Automobile club d'Italia - (contenimento spesa pubblica)

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Automobile club d'Italia - (contenimento spesa pubblica)

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Quesito: ambito applicativo dell'art. 1 c. 2 legge 196/2009 come novellato dall'art. 5 c. 7 del d.l. 02/03/2012 n. 16 convertito nella legge 26/04/2012 n. 44 - Aci Automobile club d'Italia - (contenimento spesa pubblica).

Il resto leggetelo voi.

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30/04/2013 201300718 Definitivo 1 Adunanza di Sezione 20/03/2013


Numero 02064/2013 e data 30/04/2013


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 20 marzo 2013


NUMERO AFFARE 00718/2013

OGGETTO:
Presidenza del consiglio dei ministri- dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport.

Quesito: ambito applicativo dell'art. 1 c. 2 legge 196/2009 come novellato dall'art. 5 c. 7 del d.l. 02/03/2012 n. 16 convertito nella legge 26/04/2012 n. 44 - Aci Automobile club d'Italia - (contenimento spesa pubblica);

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. n. 6910 in data 06/03/2013 con la quale il Presidenza del consiglio dei ministri dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull' affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Montedoro;

Premesso :
In data 31 gennaio 2013 la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport, riceveva dal Ministero dell’Economia e delle Finanze-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato -Ispettorato Generale di Finanza –Ufficio VIII, parere interlocutorio in merito alla portata applicativa dell’art.1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n.196, nel testo novellato dall’art.5, comma 7, del decreto legge 2 marzo 2012 n.16, convertito dalla legge 26 aprile 2012 n.44.

Con relazione datata 6 marzo 2013 e depositata il 9 marzo 2013, la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per gli Affari Regionali, il Turismo e lo Sport, chiedeva avviso al Consiglio di Stato sulla portata applicativa della norma.

Con relazione datata 6/3/2013 e depositata in data 9 marzo 2013, la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport -, sollecitato dall’Automobile Club d’Italia sottoposto alla sua vigilanza, ha ravvisato gli elementi per richiedere parere al Consiglio di Stato, circa l’effettivo ambito applicativo dell’art. 1, comma 2, della legge n. 196/2009 come novellato dall’art. 5 comma 7 del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16 convertito nella legge 26 aprile 2012 n. 44 (quest’ultima, recante “Misure urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”), al fine di definire un chiaro ed univoco criterio interpretativo, soprattutto in correlazione a successive disposizioni dettate dal legislatore in materia di contenimento della spesa pubblica che hanno come destinatario le amministrazioni pubbliche.

Il Ministero osserva che, nonostante risulti chiaro dalla formulazione letterale del novellato comma 2 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, il criterio interpretativo che vale a delimitare la categoria delle amministrazioni pubbliche destinatarie delle disposizioni in materia di finanza pubblica, il legislatore, anche dopo l’entrata in vigore del decreto legge n. 16/2012, ha innescato dubbi, continuando ad utilizzare il precedente sistema di doppia identificazione dei destinatari, e conservando, talora, la distinzione, tra soggetti inclusi e soggetti non inclusi, negli elenchi Istat. Infatti viene richiamato l’esempio del decreto legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza di servizi ai cittadini, ove, alcune disposizioni risultano indistintamente rivolte alla generalità delle amministrazioni (gli artt. 2, 4 e 8), altre, sulla falsariga della richiamata distinzione, involgono i soli soggetti inseriti nel conto economico consolidato dalla Pubblica Amministrazione, come individuato annualmente dall’Istat (in particolare, gli artt.3, 5 e 6). Si fa, inoltre, riferimento alla legge di stabilità 2013, ovvero la legge 24 dicembre 2012 n. 228, recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, sottolineando come essa riproponga, in alcune disposizioni, tale dualismo.

La relazione svolta dal Dipartimento scrivente contiene gli esiti del parere ad esso rilasciato in data 28 gennaio 2013 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, intervenuto in termini chiarificatori, a fornire una lettura estensiva dell’ambito applicativo del novellato art. 1 comma 2 della L. 196/2009. Il Ministero precisa che, dall’entrata in vigore della norma, tutte le disposizioni, sia quelle vigenti che quelle successive, espressamente destinate ai soli enti rientranti nell’elenco Istat, devono intendersi applicate, anche per il passato e per il futuro, a tutte le pubbliche amministrazioni di cui al decreto legislativo n. 165/2001, ancorché non ricomprese nei suddetti elenchi Istat.

