naturopata ha scritto: ↑mar set 18, 2018 11:18 am
avv. Massimo Vitelli ha scritto:Il Codice dell'Ordinamento Militare, D. LGS. n.66/2010, all'art.1867, guarda caso intitolato "ALIQUOTE DI RENDIMENTO", contempla espressamente l'art.54, DPR n.1092/1973.
Non solo, ma l'art.54 in parola deve considerarsi richiamato, sia pur implicitamente, anche dall'art.8, D. LGS. n.165/1997.
In claris non fit interpretatio !!!
L'applicazione dell'art.44 DPR 1092/1973 (riservato al solo personale CIVILE) anche al personale militare, in carenza DI UNA QUANTOMENO DECENTE GIUSTIFICAZIONE LEGISLATIVA (ad oggi del tutto inesistente, nè potrebbe essere altrimenti !!!), si rivela esclusivamente un inutile esercizio di mero gossip, vigendo certamente una normativa speciale (appunto l'art.54) per i MILITARI, che non può e non deve ammettere surrogati.
In proposito, ragionando a contrariis, qualcuno è forse in grado di spiegare secondo quale principio GIURIDICO/PROCESSUALE va privilegiato il disposto dell'art.44? Forse per ANALOGIA? Assolutamente no, atteso che in base alle preleggi è perentoriamente vietata l'analogia laddove sussista una specifica norma speciale che regoli la materia in esame, cioè nella fattispecie il solito art.54.
Se così fosse, OGNI SINGOLO ANNO DI SERVIZIO UTILE precedente al 1995 dovrebbe essere calcolato per i MILITARI sulla base delle aliquote previste dall'art.54 e non dall'art.44.
Certo, tutto ciò avrebbe un senso, a mio avviso, se l'attuale contenzioso sull'art.54, che riguarda tutti i militari che vantavano almeno 15 anni di servizio utile al 1995 (e meno di 18), venisse pacificamente condiviso dalla Corte dei Conti, giacché in caso contrario, sia pur obtorto collo, non avrebbe alcun senso "allargare" ulteriormente il perimetro dei ricorsi.
Non condivido. L'art. 54 non è espressamente richiamato come quelli sulla pensione di privilegio, difatti l'art. 1867 del COM al comma 2 asserisce:
2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle
disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un trattamento superiore
a quello che
sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui
all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.
Difatti si afferma soltanto che il trattamento di cui al comma 1 non deve superare quello
che sarebbe spettato con l'applicazione dell'art. 54, comma 1 D.P.R. 1092/73. Quello che sarebbe spettato (e non spetta più) e non quello che spetta o spetterebbe (in una sorta di doppio calcolo). E' un futuro anteriore retrospettivo, impiegato per codificare fatti precedenti non solo al momento di riferimento ma anche al momento di enunciazione. L'art. 54 rimane in vigore solo per delimitare l'aliquota massima del 44% che non deve essere superata dal calcolo di cui al comma 1 del medesimo art.1867.
Nel lontano 18 settembre 2018, io, presunto luminare, affermavo quanto sopra, poi in altri post affermavo la clausola di salvaguardia e poi ho ulteriormente affermato che gli anni utili ai fini retributivi ante 1995, di fatto sono stati anch'essi abrogati dalla legge 335/95 che legifera di 18 anni effettivi e non utili per il calcolo della quota retributiva e quindi è per questo che si applica l'art.44. Al momento gli anni utili ai fini retributivi non sono stati ancora intercettati. Ora nelle ultime pronunce negative diversi giudici hanno "copiato" questo presunto luminare.
Da ultimo Veneto n. 59/2019
Le novelle al sistema pensionistico intervenute successivamente, dal 1992 in poi, se -è vero- non hanno espressamente abrogato la disposizione del primo comma dell’art. 54 (che, in via transitoria, poteva all’epoca dell’introduzione delle riforme trovare ancora applicazione, ma sicuramente non poteva più trovarne allorchè la riforma fosse andata a regime, a partire dal 2001: tab.b allegata al d.lgs 503/92), tuttavia ne hanno circoscritto
nel tempo, in ragione del graduale passaggio tra i diversi regimi pensionistici, l’ambito di applicazione.
Appare di tutta evidenza, infatti, che la disposizione del primo comma dell’art. 54 -che non può non essere letta in combinato disposto con il precedente art. 52, primo commae, quindi, non ritenersi espressamente riferita all’ipotesi di cessazione dal servizio con anzianità utile tra i 15 e i 20 anni-, quando cioè era possibile conseguire il diritto a pensione con il raggiungimento di un’anzianità contributiva di 15 anni di servizio utile,
Né, in ragione di rigorosa interpretazione, può inferirsi una ultraattività dell’art. 54, comma 1, dal disposto dell’art. 1867 del C.O.M., che testualmente recita: “1. Con effetto dal 1° gennaio 1998, l'aliquota annua di rendimento ai fini della determinazione della misura della pensione e' determinata ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ferma restando l'applicazione della riduzione di cui all'articolo 59, comma 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con la stessa decorrenza. 2. Ai sensi dell'articolo 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1 non puo' comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalle norme di cui all'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.”
E’, infatti, evidente che il richiamo alle aliquote di rendimento di cui all’art. 54 è unicamente rivolto ad individuare il limite massimo di trattamento derivante dall’applicazione (dal 1.1.1998) delle nuove aliquote di rendimento di cui all’art. 17, comma 1, della legge 724/94 (
non a caso, la norma parla di trattamento “che sarebbe spettato” –al passato , quindi- in base alle aliquote dell’art. 54, come limite massimo non oltrepassabile dalle nuove modalità di calcolo) e non certo come ipotesi di reviviscenza di una normativa che ha esaurito i propri effetti a seguito di un processo continuo (e, per la verità, ancora in parte incompiuto) di riforme che hanno progressivamente teso ad armonizzare i regimi pensionistici, tant’è che lo stesso art. 1839 del C.O.M., rubricato “Trattamento pensionistico normale”, dispone: “Il trattamento pensionistico normale, diretto e di reversibilita', e' corrisposto al personale militare e agli altri aventi diritto secondo le disposizioni stabilite per i dipendenti dello Stato, in quanto compatibili con le norme del presente codice”, alcuna delle quali autorizza, neppure in via di interpretazione estensiva e/o analogica, a ritenere (ancora) applicabile il primo comma dell’art. 54 ripetutamente citato.
In aggiunta a ciò, non può ignorarsi un ulteriore argomento normativo. Segnatamente, deve ricordarsi che l'art. 17, comma 1, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha esteso ai dipendenti pubblici (con effetto dal 1 gennaio 1995) l'aliquota di rendimento del 2% annuo già vigente ai fini della determinazione della misura della pensione dell'assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti. Quest’ultima aliquota di rendimento armonizzata, pari per l’appunto al 2% per ogni anno di contribuzione, prescinde dall'anzianità di servizio e dalla categoria di pubblico impiego cui appartiene il lavoratore. Essa, peraltro, è applicabile solo in peius,
a mente della clausola di salvaguardia recata dall’art. 2, comma 19, della legge 8 agosto 1995, n. 335, secondo cui “l'applicazione delle disposizioni in materia di aliquote di rendimento previste dal comma 1 dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, non può comportare un trattamento superiore a quello che sarebbe spettato in base all'applicazione delle aliquote di rendimento previste dalla normativa vigente”.
Il presunto luminare precisa al Giudice che il sarebbe spettato non è un passato, ma un futuro anteriore prospettico

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