Il Consiglio di Stato accoglie l'Appello proposto dall'Ordine degli Avvocati di Roma.
Chiarisce altresì:
Ecco alcuni passaggi.
1) - La questione giuridica posta all’attenzione della Sezione dalla instaurata controversia trova, quanto alla sua soluzione , un preciso riferimento normativo nella puntuale diposizione recata dall’art.162, 1° comma della legge 23 ottobre 1962 n.1196 ( “ ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi ”) che così prevede: “ le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali , secondo l’orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari , sentiti i capi delle cancellerie e delle segreterie interessate”.
2) - Stante l’inequivoco tenore letterale della predetta norma, ai capi degli uffici giudiziari spetta il potere regolamentare di stabilire l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie e segreterie, ma sempre nell’osservanza del limite della durata dell’orario di apertura di cinque ore giornaliere, come previsto dal citato art.162.
3) - Quella testè riportata è una norma tassativa che se da un lato rimette alla discrezionalità del Dirigente il potere di articolare l’orario in questione nel senso di poter variamente fissare l’ora di inizio dell’apertura al pubblico , dall’altro lato vieta di ridurre la durata oraria in cui le cancellerie e segreterie devono essere aperte al pubblico ( non meno di cinque ore nei giorni feriali ) .
4) - ..........il che, come già detto risulta del tutto irrilevante a fronte del chiaro disposto legislativo che “VIETA” una riduzione dell’orario di cinque ore al giorno di apertura delle segreterie e cancellerie giudiziarie.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------
20/02/2014 201400798 Sentenza 4
N. 00798/2014REG.PROV.COLL.
N. 01307/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1307 del 2013, proposto da:
Ordine Degli Avvocati Di Roma, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via Principessa Clotilde N.2;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge presso la sua sede, in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Tribunale Di Roma;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 10016/2012, resa tra le parti, concernente l’orario di apertura al pubblico delle segreterie e cancellerie del Tribunale di Roma
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 ottobre 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per la parte appellante l’avv. Angelo Clarizia e per la P.A. l'avvocato dello Stato Pio Marrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con decreto del Presidente Vicario del Tribunale di Roma e del Dirigente amministrativo del 20 settembre 2012 veniva disposto che dal 26 settembre 2012 gi uffici e le cancellerie del settore civile del Tribunale di Roma , ubicati negli edifici di viale Giulio Cesare e via Lepanto rimangono aperti dalle ore 9 alle ore 12, ad eccezione del Ruolo delle esecuzioni mobiliari ( dalla 9 alle 13 ) e che dalla medesima data anche gli uffici e le cancellerie del settore penale ubicati in piazzale Clodio rimarranno aperti dalle ore 9 alle ore 12 , con eccezione per cancelleria centrale GIP, la cancelleria centrale dibattimentale e per la cancelleria della Sezione Speciale per il Riesame ( aperte dalle 9 alle 13).
L’Ordine degli Avvocati di Roma, nella qualità di ente esponenziale della categoria forense capitolina, legittimata, in quanto tale, a tutelare gli interessi della categoria impugnava tale provvedimento innanzi al Tar del Lazio che con sentenza n.10016/2012 , resa in forma semplificata, rigettava il ricorso, ritenendolo infondato.
Avverso tale decisum ritenuto errato ed ingiusto è insorto l’Ordine degli Avvocati di Roma che ha dedotto con cinque mezzi di gravame, riproduttivi delle censure già formulate in primo grado, i seguenti profili di doglianza:
1) violazione dell’art. 162 della legge n.1196 del 1960 che ha stabilito per gli uffici delle segreterie e cancellerie giudiziarie l’orario inderogabile di apertura al pubblico di cinque ore nei giorni feriali ;
2) eccesso di potere per erroneità della motivazione posta a fondamento della disposta riduzione dell’orario di apertura degli uffici ;
3) eccesso di potere per difetto di adeguata e congrua motivazione;
4) eccesso di potere per mancata partecipazione al procedimento di fissazione dell’orario dei professionisti e/o delle loro rappresentanze istituzionali ;
5) violazione del principio di buon andamento e dell’organizzazione degli uffici posto che viene modificato in via definitiva il regime di apertura al pubblico delle cancellerie a fronte di situazioni di disorganizzazione e di carenza di organico cui si può far fronte con appropriate misure organizzative .
Si è costituito in giudizio per resistere al gravame l’intimato Ministero della Giustizia.
All’udienza pubblica del 15 ottobre 2013 la causa viene introitata per la decisione.
Tanto premesso, l’appello si appalesa fondato in relazione alla censura di violazione di legge di carattere assorbente dedotta col primo mezzo di gravame, meritando l’impugnata sentenza integrale riforma.
La questione giuridica posta all’attenzione della Sezione dalla instaurata controversia trova, quanto alla sua soluzione , un preciso riferimento normativo nella puntuale diposizione recata dall’art.162, 1° comma della legge 23 ottobre 1962 n.1196 ( “ ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi”) che così prevede: “ le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali , secondo l’orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari , sentiti i capi delle cancellerie e delle segreterie interessate”.
Stante l’inequivoco tenore letterale della predetta norma, ai capi degli uffici giudiziari spetta il potere regolamentare di stabilire l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie e segreterie, ma sempre nell’osservanza del limite della durata dell’orario di apertura di cinque ore giornaliere, come previsto dal citato art.162.
Quella testè riportata è una norma tassativa che se da un lato rimette alla discrezionalità del Dirigente il potere di articolare l’orario in questione nel senso di poter variamente fissare l’ora di inizio dell’apertura al pubblico , dall’altro lato vieta di ridurre la durata oraria in cui le cancellerie e segreterie devono essere aperte al pubblico ( non meno di cinque ore nei giorni feriali ) .
In altri termini, la previsione legislativa in rassegna ha un contenuto assolutamente vincolante, tale da non lasciare alcun margine di discrezionalità in ordine ad una opzione di durata oraria giornaliera di apertura al pubblico degli uffici giudiziari diversa da quella fissata direttamente ed inequivocabilmente dal legislatore nazionale a mezzo di un previsione con una valenza uniforme per tutte le cancellerie e segreterie giudiziarie presenti sull’intero territorio italiano.
D’altra parte il regime giuridico di rango legislativo applicabile all’orario di apertura degli uffici in questione si pone in linea con la regola della riserva di legge prevista in materia dall’art.97 Cost. ( “ i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”) e, com’è noto, il principio di riserva di legge impone da un lato che la disciplina di una certa materia sia demandata alla fonte legislativa e dall’altro lato che fonti “ normative” diverse non possono intervenire sugli oggetti riservati alla legge.
