Oggi cercado qualche norma in tal senso per sapere se nel caso di festività vige l'obbligo per il farmacista comunque di restare aperto al pubblico per tutto l'intero orario ossia mattina e pomeriggio anche nel caso della giornata di Natale, Capodanno, ecc., per il momento ho trovato la sotto indicata informazione che metto a disposizione di tutti la sua lettura, sperando comunque che io possa trovare quello che cercavo in tempi più brevi o meglio ancora, se qualche lettore del forum sia già in possesso di notizie utile se il farmacista ha l'obbligo di tenere la farmacia aperta cose se fosse una normale giornata di apertura feriale sperando che metta a disposizione di tutti queste informazioni utili per i cittadini bisognosi.
Ecco qui' sotto l'informazione che ho trovato:
Responsabilità penale del medico nell'omissione e rifiuto di atti d'ufficio.
Riporto un interessante commento del 05/03/2007 della Dott.ssa Monica Bock sul sito Overlex tanto per informazione a quanti non ne siano a conoscenza.
Nel nostro Paese , in base alle norme giuridiche vigenti ( Codice Penale, Codice civile, T.U. leggi Sanitarie, R.D. 27 luglio 1934 n° 1265), il medico è l’esercente una professione intellettuale che può essere ricondotta a tre figure giuridiche: pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio, esercente un servizio di pubblica necessità.
Sono infatti pubblici ufficiali i medici che esercitano “una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa” ed una “ funzione amministrativa, disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della Pubblica Amministrazione o dal Suo svolgersi, per mezzo dei poteri autoritativi o certificativi”(art. 357 c.p.), funzioni esercitate in ambito ospedaliero da direttori sanitari, medici di accettazione e Pronto Soccorso, primari ma anche aiuti che, in assenza del primario svolgono mansioni dirigenziali sostitutive. Tali funzioni possono essere estese comunque a qualsiasi sanitario in rapporto organico con il Servizio Sanitario Nazionale o altri istituti assistenziali e previdenziali.
E’ incaricato di pubblico servizio, invece, il medico che esercita un “pubblico servizio” inteso, secondo l’art. 358 c.p., come “attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione”, pur senza i poteri tipici di questa: sono questi la maggioranza dei medici ospedalieri e convenzionati con il SSN. Sono, infine, esercenti un servizio di pubblica necessità i medici liberi professionisti o “privati che esercitano professioni…sanitarie” (art. 359 c.p.).
La qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio pone il medico in una particolare posizione riguardo alla sua responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione. Profili di responsabilità amministrativa del medico possono ricondursi a illeciti penali , in violazione degli artt. 314 c.p. ( PECULATO), 316 c.p. (PECULATO MEDIANTE PROFITTO DELL’ERRORE ALTRUI), 317c.p. (CONCUSSIONE), 318 c.p. (CORRUZIONE PER UN ATTO D’UFFICIO), 319 c.p. (CORRUZIONE PER UN ATTO CONTRARIO AI DOVERI D’UFFICIO), 323 c.p. (ABUSO D’UFFICIO), 326 c.p.(RIVELAZIONI DI SEGRETI D’UFFICIO),328 c.p. (OMISSIONE O RIFIUTO DI ATTI D’UFFICIO), 330 c.p.(ABBANDONO COLLETTIVO DI PUBBLICI UFFICI, IMPIEGHI, SERVIZI, LAVORI), 331 c.p.( INTERRUZIONE DI UN SERVIZIO PUBBLICO O DI PUBBLICA NECESSITA’).
La legge 26 aprile 1990 n°86 ha apportato, con l’art. 16, una significativa modifica all’art. 328 c.p. circa la disciplina dei reati di RIFIUTO e OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO . Il nuovo art. 328 c.p. c. 1 recita testualmente: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che,per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”. Si tratta dell’ ipotesi di un reato di pericolo, che consiste nel rifiuto di atti qualificati, cioè atti motivati da ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità, rifiuto che può manifestarsi anche con un mero silenzio, sotto forma di mancata adozione di un atto dovuto nel termine previsto o nella sua adozione in tempo non più utile.
