legge 104/92 per vfp4

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uva
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da uva »

Ciao potresti presentare un istanza di assegnazione temporanea per gravissimi motivi familiari pero' resta sempre il fatto che il tuo Comando leggendo la documentazione a sostegno la mandi avanti la tua pratica.
Se viene accettata ti assegnano ad un reparto per un tempo limitato 60 gg + 60 gg..


valor80
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Re: legge 104/92 per vsp

Messaggio da valor80 »

salve egregio avvocato sono un volontario in servizio permanente dell'esercito volevo un consiglio da lei sto per presentare domanda di trasferimento per la 104 di mio padre,ho tutti i requisiti giusti l'unico dubbio che faccio lascio mia madre nello stesso stato di famiglia,ho lo metto nel mio stato di famiglia con mia moglie e mio figlio,premetto che mia moglie lavora,cosi ho più possiblità che mi accettano il trasferimento
panorama
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da panorama »

Se può interessare a qualcuno.

Articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151
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Corte Costituzionale
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SENTENZA N. 203

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra F.U. e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 7 novembre 2012, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 7 novembre 2012, il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), per violazione degli artt. 2, 3, 29, 32, 118, quarto comma, nonché 4 e 35 della Costituzione.
L’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 rubricato «Riposi e permessi per i figli con handicap grave» prevede, nel testo in vigore, che: «Il coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, entro sessanta giorni dalla richiesta. In caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, ha diritto a fruire del congedo il padre o la madre anche adottivi; in caso di decesso, mancanza o in presenza di patologie invalidanti del padre e della madre, anche adottivi, ha diritto a fruire del congedo uno dei figli conviventi; in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti dei figli conviventi, ha diritto a fruire del congedo uno dei fratelli o sorelle conviventi».
Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario; solo in via subordinata, «nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto l’affine di terzo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave, debitamente accertata».

1.1.– Il giudizio principale ha a oggetto il ricorso promosso da F.U., assistente capo di Polizia penitenziaria in servizio presso la casa circondariale di OMISSIS, contro due decreti del Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Direzione generale del personale e della formazione.
Con il primo decreto l’amministrazione ha rigettato l’istanza di trasferimento, presentata da F.U., ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), per poter assistere il proprio zio materno S.A., nominato nel 1985 protutore e fattosi carico del mantenimento del ricorrente, rimasto orfano, con lui convivente. La domanda di annullamento di questo primo decreto è stata definita con sentenza parziale.
Con il secondo decreto l’ufficio dell’organizzazione delle relazioni del personale e della formazione del Ministero della giustizia aveva annullato ex tunc due provvedimenti con i quali il ricorrente era stato collocato in congedo straordinario per assistenza a disabile in situazione di gravità per un totale di 120 giorni. Con lo stesso decreto era stata disposta nei confronti del sig. F.U. la contestuale decadenza da ogni trattamento economico.
L’istanza è stata rigettata, afferma il TAR, innanzitutto, per il fatto che S.A. non era il padre, come affermato dal ricorrente, ma il marito della sorella della madre; in secondo luogo, poiché S.A., essendosi rivelato lo zio, non rientrava nel novero dei congiunti disabili, per i quali l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 prevede il beneficio del congedo straordinario a favore del lavoratore che con lui convive.
Il sig. F.U. afferma di aver utilizzato l’appellativo di padre e non di zio per un’abitudine basata su un legame affettivo rafforzato dalle particolari vicende della sua vita, e comunque sottolinea che la diversità dei cognomi escludeva ogni possibilità di equivoco per l’amministrazione. Ciò premesso sostiene che la particolare posizione di S.A. potrebbe farsi rientrare nell’ambito dei soggetti individuati dall’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001, tenuto conto anche del fatto che nessun altro familiare può farsi carico dell’assistenza dello zio. In subordine, il ricorrente eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 32 Cost.

2.– Il Tribunale rimettente, premesso che gli elementi evidenziati nel ricorso inducono a ritenere che vi sia stato un involontario errore materiale, indotto dalle particolari vicissitudini della sua vita, non aderisce alla proposta del ricorrente secondo cui dovrebbe essere accolta un’interpretazione estensiva della disposizione richiamata, in modo da ricomprendere, tra i soggetti che possono fruire del beneficio, in assenza di parenti o affini espressamente inclusi nel comma 5 dell’art. 42, anche i nipoti conviventi. Tale beneficio, infatti, determinerebbe una deroga rispetto alla disciplina generale del rapporto di lavoro, cosicché le ipotesi di congedo straordinario retribuito contemplate dalla legge sarebbero da considerarsi tassative.
Esclusa la possibilità di una interpretazione estensiva, capace di portare all’ammissione di detto beneficio a favore di un ulteriore soggetto non previsto ex lege, il Tribunale ritiene che sussistano i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame.

2.1.– Il giudice a quo ravvisa la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in quanto la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata che – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non gli consentirebbe di mantenere il congedo parentale retribuito, espressamente previsto solo per coniuge, genitore, figlio, fratello o sorella convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, laddove il provvedimento impugnato si regge proprio sulla mancata inclusione del nipote (affine di terzo grado in via collaterale) nel novero dei lavoratori legittimati.
Il TAR precisa, inoltre, che il testo dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001 nella sua formulazione attuale non contiene, con riguardo ai soggetti legittimati a chiedere il congedo, previsioni rilevanti in relazione alla posizione del ricorrente nemmeno in seguito all’inserimento, tramite il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi), dei commi 5-bis, 5-ter, 5-quater e 5-quinquies, finalizzati a recepire gli interventi additivi della Corte costituzionale.
Alla luce di tale quadro normativo, il giudice a quo ritiene che il ricorso dovrebbe essere rigettato, conseguendone la rilevanza della prospettata questione di costituzionalità.

2.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente osserva che la disposizione impugnata viola gli artt. 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118, quarto comma, Cost.
Il TAR ricorda che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 233 del 2005, n. 158 del 2007 e n. 19 del 2009, ha esteso il novero dei soggetti legittimati al beneficio, sottolineando che la ratio dell’istituto in esame consiste essenzialmente nel favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell’assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza.

3.– Alla luce di tali premesse, secondo il giudice, l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo, previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi dello stesso, contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 32 Cost., poiché la tutela del diritto alla salute va intesa, una volta che siano insorte malattie, come predisposizione degli strumenti necessari per rendere possibili le relative cure e l’assistenza più opportuna.
In secondo luogo, sempre ad avviso del giudice a quo, detta esclusione violerebbe l’art. 2 Cost., in quanto esso, nel richiedere il rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà, implica la conseguente messa a disposizione di misure che consentano l’adempimento dei medesimi, nonché, in terzo luogo, l’art. 29 Cost., poiché l’assistenza rappresenta anche una forma di tutela della famiglia e i soggetti ammessi a fruire del congedo sono tutti in rapporto di parentela con la persona affetta da patologie. Del resto, tale assistenza permette al soggetto bisognoso di cure la sua più piena e duratura integrazione nell’ambito del nucleo familiare. A parere del giudice rimettente, dalla lettura combinata degli artt. 2, 29 e 32 Cost. emergerebbe una legittimazione della famiglia nel suo insieme a divenire strumento di assistenza del disabile.
In quarto luogo, secondo il TAR, sussiste anche la violazione dell’art. 118, quarto comma, Cost., inteso come espressione del principio di sussidiarietà orizzontale. Una lettura combinata degli artt. 29 e 118, quarto comma, Cost. indurrebbe, infatti, a valorizzare la famiglia anche come «strumento di attuazione di interessi generali, quali il benessere della persona e l’assistenza sociale». In quest’ottica l’attuale formulazione dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, fissando in modo rigoroso e restrittivo i soggetti lavoratori che possono fruire del congedo straordinario, frustrerebbe quella prospettiva sussidiaria e dinamica nella quale, a parere del giudice a quo, si è andata inserendo a pieno titolo anche la famiglia.
In quinto luogo, appaiono violati anche gli articoli 4 e 35 Cost., poiché il congiunto del disabile, per poter garantire cure ed assistenza, è costretto a rinunciare alla propria attività lavorativa o a ridurne il numero di ore, o a sceglierne una diversa, maggiormente compatibile con detta finalità.
Infine, il TAR rileva anche la violazione dell’art. 3 Cost., poiché «di fronte ad una posizione sostanzialmente identica di un congiunto convivente rispetto a quella degli altri soggetti già previsti dalla norma e ad una pari esigenza di tutela della salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave e di promozione della sua integrazione nella famiglia, la mancata inclusione di ulteriori ipotesi appare ingiustamente discriminatoria».

4.– In conclusione, il Tribunale ritiene che il rispetto dei medesimi principi costituzionali esige che la norma sia emendata con una previsione di chiusura, operante in via residuale, tale che, in mancanza dei parenti e degli affini già annoverati nel testo normativo, si consenta ad altro parente o affine convivente di fruire del congedo straordinario. In via subordinata, solleva la questione di legittimità costituzionale limitatamente al mancato riconoscimento del beneficio del congedo straordinario agli affini di terzo grado conviventi (ai quali peraltro è consentito fruire dei permessi ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992).

5.– Il Presidente del Consiglio dei Ministri non è intervenuto in giudizio.


Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui, in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario», ovvero, solo in via subordinata, «nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto l’affine di terzo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona» in situazione di disabilità grave, debitamente accertata, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 32, 118, quarto comma, nonché 4 e 35 della Costituzione.
Ad avviso del giudice rimettente, infatti, la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 32 Cost., poiché la tutela del diritto alla salute va intesa come predisposizione degli strumenti necessari per rendere possibili le cure e l’assistenza più opportuna; con l’art. 2 Cost., in quanto esso, nel richiedere il rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà, implica la conseguente messa a disposizione di misure che consentano l’esercizio dei medesimi; con l’art. 29 Cost., poiché l’assistenza rappresenta anche una forma di tutela della famiglia e i soggetti ammessi a fruire del congedo sono tutti in rapporto di parentela con la persona affetta da patologie. Del resto, l’assistenza prestata da parenti e affini conviventi permette al soggetto bisognoso di cure la sua più piena e duratura integrazione in ambito familiare. A parere del giudice a quo, in virtù di una lettura combinata degli artt. 2, 29 e 32 Cost., la famiglia costituirebbe un ambito privilegiato di assistenza del disabile, anche alla luce del combinato disposto degli artt. 29 e 118, quarto comma, Cost. in base al quale andrebbe valorizzata la famiglia intesa come «strumento di attuazione di interessi generali, quali il benessere della persona e l’assistenza sociale». La norma in questione contrasterebbe anche con gli artt. 4 e 35 Cost., poiché il congiunto del disabile, per poter garantire a quest’ultimo cure ed assistenza, è costretto a rinunciare alla propria attività lavorativa o a ridurne il numero di ore, o a sceglierne una diversa, maggiormente compatibile con detta finalità; infine, sarebbe leso anche l’art. 3 Cost., poiché di fronte ad una posizione sostanzialmente identica di un congiunto convivente rispetto a quella degli altri soggetti già previsti dalla norma e ad una pari esigenza di tutela della salute psico-fisica della persona affetta da handicap grave e di promozione della sua integrazione nella famiglia, la mancata inclusione di ulteriori ipotesi appare ingiustamente discriminatoria.