Ne deriva, nel caso di specie che la misura organizzatoria assunta dal Presidente Vicario del Tribunale di Roma unitamente al Dirigente amministrativo in data 20 settembre 2012 si pone in contrasto insanabile con l’art.162 della citata legge n.1196/60, senza che possa costituire causa giustificativa la motivazione resa a sostegno dell’adottato provvedimento riconducibile a ragioni di carenza di personale e di tipo logistico : gli elementi di valutazione posti a base del provvedimento di che trattasi, per quanto in sé apprezzabili sono del tutto recessivi e comunque non possono incidere sul limite minimo delle cinque ore di apertura al pubblico degli uffici .
Questo sta altresì ad evidenziare la erroneità delle osservazioni formulate dal giudice di primo grado: il Tar trascurando del tutto di occuparsi della denunciata censura di violazione di legge nei termini sopra esposti , ha giustificato la disposta riduzione di orario di apertura degli uffici con argomentazioni ancorate all’esigenza di ovviare a situazioni di carenza di personale o altre circostanze di tipo organizzative dell’attività lavorativa, il che, come già detto risulta del tutto irrilevante a fronte del chiaro disposto legislativo che “vieta” una riduzione dell’orario di cinque ore al giorno di apertura delle segreterie e cancellerie giudiziarie.
La fondatezza del primo mezzo d’impugnazione in ragione della natura e del conseguente carattere assorbente del vizio dedotto comporta l’annullamento del provvedimento per cui è causa e l’accoglimento dell’appello all’esame , impedendo altresì di procedere alla disamina degli ulteriori profili di doglianza pure fatti valere con l’impugnativa all’esame.
Il Collegio ritiene di ravvisare nella vicenda portata alla sua cognizione giusti motivi per compensare tra le parti le spese e competenze del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Compensa tra le parti le spese e competenze del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
Oberdan Forlenza, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/02/2014
Orario di apertura al pubblico, segreterie e cancellerie del
Re: Orario di apertura al pubblico, segreterie e cancellerie
03/06/2014 201400968 Sentenza Breve 1
----------------------------------------------------------------
N. 00968/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01397/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1397 del 2013, proposto da:
Alessandro Garibotti, in proprio e nella qualità di Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Lucca, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Lazzarini, con domicilio eletto presso la Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;
contro
Tribunale di Lucca, in persona del Presidente p.t., Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, presso cui domiciliano in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento
dei provvedimenti del Presidente del Tribunale di Lucca recanti la limitazione dell'orario di apertura al pubblico delle cancellerie e degli uffici del Tribunale di Lucca e, in particolare, dei provvedimenti n. 26 del 7.06.2013, 27 del 14.06.2013, 28 del 19.06.2013, 29 del 21.06.2013, 35 del 22.07.2013, 38 del 26.08.2013, 41 del 6.09.2013, 42 del 9.09.2013, tutti portanti e disciplinanti un orario di apertura inferiore a quello previsto dalla normativa vigente;
nonchè di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale ed in ogni caso lesivo dei diritti e degli interessi dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Tribunale di Lucca e del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
considerato che:
- vengono impugnati i provvedimenti del Presidente del Tribunale di Lucca in epigrafe rubricati recanti la limitazione dell'orario di apertura al pubblico delle cancellerie e degli uffici del Tribunale di Lucca;
- i ricorrenti lamentano che, in violazione dell’art. 162, 1° comma, della legge 23 ottobre 1962 n.1196, recante l’Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi, con i predetti atti si siano stabiliti orari di apertura degli uffici in misura inferiore a quella previsto dalla normativa vigente;
rilevato che:
- il ricorso si palesa fondato in relazione all’assorbente censura di violazione di legge svolta col primo motivo;
- la norma sopra citata dispone che “le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie e delle segreterie interessate”;
- come condivisibilmente rilevato dal Giudice d’appello in analoga fattispecie, “Stante l’inequivoco tenore letterale della predetta norma, ai capi degli uffici giudiziari spetta il potere regolamentare di stabilire l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie e segreterie, ma sempre nell’osservanza del limite della durata dell’orario di apertura di cinque ore giornaliere, come previsto dal citato art.162. Quella testè riportata è una norma tassativa che se da un lato rimette alla discrezionalità del Dirigente il potere di articolare l’orario in questione nel senso di poter variamente fissare l’ora di inizio dell’apertura al pubblico, dall’altro lato vieta di ridurre la durata oraria in cui le cancellerie e segreterie devono essere aperte al pubblico (non meno di cinque ore nei giorni feriali).
