controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Messaggio da lettrice2 »
Gentili utenti volevo sottoporre alla vostra cortese attenzione un quesito.
Premesso che l'art 4 dello Statuto dei lavoratori recita quanto segue:
E’ vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» (c. 1°).
Gli impianti e le apparecchiatura di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali... In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti (c. 2°).
Nello specifico dell'ambiente militare, che reati compie il comandante che fa uso della registrazione dell'impianto di videosorveglianza (atto a salvaguardare la sicurezza della struttura militare),per controllare gli orari di entrata ed uscita dei militari dalla caserma annotando tutti gli orari?
Pur essendo fuori da ogni logica "civile" in ambiente militare accade anche questo.
Premesso che l'art 4 dello Statuto dei lavoratori recita quanto segue:
E’ vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori» (c. 1°).
Gli impianti e le apparecchiatura di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali... In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di tali impianti (c. 2°).
Nello specifico dell'ambiente militare, che reati compie il comandante che fa uso della registrazione dell'impianto di videosorveglianza (atto a salvaguardare la sicurezza della struttura militare),per controllare gli orari di entrata ed uscita dei militari dalla caserma annotando tutti gli orari?
Pur essendo fuori da ogni logica "civile" in ambiente militare accade anche questo.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Messaggio da Henry6.3 »
Anni fa la questione investì una grande caserma, stesse problematiche portate in discussione ai vertici e ai sindacati(?) o pseudo tali. Risultato si convenne che non può essere usata per controllare il dipendente, ma all'atto pratico non cambio nulla, continuò ad essere usata anche per monitorare personale di guardia ad esempio, naturalmente senza richiami ufficiali nero su bianco, ma ispettivi e di controllo se per caso, non ci si poneva schierati come volevano i capi. Per la serie
non posso farlo ma cambiando fattori, il risultato non cambia.
non posso farlo ma cambiando fattori, il risultato non cambia.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
2010
Nuovo provvedimento sulla videosorveglianza: aspetti particolari legati ai rapporti di lavoro.
Recentemente il Garante per la privacy è intervenuto nuovamente in tema di videosorveglianza, sostituendo introducendo nel nuovo provvedimento dell’8 aprile 2010 importanti novità rispetto a quanto stabilito con il provvedimento del 29 aprile 2004. L’intervento dell’Autorità si è reso necessario alla luce del notevole aumento dei sistemi di videosorveglianza e dei molti quesiti, segnalazioni, reclami e richieste di verifica preliminare in materia che gli sono stati sottoposti, nonchè dei numerosi interventi legislativi in materia adottati dal 2004 sino a oggi (in particolare quelli che recentemente hanno attribuito ai sindaci e ai comuni specifiche competenze in materia di incolumità pubblica e di sicurezza urbana e le norme regionali che hanno incentivato l’uso di telecamere).
Limitandomi alle regole specificatamente applicabili nell’ambito dei rapporti di lavoro, v’è da dire che il Garante ha ribadito ancora una volta nel suo nuovo provvedimento che nelle attività di sorveglianza nei luoghi di lavoro occorre sempre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa, sancito dallo Statuto dei lavoratori; pertanto, è vietata l’installazione di telecamere specificatamente dedicate a tale controllo. In pratica, questo significa che non devono essere fatte riprese per verificare il rispetto dell’orario di lavoro e la correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
La questione del controllo a distanza dell’attività lavorativa è stata molto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza e ne sono stati ben definiti i contorni.
L’art. 4 della L. n. 300/70 ha sancito un divieto assoluto di usare apparecchiature per mere finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, mentre è ammesso il cd. “controllo preterintenzionale”, cioè un controllo finalizzato a tutelare altri interessi del datore di lavoro costituzionalmente garantiti, che permetta anche un controllo indiretto nei confronti dei lavoratori. Ed ecco che lo stesso art. 4 ammette l’uso di apparecchiature di controllo purché sia giustificato da esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, però soltanto previo accordo con le RSA o, in mancanza di tale accordo, previa autorizzazione del Servizio Ispettivo della DPL, che può anche dettare specifiche modalità d’uso delle apparecchiature.
Secondo la Cassazione la condotta illecita del datore di lavoro non è esclusa se le telecamere installate non siano funzionanti, né se il datore di lavoro ha dato un preavviso ai lavoratori e neppure se il controllo sia discontinuo. Per ciò che riguarda l’oggetto del divieto, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che rientri nel divieto di controllo a distanza sia la vera e propria prestazione lavorativa sia altre attività svolte in azienda dal lavoratore, come ad esempio le pause. La Cassazione ha ritenuto legittime le riprese fatte al di fuori dell’orario di lavoro per tutelare il patrimonio aziendale contro atti illegittimi messi in atto da terzi (compresi i dipendenti al di fuori del loro’orario di lavoro).
Nel recente provvedimento il Garante ribadisce che devono sempre essere osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è necessaria per esigenze organizzative o produttive, o per la sicurezza del lavoro e queste garanzie vanno osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri contesti in cui è resa la prestazione di lavoro (ad es. cantieri edili, veicoli adibiti al trasporto pubblico, taxi, ecc.).
L’utilizzo di sistemi di videosorveglianza finalizzati al controllo a distanza dei lavoratori o a compiere indagini sulle loro opinioni o su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale dei lavoratori (indagini vietate dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori), integra la fattispecie di reato prevista dall’art. 171 del Codice, che dispone che la violazione dell’art. 114 è punita con le sanzioni di cui all’art. 38 della L. n. 300/70.