2.– Il TAR rimettente sottopone all’esame di questa Corte una richiesta di pronuncia additiva, volta a colmare una lacuna nella legislazione, ritenuta contraria ai principi costituzionali invocati. Due sono le questioni prospettate, in via gradata, dal giudice a quo.

2.1.– La prima mira ad una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione impugnata «nella parte in cui, in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario».
Tale questione non può essere considerata ammissibile, in ragione del fatto che esigerebbe dalla Corte una pronuncia volta ad introdurre nella disposizione impugnata una previsione di chiusura, di contenuto ampio e indeterminato, in quanto mirante ad estendere la fruibilità del congedo straordinario ad una platea indefinita di soggetti.
La questione va dichiarata, pertanto, inammissibile.
Come questa Corte ha già avuto modo di evidenziare in altri giudizi analoghi per oggetto, una tale questione, oltre ad eccedere dai limiti della rilevanza nel caso di specie, avrebbe un petitum indeterminato e chiederebbe alla Corte un intervento additivo, in assenza di una soluzione costituzionalmente necessitata (sentenza n. 251 del 2008 su oggetto diverso, ex plurimis, sentenze n. 301 e n. 134 del 2012, n. 16 del 2011, n. 271 del 2010, ordinanze n. 138 e n. 113 del 2012).

2.2.– La seconda questione, avente ad oggetto il medesimo art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto l’affine di terzo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave, debitamente accertata, è fondata.

3.– Per un adeguato inquadramento della questione sollevata, occorre, preliminarmente, ricostruire la ratio legis dell’istituto del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, alla luce dei suoi presupposti e delle vicende normative e giurisprudenziali che lo hanno caratterizzato.

3.1.– Il congedo straordinario oggi all’esame di questa Corte costituisce uno sviluppo o, meglio, una gemmazione di analoga provvidenza, originariamente prevista dall’art. 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). La suddetta disposizione, al comma 2, ha riconosciuto per la prima volta ai lavoratori dipendenti pubblici e privati la possibilità chiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni, durante il quale il dipendente conserva il posto di lavoro, senza diritto alla retribuzione. Detta previsione è tuttora in vigore.
Successivamente, l’art. 80, comma 2, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), ha aggiunto all’art. 4 della legge n. 53 del 2000 il comma 4-bis in base al quale i genitori, anche adottivi, o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o delle sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, hanno diritto a fruire del congedo previsto all’art. 4, comma 2, percependo un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione.
In tal modo, dalla previsione generale del congedo straordinario non retribuito, per gravi motivi familiari, di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 53 del 2000, è derivato un analogo, ma autonomo, congedo per l’assistenza a persone in situazione di handicap grave, assistito dal diritto di percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione, nonché coperto da contribuzione figurativa e fruibile alternativamente da parte dei genitori (anche adottivi, o, dopo la loro scomparsa, da uno dei fratelli o delle sorelle conviventi) lavoratori, dipendenti pubblici o privati, i cui figli si trovassero in situazione di disabilità grave da almeno cinque anni, ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
A seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 151 del 2001, l’istituto del congedo straordinario fu inserito al comma 5 dell’art. 42, rubricato «Riposi e permessi per i figli con handicap grave» e, con la modifica operata dall’art. 3, comma 106, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), il beneficio fu riconosciuto a prescindere dal presupposto della permanenza da almeno cinque anni della situazione di disabilità grave.

3.2.– Giova ancora ricordare che il congedo straordinario per l’assistenza a persone portatrici di handicap grave, così come si è venuto configurando a seguito dei ripetuti interventi del legislatore fin qui ricordati, è stato più volte portato all’esame di questa Corte che, con successive pronunce, ha progressivamente ampliato il novero dei soggetti aventi diritto al beneficio.
Ad un primo vaglio della problematica, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevedeva il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con un disabile grave di fruire del congedo straordinario ivi indicato, nell’ipotesi in cui i genitori fossero impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio affetto da handicap, perché totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005).
In una seconda occasione, è stata poi dichiarata l’illegittimità costituzionale della medesima disposizione, nella parte in cui non includeva, in via prioritaria rispetto agli altri congiunti già indicati dalla norma, il coniuge convivente della persona in situazione di disabilità grave (sentenza n. 158 del 2007).
Da ultimo, l’illegittimità costituzionale ha colpito la medesima disposizione nella parte in cui non includeva nel novero dei soggetti beneficiari il figlio convivente, anche qualora questi fosse l’unico soggetto in grado di provvedere all’assistenza della persona affetta da handicap grave (sentenza n. 19 del 2009).

3.3.– Successivamente alle ricordate decisioni della Corte costituzionale, il legislatore è intervenuto nuovamente nella materia dei congedi spettanti per l’assistenza a persone con disabilità grave, in sede di attuazione della delega contenuta nell’art. 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro). Tale delega è stata attuata dal decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi), in particolare dagli artt. 3 e 4.
Il testo oggi in vigore dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, come modificato dal d.lgs. n. 119 del 2011, ha ampliato la platea dei soggetti a cui tale diritto è riconosciuto, recependo gli interventi della giurisprudenza costituzionale succedutesi in questi anni, poco sopra ricordati, ma altresì individuando un rigido ordine gerarchico tra i possibili beneficiari, che non può essere alterato in base ad una libera scelta della persona disabile.
Va ricordato che il d.lgs. n. 119 del 2011 ha inciso anche sugli istituti indiretti della retribuzione, che in passato erano riconosciuti anche in relazione ai periodi di fruizione del congedo, stabilendo che il periodo straordinario di congedo non rileva ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto. Il legislatore ha inoltre stabilito un tetto massimo all’indennità dovuta al lavoratore e alla relativa contribuzione figurativa. D’altra parte il datore di lavoro privato detrae l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti.
In tal modo, lo Stato eroga una provvidenza sociale in forma indiretta, sostenendo gli oneri relativi al congedo straordinario retribuito, che consentono al lavoratore di farsi carico dell’assistenza di un parente disabile grave, percependo un’indennità commisurata alla retribuzione.

3.4.– Da quanto fin qui esposto, si può osservare che l’istituto dei congedi per assistere familiari portatori di handicap grave ha subito una profonda trasformazione, sotto un duplice profilo: il primo riguarda gli aspetti economici e il secondo i soggetti destinatari della norma.
Sotto il primo profilo, la disposizione impugnata, nel testo oggi in vigore, delinea un beneficio che assicura al lavoratore una entrata per tutto il periodo in cui è esonerato dall’attività lavorativa; detta indennità è commisurata all’ultima retribuzione percepita, anche se non del tutto coincidente con la stessa, entro un tetto massimo annuale e per una durata non superiore ai due anni nell’arco dell’intera vita lavorativa; d’altra parte, l’onere economico non resta totalmente a carico del datore di lavoro, in particolare di quello privato, il quale a sua volta lo deduce dagli oneri previdenziali. In tal modo il legislatore ha istituito una forma indiretta o mediata di assistenza per i disabili gravi, basata sulla valorizzazione delle espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost. Il legislatore ha inteso, dunque, farsi carico della situazione della persona in stato di bisogno, predisponendo anche i necessari mezzi economici, attraverso il riconoscimento di un diritto al congedo in capo ad un suo congiunto, il quale ne fruirà a beneficio dell’assistito e nell’interesse generale. Il congedo straordinario è, dunque, espressione dello Stato sociale che si realizza, piuttosto che con i più noti strumenti dell’erogazione diretta di prestazioni assistenziali o di benefici economici, tramite facilitazioni e incentivi alle manifestazioni di solidarietà fra congiunti.
Sotto il secondo profilo, il congedo straordinario di cui si discute, benché fosse originariamente concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave e sia tuttora inserito in un testo normativo dedicato alla tutela e al sostegno della maternità e della paternità (come recita il titolo del d.lgs. n. 151 del 2001), ha assunto una portata più ampia. La progressiva estensione del complesso dei soggetti aventi titolo a richiedere il congedo, operata soprattutto da questa Corte, ne ha dilatato l’ambito di applicazione oltre i rapporti genitoriali, per ricomprendere anche le relazioni tra figli e genitori disabili, e ancora, in altra direzione, i rapporti tra coniugi o tra fratelli.
Al fine di adeguare le misure di assistenza alle emergenti situazioni di bisogno e alla crescente richiesta di cura che origina, tra l’altro, dai cambiamenti demografici in atto, questa Corte ha ritenuto che il legislatore avesse illegittimamente trascurato quelle situazioni di disabilità che si possono verificare in dipendenza di eventi successivi alla nascita o in esito a malattie di natura progressiva o, ancora, a causa del naturale decorso del tempo. Anche per tali situazioni, come nel caso di figli portatori di handicap, vale il principio che la cura della persona disabile in ambito familiare è in ogni caso preferibile e, ciò che più rileva, più rispondente ai principi costituzionali, indipendentemente dall’età e dalla condizione di figlio dell’assistito (sentenza n. 158 del 2007).
Nella sua formulazione attuale, dunque, il congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, fruibile per l’assistenza delle persone portatrici di handicap grave, costituisce uno strumento di politica socio-assistenziale, basato sia sul riconoscimento della cura prestata dai congiunti sia sulla valorizzazione delle relazioni di solidarietà interpersonale e intergenerazionale, di cui la famiglia costituisce esperienza primaria, in attuazione degli artt. 2, 3, 29, 32 e 118, quarto comma, Cost.

3.5.– Del resto, tale evoluzione si pone in linea con i principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha da tempo chiarito che la tutela della salute psico-fisica del disabile postula anche l’adozione di interventi economici integrativi di sostegno delle famiglie «il cui ruolo resta fondamentale nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap» (sentenze n. 19 del 2009, n. 158 del 2007 e n. 233 del 2005), tra cui rientra anche il congedo in esame.
Sottolineando l’essenziale ruolo della famiglia nell’assistenza e nella socializzazione del soggetto disabile (ex plurimis sentenza n. 233 del 2005, che si richiama a principi già affermati sin dalle sentenze n. 215 del 1987 e n. 350 del 2003), la Corte vuol mettere in rilievo che una tutela piena dei soggetti deboli richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l’inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana.