Il Ministero, proprio alla luce della norma in oggetto, su uno specifico quesito formulato dall’ACI ha ritenuto direttamente applicabile all’ente ACI la previsione di cui all’art. 6 comma 12 del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, in materia di riduzioni di spese per missioni, per dettato normativo solo destinata ai soggetti inclusi negli elenchi Istat.

Ad ulteriore sostegno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la circolare n. 31 del 23 ottobre 2012, sempre per effetto del novellato art. 1 comma 2 della legge 196/2012, ha ritenuto che, le disposizioni di cui all’art. 8 comma 3 del d.l. n. 95/2012, in tema di riduzioni di spesa per consumi intermedi degli enti pubblici (esclusi gli enti territoriali) si applicassero, indistintamente, a tutti gli enti di cui all’art. 1 comma 2 del dlgs n. 165/2001.

Con nota datata 1° marzo 2013, l’ACI riscontra la nota prot. N. 6148 P-4.30.6. del 27 febbraio 2013 trasmessa dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, e, in sostanziale dissenso, formula richiesta di parere, al fine di ottenere dal Consiglio di Stato una interpretazione contraria e difforme a quella del Ministero, che - a dire dell’ente richiedente - è pur’esso “da intendersi, come parte in causa e non come terzo, rispetto alla vicenda in questione”.

L’interpretazione del Ministero è definita dall’ACI “incerta” e “poco coerente” perchè, se, da un lato, afferma che “l’ambito di applicazione delle singole disposizioni di finanza pubblica può essere circoscritto solo dalle stesse, attraverso esplicita previsione che ne definisca i destinatari, dall’altra, comunque perviene alla conclusione dell’assoggettabilità, anche, alle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legge 165/2001 – e quindi, anche all’ACI e agli Automobile Club – alla disposizione di cui all’art. 8, comma 3, del decreto legge del 6 luglio 2001, n. 25, convertito dalla legge n. 135/2012, recante disposizioni in materia di obblighi di riduzione della spesa per consumi intermedi.

L’ACI ritiene che tale disposizione circoscriva i soggetti destinatari ai soli “enti e organismi….inseriti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuati dall’Istat, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge 30 dicembre 2009 n. 196, individuando nell’ambito della più ampia nozione di amministrazioni pubbliche, così come risultante dalla novella apportata alla stessa disposizione dall’art. 5, comma 7, del decreto legge n. 16/2012, solo una specifica e ben delimitata categoria sul presupposto di esigenze di amministrazione (quelle ricomprese negli elenchi Istat).

Assumendo, quindi, la propria estraneità rispetto al perimetro di applicazione della disposizione in parola sul presupposto che, né l’ACI, né gli Aeromobili Club ad esso federati siano mai stati ricompresi in detti elenchi Istat, l’ACI sollecita, una lettura diversa della norma, onde evitare l’applicabilità, nei suoi confronti di quello, che essa definisce “un obbligo non espressamente previsto”, estremamente oneroso per l’ente, che, quand’anche non ricompreso tra i soggetti pubblici inseriti negli elenchi ISTAT, al pari di quelli, risulterebbe non solo assoggettato al rispetto delle disposizioni di contenimento della spesa pubblica ma anche, obbligato a riversare in entrata al bilancio dello Stato tutti i risparmi conseguenti all’esecuzione della disciplina medesima.

L’ente ritiene, di non dover soggiacere a tale obbligo, in primis, per il fatto di ricevere, solo contributi marginali a carico del bilancio dello Stato, (contributi erogati dal CONI direttamente all’ACI e finalizzati allo svolgimento e alla promozione dell’attività sportiva automobilistica, per la quale, peraltro, l’ACI impegna annualmente risorse in misura decisamente superiore rispetto al contributo ricevuto), ed inoltre, per il fatto che l’obbligo di riversare in entrata al bilancio dello Stato “renderebbe impossibile il perseguimento di qualsiasi obiettivo strutturale di riequilibrio dei conti”.