In altri termini, la previsione legislativa in rassegna ha un contenuto assolutamente vincolante, tale da non lasciare alcun margine di discrezionalità in ordine ad una opzione di durata oraria giornaliera di apertura al pubblico degli uffici giudiziari diversa da quella fissata direttamente ed inequivocabilmente dal legislatore nazionale a mezzo di un previsione con una valenza uniforme per tutte le cancellerie e segreterie giudiziarie presenti sull’intero territorio italiano” (Cons. Stato sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 798);
considerato che:
- il regime giuridico di rango legislativo applicabile all’orario di apertura degli uffici in questione costituisce il portato della riserva di legge prevista in materia dall’art. 97 Cost. secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, discendendone che fonti normative diverse, di rango inferiore, non possono intervenire derogandovi sulla materia riservata alla legge;
- non può costituire “causa giustificativa la motivazione resa a sostegno dell’adottato provvedimento riconducibile a ragioni di carenza di personale e di tipo logistico”, atteso che “gli elementi di valutazione posti a base del provvedimento di che trattasi, per quanto in sé apprezzabili sono del tutto recessivi e comunque non possono incidere sul limite minimo delle cinque ore di apertura al pubblico degli uffici” (Cons. Stato, n. 798/2014, cit.);
ritenuto che:
- per le ragioni esposte il ricorso va accolto, potendo, nondimeno, compensarsi tra le parti le spese del giudizio in relazione alla natura della controversia;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere, Estensore
Pierpaolo Grauso, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2014
----------------------------------------------------------------
N. 00968/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01397/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1397 del 2013, proposto da:
Alessandro Garibotti, in proprio e nella qualità di Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Lucca, rappresentati e difesi dall'avv. Carlo Lazzarini, con domicilio eletto presso la Segreteria T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;
contro
Tribunale di Lucca, in persona del Presidente p.t., Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le dello Stato, presso cui domiciliano in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento
dei provvedimenti del Presidente del Tribunale di Lucca recanti la limitazione dell'orario di apertura al pubblico delle cancellerie e degli uffici del Tribunale di Lucca e, in particolare, dei provvedimenti n. 26 del 7.06.2013, 27 del 14.06.2013, 28 del 19.06.2013, 29 del 21.06.2013, 35 del 22.07.2013, 38 del 26.08.2013, 41 del 6.09.2013, 42 del 9.09.2013, tutti portanti e disciplinanti un orario di apertura inferiore a quello previsto dalla normativa vigente;
nonchè di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale ed in ogni caso lesivo dei diritti e degli interessi dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Tribunale di Lucca e del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 il dott. Bernardo Massari e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
considerato che:
- vengono impugnati i provvedimenti del Presidente del Tribunale di Lucca in epigrafe rubricati recanti la limitazione dell'orario di apertura al pubblico delle cancellerie e degli uffici del Tribunale di Lucca;
- i ricorrenti lamentano che, in violazione dell’art. 162, 1° comma, della legge 23 ottobre 1962 n.1196, recante l’Ordinamento del personale delle cancellerie e segreterie giudiziarie e dei dattilografi, con i predetti atti si siano stabiliti orari di apertura degli uffici in misura inferiore a quella previsto dalla normativa vigente;
rilevato che:
- il ricorso si palesa fondato in relazione all’assorbente censura di violazione di legge svolta col primo motivo;
- la norma sopra citata dispone che “le cancellerie e segreterie giudiziarie sono aperte al pubblico cinque ore nei giorni feriali, secondo l’orario stabilito dai capi degli uffici giudiziari, sentiti i capi delle cancellerie e delle segreterie interessate”;
- come condivisibilmente rilevato dal Giudice d’appello in analoga fattispecie, “Stante l’inequivoco tenore letterale della predetta norma, ai capi degli uffici giudiziari spetta il potere regolamentare di stabilire l’orario di apertura al pubblico delle cancellerie e segreterie, ma sempre nell’osservanza del limite della durata dell’orario di apertura di cinque ore giornaliere, come previsto dal citato art.162. Quella testè riportata è una norma tassativa che se da un lato rimette alla discrezionalità del Dirigente il potere di articolare l’orario in questione nel senso di poter variamente fissare l’ora di inizio dell’apertura al pubblico, dall’altro lato vieta di ridurre la durata oraria in cui le cancellerie e segreterie devono essere aperte al pubblico (non meno di cinque ore nei giorni feriali).
In altri termini, la previsione legislativa in rassegna ha un contenuto assolutamente vincolante, tale da non lasciare alcun margine di discrezionalità in ordine ad una opzione di durata oraria giornaliera di apertura al pubblico degli uffici giudiziari diversa da quella fissata direttamente ed inequivocabilmente dal legislatore nazionale a mezzo di un previsione con una valenza uniforme per tutte le cancellerie e segreterie giudiziarie presenti sull’intero territorio italiano” (Cons. Stato sez. IV, 20 febbraio 2014, n. 798);
considerato che:
- il regime giuridico di rango legislativo applicabile all’orario di apertura degli uffici in questione costituisce il portato della riserva di legge prevista in materia dall’art. 97 Cost. secondo cui “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, discendendone che fonti normative diverse, di rango inferiore, non possono intervenire derogandovi sulla materia riservata alla legge;
- non può costituire “causa giustificativa la motivazione resa a sostegno dell’adottato provvedimento riconducibile a ragioni di carenza di personale e di tipo logistico”, atteso che “gli elementi di valutazione posti a base del provvedimento di che trattasi, per quanto in sé apprezzabili sono del tutto recessivi e comunque non possono incidere sul limite minimo delle cinque ore di apertura al pubblico degli uffici” (Cons. Stato, n. 798/2014, cit.);
ritenuto che:
- per le ragioni esposte il ricorso va accolto, potendo, nondimeno, compensarsi tra le parti le spese del giudizio in relazione alla natura della controversia;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Bernardo Massari, Consigliere, Estensore
Pierpaolo Grauso, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/06/2014
Re: Orario di apertura al pubblico, segreterie e cancellerie
Recupero somme liquidate in eccesso per indennità di udienza G.O.T..-
-----------------------------------------------------------------------------------------------
1) - il Tribunale ordinario di Milano gli ha chiesto la rifusione di somme asseritamente liquidate in eccesso a titolo di indennità di udienza per l’attività di G.O.T. svolta presso quel Tribunale
2) - La disciplina delle indennità in favore dei giudici onorari di tribunale è stabilita dall’art. 4, comma 1, del D.lgs. n. 273/1989, il quale (nella versione applicabile ratione temporis, essendo stata la norma successivamente modificata dalla L. n. 186 del 28.11.2008) disponeva:
- ) - “Ai Giudici Onorari di Tribunale spetta un’indennità di 98,13 euro per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio.
3) - Non possono essere corrisposte più di due indennità al giorno”.
---------------------------------------------------------------------------------------------
24/09/2014 201402383 Sentenza 1
N. 02383/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02903/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2903 del 2009, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Marcantonio Guerritore, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via M. Donati n. 14
contro
Ministero della Giustizia - Tribunale ordinario di Milano, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Milano, Via Freguglia, n. 1
per l'annullamento
del provvedimento … del 9.10.2009, prot. ….., avente ad oggetto “Atto di costituzione in mora (Recupero somme liquidate in eccesso)” e di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2014 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra OMISSIS ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Tribunale ordinario di Milano gli ha chiesto la rifusione di somme asseritamente liquidate in eccesso a titolo di indennità di udienza per l’attività di G.O.T. svolta presso quel Tribunale, per un ammontare complessivo di € 4334,21.
Il ricorso è affidato alle seguenti censure:
1) violazione dell’art. 3, comma 5, della L. n. 241/90;
2) eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, motivazione erronea, illogicità, ingiustizia manifesta, pretestuosità e genericità.
Si è costituito il Ministero della Giustizia, chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del giorno 29 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Quanto alla prima censura, è sufficiente rilevare che, per costante giurisprudenza, la mancata indicazione del termine per impugnare e dell’autorità alla quale ricorrere non sono causa di illegittimità dell’atto, ma mere irregolarità (ex multis, T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. II, n. 8254/2010; T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, n. 3774/2010; T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. IV, n. 2778/2010; C.d.S., Sez. IV, n. 1532/2010).