4.– Alla luce dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale sin qui esposta, della ratio legislativa che ne è emersa e, soprattutto, dei principi costituzionali che il congedo straordinario concorre ad attuare, consegue la fondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del d.lgs. n.151 del 2001, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto l’affine di terzo grado convivente – nonché, per evidenti motivi di coerenza e ragionevolezza, gli altri parenti e affini più prossimi all’assistito, comunque conviventi ed entro il terzo grado – in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti indicati dalla legge secondo un ordine di priorità, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave, per violazione degli artt. 2, 3, 29, 32 e 118, quarto comma, Cost.
La limitazione della sfera soggettiva attualmente vigente può infatti pregiudicare l’assistenza del disabile grave in ambito familiare, allorché nessuno di tali soggetti sia disponibile o in condizione di prendersi cura dello stesso. La dichiarazione di illegittimità costituzionale è volta precisamente a consentire che, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti menzionati nella disposizione censurata, e rispettando il rigoroso ordine di priorità da essa prestabilito, un parente o affine entro il terzo grado, convivente con il disabile, possa sopperire alle esigenze di cura dell’assistito, sospendendo l’attività lavorativa per un tempo determinato, beneficiando di un’adeguata tranquillità sul piano economico.
D’altra parte occorre ricordare che il congedo straordinario di cui si discute è fruibile solo per l’assistenza alle persone portatrici di handicap in situazione di gravità debitamente accertata ai sensi degli artt. 3 e 4 della legge n. 104 del 1992, cioè a quelle che presentano una minorazione tale da «rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione».
Infine, non è superfluo rammentare che il legislatore ha già riconosciuto il ruolo dei parenti e degli affini entro il terzo grado proprio nell’assistenza ai disabili in condizioni di gravità, attribuendo loro il diritto a tre giorni di permessi retribuiti su base mensile, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Di conseguenza, l’ordinamento già assicura un rilievo giuridico ai legami di parentela e di affinità entro il terzo grado a determinati fini legati alla cura e all’assistenza di persone disabili gravi, qualora si verifichino alcune condizioni, che sono del tutto assimilabili a quelle stabilite dal legislatore per la fruizione del congedo straordinario retribuito di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, cioè a dire che la persona disabile sia in situazione di gravità accertata, non sia ricoverata a tempo pieno e esclusivamente in caso di mancanza, decesso o patologie invalidanti di parenti o affini più prossimi. Né si può comprendere perché il riconoscimento dell’apporto dei parenti e degli affini entro il terzo grado all’assistenza dei disabili gravi debba essere circoscritto ai permessi di cui all’art. 33, comma 3 della legge n. 104 del 1992; tale asimmetria normativa costituisce un ulteriore argomento a sostegno della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’omessa menzione di tali soggetti tra quelli legittimati a richiedere il congedo straordinario disciplinato nella disposizione impugnata.

5.– Restano assorbiti gli altri motivi di censura.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 29, 32, 35 e 118, quarto comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nella parte in cui «in assenza di altri soggetti idonei, non consente ad altro parente o affine convivente di persona con handicap in situazione di gravità, debitamente accertata, di poter fruire del congedo straordinario», con ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2013.
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Re: legge 104/92 per vfp4

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Anche l'INPS si adegua

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Re: legge 104/92 per vfp4

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ORDINANZA N. 280 ANNO 2013

Art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
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1) - il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;

2) - la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;

3) - di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;

LA CORTE COSTITUZIONALE precisa:

4) - con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.

5) - che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;

6) - che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).

Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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ORDINANZA N. 280

ANNO 2013


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI "
- Giorgio LATTANZI "
- Aldo CAROSI "
- Marta CARTABIA "
- Sergio MATTARELLA "
- Mario Rosario MORELLI "
- Giancarlo CORAGGIO "
- Giuliano AMATO
"
ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Voghera nel procedimento vertente tra M.F. e il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica con ordinanza del 7 marzo 2012, iscritta al n. 163 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di costituzione, fuori termine, di M.F.;

udito nella camera di consiglio del 6 novembre 2013 il Giudice relatore Marta Cartabia.

Ritenuto che, con ordinanza del 7 marzo 2013, il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53);

che l’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, nel testo vigente all’epoca dell’ordinanza del Tribunale di Voghera, contrasterebbe con i citati parametri costituzionali «nella parte in cui, non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona affetta da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104»;

che il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso promosso da F.M., docente di lettere presso un liceo scientifico statale, titolare dei benefici di cui alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) per l’assistenza alla nonna materna (vedova e senza figli viventi) con lui convivente, collocato in aspettativa non retribuita dal 20 settembre 2010 al 30 giugno 2011;

che la richiesta, presentata il 13 ottobre 2010, di sostituire l’aspettativa non retribuita con il congedo retribuito, ai sensi dell’art. 4 della legge 8 marzo 2000 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città) è stata rigettata dal dirigente scolastico perché la disciplina vigente non prevede tale diritto per il nipote che assiste la nonna convivente;

che, di conseguenza, in data 14 maggio 2011 l’interessato ha proposto ricorso al Tribunale di Voghera per l’accertamento del proprio diritto a fruire del congedo retribuito e per la condanna del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca al pagamento delle retribuzioni non corrisposte dal 14 ottobre 2010 al 30 giugno 2011;

che il Tribunale rimettente ha preso atto delle modifiche cui è andato incontro l’art. 42, comma 5, richiamando gli interventi additivi della Corte costituzionale, che hanno ampliato il novero dei soggetti beneficiari del congedo retribuito, e che sono stati recepiti dal legislatore, in particolare, con il decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119 (Attuazione dell’articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi);

che il Tribunale ritiene sussistenti i presupposti per dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame, sotto il profilo della mancata estensione del beneficio a favore del nipote, discendente di secondo grado, convivente con la persona affetta da invalidità grave;

che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo evidenzia che la pretesa azionata dal ricorrente deve essere esaminata necessariamente in riferimento alla disposizione censurata, la quale – così come formulata e stante l’impossibilità di attribuirle un significato diverso e più ampio – non consentirebbe di includere il nipote (discendente di secondo grado) nel novero dei lavoratori legittimati a fruire del congedo;

che il Tribunale ricorda, anche alla luce delle motivazioni delle sentenze della Corte costituzionale, che la materia dei congedi è attinente all’esigenza di assicurare continuità nell’assistenza e nelle cure del soggetto disabile, indipendentemente dal suo status di figlio, essendo diretta a tutelare le esigenze primarie e fondamentali del disabile grave, favorendo l’assistenza in ambito familiare;

che lo status di discendente è anche fonte d’obbligo alimentare in base all’art. 433 del codice civile, nell’ambito del quale il discendente, in mancanza di figli, è collocato in via prioritaria rispetto allo stesso genitore;

che, alla luce di tali premesse, il rimettente ritiene che l’esclusione del nipote convivente del disabile dal novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo previsto dall’art. 42, comma 5, del d.lgs. n. 151 del 2001, in mancanza di altre persone idonee ad occuparsi del disabile stesso, contrasterebbe, innanzitutto, con l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto la disparità di trattamento risulterebbe evidente, e priva di ragionevole giustificazione, se posta a confronto con la condizione dei fratelli o delle sorelle del soggetto affetto da handicap grave;

che la disposizione impugnata determinerebbe la violazione dell’art. 3, secondo comma, Cost., poiché l’apporto dei familiari alla cura del congiunto gravemente disabile è da considerarsi funzionale al compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana;

che sarebbe violato altresì l’art. 2 Cost., in quanto verrebbe meno la possibilità di garantire al disabile assistenza continuativa all’interno del nucleo familiare, con evidenti riflessi pregiudizievoli sulla sfera della socializzazione e dell’integrazione della persona disabile;

che, infine, vi sarebbe violazione dell’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’impossibilità di garantire la necessaria assistenza determinerebbe il concreto rischio di un deterioramento delle condizioni di salute psico-fisica della persona disabile;

che il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio;

che, con atto spedito il 16 settembre 2013, pervenuto alla Cancelleria della Corte il 25 settembre 2013 e perciò fuori termine, si è costituito nel giudizio di legittimità costituzionale il signor F.M., il quale ha chiesto che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, richiamando a tal fine la sentenza n. 203 del 2013 della Corte costituzionale, successiva alla ordinanza del Tribunale di Voghera.

Considerato che il Tribunale di Voghera ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto il discendente di secondo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della stessa;

che, con sentenza n. 203 dell’anno 2013, successiva alla suddetta ordinanza, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente con persona affetta da handicap grave, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona disabile;

che, di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale oggi in esame è divenuta priva di oggetto e quindi va dichiarata manifestamente inammissibile (ex plurimis ordinanze nn. 156, 148 e 111 del 2013).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), sollevata in riferimento agli artt. 2, 3 e 32, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Voghera con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 2013.

F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2013.
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da Dott.ssa Astore »

Credo che possa fare veramente poco.
Cordialmente
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da panorama »

Ottima sentenza, l'Amministrazione perde l'appello.

Corte di Cassazione sentenza n. 28320 del 18 dicembre 2013 – Lavoratore che assiste disabile non convivente ha diritto al trasferimento.
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Lavoro – Diritti e obblighi del datore e del lavoratore – Familiare disabile – Assistenza continuativa – Diritto al trasferimento.


Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 ottobre 2008 la Corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza del Tribunale di Campobasso del 18 gennaio 2007, ha dichiarato il diritto di C.N., dipendente del Ministero della Giustizia con funzioni di cancelliere in servizio presso l’ufficio del Giudice di Pace di Trivento dal 2001, al trasferimento, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 per assistenza alla madre, al Tribunale di Melfi ovvero di una delle altri sedi da lui richieste in via subordinata.

La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ritenendo l’applicabilità del citato art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992 non solo in sede di scelta della sede di lavoro al momento dell’assunzione, ma anche nel corso del rapporto di lavoro mediante domanda di trasferimento.

La stessa Corte molisana ha pure ritenuto provata la continuità nell’assistenza della madre invalida da parte del dipendente istante, interpretando tale requisito in senso relativo senza la necessità della quotidianità e della convivenza.

Il Ministero della Giustizia propone ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia affidato ad un unico motivo.

Resiste il C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992, con riferimento all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che, pur ammettendo la possibilità di applicazione della norma anche al caso di trasferimento e non solo di prima assegnazione, il diritto a tale trasferimento per assistere il familiare disabile esisterebbe solo se ed in quanto l’assistenza a quest’ultimo sia in atto al momento dell’istanza di trasferimento.

Il motivo è infondato.

Va affermato in questa sede il principio di diritto per cui la norma di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, sul diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato” di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento.

La ratio della norma è infatti quella di favorire l’assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso.