L’ACI non manca di criticare la posizione dello stesso Ministero che ritiene non essere stato chiaro sul punto e ne legge in termini sostanzialmente dubitativi anche la più recente Circolare n. 2 del 5 febbraio 2013 (avente ad oggetto il bilancio di previsione per l’esercizio 2013 delle amministrazioni pubbliche), dove, a pagina 3, sull’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 7, del decreto-legge, il Ministero così incede: “sul punto si ha motivo di ritenere che l’art. 5, comma 7, sia rivolto anche a ricomprendere tra i destinatari della disposizioni di contenimento quegli enti di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, finora esclusi in quanto non inseriti nell’elenco Istat”.

L’ACI è dell’avviso che l’obbligo di riversare in entrata al bilancio dello Stato i risparmi conseguenti all’attuazione delle norme di contenimento della spesa debba avvenire solo, limitatamente alla parte imputabile ai contributi ricevuti dallo Stato, ossia in percentuale sul complesso delle entrate finanziarie, facendo, sul punto, riferemento a quanto espresso dal Consiglio di Stato in sede di Adunanza della Commissione speciale del 14 dicembre 2011, con riferimento all’applicabilità dell’art. 6 , comma 21, del decreto legge n. 78/2010 nei confronti dell’Autorità per la garanzia delle comunicazione e, più in generale, di tutte le Autorità indipendenti previste dal vigente ordinamento.

L’affare è pervenuto all’adunanza del 20 marzo 2013.

Considerato :
1. Occorre premettere che la legge n. 196 del 31 dicembre 2009, contiene i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica, finalizzata alla tutela dell’unità economica della Repubblica italiana e prevede che le amministrazioni pubbliche concorrano al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, definiti in ambito nazionale in coerenza con le procedure e i criteri stabiliti dall’U.E., condividendone le conseguenti responsabilità. Si tratta quindi di una legge di attuazione costituzionale, che definisce il quadro generale della contabilità delle pubbliche amministrazioni.

2. L’ art. 1 comma 2, della legge n. 196/2009, dopo la novella realizzata con l’art. 5 comma 7 del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito nella legge 26 aprile 2012 n. 44, prevede che “ai fini dell’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica, per amministrazioni pubbliche si intendono, per l’anno 2011, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici nell’elenco oggetto del comunicato dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) in data 4 luglio 2010, pubblicato in pari data nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 171, nonché, a decorrere dall’anno 2012, gli enti e i soggetti indicati a fini statistici dal predetto istituto nell’elenco oggetto del comunicato del medesimo istituto in data 30 settembre 2011, pubblicato in pari data sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 228….., le Autorità indipendenti e, comunque, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.

Quindi, espressamente, la norma riferisce il suo ambito applicativo “a tutte le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 e successive modificazioni ”.

In via interpretativa, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nella Circolare n. 31 del 23 ottobre 2012, fornisce indicazioni in merito all’applicazione agli enti ed organismi pubblici destinatari delle disposizioni recate dall’art. 8, comma 3, del decreto legge del 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge del 7 agosto 2012, n. 135, in materia di consumi intermedi. La Circolare, oltre a specificare la nozione di consumi intermedi, riguardo l’ambito applicativo dell’art. 8, comma 3, del decreto legge n. 95/2012, dice che, ferme restando le esclusioni espressamente previste dalla norma, si deve tener conto delle previsioni di cui all’art. 5, comma 7, del decreto legge del 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge del 26 aprile 2012, n. 44, che ha sostituito l’art. 1, comma 2, della legge del 31 dicembre 2009, n. 196. Secondo la nuova formulazione di quest’ultimo articolo, dal 2012, le misure di finanza pubblica si applicano, oltre che ai soggetti compresi nell’elenco pubblicato annualmente dall’ISTAT, anche agli enti pubblici (esclusi gli enti territoriali) di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165.

Il Ministero, attesa la circostanza che la modifica normativa recata dal citato decreto legge n. 16/2012 ha ad oggetto, proprio, le norme di finanza pubblica, ritiene che la volontà del legislatore non può che essere quella di ricomprendere, tra i destinatari della norma in rassegna, anche gli enti di cui al predetto decreto legislativo n. 165 del 2001.

3. Occorre, quindi indagare la natura giuridica dell’ACI onde verificare se sia da ricomprendere tra gli enti di cui al d.lgs. n. 165/2001.

