riformato per infarto
riformato per infarto
Sono un App. Sc. di anni 50 con 23 anni di servizio nell'Arma e 10 da civile, già riscattati ed in più dovrei averne 4 di scivolo. Vi ricordo che in data 24 febbraio 2012 sono stato colpito da infarto acuto del miocardio, trattato con angioplastica. Dopo circa un anno tra malattia e convalescenza, in data 8 gennaio 2013 sono stato riformato dalla CMO di Firenze. Premetto che all'atto della riforma ho rifiutato il transito nel ruolo civile, non mi sembrava il caso. Ho ancora in piedi l'istanza di riconoscimento della causa di servizio, che possibilità ho che la riconoscano. Volevo chiedere a chi c'è passato prima di me, cosa succede adesso? Quanto prenderò di pensione? Mi devono pagare anche le ferie non godute? Ci sono pareri discordanti. Dopo quanto viene erogata la cassa sottufficiali ed il TFR? Mi hanno già sospeso l'ingresso sul portale, cosa da non credere. La convenzione telecom termina con la riforma? Ho fatto una missione in Kosovo, è vero che vale il doppio ai fini della pensione? Tutti i conteggi vengono fatti in automatico dalla nostra amministrazione, compreso l'anno di militare, che poi trasmetterà il tutto alla sede Inps. Scusate, forse sono stato un po prolisso, ma vorrei sapere a cosa vado incontro. Infine volevo esprimere una mia opinione, siamo paragonati a delle scarpe vecchie, quando ci rompiamo e non possiamo essere riparati, ci buttano via. Grazie in anticipo a chi volesse essere esaudiente con me.
Re: riformato per infarto
Caro collega...cosa ti aspettavi la fanfara?...La nostra cara Arma tratta così i suoi figli...ovvero sono gli armaioli ha negare i propri figli...ad ogni modo condivido pienamente con te...siamo come le scarpe rotte...tuttavia credo ke in pensione ci guadagnerai di salute e libertà...quelle ke ci sono state tolte all'atto dell'arruolamento...quindi pensa solo alla tua salute ke quella nn ci pensa nessuno...purtroppo nn sono in grado di rispondere alle tue domande...ma nn disperare su questo forum ci sono colleghi esperti in materia...ke senz'altro troveranno una risposta ad ogni tua domanda...ciao in bocca al lupo...
Re: riformato per infarto
ramino ha scritto:Sono un App. Sc. di anni 50 con 23 anni di servizio nell'Arma e 10 da civile, già riscattati ed in più dovrei averne 4 di scivolo. Vi ricordo che in data 24 febbraio 2012 sono stato colpito da infarto acuto del miocardio, trattato con angioplastica. Dopo circa un anno tra malattia e convalescenza, in data 8 gennaio 2013 sono stato riformato dalla CMO di Firenze. Premetto che all'atto della riforma ho rifiutato il transito nel ruolo civile, non mi sembrava il caso. Ho ancora in piedi l'istanza di riconoscimento della causa di servizio, che possibilità ho che la riconoscano. Volevo chiedere a chi c'è passato prima di me, cosa succede adesso? Quanto prenderò di pensione? Mi devono pagare anche le ferie non godute? Ci sono pareri discordanti. Dopo quanto viene erogata la cassa sottufficiali ed il TFR? Mi hanno già sospeso l'ingresso sul portale, cosa da non credere. La convenzione telecom termina con la riforma? Ho fatto una missione in Kosovo, è vero che vale il doppio ai fini della pensione? Tutti i conteggi vengono fatti in automatico dalla nostra amministrazione, compreso l'anno di militare, che poi trasmetterà il tutto alla sede Inps. Scusate, forse sono stato un po prolisso, ma vorrei sapere a cosa vado incontro. Infine volevo esprimere una mia opinione, siamo paragonati a delle scarpe vecchie, quando ci rompiamo e non possiamo essere riparati, ci buttano via. Grazie in anticipo a chi volesse essere esaudiente con me.
.....Se dettagliatamente mi tx in MP tutti i dati, proviamo a capire qualcosa per il tuo prosssimo €€€€
Re: riformato per infarto
Questa notizia è una cosa a parte.
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Infarto da superlavoro?
Il datore è sempre 'colpevole': lo ha deciso la Cassazione
Giovedì 8 Maggio 2014
ROMA - Era un vero e proprio stakanovista, si portava addirittura il lavoro a casa pur di raggiungere gli obiettivi che il suo datore, una grossa società di telecomunicazioni, gli aveva assegnato.
Stefano S. - funzionario della 'Ericsson tlc' - non si era mai lamentato per questo stress continuo.
Ma un carico di undici ore di lavoro al giorno alla fine lo ha portato all' infarto.
Ora la Cassazione ha stabilito che una morte del genere deve essere risarcita dal datore che non può ignorare «le modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro».