Il 2° comma dello stesso articolo prevede invece l’omissione di atti di ufficio, quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, fuori dei casi di cui al precedente comma, non compia l’atto del suo ufficio e non risponda per esporre le ragioni del ritardo entro trenta giorni dalla ricezione di una richiesta in forma scritta da parte di chi vi abbia interesse.
Negli ultimi anni si contano numerose pronunce giurisprudenziali relative all’esistenza o meno di ragioni di igiene e sanità che possano dare rilevanza penale all’adozione o all’omissione di un atto amministrativo. E’ stato più volte affermato che risponde del reato di rifiuto di atto d’ufficio il personale medico o paramedico che non assuma necessari provvedimenti atti ad evitare danni alla salute fisica o psichica del singolo, comprendendo fra gli atti sanzionati anche quelli commessi in violazione degli obblighi del medico di informazione del paziente circa le proprie condizioni di salute, se da tale omessa comunicazione possa derivare un danno alla salute. Il “rifiuto” per essere penalmente rilevante deve essere “indebito”, cioè antidoveroso in quanto mancata assunzione di un atto che il soggetto era tenuto a compiere, e deve concernere un atto “urgente e indifferibile”, che deve quindi essere compiuto senza ritardo. Ove invece non vi sia una specifica norma legislativa o regolamentare che richieda l’adozione dell’atto, che quindi si ponga come esercizio di un potere discrezionale, il rifiuto dello stesso non dovrebbe considerarsi indebito.
Proprio in ambito sanitario più volte si è voluto privare di ogni carattere discrezionale l’attività del medico agente come pubblico ufficiale, riconoscendo una responsabilità penale in alcuni particolari casi:
1) il medico di guardia presso il Pronto Soccorso che abbia rifiutato il ricovero (necessario) di un paziente, per mancanza di posto letto, limitandosi a consigliare il ricovero presso altra struttura senza predisporre il trasferimento mediante ambulanza presso altro ospedale
2) il medico di guardia medica che,chiamato per una visita urgente la cui richiesta rivesta inequivoci connotati di gravità, non abbia visitato un paziente, rifiutandosi di recarsi presso il suo domicilio,
3) il medico che rifiuti il ricovero del paziente, ritenendolo non necessario, senza provvedere ad una adeguata visita medica
4) il medico del Pronto Soccorso che, avvisato della presenza di una persona da assistere nell’immediata vicinanza dell’ospedale, non sia intervenuto personalmente o non abbia inviato un mezzo di soccorso
5) il medico reperibile di un reparto ospedaliero che si sottragga alla chiamata deducendo, secondo un proprio personale giudizio tecnico, che non sussisterebbero i presupposti di un’invocata urgenza
6) il medico reperibile che, a disposizione dell’ospedale e con l’ obbligo di raggiungerlo nel più breve tempo possibile, lo faccia con grave ritardo, nonostante reiterati inviti da parte di colleghi o infermieri
7) il primario reperibile che, essendo stato chiamato da altro medico che abbia ravvisato l’urgenza di un intervento chirurgico, rifiuti di recarsi subito in ospedale per visitare il malato

Il medico è infatti titolare di un obbligo giuridico di impedire un evento dannoso per il paziente , ed è responsabile non soltanto se l’ azione che aveva il dovere di compiere, e che ha omesso, avrebbe quasi certamente impedito la lesione, ma anche quando essa avrebbe potuto ridurre il pericolo di lesione del bene protetto. Quando un intervento tempestivo potrebbe salvare il paziente il medico ha comunque il dovere di compierlo, e il diniego di qualsiasi prestazione richiesta in materia di Pronto Soccorso comporta gravi rischi di responsabilità, anche per il fatto che una richiesta di intervento, pur se obiettivamente non urgente, può diventare giustificabile per il fatto che esprime un’urgenza soggettiva. Alcune sentenze della Cassazione penale sono interessanti per i casi trattati e le decisioni in merito.