2.2. Con riguardo al secondo motivo il Collegio osserva quanto segue.
2.2.1. La disciplina delle indennità in favore dei giudici onorari di tribunale è stabilita dall’art. 4, comma 1, del D.lgs. n. 273/1989, il quale (nella versione applicabile ratione temporis, essendo stata la norma successivamente modificata dalla L. n. 186 del 28.11.2008) disponeva:
“Ai Giudici Onorari di Tribunale spetta un’indennità di 98,13 euro per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio.
Non possono essere corrisposte più di due indennità al giorno”.
2.2.2. Il provvedimento impugnato trae origine dagli esiti dell’ispezione mirata disposta dal Ministro della Giustizia, in data 29.3.2009, negli uffici del Tribunale ordinario di Milano.
Orbene, dalla relazione finale dell’Ispettorato Generale del Ministero in data 26 luglio 2009 è emerso che la sig.ra OMISSIS, durante il periodo ispettivo, compreso tra il 25 marzo 2003 e l’8 giugno 2009, ha percepito indebitamente 44 indennità di udienza (v. il dettagliato riepilogo di cui agli allegati nn. 2 e 4 della produzione del Ministero), in quanto:
- in parte liquidate a titolo di arretrato per udienze di definizione di riti alternativi, nonostante nelle medesime giornate fosse stata già liquidata una doppia indennità d’udienza;
- in parte relative a udienze camerali per incidenti di esecuzione non tenute dall’interessata;
- in parte relative a giornate in cui era già stata liquidata una doppia indennità d’udienza.
2.2.3. Tali risultanze in fatto non sono state contestate dalla ricorrente, che si è limitata a dissertare sulla tipologia di procedimenti assegnati ai G.O.T. e sulla interpretazione preferibile della norma di cui all’art. 4 del D.lgs. n. 273/1989, senza confutare gli specifici rilievi mossi dal Ministero.
In quest’ottica, nessun rilievo in senso contrario può assumere l’assunto di parte ricorrente, secondo il quale « i provvedimenti decisi dal G.O.T. in qualità di giudice dell’esecuzione sono stati adottati sempre con il procedimento “de plano” sancito dall’art. 667 e ss. c.p.p. e sono sempre stati liquidati, trattandosi di udienze tenute in camera di consiglio (senza la presenza delle parti) riconducibili comunque al novero di provvedimenti catalogati “incidenti di esecuzione”», essendo emerso dall’ispezione che l’interessata in realtà non ha tenuto le udienze de quibus.
Con riguardo alle indennità arretrate per riti alternativi, inoltre, la chiara individuazione di ciascuna delle indennità da recuperare (v. pagg. 2-4 del provvedimento impugnato), attraverso lo specifico richiamo, volta per volta, alla data d’udienza e al numero di indennità complessivamente liquidate, esclude che possa ritenersi generica l’elencazione in questione.
Le censure sul punto vanno pertanto respinte.
3. In definitiva il ricorso è infondato e va respinto.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del Ministero resistente, delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Dario Simeoli, Presidente
Antonio De Vita, Primo Referendario
Oscar Marongiu, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/09/2014
-----------------------------------------------------------------------------------------------
1) - il Tribunale ordinario di Milano gli ha chiesto la rifusione di somme asseritamente liquidate in eccesso a titolo di indennità di udienza per l’attività di G.O.T. svolta presso quel Tribunale
2) - La disciplina delle indennità in favore dei giudici onorari di tribunale è stabilita dall’art. 4, comma 1, del D.lgs. n. 273/1989, il quale (nella versione applicabile ratione temporis, essendo stata la norma successivamente modificata dalla L. n. 186 del 28.11.2008) disponeva:
- ) - “Ai Giudici Onorari di Tribunale spetta un’indennità di 98,13 euro per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio.
3) - Non possono essere corrisposte più di due indennità al giorno”.
---------------------------------------------------------------------------------------------
24/09/2014 201402383 Sentenza 1
N. 02383/2014 REG.PROV.COLL.
N. 02903/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2903 del 2009, proposto da:
OMISSIS, rappresentata e difesa dall'avv. Marcantonio Guerritore, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via M. Donati n. 14
contro
Ministero della Giustizia - Tribunale ordinario di Milano, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria in Milano, Via Freguglia, n. 1
per l'annullamento
del provvedimento … del 9.10.2009, prot. ….., avente ad oggetto “Atto di costituzione in mora (Recupero somme liquidate in eccesso)” e di tutti gli atti preordinati, consequenziali e connessi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 maggio 2014 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sig.ra OMISSIS ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Tribunale ordinario di Milano gli ha chiesto la rifusione di somme asseritamente liquidate in eccesso a titolo di indennità di udienza per l’attività di G.O.T. svolta presso quel Tribunale, per un ammontare complessivo di € 4334,21.
Il ricorso è affidato alle seguenti censure:
1) violazione dell’art. 3, comma 5, della L. n. 241/90;
2) eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione, motivazione erronea, illogicità, ingiustizia manifesta, pretestuosità e genericità.
Si è costituito il Ministero della Giustizia, chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del giorno 29 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Quanto alla prima censura, è sufficiente rilevare che, per costante giurisprudenza, la mancata indicazione del termine per impugnare e dell’autorità alla quale ricorrere non sono causa di illegittimità dell’atto, ma mere irregolarità (ex multis, T.A.R. Emilia Romagna - Bologna, Sez. II, n. 8254/2010; T.A.R. Sicilia – Catania, Sez. I, n. 3774/2010; T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. IV, n. 2778/2010; C.d.S., Sez. IV, n. 1532/2010).
2.2. Con riguardo al secondo motivo il Collegio osserva quanto segue.
2.2.1. La disciplina delle indennità in favore dei giudici onorari di tribunale è stabilita dall’art. 4, comma 1, del D.lgs. n. 273/1989, il quale (nella versione applicabile ratione temporis, essendo stata la norma successivamente modificata dalla L. n. 186 del 28.11.2008) disponeva:
“Ai Giudici Onorari di Tribunale spetta un’indennità di 98,13 euro per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio.
Non possono essere corrisposte più di due indennità al giorno”.
2.2.2. Il provvedimento impugnato trae origine dagli esiti dell’ispezione mirata disposta dal Ministro della Giustizia, in data 29.3.2009, negli uffici del Tribunale ordinario di Milano.