La norma in esame pone quale condizione per il godimento del diritto da essa previsto, oltre allo stato di handicappato del parente o affine da assistere, la continuità dell’assistenza, Trattasi di circostanze di fatto il cui accertamento è riservato al giudice del merito che, nel caso in esame, ha compiutamente considerato la circostanza motivando adeguatamente sul punto.

La giurisprudenza citata dal Ministero ricorrente non è pertinente, in quanto si riferisce al caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto dell’assegnazione della sede lavorativa ed il familiare tenda successivamente a ripristinarla attraverso il trasferimento in una sede vicina al domicilio dell’handicappato; nel caso in esame, viceversa, non è in questione la convivenza, che lo stesso ricorrente afferma non costituire più requisito per il godimento del diritto in questione a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 53 del 2000, ma la continuità nell’assistenza, circostanza di fatto il cui accertamento è, come detto, riservata al giudice del merito che ha ampiamente motivato sul punto con l’indicazione di elementi probatori certamente adeguati e sufficienti.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da Dott.ssa Astore »

una volta deceduto il soggetto portatore di handicap grave non puo' richiedere alcun beneficio.Cordialmente
Lucia Astore
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da antoniomlg »

Nel della sentenza sopra postata , il Ministero per causa di un suo Dirigente, perde:

>perde il ricorso al tribunale ordinario;
>perde il ricorso in corte di appello;
>perde il ricorso per cassazione.

il dirigente che si è ostinato prima a non concedere i benefici di legge.
e poi a volere intraprendere a tutti i costi (non di tasca sua) i 3 gradi di giustizia,
perchè non gli fanno pagare i costi di tasca sua?

secondo mè cambierebbero un sacco di cose
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da panorama »

Questa purtroppo è l'Amm.ne che in vista di diritti ai sensi di legge cerca sempre di negare.
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da antoniomlg »

L'Amministrazione?
Il Dirigente preposto da quella Amministrazione.
però se poi all'Amministrazione gli fai perdere ben 3 (tre), non 1 (uno)
ricorsi?
allora c'è accanimento bello e buono.
ciao
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Re: legge 104/92 per vfp4

Messaggio da panorama »

Quesito relativo alle modifiche apportate dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità ed alla loro applicabilità al personale delle Forze Armate.

Con il presente Parere il CdS afferma definitivamente:

1) - A partire, infatti, dalle sentenze nn. 4047/12, 4291/12 e 5378/12 (ma si veda anche TAR Piemonte, I, 25 gennaio 2013, n. 105, che opta anch’essa, appunto, per l’immediata applicabilità agli agenti di polizia penitenziaria dei disposti della novella legislativa di cui all’art. 24 della l. 4 novembre 2010, n. 183, ai fini della concessione di un trasferimento ex art. 33 l. 104/92), il Consiglio di Stato si è chiaramente orientato per l’immediata applicabilità al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia della norma soppressiva dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza.

2) - Così si è arrivati ad affermare che, in ossequio anche al tenore letterale delle norme, i requisiti della continuità e dell’esclusività non possono essere più pretesi dall’Amministrazione, ad esempio, ai fini della concessione del trasferimento ex art. 33 l. 104/92 al personale in argomento.

3) - Le uniche due esigenze che l’Amministrazione è tenuta a valutare ai fini del decidere se concedere o meno il benefico in parola al lavoratore istante, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione è tenuta a muoversi sono, da un lato, le esigenze organizzative ed operative dell’Amministrazione di appartenenza, rispetto alle quali il trasferimento deve risultare “possibile”, e, dall’altro lato, l’effettiva necessità del trasferimento del lavoratore ai fini dell’assistenza del familiare disabile, al fine di impedire un uso strumentale, improprio ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi (cfr. anche Cons. Stato, III, ord. 27 ottobre 2012, n. 4300).


Per completezza dell'argomento leggete il tutto qui sotto.
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17/03/2014 201201082 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 22/01/2014


Numero 00896/2014 e data 17/03/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 22 gennaio 2014

NUMERO AFFARE 01082/2012

OGGETTO:
Ministero della difesa – Stato Maggiore della Difesa.

Quesito relativo alle modifiche apportate dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità ed alla loro applicabilità al personale delle Forze Armate.

LA SEZIONE
Vista la relazione vistata dal Ministro p.t. e trasmessa con nota n. 0015474 del 22/02/2012, con la quale lo Stato Maggiore della Difesa ha trasmesso la richiesta di parere relativa all’oggetto, concernente l’applicabilità della nuova disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità al personale appartenente alle Forze armate.

Visto il parere interlocutorio dell’11 aprile 2012;

Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Gerardo Mastrandrea;

Premesso e considerato:

Lo Stato Maggiore della Difesa chiedeva al Consiglio di Stato lumi circa l’applicabilità al personale appartenente alle Forze armate della nuova disciplina, prevista dall’articolo 24 della legge 04/11/2010, n. 183 (cd. “collegato lavoro”), che, modificando l’articolo 33 della legge n. 104/1992, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità, ha eliminato l’esplicito richiamo ai requisiti della “continuità” e dell’“esclusività” dell’assistenza quali presupposti necessari ai fini della fruizione di tali permessi da parte dei beneficiari.

In particolare, veniva richiesto se, alla luce della sentenza n. 2707/2011 emessa dalla IV Sezione di questo Consiglio, nelle more dell’emanazione dei provvedimenti legislativi che, ai sensi dell’articolo 19 della predetta legge n. 183/2010, dovranno dare attuazione alla c.d. “specificità” delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, potesse trovare applicazione il quadro normativo “ante” novella 2010, con la conseguente necessità della sussistenza - e delle connesse verifiche da parte dell’Amministrazione - dei requisiti della “continuità” e della “esclusività”, nonché del “terzo grado di parentela/affinità con il disabile da assistere”, ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei dipendenti che richiedano di avvalersi dei benefici previsti dal citato articolo 33 della legge n. 104/1992.

In subordine, qualora non dovesse essere confermato l’orientamento precedentemente espresso da questo Consiglio nella richiamata sentenza n. 2707/2011, veniva fatta richiesta di chiarire l’esatta portata della novella legislativa e, in particolare, di precisare se comunque continuasse a persistere la necessità dei requisiti della “continuità” e della “esclusività” dell’assistenza ai fini della concessione dei benefici in argomento al personale in questione, il riferimento ai quali è stato eliminato ad opera dell’articolo 24 della legge n. 183/2010.

Nell’esporre le proprie valutazioni, l’Amministrazione richiedente evidenziava, preliminarmente, che in base al quadro normativo di riferimento previgente nella materia de qua (l’articolo 33 della legge n. 104/1992 e l’articolo 20 della legge n. 53/2000), anche alla luce del costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, al fine della concessione dei benefici in parola occorreva verificare: la connotazione di “gravità” dell’handicap in capo al familiare disabile da assistere; i requisiti della “esclusività” e “continuità” dell’intervento assistenziale; la possibilità di “utile collocazione organica” dell’istante, in caso di richiesta di trasferimento, in un Ente ubicato nella sede di auspicata assegnazione, salvaguardando il prevalente interesse pubblico ad utilizzare il personale dipendente in conformità delle specifiche professionalità e competenze acquisite dall’interessato.

Sottolineava, poi, che qualora le citate modifiche introdotte dal citato articolo 24 del “collegato lavoro” fossero interpretate in modo letterale e non sulla base di un criterio sistematico, e ritenute dunque applicabili, senza tener conto della “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, secondo il dettato dell’articolo 19 della legge n. 183/2010, le modifiche stesse avrebbero un impatto significativo in termini di impiego del personale militare, con un incremento esponenziale delle istanze accolte, già peraltro numerose con particolare riferimento ai permessi mensili, e quindi con ripercussioni significative sulla stessa funzionalità dei reparti.

L’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella richiamata pronunzia n. 2707/2011, secondo cui, in definitiva, la nuova disciplina sopra descritta, introdotta dal “collegato lavoro”, potrà trovare applicazione al personale militare in questione “solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art. 19 della richiamata legge”, troverebbe, inoltre, ulteriore conforto nella disciplina del codice dell’ordinamento militare (di cui al d.lg. 66/10), che all’art. 981 prevede espressamente che “al personale militare, compatibilmente con il proprio stato, continuano ad applicarsi le seguenti norme:…articolo 33, comma 5, della legge 104/92…”.

Orbene, con il parere di cui in premesse la Sezione osservava, in primo luogo, che il nuovo dettato normativo di cui all’articolo 24 della legge n. 183/2010 - introducendo modifiche sia all’articolo 33 della legge n. 104/1992, sia all’articolo 20, comma 1 della legge n. 53/2000, sia all’articolo 42 del d.lgs. n. 151/2001, mediante l’abrogazione del comma 3 - sopprime l’esplicito richiamo ai requisiti della “continuità” (intesa come assistenza non occasionale prestata dal lavoratore al congiunto con handicap in situazione di gravità) e dell’ “esclusività” (intesa come condizione assicurata quando non risulti la presenza di altri familiari in grado di prestare assistenza al congiunto), individuati nella disciplina previgente quali presupposti necessari ai fini del godimento dei permessi in argomento da parte dei beneficiari.

Non può, altresì, sottacersi che più volte la Corte Costituzionale, esaminando alcuni profili della legge n. 104 del 1992, ne ha sottolineato l’ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei portatori di handicap. Essa incide sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sull’integrazione scolastica; in generale dette misure che hanno il fine di superare, o di contribuire a far superare, i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative, e nell'esercizio di diritti costituzionalmente protetti (sent. n. 406 del 1992). Ciò che viene in assoluto rilievo in subiecta materia, alla luce dei dicta della Consulta, è, quindi, la garanzia della condizione giuridica del portatore di handicap, la cui tutela passa attraverso “l’interrelazione e l’integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale” (cfr., ex plurimis, C. Cost., sentenza n. 325/1996).

Veniva, dunque, altresì preliminarmente precisato che la modifica introdotta alla disciplina in parola ad opera della legge 4 novembre 2010, n. 183, la cui finalità di tutela di valori costituzionalmente garantiti è stata testé ricordata, era intervenuta, invero, successivamente al varo del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), che, come accennato in narrativa, all’articolo 981, comma 1, sancisce che al personale militare, compatibilmente con il proprio stato, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104/1992 e successive modificazioni.
Ciò nondimeno, non poteva disconoscersi, secondo l’avviso pro tempore della Sezione, il carattere di “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, che il legislatore ha voluto evocare espressamente al comma 1 dell’articolo 19 della richiamata legge n. 183/2010, enucleando quali principi dell’ordinamento la “peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti”, “le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna”, “i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”. Una “specificità” funzionale connessa, dunque, alla delicatezza e all’importanza delle funzioni istituzionali, peraltro connotate da un elevato rischio operativo, che si traduce in specificità normativa in forza del comma 2 dello stesso articolo 19, il quale rinvia, per la disciplina attuativa, a successivi provvedimenti legislativi.