In Cass.pen.,8/09/1995, n° 9493 viene rigettato il ricorso contro la condanna per il reato di cui all’art. 328 c.p del medico, di turno presso un Pronto Soccorso, che aveva visitato un paziente a seguito di infortunio,e, senza sottoporlo ad esami diagnostici pur in presenza di sintomi molto significativi di trauma cranico complicato, aveva consigliato alla moglie di condurlo con mezzi propri presso altro ospedale più attrezzato, senza predisporne il trasferimento mediante ambulanza. La Corte richiama in motivazione l’art. 14 della legge 27/03/1969,n°128 in cui si afferma che “è affidato al medico di guardia il giudizio sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del malato ( sesto comma); tuttavia il medesimo sanitario non può rifiutare il ricovero, qualora ne abbia accertata la necessità (ottavo comma)” e, quando manchino i posti letto o sia comunque impossibile il ricovero presso lo stesso ospedale è lo stesso medico di guardia che “apprestati gli eventuali interventi di urgenza”,.deve assicurare “a mezzo di propria autoambulanza e, se necessario, con adeguata assistenza medica, il trasporto dell’infermo in altro ospedale (ottavo comma)”. Ed è l’ art. 7 del D.P.R. 27/03/1992 che stabilisce che “L’ospedale sede di pronto soccorso deve assicurare oltre agli interventi diagnostico- terapeutici di urgenza compatibili con le specialità di cui è dotato, almeno il primo accertamento diagnostico, clinico, strumentale e di laboratorio e gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente, nonché garantire il trasporto protetto”. E’ a carico del Servizio Sanitario Nazionale anche il trasferimento tra sedi ospedaliere disposto da un ospedale verso un altro in grado di fornire prestazioni specializzate, una volta che il paziente sia stato sottoposto agli interventi necessari alla sua stabilizzazione, come previsto nella Carta dei Servizi pubblici sanitari del 1996.
Con sentenza del 24/06/1996, n° 6328 la Cassazione confermava la responsabilità penale per rifiuto di atto d’ufficio del primario di altro Pronto Soccorso il quale, pur essendo reperibile, aveva rifiutato di recarsi in ospedale per valutare l’indicazione ad un intervento chirurgico urgente di appendicectomia, nonostante la chiamata del suo aiuto che ne ravvisava la necessità. Anche in questo caso si profilava un rifiuto penalmente rilevante in quanto, come afferma la normativa in materia (D.P.R. 25/06/1983, n° 348), il medico reperibile è tenuto a recarsi prontamente presso il reparto ospedaliero di pertinenza nel momento in cui il sanitario di turno ne sollecita la presenza, con possibilità, ovviamente anche di optare per una linea operativa difforme da quella del collega, ma solo con una scelta che possibile solo dopo una visita diretta del paziente.
Ancora più grave, per l’epilogo drammatico della vicenda, è stato il comportamento di un chirurgo pediatrico che non aveva voluto recarsi in ospedale nonostante richieste ripetute di un suo intervento, da parte del personale paramedico e medico in servizio presso una Divisione di chirurgia, per visitare un piccolo paziente sottoposto a biopsia rettale per una mancata canalizzazione del colon, aggravatosi dopo l’ intervento e deceduto poi per shock da prolungata occlusione intestinale . La Corte (Cass. penale,27/03/2004, n°14959) motivava la sua decisione, con cui respingeva il ricorso del primario contro la condanna per il reato di cui all’art.328 c.p., rilevando la correttezza della decisione del giudice a quo, in quanto “sulla scorta degli elementi comunicati telefonicamente, il sanitario in servizio di pronta disponibilità non era invece in grado di escludere del tutto che la sua personale presenza nell’ospedale e la prestazione della sua opera specialistica di medico chirurgo avrebbero potuto esplorare la praticabilità di scelte terapeutiche alternative, ed eventualmente più efficaci, rispetto a quelle fino ad allora adottate (quanto meno perché solo attraverso una diretta osservazione delle condizioni del paziente egli avrebbe potuto apprezzare con precisione se era attuabile ed indicare un eventuale intervento chirurgico), Egli, pertanto, avrebbe avuto l’obbligo di intervenire senza ritardo, indipendentemente dal personale suo convincimento che la prognosi non avrebbe cessato, per ciò solo, di essere infausta”.
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