Orbene, dalla relazione finale dell’Ispettorato Generale del Ministero in data 26 luglio 2009 è emerso che la sig.ra OMISSIS, durante il periodo ispettivo, compreso tra il 25 marzo 2003 e l’8 giugno 2009, ha percepito indebitamente 44 indennità di udienza (v. il dettagliato riepilogo di cui agli allegati nn. 2 e 4 della produzione del Ministero), in quanto:
- in parte liquidate a titolo di arretrato per udienze di definizione di riti alternativi, nonostante nelle medesime giornate fosse stata già liquidata una doppia indennità d’udienza;
- in parte relative a udienze camerali per incidenti di esecuzione non tenute dall’interessata;
- in parte relative a giornate in cui era già stata liquidata una doppia indennità d’udienza.
2.2.3. Tali risultanze in fatto non sono state contestate dalla ricorrente, che si è limitata a dissertare sulla tipologia di procedimenti assegnati ai G.O.T. e sulla interpretazione preferibile della norma di cui all’art. 4 del D.lgs. n. 273/1989, senza confutare gli specifici rilievi mossi dal Ministero.
In quest’ottica, nessun rilievo in senso contrario può assumere l’assunto di parte ricorrente, secondo il quale « i provvedimenti decisi dal G.O.T. in qualità di giudice dell’esecuzione sono stati adottati sempre con il procedimento “de plano” sancito dall’art. 667 e ss. c.p.p. e sono sempre stati liquidati, trattandosi di udienze tenute in camera di consiglio (senza la presenza delle parti) riconducibili comunque al novero di provvedimenti catalogati “incidenti di esecuzione”», essendo emerso dall’ispezione che l’interessata in realtà non ha tenuto le udienze de quibus.
Con riguardo alle indennità arretrate per riti alternativi, inoltre, la chiara individuazione di ciascuna delle indennità da recuperare (v. pagg. 2-4 del provvedimento impugnato), attraverso lo specifico richiamo, volta per volta, alla data d’udienza e al numero di indennità complessivamente liquidate, esclude che possa ritenersi generica l’elencazione in questione.
Le censure sul punto vanno pertanto respinte.
3. In definitiva il ricorso è infondato e va respinto.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del Ministero resistente, delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in € 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Dario Simeoli, Presidente
Antonio De Vita, Primo Referendario
Oscar Marongiu, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/09/2014
Re: Orario di apertura al pubblico, segreterie e cancellerie
compenso aggiuntivo da corrispondere ai Giudici tributari regionali
L'Amministrazione perde l'appello al CdS
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
1) - “criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali – art. 13, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”
2) -E’ stata impugnata, dinanzi al TAR Lazio, la circolare della Direzione generale per la Giustizia Tributaria, prot. 28113/2009 del 22/5/2009.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201406086 2014-12-11
N. 06086/2014REG.PROV.COLL.
N. 03193/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3193 del 2012, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
(Omissis – congruo numero di ricorrenti), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Marco Antonioli, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via San Basilio, 61;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 02586/2012, resa tra le parti, concernente i criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai Giudici tributari regionali
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di (Omissis – congruo numero di nominativi indicati);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati avvocato dello stato Elefante e Maria Vittoria Ferroni su delega dell'avvocato Marco Antonioli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ stata impugnata, dinanzi al TAR Lazio, la circolare della Direzione generale per la Giustizia Tributaria, prot. 28113/2009 del 22/5/2009, avente ad oggetto “criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali – art. 13, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”, con la quale è stabilito che “ove la Commissione tributaria regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso aggiuntivo da riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza appellata…….”, nonché la nota n. 656 del 7 luglio 2009, con la quale sono comunicate le istruzioni operative ed informatiche per l’effettuazione del calcolo.
I ricorrenti – tutti giudici della Commissaria tributaria di Milano – a supporto del gravame hanno dedotto una serie di motivi, tra il quali anche l’incompetenza del Dirigente a determinare il compenso aggiuntivo variabile dei Giudici tributari.
Il TAR Lazio con sentenza semplificata ha accolto il ricorso, ed annullato per incompetenza l’atto impugnato, ritenendo che la disciplina delle dedotte questioni fosse riservata alla fonte ministeriale.
Ha proposto appello il Ministero dell’Economia e Finanze, reiterando preliminarmente le questioni di irricevibilità per tardività e di difetto di giurisdizione, entrambe vanamente eccepite nel primo grado di giudizio; nel merito, deducendo errores in iudicando, essenzialmente riconducibili all’omessa considerazione della natura meramente interpretativa dell’atto.
La Sezione, con decisione in forma semplificata n. 2991/2012, ha accolto l’appello sotto il profilo della giurisdizione, ritenendo si trattasse di una circolare interpretativa avente ad oggetto spettanze economiche per l’attività svolta dai singoli magistrati, in relazione alle quali la legge non lascia all’amministrazione margini di scelta “discrezionale”.
La Corte di Cassazione - dinanzi alla quale la sentenza è stata impugnata per motivi di giurisdizione - l’ha cassata, affermando che le spettanze economiche per cui è causa, hanno natura indennitaria e non retributiva, e sono affidate alle determinazioni discrezionali dell’autorità che ha provveduto alla nomina onoraria del magistrato, a fronte delle quali, quest’ultimo ha una posizione di mero interesse legittimo.
Sicchè il ricorso è stato riassunto dinanzi alla Sezione, per la definitiva decisione.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014.
DIRITTO
1.1. Va preliminarmente esaminata la questione dell’irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado, riproposta dall’amministrazione appellante in conseguenza del rigetto da parte del TAR.
La circolare sarebbe stata trasmessa per posta elettronica all’indirizzo personale dei giudici tributari milanesi l’1 giugno 2009: da ciò la tardività del ricorso notificato solo il 13 ottobre 2010. Il TAR ha disatteso l’eccezione, rilevando che: a) non trattasi, nella specie, di posta elettronica certificata; b) in ogni caso non tutti i magistrati ricorrenti avevano, all’epoca dei fatti, comunicato un proprio indirizzo di p.e., pertanto non v’è dubbio che per almeno alcuni di essi il termine di impugnazione debba decorrere dalla data di formale comunicazione della circolate da parte della segreteria (circostanza che rende ultronea ogni discussione sulle situazioni individuali, trattandosi della richiesta d’annullamento di un atto a contenuto generale ed inscindibile).