E si riteneva che coerentemente, dunque, ai detti principi, il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, aveva avuto modo di affermare, nella materia di cui si discetta, che “la nuova disciplina potrà trovare applicazione anche per il personale appartenente alle Forze Armate, alle Forze di Polizia, nelle quali rientra la Polizia Penitenziaria, al Corpo Nazionale dei VV.FF. solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art.19 della richiamata legge” (Cons. Stato, IV, n. 2707/2011, cit., ma cfr. anche IV, 10 gennaio 2012, n. 66).

In ogni caso, attesa anche la necessità di esaminare in maniera coordinata i vari profili sopra evidenziati, risultava, altresì, utile conoscere se, allo scopo, la questione era stata sottoposta anche alle altre Amministrazioni competenti, a partire dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’interno, con riferimento, in quest’ultimo caso, al personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per gli evidenti profili di coordinamento, ai competenti Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (affari giuridici e legislativi e funzione pubblica).

Orbene, non sono pervenuti elementi di risposta da parte dell’Amministrazione richiedente.

Al fine, dunque, di licenziare definitivamente la richiesta di parere e fornire elementi di valutazione ed approfondimento, corre l’obbligo di segnalare all’Amministrazione come, nelle more, il quadro giurisprudenziale si sia orientato, ed in tal senso consolidato, in maniera difforme rispetto alle pronunzie citate nel parere cui si fa seguito.

A partire, infatti, dalle sentenze nn. 4047/12, 4291/12 e 5378/12 (ma si veda anche TAR Piemonte, I, 25 gennaio 2013, n. 105, che opta anch’essa, appunto, per l’immediata applicabilità agli agenti di polizia penitenziaria dei disposti della novella legislativa di cui all’art. 24 della l. 4 novembre 2010, n. 183, ai fini della concessione di un trasferimento ex art. 33 l. 104/92), il Consiglio di Stato si è chiaramente orientato per l’immediata applicabilità al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia della norma soppressiva dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza.

Si è ritenuto, infatti, non ostativo all’applicazione immediata dell’art. 24 della l. 183/10 al personale in questione l’art. 19 della medesima l. 183/10, che non contiene alcuna disposizione ad esplicito e specifico carattere inibitorio, presentandosi di contro come un autonomo articolato fondante in nuce le basi del futuro assetto di una organica e speciale disciplina del rapporto di impiego del personale delle Forze Armate e di Polizia.

Così si è arrivati ad affermare che, in ossequio anche al tenore letterale delle norme, i requisiti della continuità e dell’esclusività non possono essere più pretesi dall’Amministrazione, ad esempio, ai fini della concessione del trasferimento ex art. 33 l. 104/92 al personale in argomento. Le uniche due esigenze che l’Amministrazione è tenuta a valutare ai fini del decidere se concedere o meno il benefico in parola al lavoratore istante, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione è tenuta a muoversi sono, da un lato, le esigenze organizzative ed operative dell’Amministrazione di appartenenza, rispetto alle quali il trasferimento deve risultare “possibile”, e, dall’altro lato, l’effettiva necessità del trasferimento del lavoratore ai fini dell’assistenza del familiare disabile, al fine di impedire un uso strumentale, improprio ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi (cfr. anche Cons. Stato, III, ord. 27 ottobre 2012, n. 4300).

Il nuovo orientamento esegetico è stato, peraltro, recepito negli atti di alcune Amministrazioni competenti (es. circolare Min. Giustizia, DAP, del 28 dicembre 2012).

Tanto si doveva per la completezza dell’informazione, ai fini delle valutazioni e delle determinazioni dell’Amministrazione formulante il quesito.

P.Q.M.

Nei termini esposti è il parere della Sezione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gerardo Mastrandrea Pier Giorgio Trovato




IL SEGRETARIO
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Re: legge 104/92 per vfp4

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Cass. Civile, Sentenza n. 15435, sezione Lavoro, del 07-07-2014
CASSAZIONE CIVILE

MADRE DI MINORE CON HANDICAP – LEGGE N. 104/1992 – PERMESSI EX ARTICOLO 33 – TREDICESIMA – CONGEDI PARENTALI – NON COMPUTABILITÀ CON I CONGEDI.
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Permessi per figlio disabile ai fini della tredicesima

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 7 luglio 2014


I permessi usufruiti dalla lavoratrice, in quanto madre di un minore portatore di handicap, si computano ai fini della tredicesima. È quanto emerge dalla sentenza 7 luglio 2014, n. 15435, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.

Il caso. Una società è stata condannata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria a corrispondere a una dipendente poco più di 300 euro, oltre accessori, a titolo di tredicesima e quattordicesima mensilità in relazione ai permessi usufruiti dalla medesima dipendente nel 1999 (da febbraio ad aprile), quale madre di un minore portatore di handicap.

Tesi a confronto. Ad avviso della Corte territoriale, la non computabilità dei permessi ai fini della tredicesima opera solo se questi permessi si cumulano con i congedi parentali previsti, circostanza che nel caso in esame non si era verificata.

Di diverso avviso il datore di lavoro, che infatti ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Suprema Corte, sostenendo che il comma 4 dell’articolo 33 della legge n. 104 del 1992 prevede l’esclusione del computo dei permessi previsti dai precedenti commi 2 e 3 ai fini della tredicesima mensilità in ogni caso, e non solo in quello in cui essi si cumulino con permessi previsti dall’articolo 7 della legge n. 1204 del 1991.

Ebbene, nel giudizio di legittimità ha prevalso la tesi del giudice di merito, con conseguente conferma della decisione gravata.

La Sezione Lavoro del Palazzaccio ha ritenuto corretta l’interpretazione della normativa di riferimento operata dalla Corte territoriale, perché “ragioni di coerenza con la funzione dei permessi” e i principi di matrice comunitaria (Direttiva 2000/78/CEE del Consiglio e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) impongono di aderire “all’interpretazione della disposizione maggiormente idonea a evitare che l’incidenza sull’ammontare della retribuzione possa fungere da aggravio della situazione economica dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzo del permesso stesso”.

Gli Ermellini ricordano che la materia dei permessi per i figli con handicap grave è oggi disciplinata anche dall’articolo 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001 (TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), che ha frammentato il comma 4 dell’articolo 33 della legge 104 in due parti: il comma 4 dell’articolo 42 e il comma 2 dell’articolo 43.

Tali disposizioni, tuttavia, non rilavano nel caso esaminato, in quanto il D.Lgs. 151 è intervenuto in epoca successiva ai fatti causa.
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GUAI
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 17 18/02/2015


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 17 2015 RESPONSABILITA' 18/02/2015



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL
FRIULI VENEZIA GIULIA

Composta dai seguenti magistrati:
Dott. Paolo SIMEON Presidente f.f.
Dott. Giancarlo DI LECCE Consigliere
Dott. Oriella MARTORANA Primo Referendario
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 13541 del registro di Segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale della Corte dei conti per la Regione Friuli Venezia Giulia nei confronti di OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS, ed elettivamente domiciliato in Trieste, alla Via OMISSIS, giusta mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio;

Visti l’atto di citazione della Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale, la memoria di costituzione in giudizio del convenuto, nonché gli atti e i documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Anna De Angelis, il giudice relatore dott. Giancarlo Di Lecce nonché il Vice Procuratore Generale dott.ssa Emanuela Pesel Rigo e l’avv. OMISSIS per il convenuto;

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, la Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale conveniva in giudizio il sig. OMISSIS per sentirlo condannare al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della somma di euro 82.779,66 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio. L’Organo requirente esponeva che con nota in data 6.2.2013, la Provincia di OMISSIS aveva denunciato alcune anomalie nella fruizione, da parte del sig. OMISSIS, dipendente della Provincia di OMISSIS, del congedo previsto dalla legge n. 104/1992, di cui, peraltro, era stata fatta segnalazione alla locale Stazione dei Carabinieri .

Riferiva, altresì, di aver avuto notizia, in data 14.5.2013, della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di OMISSIS nei confronti dello stesso OMISSIS per il delitto di cui all’art. 640 c.p., avendo il nominato dipendente attestato falsamente la coabitazione con la madre per poter fruire dei benefici previsti dalla legge n. 104/1992. Dagli atti del procedimento penale emergeva che il nominato dipendente aveva presentato una richiesta di congedo straordinario di due anni al fine di provvedere all’assistenza della madre, portatrice di handicap grave. Per poter beneficiare del congedo aveva attestato la coabitazione con la stessa in omissis, mentre in effetti risiedeva in omissis con la moglie e la figlia; la madre, invece, viveva nel Comune di omissis con l’altro figlio, che le prestava assistenza assieme alla moglie e a due badanti.

Sulla base degli elementi raccolti in sede penale l’Organo requirente ipotizzava, a carico del sig. OMISSIS, una condotta dolosa, diretta a beneficiare di un congedo retribuito non spettante, causativa di danno per l’ Amministrazione provinciale. In ragione di tali premesse la Procura Regionale disponeva la notifica dell’invito a dedurre ex art. 5 del D.L. n. 453/1993 al sig. OMISSIS presso la residenza dichiarata di omissis, formulando, in tale sede, una richiesta risarcitoria per complessivi euro 82.779,66 - importo dato dalla sommatoria degli emolumenti dolosamente percepiti (euro 55.186,66) e del danno da disservizio arrecato all’Amministrazione di appartenenza, quantificato nella misura del 50% del primo (euro 27.593,00).

Con atto di citazione del 10.4.2014 la Procura Regionale conveniva in giudizio il sig. OMISSIS, confermando la richiesta risarcitoria prospettata nell’invito a dedurre in relazione all’abusiva fruizione del congedo previsto dall’art. 4, co. 2 della legge n. 53/2000 e dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001. La Procura Regionale evidenziava come la ratio della norma fosse quella di garantire un’assistenza familiare al soggetto bisognoso di cure mediante il riconoscimento del diritto alla fruizione del congedo retribuito.

Ad avviso di parte attrice il sig. OMISSIS avrebbe dolosamente approfittato di tale beneficio omettendo di compiere la prestazione di assistenza in favore del familiare disabile. In ragione di tali premesse, la Procura Regionale concludeva per la condanna del convenuto al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della somma di euro 82.779,66 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.

