno, delle quote aggiuntive di cui all'art. 10 della l. 160/1975, o di eventuale altro trattamento di adeguamento al costo della vita erogato sulla pensione INPS dell'assicurazione generale obbligatoria.
Confortano tale conclusione da un lato, la circostanza che il divieto di cumulo, nei limiti in cui può dirsi vigente, corrisponde al necessario “bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, compresi quelli connessi alla concreta e attuale disponibilità delle risorse finanziarie e dei mezzi necessari per far fronte ai relativi impegni di spesa” (Corte cost. sentenza n. 119 del 1991; nello stesso senso, cfr. ordinanza n. 531 del 2002; sentenze n. 457 del 1998 e n. 226 del 1993), cui si contrappone l’interesse dei pensionati a mantenere il più possibile inalterato il potere d’acquisto dei trattamenti percepiti.
Ma l’individuazione di meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni è riservata alla valutazione discrezionale del Legislatore il quale ha inteso evitare la duplicazione di emolumenti diretti allo stesso fine con disposizioni che, seppure prima facie sembrerebbero formalmente destinate ad intervenire su distinti rami dell’ordinamento pensionistico, lette nel loro insieme, e in ragione delle sovrapposizioni ed intersezioni ravvisabili nelle singole fattispecie concrete, non possono che “formare sistema” e vanno intese ed applicate nella loro interezza.
Per altro verso, non può essere trascurato che lo stesso tenore letterale dell'art. 19, compresa la specifica formulazione del comma 2, depone per una disciplina di carattere generale che prevede e dirime il possibile concorso di pensione dell'A.G.O. e di pensione dello Stato (“gestioni sostitutive o esclusive”).
Il tutto in un’ottica che deve necessariamente portare, in ragione del principio fondante dell’economia processuale e della concentrazione, ad una pronuncia il più possibile esaustiva, vieppiù quando chi è chiamato a rendere giustizia sia, come il Giudice delle pensioni, “Giudice del rapporto” sottoposto al suo esame.
6. Alla luce di tutte le argomentazioni che precedono, al quesito: “Se al percettore di pensione privilegiata tabellare spetti l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”, va data soluzione affermativa.
Non vi è luogo a provvedere per le spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti a Sezioni riunite in sede giurisdizionale:
- ritenuta l’ammissibilità della questione di massima deferita;
- ritenuta la rilevanza della questione nel giudizio a quo con riferimento al giudizio di appello promosso;
- richiamate le precisazioni di cui in motivazione;
AFFERMA
il seguente principio di diritto: “Al percettore di pensione privilegiata tabellare spetta l’ indennità integrativa speciale in misura intera, anche sul rateo di tredicesima mensilità, pur se lo stesso sia nel contempo titolare di altro trattamento di quiescenza INPS dell’Assicurazione Generale Obbligatoria”.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di cui all’art. 116, comma 3, del d.lgs. n. 174 del 26 agosto 2016.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 giugno 2017.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Maria Elisabetta LOCCI) (Alberto AVOLI)
Depositata in Segreteria in data Il Direttore della Segreteria
13 settembre 2017 Maria Laura Iorio
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