L’ACI è senz’altro un ente pubblico.

Tuttavia rispetto alla sua natura associativa il Consiglio di Stato ha reso un parere limitativo dell’efficacia di una disposizione che avrebbe ridotto il numero dei componenti dei suoi organi amministrativi e di controllo.

Questo Consiglio di Stato, nell’Adunanza di Sezione del 6 luglio 2011, si è infatti espresso in senso negativo sul quesito sottoposto dall’ACI, circa l’applicabilità a tale ente dell’art. 6, comma 5 del decreto legge n. 78/2010, convertito con legge n. 122 del 2010, in materia di contenimento della spesa pubblica. Nella relazione, si riporta quanto ritenuto in tal senso dal Ministero dell’Economia, sul presupposto che, attenendo la norma, di cui all’art. 6 comma 5, in sostanza, ad un principio di coordinamento della finanza pubblica, e quindi norma di carattere generale e fondamentale, essa debba, comunque, prevalere su disposizioni a carattere speciale.

Nel predetto parere il Consiglio di Stato sul presupposto della mancata comprensione dell’ACI nell’elenco ISTAT e dell’esigenza di salvaguardia del principio di rappresentatività dell’ente ha ritenuto che la norma non si applicasse ad enti di struttura federale adottando una prospettiva teleologica.

Nessun dubbio che l’ACI (e gli AC) si configurino come enti pubblici a struttura federativa ed associativa.
La norma in esame nel predetto parere , comunque, era anteriore al 2012.

Quanto al ruolo di ente pubblico dell’ACI esso è stato sancito dalla legge 20 marzo 1975 n. 70 (legge del parastato) sicché non sussistono incertezze in proposito.

L’ACI non rientra nell’elenco delle amministrazioni pubbliche definito secondo i criteri di contabilità nazionale del sistema Europeo dei conti 8 SEC 95 annualmente stilato dall’ISTAT ai sensi dell’art.1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009 n. 196.

Quanto ai profili finanziari, poi, l’ACI gestisce con la propria organizzazione e con bilancio distinto da quello dell’amministrazione generale dell’ente, il PRA ( pubblico registro automobilistico istituito presso l’ACI con decreto 15 marzo 1927 n. 436 convertito in legge 19 febbraio 1928 n. 510) ed i servizi di tasse automobilistiche affidati alle regioni. Inoltre riceve trasferimenti dalle regioni e dal CONI e si finanzia con gli emolumenti posti a carico degli utilizzatori dei servizi resi.

In via generale va ricordato che più che di ente pubblico , in dottrina, si discorre di enti pubblici, per cui la disciplina finanziaria, ove non vi siano indici chiari di carattere formale circa l’ambito applicativo soggettivo ed oggettivo delle disposizioni, va interpretata tenendo conto delle finalità varie che portano alla costituzione dei diversi enti pubblici o, al conferimento di natura pubblica, ad enti originariamente privati, ciò per realizzare fini che si potrebbero far perseguire direttamente dall’amministrazione statale ma che si ritiene preferibile realizzare con strumenti organizzativi più flessibili.

Pure significativo, il riferimento alla giurisprudenza costituzionale in materia di IPAB (Corte Cost. n. 368/1988), che consente di asserire l’esistenza di una assoluta tipicità degli enti a base associativa, nei quali per il principio di sussidiarietà deve ammettersi una indubbia peculiare rilevanza dell’autonomia statutaria, accresciuta dall’accoglimento espresso, in Costituzione, del principio di sussidiarietà orizzontale (art. 118 ult. co, Cost.).

Ciò ha ispirato il Consiglio nel rendere il parere del 6 luglio 2011 n. 4036 del 2010, in assenza di controindicazioni normative specifiche.

4. In merito alla richiesta dell’ACI di un riversamento dei risparmi di gestione in entrata al bilancio dello Stato, solo limitatamente alla parte imputabile al contributo ricevuto dallo Stato, ossia in percentuale sul complesso delle entrate finanziarie, al fine di escludere tale obbligo non sembra potersi fare riferimento esclusivo e concludente al parere reso dalla commissione speciale del Consiglio di Stato nell’adunanza del 14 dicembre 2011, n. 186 del 2011 evocato dallo stesso ente ACI.