Con memoria difensiva depositata in data 27.11.2014 si costituiva in giudizio il sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS. I nominati difensori eccepivano, in via preliminare, l’omessa notifica dell’invito a dedurre, sostenendo che il sig. OMISSIS non ha mai rinvenuto nella cassetta della posta l’atto che, solo apparentemente, risulterebbe notificato a mezzo posta, per compiuta giacenza. Il mancato perfezionamento della notifica, nella prospettazione difensiva, sarebbe dovuto al fatto che la Procura Regionale, nell’indicare, ai fini della notifica, l’indirizzo del destinatario, ha omesso di specificare il numero identificativo dell’interno. Tale omissione potrebbe aver determinato l’agente postale all’erroneo deposito dell’avviso di notifica nella cassetta della posta di un altro soggetto residente presso lo stesso civico. Di qui l’eccepita nullità o l’inefficacia della notifica dell’invito a dedurre, con la conseguente richiesta di una pronuncia dichiarativa della inammissibilità dell’atto di citazione.

Sempre in via preliminare la difesa del convenuto formulava istanza di sospensione del processo in attesa della definizione del giudizio penale pendente a carico del sig. OMISSIS, o quanto meno della fase di primo grado di tale giudizio, sostenendo che gli elementi addotti dalla Procura Regionale a fondamento dell’azione risarcitoria sarebbero i medesimi sulla base dei quali è stata promossa l’azione penale. Nella prospettazione difensiva la sospensione del processo consentirebbe, peraltro, di evitare una duplicazione degli incombenti necessari ai fini dell’istruzione del giudizio.

Quanto al merito, gli avv.ti OMISSIS evidenziavano come il convenuto abbia tentato di restituire alla Provincia di OMISSIS le retribuzioni percepite nel periodo di congedo, operazione che sarebbe stata possibile ove il G.I.P. avesse disposto lo svincolo delle somme sottoposte a sequestro. I nominati difensori negavano quanto asserito da parte attrice in ordine alla mancata assistenza del sig. OMISSIS in favore della madre invalida. L’impegno del convenuto, infatti, si sarebbe concretizzato nel recarsi presso l’abitazione ove la stessa era ricoverata per alcuni giorni a settimana - quando necessario in orario serale - e nell’occuparsi di tutte le questioni burocratiche che la riguardavano.

Ad avviso della stessa difesa, anche la richiesta di risarcimento del danno da disservizio, quantificato dalla Procura Regionale nella misura del 50% delle retribuzioni erogate in favore del sig. OMISSIS, non troverebbe un adeguato supporto probatorio. In ragione di tanto, la quantificazione del danno da disservizio operata dalla Procura Regionale andrebbe ritenuta del tutto arbitraria e non accoglibile.

Parimenti erronea dovrebbe ritenersi la determinazione del “quantum” del danno conseguente all’indebita percezione delle retribuzioni, posto che le somme chieste in restituzione dall’organo requirente sono state determinate al lordo delle ritenute fiscali e degli eventuali contributi previdenziali, importi mai percepiti dal sig. OMISSIS.

Lo stesso patrocinio sollecitava, infine, la chiamata in causa, iussu iudicis, del dott. OMISSIS, OMISSIS della Provincia di OMISSIS, rilevando come a quest’ultimo sia imputabile una cooperazione colposa nella causazione dell’evento. Il dott. OMISSIS, infatti, non avrebbe richiesto al sig. OMISSIS né la dichiarazione di responsabilità prevista dalla circolare n. 13/2010 del Dipartimento della Funzione Pubblica, né la dichiarazione sostitutiva attestante la convivenza con il familiare disabile prevista dalla circolare del 3.2.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica. La testimonianza resa dal OMISSIS della Provincia in sede penale, dimostrerebbe, inoltre, che il nominato dirigente non ebbe a disporre alcuna verifica in ordine alla legittima fruizione del beneficio.

Ad avviso della difesa, il dott. OMISSIS, quando nel mese di agosto del 2011 segnalò al Comando OMISSIS dei Carabinieri le anomalie riscontrate nella fruizione del congedo retribuito da parte del sig. OMISSIS, disponeva già degli elementi necessari per disporre la revoca immediata del congedo straordinario o, quanto meno, per invitare il dipendente a fornire i necessari chiarimenti.

La delineata situazione dimostrerebbe non solo la colpevole inerzia del dott. OMISSIS, ma anche la mancata osservanza delle indicazioni impartite dalla Procura Generale della Corte dei conti con la nota interpretativa del 2.8.2007, laddove si afferma che le Amministrazioni pubbliche, una volta assolto l’obbligo di denunzia, non solo hanno la facoltà di costituire in mora i responsabili del danno, ma possono assumere autonome iniziative nei confronti del dipendente per conseguire la rifusione del danno.

In definitiva, ove il dott. OMISSIS si fosse immediatamente attivato per svolgere i necessari accertamenti ovvero per far regolarizzare una situazione incompatibile con la concessione del congedo straordinario, il danno sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello venutosi a determinare.

In ragioni di tali premesse, la difesa del convenuto concludeva, in via preliminare, per la declaratoria di inammissibilità o di nullità della citazione del sig. OMISSIS, stante la mancata notifica dell’invito a dedurre e, in subordine, per la sospensione del procedimento per il tempo necessario all’espletamento degli incombenti istruttori; sempre in via preliminare, per la sospensione del processo in attesa della definizione del giudizio penale pendente a carico del convenuto, ovvero per la chiamata in causa del dott. OMISSIS al fine di accertare il concorso o la cooperazione del medesimo nella causazione del danno e la sua ripartizione tra corresponsabili; nel merito, per la reiezione di ogni domanda in quanto infondata in fatto e in diritto; in via subordinata e salvo gravame, per la riduzione delle pretese formulate a carico del convenuto e l’accertamento del concorso o della cooperazione del dott. OMISSIS nella causazione del danno.

In via istruttoria la difesa del sig. OMISSIS dimetteva ampia documentazione e chiedeva l’ammissione di prova testimoniale in merito allo stato dei luoghi relativi all’abitazione di omissis, nonché agli orari ed alla frequenza degli accessi presso la madre ospitata nell’abitazione del fratello OMISSIS, nel Comune di omissis.

All’udienza del 18 dicembre 2014, il rappresentante del P.M. si riportava a quanto dedotto nell’atto di citazione, dimettendo la comunicazione della Provincia di OMISSIS del 17.12.2014, con l’allegato dispositivo della sentenza penale di condanna emessa a carico del sig. OMISSIS. L’avv. OMISSIS, nell’interesse del convenuto, richiamava il contenuto della memoria di costituzione in giudizio, insistendo per l’accoglimento delle richieste ivi formulate. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti la causa veniva trattenuta in decisione.

Considerato in

DIRITTO

In via preliminare all’esame del merito, va esaminata l’eccezione di inammissibilità della domanda giudiziale formulata dal patrocinio del sig. OMISSIS sul presupposto della mancata notifica dell’invito a dedurre. A sostegno di tale eccezione la difesa ha riferito che tale atto (ovvero il relativo avviso) non è stato mai rinvenuto nella cassetta postale dell’abitazione del convenuto in omissis, per quanto risulti ivi apparentemente effettuata una notifica a mezzo del servizio postale. Nella prospettazione difensiva, la mancata notifica dell’invito a dedurre potrebbe essere dipesa dall’omessa indicazione, nell’indirizzo del destinatario, del numero identificativo dell’ interno, in aggiunta al numero civico. Tale omissione, dunque, potrebbe aver determinato l’agente postale a immettere l’avviso di notifica nella cassetta postale di un’ altra persona residente allo stesso civico. Dalla nullità o inefficacia della notifica dell’invito a dedurre discenderebbe la declaratoria di inammissibilità dell’atto di citazione.

L’eccezione è da ritenersi manifestamente infondata e come tale va respinta allo stato degli atti e senza necessità di ulteriore istruttoria, stante l’adeguatezza degli elementi di prova acquisiti agli atti di causa. Dall’esame dell’avviso di ricevimento dell’ invito a dedurre si desume, infatti, che l’ agente postale, dopo aver accertato l’ assenza del destinatario e la mancanza di persone abilitate al ritiro dello stesso, ha provveduto, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 890/1982 e successive modifiche, al deposito del plico raccomandato presso l’ufficio postale e all’ immissione dell’ apposito avviso nella cassetta postale dell’abitazione di omissis alla Località omissis.

Con il compimento di tali formalità la notifica dell’invito a dedurre deve ritenersi validamente eseguita presso la residenza del convenuto, come certificata dall’anagrafe comunale di omissis (vd. certificazione di residenza in atti). All’ attestazione dell’agente notificatore deve riconoscersi, infatti, la fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. (Cass., Sez. Trib., ord. n. 9980/2010) e, dunque, una valenza probatoria che prevale non solo sull’ asserito mancato rinvenimento dell’avviso di ricevimento nella cassetta postale, ma anche sull’ipotesi, del tutto inverosimile e indimostrata, secondo cui il predetto avviso sarebbe stato recapitato “ad altro soggetto residente allo stesso civico”. In ragione di tali premesse va confermata la regolarità della notifica dell’invito a dedurre e respinta, conseguentemente, la domanda di inammissibilità dell’atto di citazione.

Va, altresì, rigettata l’istanza di sospensione del giudizio formulata dalla difesa del convenuto in attesa della definizione del processo penale pendente a carico del sig. OMISSIS per il reato di truffa aggravata (artt. 81, 640 co. 2, n. 1 e 61 n. 9 c.p.), in relazione ai medesimi fatti che hanno dato luogo all’odierna richiesta risarcitoria. A tal proposito giova rilevare che la sospensione del processo, con il venir meno della c.d. pregiudiziale penale e l’affermazione dell’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativo - contabile rispetto a quello penale, non può considerarsi nè obbligatoria, né tantomeno necessaria, a meno che non sia necessario risolvere una questione di carattere pregiudiziale, come richiesto dall’art. 295 c.p.c..

Il principio della separatezza e dell’autonomia dei giudizi, tuttavia, non preclude al Giudice contabile di tener conto, ai fini del proprio convincimento, delle risultanze probatorie di un diverso processo né di acquisirle, ove ne ravvisi l’opportunità, anche al fine di evitare una duplicazione di istruttorie. Ciò premesso, nella rilevata assenza di una relazione di pregiudizialità tra il giudizio penale e quello di responsabilità amministrativa attualmente pendenti a carico del convenuto, va esclusa l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento dell’istanza di sospensione del processo formulata dalla difesa del sig. OMISSIS.

Sempre in via preliminare va respinta la domanda di integrazione del contraddittorio nei confronti del dott. OMISSIS, OMISSIS della Provincia di OMISSIS, al quale il convenuto “rimprovera” di aver omesso i controlli e le cautele che avrebbero potuto impedire o mitigare il danno erariale. In merito a tale istanza va ricordato che con l’affermazione del principio di personalità e parziarietà della responsabilità amministrativa, l’integrazione del contraddittorio, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario connotate dall’esistenza di un rapporto sostanziale unico e inscindibile comune a più soggetti, può essere disposta nei soli casi in cui sia ravvisata l’effettiva opportunità di una valutazione unitaria delle condotte che si assumono causative del danno.