In sede d’appello l’amministrazione precisa che tutti i giudici tributari hanno percepito compensi variabili liquidati con in nuovi criteri uniformi fissati dalla circolare contestata, sicchè non sarebbe verosimile, anche in ragione della specifica competenza posseduta, che i medesimi non abbiano avuto piena conoscenza dei contenuti della circolari ben prima dei 60 gg. antecedenti la notifica del gravame.
1.2. Il motivo non è fondato. L’invio di p.e. al destinatario, in assenza delle garanzie della posta certificata, o della prova della ricezione, non può considerarsi valida notifica. Potrebbe al più costituire elemento, utile, unitamente ad altri inequivoche circostanze fattuali, a corroborare la prova della piena conoscenza del provvedimento da parte del destinatario; e tuttavia anche questa prova risulta vana ove si consideri che, nel caso di specie, alcuni dei ricorrenti non avevano comunicato il proprio indirizzo e dunque sicuramente non possono aver ricevuto alcunché per via telematica. La posizione di questi ultimi, essendo di per sé sola sufficiente a sorreggere la procedibilità della domanda di annullamento dell’atto generale, rende - come correttamente segnalato dal giudice di prime cure - ultronea ogni indagine circa la piena conoscenza eventualmente raggiunta dagli altri.
Né può ipotizzarsi come verosimile la piena conoscenza per il sol fatto dell’incasso, da parte di tutti i giudici ricorrenti, del compenso variabile liquidato secondo i nuovi criteri, atteso che esso, nel periodo in considerazione potrebbe non aver interessato casi di appello su ricorsi riuniti (ossia la fattispecie sulla quale le modifiche sono intervenute); a tacere del fatto che è certamente arduo e comunque non immediato inferire dall’ammontare delle somme percepite i (nuovi) criteri della liquidazione.
2.1. Venendo al merito delle questioni. Prevede il d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545, all’art. 13:
“1. Il Ministro delle finanze con proprio decreto di concerto con il Ministro del tesoro determina il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie.
2. Con il decreto di cui al comma 1, oltre al compenso mensile viene determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle funzioni e dell'apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l'intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso”.
Con il primo dei provvedimenti impugnati, il Direttore della giustizia tributaria presso il Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e Finanze ha dettato nuovi criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali, ed in particolare - modificando il disposto della circolare ministeriale n. 80 dell’11 marzo 1998 secondo la quale “nel secondo grado di giudizio il compenso aggiuntivo spetta per il numero dei ricorsi presentati in primo grado, indipendentemente dal numero di appelli proposti e dal fatto che i ricorsi in primo grado siano stati riuniti” - ha stabilito che ove la Commissione tributaria regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso aggiuntivo da riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza appellata…”.
Il gruppo dei giudici tributari ricorrenti ritiene, per quanto qui specificatamente rileva, che la circolare violi le attribuzioni del Ministro dell’Economia e Finanze, al quale specificatamente il d.lgs. 545/1992 demanda la determinazione, secondo criteri uniformi, oltre che del compenso fisso mensile, anche del compenso “variabile” in ragione di “ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi”.
2.2. Secondo l’amministrazione appellante, invece, il Direttore generale non avrebbe esercitato alcuna potestà di determinazione del compenso variabile, ma si sarebbe limitato ad un’attività esegetica del testo di legge, in relazione ad alcuni aspetti lasciati in ombra sui quali si erano registrati pareri (anche dell’organo di autogoverno) contrastanti, incidendo sulle modalità di liquidazione e non sulla determinazione (in astratto) del quantum di indennità spettante per ogni ricorso. L’oggetto della circolare, in particolare, rientrerebbe nei compiti affidati alla Direzione della Giustizia tributaria dal d.P.R. 30 gennaio 2008, n. 4, fra i quali l’art. 15 contempla “la gestione automatizzata degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria” nonché “la gestione amministrativa contabile dei capitoli di spesa delle Commissioni tributarie. La circolare, dunque conterrebbe semplicemente istruzioni per una corretta liquidazione dei compensi variabili, già determinati dal decreto ministeriale, cui l’art. 13 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545 rinvia.
2.3. La tesi non può essere condivisa.
E’ pur vero che procedendo nel modo sopra descritto, il direttore generale non ha determinato ex ante ed in via generale l’entità dell’indennità, limitandosi ad indicare un criterio concernente esclusivamente la conta dei ricorsi, non puntualmente disciplinato dal legislatore per il grado d’appello. Non è parimenti revocabile in dubbio, tuttavia, che il numero dei ricorsi e le modalità del loro conteggio incidano in diminuzione sul compenso variabile, con effetto del tutto omogeneo all’attività di “determinazione” riservata al Ministro. E l’aspetto non è di poco rilievo.
L’ammontare dell’indennità per singolo ricorso è non a caso collegato espressamente e chiaramente, dallo stesso legislatore, alle modalità di computo dei ricorsi, quanto meno per le Commissioni tributarie provinciali: esse sostanziano la “variabile” del “compenso variabile”. Sicchè, la circostanza che analoga norma non sia chiaramente ed immediatamente ricavabile anche per le Commissioni tributarie regionali, non degrada la questione a mero aspetto applicativo, ed anzi la erge, ancor più, ad attività di diretta attuazione del disposto legislativo. In sostanza, se il legislatore ha dato dignità di legge al criterio della “riunione”, vuol dire che la “riunione” dei ricorsi è fattore estremamente significativo e rilevante, tanto da costituire oggetto di considerazione propedeutica ed inderogabile rispetto alla generale e successiva attività di determinazione del compenso contestualmente demandata alla fonte regolamentare.
Ora, se, quanto ed in che modo la “riunione” incida anche nel giudizio di secondo grado, stante l’oggettiva incertezza della formulazione letterale, è valutazione che ben può effettuare il Ministro nell’ambito del suo potere normativo di determinazione del compenso, come tale fisiologicamente comprensivo anche dell’interpretazione della fonte primaria attributiva di detto potere, salvo sempre il controllo di legittimità. Così non può dirsi per il dirigente generale nell’esercizio del potere organizzativo e gestionale avente ad oggetto la concreta implementazione delle previsioni normative.
L’appello è pertanto respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza di prime cure.