In primo luogo va osservato che il parere è relativo a disposizioni diverse da quelle ora in esame ed aventi come ambito applicativo in senso soggettivo gli enti che ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche ( disposizione che giustifica una conclusione del tipo “ se e nei limiti in cui ricevano tali contributi” ) mentre la normativa sulla quale si chiede lume ( l’art. 1 comma 2 della legge 31 dicembre 2009 n. 196 ) prevede espressamente la sua applicabilità alle amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 fra cui è da ricomprendersi l’ACI quale ente pubblico istituzionale, sia pure a base federativa.

Questo Consiglio di Stato decise sulle modalità di applicazione, all’ Autorità per la garanzia delle comunicazioni, e più in generale, a tutte le Autorità indipendenti previste dall’ordinamento vigente, dell’art. 6 del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, che ha introdotto disposizioni volte alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi.

Più in particolare, si è ritenuto applicabile, alle Autorità, l’art. 6, comma 21, secondo cui le somme provenienti dalle riduzioni di spesa (con esclusione di quelle al primo periodo del comma 6), sono versate annualmente dagli enti e dalle amministrazioni dotate di autonomia finanziaria ad apposito capitolo dell’entrata del bilancio dello Stato.

Ad avviso della Commissione consultiva, il punto di equilibrio sotteso all’applicazione dell’art. 6, comma 21, del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010, è da ravvisarsi nel sostegno finanziario che la stessa riceve dallo Stato, il quale costituisce al tempo stesso “fondamento” e “limite” del suo dovere di contribuire al risanamento della finanza pubblica mediante versamento allo Stato, attraverso le risorse derivanti da risparmi della spesa corrente.

Ciò comporta che, come già in precedenza affermato dall’AGCOM e, più volte, da questo Consiglio di Stato ( sez. V; 15 giugno 2009, n. 3808, 3809, 3810, 3811, 3812, 3813, 3814, 3815, 3816, 3817), le somme ricavate da economie di gestione dell’Autorità possano essere destinate al bilancio dello Stato, ossia alla misura corrispondente al valore percentuale di tali contributi sul complesso delle entrate finanziarie dell’autorità.

Tale ragionamento, incentrato sul profilo finanziario, viene completato con riferimento al quadro generale in cui operano le Autorità indipendenti, posto che ciò che è messo in discussione non è la loro autonomia, quanto la legittimazione della Repubblica ad incidervi per ragioni di bilancio, in una fase congiunturale, in cui misure straordinarie e i correlati sacrifici, trovano giustificazione nel dovere di solidarietà posto al più alto livello della Carta Costituzionale (art. 2), ed in astratto suscettibile di operare nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento.

Le Autorità indipendenti, la cui nascita e progressiva evoluzione può trovare una causa unitaria nella crescente globalizzazione del mondo sociale ed economico, sono organi di rilevanza costituzionale che hanno fornito una risposta all’esigenza di ripensare l’organizzazione dell’Amministrazione statale, nei rapporti interni tra Stato e cittadini e, parallelamente, nei rapporti esterni tra i singoli Paesi e tra essi e gli organismi sopranazionale.

L’autonomia di cui godono tali soggetti, dunque, è in funzione della comunità nazionale, ed un’incisione sulla stessa si traduce, inevitabilmente, in un’alterazione dei sistemi di controllo su interi ordinamenti settoriali posti al centro della vita dei cittadini.

Tali considerazioni trovano un apprezzamento nella soluzione del quesito sottoposto attraverso le teorie dell’interpretazione conforme al diritto e dell’interpretazione costituzionalmente orientata, che rappresentano i massimi strumenti di ermeneutica giuridica, idonei a risolvere l’apparente antinomia tra norma e principio che sussiste nel caso in esame, e da cui nasce il quesito.

Da un lato il testo normativo, che impone il versamento delle somme provenienti dalle riduzioni di spesa alle amministrazioni finanziarie, ivi comprese le Autorità indipendenti, dall’altro il principio di corrispondenza tra gli oneri imposti agli operatori e i costi amministrativi sostenuti per l’esercizio dei compiti svolti dall’Autorità, riconosciuto dalla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Il problema che si è posto in tal caso è dunque in che termini possa designarsi una compartecipazione dell’Autorità ai doveri di solidarietà finanziaria verso lo Stato, senza che ciò implichi uno storno di risorse vincolate al perseguimento della missione istituzionale.