Nella fattispecie in esame, non ravvisandosi una fattispecie di litisconsorzio necessario (C.d.C., Sez. I n. 283/2008; id. Sez. III n. 171/2009), deve ritenersi che il giudizio possa trovare utile svolgimento nei confronti del solo convenuto, tenuto conto, peraltro, che per pacifici orientamenti giurisprudenziali, ove più condotte abbiano concorso nel danno, il Collegio può tener conto, nella determinazione dell’addebito, anche del contributo causale di soggetti terzi non evocati in giudizio (C.d.C. Sez. III n. 244/2003; id. Sez. Veneto n. 570/2008; Sez. Sardegna n. 1834/2008). Deve infine rilevarsi che nel caso in esame, l’ ipotizzata responsabilità dolosa del convenuto, ove confermata, coprirebbe l’intero addebito, con la conseguenza che l’accertamento di eventuali concorrenti responsabilità di ulteriori soggetti chiamati a rispondere a titolo di colpa grave non produrrebbe alcun effetto riduttivo del risarcimento del danno posto a carico del responsabile a titolo principale. E tanto farebbe ritenere opinabile la stessa sussistenza di un interesse attuale e concreto alla domanda di integrazione del contraddittorio, posto che il convenuto non conseguirebbe alcuna utilità dalla condanna del soggetto che si vorrebbe evocare in giudizio (cfr. C.d.C. Sez. Sardegna n. 229/2014; id. Sez. Liguria n. 72/2014).

La documentazione acquisita agli atti del presente giudizio, costituita in larga parte dagli esiti dell’attività di indagine della polizia giudiziaria - elementi che possono formare oggetto di autonoma valutazione nell’ambito del presente giudizio (vd. Cass. n. 11426/2006 e precedenti ivi richiamati) - offre un quadro sufficiente e adeguatamente chiarificatorio della vicenda, consentendo di ritenere irrilevanti, oltre che superflue le istanze istruttorie formulate dal convenuto, che vanno pertanto disattese.

Nel merito deve rilevarsi che la Procura Regionale ha ipotizzato, a carico del convenuto, una condotta assunta in consapevole violazione della normativa che regola la fruizione del congedo previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, da cui sarebbero scaturite due voci di nocumento patrimoniale, ovvero il danno derivante dall’ erogazione di retribuzioni prive di una valida causa giustificativa e quello da “disservizio” conseguente al mancato espletamento della prestazione lavorativa.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie di responsabilità all’esame, occorre fare un breve cenno alla disciplina normativa di riferimento, ricordando che l’ art. 42, co. 5. del D.Lgs. n. 151/2001, consente al coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ex art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di accedere al congedo previsto dall’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53. Tale beneficio, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 4 del D.Lgs. n. 119/2011, non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e consente al dipendente di percepire un’indennità commisurata all’ultima retribuzione percepita entro un tetto massimo annuale.

Per quanto concerne il novero dei soggetti aventi diritto al beneficio, va rilevato come a seguito di alcune pronunce della Corte Costituzionale l’ambito di applicazione del congedo retribuito, originariamente riconosciuto in favore del coniuge, sia stato progressivamente esteso ad altre categorie di familiari. In particolare, con la sentenza n. 19/2009 è stata dichiarata l’ illegittimità costituzionale dell’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001 nella parte in cui tale norma non includeva, nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, il figlio convivente, in mancanza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Nell’occasione, la Consulta, in linea di continuità con quanto affermato in alcune precedenti decisioni (sentenze n. 233/2005 e n. 158/2007), ha riconosciuto che la finalità del beneficio “consiste nel favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell’assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza, al fine di evitare lacune nella tutela della salute psico-fisica dello stesso”.

Alla luce del suddetto quadro normativo, non è revocabile in dubbio che la fruizione del congedo retribuito ex art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, nell’assenza del presupposto della “convivenza” con il genitore disabile sia idonea ad integrare una condotta contra legem, espressiva della strumentalizzazione di un istituto la cui funzione deve ritenersi quella di favorire, attraverso l’assistenza in ambito familiare, il miglioramento della condizione psico – fisica dei soggetti portatori di handicap in situazione di gravità accertata. In merito a tale requisito, espressamente richiesto dal citato art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, la difesa del convenuto non ha formulato specifiche osservazioni.

Con riferimento, invece, all’ attività di assistenza, presupposto che per quanto non esplicitato nella formulazione della norma è agevolmente desumibile dalle finalità di tale misura di sostegno, lo stesso patrocinio si è limitato ad osservare che il sig. OMISSIS si recava “per alcuni giorni a settimana, quando necessario, in orario serale, presso l’abitazione dove era ricoverata la madre” e si occupava “di tutte le questioni burocratiche che attenevano alla stessa” (vd. pag. 5 della memoria di costituzione in giudizio). Il riconoscimento che l’attività assistenziale è consistita, essenzialmente, nel recarsi in alcuni giorni e per poche ore a settimana, presso l’abitazione in cui madre disabile riceveva l’assistenza del fratello, della nuora e di due badanti, rende la misura di quanto la condotta dell’odierno convenuto fosse distante dalla ratio di una norma diretta ad assicurare, al familiare affetto da grave disabilità, un’ attività di assistenza continuativa, integrativa delle prestazioni rese dalle strutture sanitarie.

Giova ricordare che nell’interpretazione del Giudice delle Leggi, i congedi per l’assistenza ai familiari portatori di handicap devono ritenersi “una forma indiretta o mediata di assistenza per i disabili gravi, basata sulla valorizzazione delle espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost.”. In tal modo, il legislatore ha inteso “farsi carico della situazione della persona in stato di bisogno, predisponendo anche i necessari mezzi economici, attraverso il riconoscimento di un diritto al congedo in capo ad un suo congiunto, il quale ne fruirà a beneficio dell’assistito e nell’interesse generale. Il congedo straordinario è, dunque, espressione dello stato sociale che si realizza, piuttosto che con i più noti strumenti dell’erogazione diretta di prestazioni assistenziali o di benefici economici, tramite facilitazioni e incentivi alle manifestazioni di solidarietà fra congiunti” (Corte Cost. n. 203/2013).

La condotta illecita dell’odierno convenuto trova sicuri elementi di conferma negli elementi allegati dalla Procura Regionale a sostegno della domanda risarcitoria. In particolare, con riferimento al requisito della convivenza tra il beneficiario del congedo ed il parente affetto da handicap grave, deve rilevarsi come le risultanze del certificato di famiglia e residenza, prodotto dal OMISSIS all’Amministrazione di appartenenza per dimostrare la coabitazione con la madre disabile presso l’abitazione di omissis alla Località omissis, siano state smentite dagli esiti delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria. Risulta, infatti, che il Comune di omissis, già con la comunicazione del 6.4.2002, ebbe a segnalare, a quello di omissis, la circostanza che il sig. OMISSIS, pur essendo iscritto presso l’anagrafe di quel Comune, risultava dimorare abitualmente, con la moglie e la figlia, in omissis (vd. comunicazione del Comune di omissis 6.4.2002 e verbali S.I.T. rese dai sigg.ri A. S. e B. A., del 7.3.2012 in atti). A ciò si aggiunga la considerazione che lo stesso sig. OMISSIS aveva indicato all’Amministrazione di appartenenza, quale domicilio per le eventuali visite fiscali, l’abitazione ubicata in omissis alla Via omissis.

Per quanto concerne, invece, la residenza dalla sig.ra OMISSIS, madre del sig. OMISSIS, gli scrupolosi accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria offrono elementi di prova atti a dimostrare che la stessa dimorava presso l’abitazione dell’altro figlio (OMISSIS), ubicata nel Comune omissis. La predetta circostanza trova conferma nelle dichiarazioni rese dal dott. , medico di base che ha avuto in cura la sig.ra , come risulta dal verbale di sommarie informazioni del 12.3.2012. Nell’occasione il medico curante ha riferito che la paziente era domiciliata a omissis ed assistita dal figlio convivente OMISSIS, unitamente alla moglie e a due badanti. Richiesto di precisare se c’erano stati contatti con il sig. OMISSIS, il dott. ha riferito che negli ultimi tre anni l’unica occasione di incontro con il figlio della sig.ra risaliva al mese di gennaio 2012, quando il nominato chiese il rilascio del certificato medico necessario per ottenere l’ autorizzazione al parcheggio per le persone disabili.

Ulteriori conferme in ordine al carattere fittizio della situazione di convivenza con la madre, si evincono dalla documentazione sanitaria dell’A.S.S. n. OMISSIS nonché dalle dichiarazioni rese dalle assistenti infermieristiche, le quali hanno riferito di non aver mai incontrato, negli accessi effettuati una o più volte a settimana presso il domicilio della sig.ra , in omissis, persone diverse dalla nuora, con i suoi due figli, e dalle badanti che si occupavano dell’anziana signora (vd. dichiarazioni rese nei verbali di sommarie informazioni del 25.2.2013, in atti).

Le predette circostanze appaiono idonee a far escludere che vi sia stata un’effettiva convivenza tra il sig. OMISSIS e la madre affetta da grave disabilità, e nel contempo, provano che ad occuparsi in modo continuativo del genitore disabile non era il beneficiario del congedo retribuito, bensì il fratello OMISSIS, residente in omissis, il quale si avvaleva, a tal fine, dell’aiuto della moglie e di due badanti, oltre che delle prestazioni del locale servizio di assistenza pubblica.

Il grave disvalore della condotta del convenuto non trova elementi di giustificazione nelle eventuali e, comunque, indimostrate omissioni riferibili al dott. . il quale, all’epoca dei fatti, ricopriva la posizione di OMISSIS della Provincia di OMISSIS. Si ritiene, infatti, che in presenza di una condotta dolosa, resa evidente dalla produzione, da parte del sig. OMISSIS, di un certificato che rappresentava una situazione di convivenza con la madre disabile in realtà non sussistente, non assuma alcun significativo rilievo la circostanza che al nominato dipendente non fu chiesto di sottoscrivere la dichiarazione di responsabilità e consapevolezza prevista dalla circolare n. 13 del 6.12.2010 del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Allo stesso modo non si vede quale incidenza possa riconoscersi alle direttive impartite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con la circolare del 3.2.2012 - adottata in un momento successivo alla concessione del congedo straordinario - con riferimento all’onere di produrre una dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante la “concomitanza della residenza anagrafica e della convivenza”. Per contro, giova rilevare che proprio il dott. . curò la tempestiva segnalazione, al Comando OMISSIS dei Carabinieri, delle rilevate anomalie circa i luoghi di residenza del sig. OMISSIS e della madre disabile (vd. nota del 16.8.2011) ed a richiedere, successivamente, notizie utili ai fini dell’attivazione del procedimento disciplinare e della denuncia di danno erariale (vd. nota del 21.9.2012). Non è superfluo aggiungere che fu lo stesso dott. ., a seguito dell’acquisizione degli elementi necessari per delineare, in modo specifico e concreto, la condotta illecita del dipendente, ad assumere le iniziative che hanno dato luogo all’odierna contestazione di danno erariale.