Avuto riguardo alla novità delle questioni, le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014
L'Amministrazione perde l'appello al CdS
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
1) - “criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali – art. 13, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”
2) -E’ stata impugnata, dinanzi al TAR Lazio, la circolare della Direzione generale per la Giustizia Tributaria, prot. 28113/2009 del 22/5/2009.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201406086 2014-12-11
N. 06086/2014REG.PROV.COLL.
N. 03193/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3193 del 2012, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
(Omissis – congruo numero di ricorrenti), tutti rappresentati e difesi dall'avv. Marco Antonioli, con domicilio eletto presso Eugenio Picozza in Roma, via San Basilio, 61;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II n. 02586/2012, resa tra le parti, concernente i criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai Giudici tributari regionali
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di (Omissis – congruo numero di nominativi indicati);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati avvocato dello stato Elefante e Maria Vittoria Ferroni su delega dell'avvocato Marco Antonioli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E’ stata impugnata, dinanzi al TAR Lazio, la circolare della Direzione generale per la Giustizia Tributaria, prot. 28113/2009 del 22/5/2009, avente ad oggetto “criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali – art. 13, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545”, con la quale è stabilito che “ove la Commissione tributaria regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso aggiuntivo da riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza appellata…….”, nonché la nota n. 656 del 7 luglio 2009, con la quale sono comunicate le istruzioni operative ed informatiche per l’effettuazione del calcolo.
I ricorrenti – tutti giudici della Commissaria tributaria di Milano – a supporto del gravame hanno dedotto una serie di motivi, tra il quali anche l’incompetenza del Dirigente a determinare il compenso aggiuntivo variabile dei Giudici tributari.
Il TAR Lazio con sentenza semplificata ha accolto il ricorso, ed annullato per incompetenza l’atto impugnato, ritenendo che la disciplina delle dedotte questioni fosse riservata alla fonte ministeriale.
Ha proposto appello il Ministero dell’Economia e Finanze, reiterando preliminarmente le questioni di irricevibilità per tardività e di difetto di giurisdizione, entrambe vanamente eccepite nel primo grado di giudizio; nel merito, deducendo errores in iudicando, essenzialmente riconducibili all’omessa considerazione della natura meramente interpretativa dell’atto.
La Sezione, con decisione in forma semplificata n. 2991/2012, ha accolto l’appello sotto il profilo della giurisdizione, ritenendo si trattasse di una circolare interpretativa avente ad oggetto spettanze economiche per l’attività svolta dai singoli magistrati, in relazione alle quali la legge non lascia all’amministrazione margini di scelta “discrezionale”.
La Corte di Cassazione - dinanzi alla quale la sentenza è stata impugnata per motivi di giurisdizione - l’ha cassata, affermando che le spettanze economiche per cui è causa, hanno natura indennitaria e non retributiva, e sono affidate alle determinazioni discrezionali dell’autorità che ha provveduto alla nomina onoraria del magistrato, a fronte delle quali, quest’ultimo ha una posizione di mero interesse legittimo.
Sicchè il ricorso è stato riassunto dinanzi alla Sezione, per la definitiva decisione.
La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 28 ottobre 2014.
DIRITTO
1.1. Va preliminarmente esaminata la questione dell’irricevibilità per tardività del ricorso di primo grado, riproposta dall’amministrazione appellante in conseguenza del rigetto da parte del TAR.
La circolare sarebbe stata trasmessa per posta elettronica all’indirizzo personale dei giudici tributari milanesi l’1 giugno 2009: da ciò la tardività del ricorso notificato solo il 13 ottobre 2010. Il TAR ha disatteso l’eccezione, rilevando che: a) non trattasi, nella specie, di posta elettronica certificata; b) in ogni caso non tutti i magistrati ricorrenti avevano, all’epoca dei fatti, comunicato un proprio indirizzo di p.e., pertanto non v’è dubbio che per almeno alcuni di essi il termine di impugnazione debba decorrere dalla data di formale comunicazione della circolate da parte della segreteria (circostanza che rende ultronea ogni discussione sulle situazioni individuali, trattandosi della richiesta d’annullamento di un atto a contenuto generale ed inscindibile).
In sede d’appello l’amministrazione precisa che tutti i giudici tributari hanno percepito compensi variabili liquidati con in nuovi criteri uniformi fissati dalla circolare contestata, sicchè non sarebbe verosimile, anche in ragione della specifica competenza posseduta, che i medesimi non abbiano avuto piena conoscenza dei contenuti della circolari ben prima dei 60 gg. antecedenti la notifica del gravame.
1.2. Il motivo non è fondato. L’invio di p.e. al destinatario, in assenza delle garanzie della posta certificata, o della prova della ricezione, non può considerarsi valida notifica. Potrebbe al più costituire elemento, utile, unitamente ad altri inequivoche circostanze fattuali, a corroborare la prova della piena conoscenza del provvedimento da parte del destinatario; e tuttavia anche questa prova risulta vana ove si consideri che, nel caso di specie, alcuni dei ricorrenti non avevano comunicato il proprio indirizzo e dunque sicuramente non possono aver ricevuto alcunché per via telematica. La posizione di questi ultimi, essendo di per sé sola sufficiente a sorreggere la procedibilità della domanda di annullamento dell’atto generale, rende - come correttamente segnalato dal giudice di prime cure - ultronea ogni indagine circa la piena conoscenza eventualmente raggiunta dagli altri.
Né può ipotizzarsi come verosimile la piena conoscenza per il sol fatto dell’incasso, da parte di tutti i giudici ricorrenti, del compenso variabile liquidato secondo i nuovi criteri, atteso che esso, nel periodo in considerazione potrebbe non aver interessato casi di appello su ricorsi riuniti (ossia la fattispecie sulla quale le modifiche sono intervenute); a tacere del fatto che è certamente arduo e comunque non immediato inferire dall’ammontare delle somme percepite i (nuovi) criteri della liquidazione.
2.1. Venendo al merito delle questioni. Prevede il d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545, all’art. 13:
“1. Il Ministro delle finanze con proprio decreto di concerto con il Ministro del tesoro determina il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie.
2. Con il decreto di cui al comma 1, oltre al compenso mensile viene determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle funzioni e dell'apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l'intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso”.
Con il primo dei provvedimenti impugnati, il Direttore della giustizia tributaria presso il Dipartimento delle finanze del Ministero dell’Economia e Finanze ha dettato nuovi criteri per la determinazione del compenso aggiuntivo da corrispondere ai giudici delle Commissioni tributarie regionali, ed in particolare - modificando il disposto della circolare ministeriale n. 80 dell’11 marzo 1998 secondo la quale “nel secondo grado di giudizio il compenso aggiuntivo spetta per il numero dei ricorsi presentati in primo grado, indipendentemente dal numero di appelli proposti e dal fatto che i ricorsi in primo grado siano stati riuniti” - ha stabilito che ove la Commissione tributaria regionale definisca con una sentenza l’unico ricorso prodotto in appello, il compenso aggiuntivo da riconoscere ai giudici è “parametrato” a detto unico ricorso, non assumendo alcun rilievo, ai fini di cui trattasi, il numero dei ricorsi eventualmente riuniti e definiti dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza appellata…”.