Solo, oltre la parte in percentuale rispetto al contributo statale ricevuto, il dovere contributivo si trasformerebbe in una vera e propria imposta, tanto da richiedere, in relazione ai principi di cui agli artt. 23 e 53 Cost., una formulazione meno generica e presupposti più stringenti dalla semplice esigenza di fare cassa.

Fino a tale limite, invece, per quanto il prelievo possa tradursi nel versamento di una parte delle entrate che, in assenza di tali risparmi, avrebbero finanziato l’organizzazione e l’attività dell’Autorità, non può ritenersi che sia pregiudicata l’autonomia finanziaria dell’ente e la corrispondenza tra contributi privati e costi di gestione, perché detti costi, per definizione non ci sono più per la parte corrispondente all’obbligo di versamento.

E’ dunque sul piano dell’interpretazione costituzionalmente orientata e conforme ai principi comunitari che, collegando il comma 21 al comma 2 dell’art. 6 del d.l. 31 maggio 2010 n. 78, se ne è affermata l’applicazione “limitata” all’Autorità.

Le considerazioni svolte sulla particolare funzione istituzionale riconosciuta alle Autorità indipendenti, che ne giustifica il riversamento in entrata al bilancio dello Stato, solo, di parte dei risparmi di gestione, in misura non eccedente lo stanziamento a carico del bilancio dello Stato, e non anche con riferimento agli oneri imposti agli operatori privati, non possono, del pari, essere riferite ad un soggetto, pur configurato nella categoria degli enti pubblici, quale l’ACI, le cui funzioni hanno un respiro sicuramente meno ampio ed in riferimento ad una norma come l’art, 1 comma 2 della legge di contabilità e finanza pubblica avente portata generale e di principio.

Inoltre sul piano teleologico non sono, evidentemente, paragonabili, da una parte, la funzione svolta da un ente pubblico che realizza fini che si potrebbero far perseguire direttamente dall’amministrazione statale, e dall’ altra, l’alta funzione istituzionale riconosciuta ad organi quali le Autorità indipendenti, fatte oggetto di una espressa distinta menzione nelle norme su risparmi di spesa che definiscono l’ambito applicativo in senso soggettivo delle amministrazioni destinatarie degli obblighi di revisione della spesa proprio per la loro peculiarità.

L’analoga esistenza di una provvista finanziaria proveniente da privati per l’ACI tuttavia dovrà essere attentamente considerata in futuro dal legislatore sia al fine di evitare normative aventi profili di irragionevolezza sia al fine di calibrare le norme all’obiettivo strutturale del riequilibrio dei conti dell’ACI.
5. La Sezione condivide quindi le conclusioni cui è pervenuto il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la nota Prot. n. 5546 del 28 gennaio 2013 (All. 1 della relazione del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport), quando dice che, “appare evidente l’intento del legislatore di estendere la platea dei soggetti sottoposti alle disposizioni finanziarie, assoggettando, con decorrenza dal 2012, anche le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, alle misure di contenimento dirette alla riduzione della spesa pubblica, salvo che, per espressa statuizione, le stesse siano indirizzate ad una diversa platea”.

Difatti, in materia di contenimento della spesa pubblica, l’ambito soggettivo di applicazione delle norme è quello dalle stesse esplicitamente definito e tale criterio normativo è destinato a prevalere su qualsiasi diverso criterio interpretativo.

Il punto da cui partire, è la formulazione letterale dell’art. 1 comma 2 della legge n. 196/2009 come novellato dall’art. 5 comma 7 del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16 convertito nella legge 26 aprile 2012 n. 44, che riferisce letteralmente l’ambito applicativo, non solo agli enti di cui agli elenchi Istat ma, anche, “ a tutte le amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del decreto legge n. 165/2001”(tra le quali deve intendersi senz’altro ricompreso l’ACI e gli AC ad esso federati).

Certamente, poiché la novella legislativa ha comportato l’applicabilità della norma in parola ad una serie di soggetti che non rientrano nella più classica definizione di pubblica amministrazione ove la disposizione cita anche i soggetti inclusi a fini statistici negli elenchi annualmente predisposti dall’Istat, può non essere di facile comprensione il perimetro entro cui si esplicano gli effetti di tali norme.