Quanto all’elemento soggettivo, i fatti accertati denotano la volontà del sig. OMISSIS di conseguire il beneficio previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs n. 151/2001, pur in mancanza della convivenza con la madre e della prestazione di un’effettiva attività di assistenza in favore della stessa, e dunque dei presupposti richiesti ai fini della concessione del congedo retribuito. Non è revocabile in dubbio, per quanto innanzi evidenziato, che l’odierno convenuto, mediante la presentazione di un certificato di stato di famiglia e residenza attestante la sua residenza in omissis unitamente a quella della sig.ra OMISSIS, abbia voluto precostituire una situazione di apparente convivenza, diretta all’indebita fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001. Nella condotta del convenuto, connotata dalla consapevole volontà di conseguire un ingiusto beneficio economico in danno dell’Amministrazione di appartenenza, è ravvisabile, dunque, l’elemento soggettivo del dolo.

Va pure incidentalmente rilevato come nel parallelo giudizio penale, i medesimi fatti materiali siano stati ritenuti idonei ad integrare il reato di truffa aggravata, determinando la condanna del sig. OMISSIS, in primo grado, alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione, oltre al pagamento di euro 1.250,00 di multa, alla confisca di quanto sottoposto a sequestro preventivo ed alla rifusione, in favore della parte civile, dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’illecito (vd. dispositivo di sentenza del Tribunale di OMISSIS del 2.12.2014, prodotto dal P.M. contabile all’udienza del 18.12.2014).

Ravvisata, dunque, la sussistenza di una fattispecie di responsabilità amministrativa ascrivibile alla condotta dolosa del sig. OMISSIS, il danno conseguente all’indebita fruizione del congedo straordinario va quantificato nella misura equivalente alle retribuzioni erogate nel periodo 1.7.2011 – 28.2.2013, per complessivi euro 55.186,66 , secondo quanto emerge dalle risultanze, non contestate, della documentazione acquisita agli atti di causa (vd. richiesta di rinvio a giudizio; atto di costituzione di parte civile nel giudizio penale della Provincia di OMISSIS).

La quantificazione del danno risulta correttamente effettuata dalla Procura Regionale con riferimento agli importi delle retribuzioni erogate in favore dell’ odierno convenuto al lordo degli oneri riflessi. A far escludere l’ applicazione dell’art. 1, co. 1 bis, della legge n. 20/1994 (norma che impone di tener conto dei vantaggi conseguiti dall’amministrazione in relazione al comportamento dannoso degli amministratori o dipendenti pubblici) è la mancanza di un collegamento causale tra i (presunti) vantaggi conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata e la condotta antigiuridica del responsabile del danno (principio della compensatio lucri cum damno). Ed invero, l’ipotetico “vantaggio” derivante dal versamento degli oneri fiscali deve ritenersi strettamente correlato all’adempimento di un’ obbligazione legale gravante l’Ente quale di sostituto d’imposta; diversamente, il “danno” arrecato all’Amministrazione di appartenenza trova la propria origine dall’aver richiesto e conseguito, con dolo, il congedo retribuito per l’assistenza al genitore gravemente disabile pur nell’assenza dei presupposti richiesti per accedere a tale beneficio.

In definitiva, non potendosi riferire il fatto produttivo del danno e quello determinativo della presunta utilitas ad un’unica causa, né venendo in evidenza un effettivo vantaggio per l’Amministrazione o la comunità amministrata riconducibile all’azione illecita del convenuto, la quantificazione di tale pregiudizio va effettuata in misura corrispondente al complessivo esborso sostenuto dall’Ente, al lordo degli oneri fiscali (cfr. C.d.C., Sez. Lombardia n. 89/2013; id. Sez. II n. 400/2010; id. Sez. Emilia Romagna n. 2032/2010; id. Sez. I n. 187/2005; id. Sez. Calabria n. 273/2004; id. Sez. III n. 183/2005; id. Sez. Lazio n. 411/2005). Per quanto concerne i “contributi previdenziali” va osservato che i versamenti effettuati a tal fine dal datore di lavoro concorrono ad incrementare il montante contributivo sul quale viene calcolata la pensione del dipendente; quest’ultimo, in definitiva, ne diventa esclusivo beneficiario. Allo stato, dunque, anche l’esborso relativo ai contributi previdenziali costituisce una voce di danno per l’Amministrazione provinciale.

Un ulteriore profilo di indagine riguarda l’esistenza e la riferibilità al sig. OMISSIS del c.d. danno da disservizio. In proposito va osservato che la giurisprudenza della Corte dei conti descrive, con tale espressione, il nocumento patrimoniale riconducibile a più tipologie di condotte illecite, accumunate dall’essere causative di un depotenziamento dell’attività amministrativa e dei suoi risultati (C.d.C., Sez. I n. 253/2014; id. Sez. Lazio n. 214/2012; Sez. II n. 443/2011; id. Sez. Piemonte n. 52/2011; id. Sez. I n. 103/2010; id. Sez. Basilicata n. 83/2006; id. Sez. Veneto n. 866/2005; id. Sez. Umbria n. 346/2005; id. Sez. Emilia Romagna n. 2269/2004).

In particolare, nei casi di esercizio illecito di pubbliche funzioni o di omessa prestazione di attività lavorativa, tale danno viene ravvisato nella minore efficacia, efficienza ed economicità dei servizi ipotizzati come normalmente ritraibili sulla base delle risorse investite. Non è infrequente che il nocumento per l’Erario sia individuato nei costi sostenuti dall’Amministrazione per accertare le conseguenze della mancata prestazione del servizio, sostituire le risorse mancanti e ripristinare le condizioni di efficienza dell’azione amministrativa. Costituisce, altresì, un punto fermo nella giurisprudenza di questa Corte, che l’illecito derivante dallo sviamento o dalla mancata resa dell’attività lavorativa deve essere provato sulla base di elementi idonei a dimostrare le conseguenze pregiudizievoli per l’ organizzazione interna della P.A. e le ripercussioni negative sull’azione amministrativa.

Ciò premesso, reputa il Collegio che la mancata attività lavorativa del sig. OMISSIS abbia comportato indubbie conseguenze pregiudizievoli sulla funzionalità del settore amministrativo cui il nominato dipendente era assegnato, determinando un aggravio dei carichi di lavori dei funzionari in servizio e la necessità di impiegare altro personale per far fronte alla situazione di deficit organizzativo. Risulta, infatti, documentalmente provato che a seguito della concessione del congedo straordinario, l’intero carico di lavoro dell’ufficio in cui operava l’odierno convenuto si riversò sulla geom. OMISSIS (vd. nota del Dirigente del Settore OMISSIS della Provincia di OMISSIS del 27.3.2012).

E’ altresì dimostrato che per far fronte a tale situazione emergenziale il Dirigente dell’ufficio dispose che le attività di sopralluogo fossero svolte dalla geom. OMISSIS con l’ausilio dei capi cantonieri, i quali vennero distolti dall’ attività di sfalcio dell’erba lungo le strade provinciali. Le ripercussioni dell’assenza del sig. OMISSIS sulla funzionalità dell’ufficio indussero lo stesso Dirigente dapprima a richiedere (nota del 27.3.2012) e poi a sollecitare (nota del 29.6.2012) l’ assegnazione di un’unità aggiuntiva in supporto alla geom. OMISSIS.

I contenuti di tale corrispondenza descrivono, in modo inequivocabile, le difficoltà affrontate dall’Amministrazione per far fronte all’assenza dal servizio del dipendente ed offrono la prova del postulato danno da disservizio, che si assomma a quello patrimoniale in senso stretto. Per quanto attiene alla quantificazione di tale nocumento, si rende necessario il ricorso al criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c., considerata l’impossibilità di determinare le conseguenze dannose dell’illecito sia nell’ambito dell’organizzazione interna che nei confronti della collettività amministrata (C.d.C., Sez. II n. 38/2014; id. Sez. III n. 501/2007 e n. 7779/2010). Tenuto conto del periodo di mancata prestazione dell’attività lavorativa, nonché degli elementi desumibili dalla documentazione sopra richiamata, si ritiene equa la quantificazione di tale voce di danno nella misura pari al 30% del trattamento economico fruito a titolo di congedo retribuito, e dunque nell’importo di euro 16.555,99 già comprensivo di rivalutazione monetaria.

Conclusivamente, nella ravvisata sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, va disposta la condanna del sig. OMISSIS al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della complessiva somma di euro 71.742,65. In aggiunta alla sorte capitale è dovuta la rivalutazione monetaria, da calcolarsi unicamente sull’ importo di euro 55.186,66 (quello di euro 16.555,99 è già comprensivo di rivalutazione monetaria) sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, dalle date degli esborsi sostenuti dalla Provincia di OMISSIS alla pubblicazione della sentenza. Sul cumulo di sorte capitale e rivalutazione monetaria sono dovuti gli interessi legali nella misura del saggio legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di effettivo pagamento. L’oggettiva gravità dell’illecito e le sue connotazioni dolose fanno escludere l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura determinata in dispositivo.

Per mero tuziorismo si rileva che in sede di esecuzione della presente decisione potrà tenersi conto delle somme che hanno formato oggetto di sequestro in sede penale, solo ove le stesse risultino effettivamente accreditate in favore della Provincia di OMISSIS.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunciando, ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione reietta, condanna il sig. OMISSIS al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della complessiva somma di euro 71.742,65 (settantunomilasettecentoquarantadue/65), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nei termini di cui in motivazione. Condanna, altresì, il convenuto al pagamento delle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 312,59 (trecentododici/59).

Manda alla Segreteria della Sezione per i conseguenti adempimenti.

Così deciso in Trieste nella Camera di Consiglio del 18 dicembre 2014.

L’Estensore Il Presidente f.f.
Giancarlo DI LECCE Paolo SIMEON
(firmato) (firmato)

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, ha disposto che a cura della Segreteria venga apposta, sull’originale della presente decisione, in caso di riproduzione della stessa in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti ivi nominati.

Il Presidente f.f.
f.to Paolo Simeon

Depositato in Segreteria il 18/02/2015.
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Re: legge 104/92 per vfp4

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