Alla moglie e alla figlia del dipendente morto per infarto dovuto ai «ritmi insostenibili» dell'attività lavorativa, la società deve corrispondere, rispettivamente, 434mila euro e 425mila euro, oltre agli oneri accessori.
Senza successo, la 'Ericsson' è ricorsa in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello di Roma che, nel 2011, aveva accolto la richiesta di risarcimento danni patrimoniali e materiali avanzati dalla vedova di Stefano S. anche in nome della loro unica figlia, ancora minorenne.
In primo grado, invece, il Tribunale aveva negato la responsabilità del datore.
Ad avviso della Suprema Corte, «con motivazione logicamente argomentata e giuridicamente corretta», il verdetto di appello ha ritenuto che «la responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro fa carico alla società, la quale non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi della integrità fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello adducendo l'assenza di doglianze mosse dai dipendenti».
Inoltre, secondo gli 'ermellinì - sentenza 9945 della Sezione lavoro - il datore non può sostenere «di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengano in concreto svolte».
Per la Cassazione, «deve infatti presumersi, salvo prova contraria, la conoscenza, in capo all'azienda, delle modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta dell'assetto organizzativo adottato dall'imprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne».
Nel caso in questione era emerso che Stefano S. «per evadere il proprio lavoro, era costretto, ancorchè non per sollecitazione diretta, a conformare i propri ritmi di lavoro all'esigenza di realizzare lo smaltimento nei tempi richiesti dalla natura e molteplicità degli incarichi affidatigli dalla 'Ericsson'».
In base alla ctu, l'infarto che lo colpì, un martedì mattina al lavoro, «era correlabile, in via concausale, con indice di probabilità di alto grado, alle trascorse vicende lavorative».
Senza successo la società si è difesa dicendo che i «ritmi serratissimi» adottati da Stefano S. «non erano a lei imputabili ma dipendevano dalla attitudine» del dipendente «a sostenere e a lavorare con grande impegno e al suo coinvolgimento intellettuale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi».
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Infarto da superlavoro?
Il datore è sempre 'colpevole': lo ha deciso la Cassazione
Giovedì 8 Maggio 2014
ROMA - Era un vero e proprio stakanovista, si portava addirittura il lavoro a casa pur di raggiungere gli obiettivi che il suo datore, una grossa società di telecomunicazioni, gli aveva assegnato.
Stefano S. - funzionario della 'Ericsson tlc' - non si era mai lamentato per questo stress continuo.
Ma un carico di undici ore di lavoro al giorno alla fine lo ha portato all' infarto.
Ora la Cassazione ha stabilito che una morte del genere deve essere risarcita dal datore che non può ignorare «le modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro».
Alla moglie e alla figlia del dipendente morto per infarto dovuto ai «ritmi insostenibili» dell'attività lavorativa, la società deve corrispondere, rispettivamente, 434mila euro e 425mila euro, oltre agli oneri accessori.
Senza successo, la 'Ericsson' è ricorsa in Cassazione contro la decisione della Corte di Appello di Roma che, nel 2011, aveva accolto la richiesta di risarcimento danni patrimoniali e materiali avanzati dalla vedova di Stefano S. anche in nome della loro unica figlia, ancora minorenne.
In primo grado, invece, il Tribunale aveva negato la responsabilità del datore.
Ad avviso della Suprema Corte, «con motivazione logicamente argomentata e giuridicamente corretta», il verdetto di appello ha ritenuto che «la responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro fa carico alla società, la quale non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi della integrità fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza del modello adducendo l'assenza di doglianze mosse dai dipendenti».
Inoltre, secondo gli 'ermellinì - sentenza 9945 della Sezione lavoro - il datore non può sostenere «di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengano in concreto svolte».
Per la Cassazione, «deve infatti presumersi, salvo prova contraria, la conoscenza, in capo all'azienda, delle modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta dell'assetto organizzativo adottato dall'imprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne».
Nel caso in questione era emerso che Stefano S. «per evadere il proprio lavoro, era costretto, ancorchè non per sollecitazione diretta, a conformare i propri ritmi di lavoro all'esigenza di realizzare lo smaltimento nei tempi richiesti dalla natura e molteplicità degli incarichi affidatigli dalla 'Ericsson'».
In base alla ctu, l'infarto che lo colpì, un martedì mattina al lavoro, «era correlabile, in via concausale, con indice di probabilità di alto grado, alle trascorse vicende lavorative».
Senza successo la società si è difesa dicendo che i «ritmi serratissimi» adottati da Stefano S. «non erano a lei imputabili ma dipendevano dalla attitudine» del dipendente «a sostenere e a lavorare con grande impegno e al suo coinvolgimento intellettuale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi».
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