Il gruppo dei giudici tributari ricorrenti ritiene, per quanto qui specificatamente rileva, che la circolare violi le attribuzioni del Ministro dell’Economia e Finanze, al quale specificatamente il d.lgs. 545/1992 demanda la determinazione, secondo criteri uniformi, oltre che del compenso fisso mensile, anche del compenso “variabile” in ragione di “ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi”.
2.2. Secondo l’amministrazione appellante, invece, il Direttore generale non avrebbe esercitato alcuna potestà di determinazione del compenso variabile, ma si sarebbe limitato ad un’attività esegetica del testo di legge, in relazione ad alcuni aspetti lasciati in ombra sui quali si erano registrati pareri (anche dell’organo di autogoverno) contrastanti, incidendo sulle modalità di liquidazione e non sulla determinazione (in astratto) del quantum di indennità spettante per ogni ricorso. L’oggetto della circolare, in particolare, rientrerebbe nei compiti affidati alla Direzione della Giustizia tributaria dal d.P.R. 30 gennaio 2008, n. 4, fra i quali l’art. 15 contempla “la gestione automatizzata degli uffici di segreteria degli organi della giurisdizione tributaria” nonché “la gestione amministrativa contabile dei capitoli di spesa delle Commissioni tributarie. La circolare, dunque conterrebbe semplicemente istruzioni per una corretta liquidazione dei compensi variabili, già determinati dal decreto ministeriale, cui l’art. 13 del d.lgs 31 dicembre 1992, n. 545 rinvia.
2.3. La tesi non può essere condivisa.
E’ pur vero che procedendo nel modo sopra descritto, il direttore generale non ha determinato ex ante ed in via generale l’entità dell’indennità, limitandosi ad indicare un criterio concernente esclusivamente la conta dei ricorsi, non puntualmente disciplinato dal legislatore per il grado d’appello. Non è parimenti revocabile in dubbio, tuttavia, che il numero dei ricorsi e le modalità del loro conteggio incidano in diminuzione sul compenso variabile, con effetto del tutto omogeneo all’attività di “determinazione” riservata al Ministro. E l’aspetto non è di poco rilievo.
L’ammontare dell’indennità per singolo ricorso è non a caso collegato espressamente e chiaramente, dallo stesso legislatore, alle modalità di computo dei ricorsi, quanto meno per le Commissioni tributarie provinciali: esse sostanziano la “variabile” del “compenso variabile”. Sicchè, la circostanza che analoga norma non sia chiaramente ed immediatamente ricavabile anche per le Commissioni tributarie regionali, non degrada la questione a mero aspetto applicativo, ed anzi la erge, ancor più, ad attività di diretta attuazione del disposto legislativo. In sostanza, se il legislatore ha dato dignità di legge al criterio della “riunione”, vuol dire che la “riunione” dei ricorsi è fattore estremamente significativo e rilevante, tanto da costituire oggetto di considerazione propedeutica ed inderogabile rispetto alla generale e successiva attività di determinazione del compenso contestualmente demandata alla fonte regolamentare.
Ora, se, quanto ed in che modo la “riunione” incida anche nel giudizio di secondo grado, stante l’oggettiva incertezza della formulazione letterale, è valutazione che ben può effettuare il Ministro nell’ambito del suo potere normativo di determinazione del compenso, come tale fisiologicamente comprensivo anche dell’interpretazione della fonte primaria attributiva di detto potere, salvo sempre il controllo di legittimità. Così non può dirsi per il dirigente generale nell’esercizio del potere organizzativo e gestionale avente ad oggetto la concreta implementazione delle previsioni normative.
L’appello è pertanto respinto, con conseguente integrale conferma della sentenza di prime cure.
Avuto riguardo alla novità delle questioni, le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Nicola Russo, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014
Vai a
- GENERALE
- ↳ Annunci e Regole importanti
- CONSULENZA LEGALE PER I MILITARI E LE FORZE DI POLIZIA
- ↳ L'Avv. Giorgio Carta risponde
- CONSULENZA LEGALE SU CONTENZIOSI CIVILI
- ↳ L'Avv. Giovanni Carta risponde
- PREVIDENZA SOCIALE
- ↳ CALCOLI PENSIONISTICI
- ↳ ASPETTATIVA - CAUSE DI SERVIZIO - EQUO INDENNIZZO - PENSIONE PRIVILEGIATA ORDINARIA E TABELLARE
- ↳ VITTIME DEL TERRORISMO, DOVERE E CRIMINALITÀ
- ↳ ISTRUZIONI PER LA CONCESSIONE DELLA SPECIALE ELARGIZIONE PREVISTA PER LE VITTIME DEL SERVIZIO
- SALUTE E BENESSERE FORZE ARMATE E FORZE DI POLIZIA
- ↳ Psicologia
- ↳ La Dott.ssa Alessandra D'Alessio risponde
- LEXETICA - ASSISTENZA LEGALE E MEDICO LEGALE
- ↳ IL LEGALE RISPONDE
- ↳ IL MEDICO LEGALE RISPONDE
- FORZE DI POLIZIA
- ↳ CARABINIERI
- ↳ POLIZIA DI STATO
- ↳ News Polizia di Stato
- ↳ GUARDIA DI FINANZA
- ↳ POLIZIA PENITENZIARIA
- ↳ Attività di Polizia Giudiziaria
- MILITARI
- ↳ ESERCITO
- ↳ MARINA
- ↳ AERONAUTICA
- ↳ CAPITANERIE DI PORTO - GUARDIA COSTIERA
- ↳ DONNE MILITARI
- ↳ UFFICIALI
- ↳ MARESCIALLI
- ↳ SERGENTI
- ↳ VSP
- ↳ VFP
- Trasferimenti all'Estero
- ↳ Tunisia
- ↳ Tenerife - Canarie
- DIPARTIMENTO VIGILI DEL FUOCO
- ↳ CORPO NAZIONALE VIGILI DEL FUOCO
- IMPIEGO CIVILE
- GUARDIE PARTICOLARI GIURATE