La differenziazione, che il legislatore pare abbia voluto mantenere nelle disposizioni successive alla norma in oggetto, tra soggetti Istat e non, e che viene operata sulla base di criteri classificatori definiti da norme nazionali e comunitarie, può trovare la sua ragion d’essere nell’esigenza di dare diversa disciplina ad amministrazioni che incidono in maniera profondamente diversa sugli equilibri del bilancio e delle finanze statali e giustifica una limitazione teleologica solo ove ci si trovi di fronte ad un ente incluso in elenco Istat che abbia natura privatistica ( ad es. l’Anci, L’upi, l’Uncem ) ma non a fronte di un ente di natura pubblica quale l’ACI .

In proposito, si deve ritenere che, la ratio sottesa alla necessità di mantenere la distinzione dei soggetti destinatari, sia correlata alla compatibilità settoriale della norma, in relazione a determinati ambiti disciplinatori.

La nozione di ente pubblico non rappresenta una categoria unitaria ma è elaborata, sul piano normativo e giurisprudenziale, settore per settore, adattandosi secondo le esigenze sottese alla normativa delle singole materie che prendono in considerazione il soggetto pubblico.

Riguardo il menzionato art. 5, comma 7, del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, stante la portata generale della norma, l’ambito applicativo delle singole disposizioni di finanza pubblica non può che essere individuato con riferimento ad un criterio formale atteso che l’ esplicita previsione normativa ha provveduto a definire i soggetti destinatari.

Quanto poi ai destinatari delle disposizioni di cui all’art. 8, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge n. 135/2012, vale quanto detto con nota prot. n. 5546 del 28 gennaio 2013 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che, ribadendo un criterio interpretativo, già fornito anche nella circolare n. 31/RGS del 23 ottobre 2012, ne individua i destinatari nei soggetti compresi nell’elenco pubblicato annualmente dall’Istat ma anche nelle amministrazioni (esclusi gli enti territoriali) di cui all’art. 1, comma 2, del dgls 30 marzo 2001, n. 165 proprio sul rilievo della natura finanziaria della normativa applicata e della portata generale della definizione contenuta nell’art. 1, comma 2 della legge n. 196 del 2009 che impone comunque l’applicazione, a partire dal 2012 ,delle disposizioni in materia di finanza pubblica alle amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 165 del 2001.

In conclusione in quanto ente pubblico, come sancito dalla legge sul parastato dal 1975, l’ACI, ad avviso della Sezione, non solo è tenuto al rispetto della normativa statale segnalata in materia di finanza pubblica e di contenimento della spesa pubblica, ma è anche soggetto alla riduzione dei trasferimenti operata dall’art. 8 comma 3 in relazione agli enti pubblici non territoriali.

Un’ultima considerazione può farsi sull’apparente distonia, tra l’obbligo dell’ACI di riversare in entrata allo Stato “ i risparmi di gestione” imposti dalla legge e il “contributo minimo” dallo stesso Stato ricevuto.
La considerazione è generica, la norma di cui all’art. 8 comma 3 riduce i trasferimenti, non obbliga a riversamenti sicché non appare irragionevole l’inclusione dell’ACI nel suo perimetro applicativo.

Per tutto quanto osservato ai fini considerati, si deve ritenere che, residuali dubbi sulla ragionevolezza dell’applicazione della disciplina in oggetto, possono essere superati, avuto riguardo alla prospettiva dell’interesse pubblico perseguita da disposizioni normative dettate dall’emergenza finanziaria e da esigenze di contenimento della spesa.

Ad avviso della Sezione sarebbe tuttavia opportuno che nella decretazione di urgenza in materia economica si tenesse fermo, per quanto possibile, nel definire l’ambito applicativo in senso soggettivo delle varie disposizioni, il criterio generale definito nella legge di contabilità come novellata (legge n. 196 del 2009) limitando il ricorso a definizioni diverse ai casi in cui ciò sia effettivamente reso necessario dalla natura degli interessi regolati.

Nel senso esposto è il parere della Sezione.

P.Q.M.
La Sezione è del parere di cui in motivazione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Giancarlo Montedoro Francesco D'Ottavi




IL SEGRETARIO
Massimiliano Salvatori


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