Infine, l’Autorità per la privacy precisa che eventuali riprese televisive sui luoghi di lavoro per documentare attività o operazioni solo per scopi divulgativi o di comunicazione istituzionale o aziendale, che vedano coinvolto il personale dipendente, possono essere assimilate ai trattamenti temporanei finalizzati alla pubblicazione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero; pertanto a tali riprese si applicano le disposizioni sull’attività giornalistica contenute negli artt. 136 e seguenti del Codice, fermi restando, comunque, i limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza, nonché l’osservanza del codice deontologico per l’attività giornalistica e il diritto del lavoratore a tutelare la propria immagine opponendosi alla sua diffusione.
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il provvedimento a carattere generale del Garante per la privacy dell’8/4/2010 (che sostituisce integralmente il precedente provvedimento del 29 /4/2004 in tema di videosorverglianza), ha ribadito l’obbligo per il datore di lavoro che voglia effettuare la videosorveglianza per ragioni organizzative o produttive, ovvero per la sicurezza del lavoro,di osservare le regole “procedurali” previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/70). Detto art. 4 subordina l’installazione degli impianti audiovisivi al preventivo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, ovvero in difetto di tale accordo, alla autorizzazione preventiva del Servizio Ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro.
Inoltre, è fondamentale affinchè i trattamenti di dati personali derivanti dalla videosorveglianza (“trattamenti” che sono costituiti dalla rilevazione di immagini che permettono di identificare le persone) siano leciti e corretti che sia data sempre l’informativa preventiva ai soggetti interessati. Tale informativa può essere data in via generale ricorrendo a un cartello analogo al fac-simile proposto dal Garante stesso (con gli opportuni adattamenti che diano conto della sola rilevazione di immagini, o anche della eventuale registrazione e/o dell’eventuale collegamento diretto della videosorveglianza privata con le forze di polizia), cartello che deve essere posizionato prima del raggio d’azione delle telecamere (per consentire all’interessato la scelta di non accedere all’area coperta dal raggio d’azione) e non necessariamente a contatto con gli impianti e deve essere sempre chiaramente visibile, anche nelle ore notturne. Va segnalato però che il Garante, nel suo provvedimento dell’8/4/2010, invita inoltre a integrare l’informativa resa tramite i cartelli fac-simile con un testo completo (contenente tutti gli elementi previsti dall’art. 13 del Codice della privacy D.Lgs. n. 196/03) reso facilmente disponibile agli interessati.
Quanto all’aspetto sanzionatorio, il mancato rispetto delle anzidette prescrizioni costituisce una violazione amministrativa punita con il pagamento di una somma da 30.000 euro a 180.000 euro, mentre per l’omessa o inidonea informativa continua ad applicarsi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 6.000 euro a 36.000 euro. Inoltre, se dall’utilizzo illecito di sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro deriva un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, il fatto è sanzionato anche penalmente ai sensi dell’art. 171 del D.Lgs. n. 196/03 e dell’art. 38 della L. n. 300/70.
Nuovo provvedimento sulla videosorveglianza: aspetti particolari legati ai rapporti di lavoro.
Recentemente il Garante per la privacy è intervenuto nuovamente in tema di videosorveglianza, sostituendo introducendo nel nuovo provvedimento dell’8 aprile 2010 importanti novità rispetto a quanto stabilito con il provvedimento del 29 aprile 2004. L’intervento dell’Autorità si è reso necessario alla luce del notevole aumento dei sistemi di videosorveglianza e dei molti quesiti, segnalazioni, reclami e richieste di verifica preliminare in materia che gli sono stati sottoposti, nonchè dei numerosi interventi legislativi in materia adottati dal 2004 sino a oggi (in particolare quelli che recentemente hanno attribuito ai sindaci e ai comuni specifiche competenze in materia di incolumità pubblica e di sicurezza urbana e le norme regionali che hanno incentivato l’uso di telecamere).
Limitandomi alle regole specificatamente applicabili nell’ambito dei rapporti di lavoro, v’è da dire che il Garante ha ribadito ancora una volta nel suo nuovo provvedimento che nelle attività di sorveglianza nei luoghi di lavoro occorre sempre rispettare il divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa, sancito dallo Statuto dei lavoratori; pertanto, è vietata l’installazione di telecamere specificatamente dedicate a tale controllo. In pratica, questo significa che non devono essere fatte riprese per verificare il rispetto dell’orario di lavoro e la correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
La questione del controllo a distanza dell’attività lavorativa è stata molto dibattuta in dottrina e in giurisprudenza e ne sono stati ben definiti i contorni.
L’art. 4 della L. n. 300/70 ha sancito un divieto assoluto di usare apparecchiature per mere finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, mentre è ammesso il cd. “controllo preterintenzionale”, cioè un controllo finalizzato a tutelare altri interessi del datore di lavoro costituzionalmente garantiti, che permetta anche un controllo indiretto nei confronti dei lavoratori. Ed ecco che lo stesso art. 4 ammette l’uso di apparecchiature di controllo purché sia giustificato da esigenze organizzative, produttive e di sicurezza del lavoro, però soltanto previo accordo con le RSA o, in mancanza di tale accordo, previa autorizzazione del Servizio Ispettivo della DPL, che può anche dettare specifiche modalità d’uso delle apparecchiature.
Secondo la Cassazione la condotta illecita del datore di lavoro non è esclusa se le telecamere installate non siano funzionanti, né se il datore di lavoro ha dato un preavviso ai lavoratori e neppure se il controllo sia discontinuo. Per ciò che riguarda l’oggetto del divieto, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che rientri nel divieto di controllo a distanza sia la vera e propria prestazione lavorativa sia altre attività svolte in azienda dal lavoratore, come ad esempio le pause. La Cassazione ha ritenuto legittime le riprese fatte al di fuori dell’orario di lavoro per tutelare il patrimonio aziendale contro atti illegittimi messi in atto da terzi (compresi i dipendenti al di fuori del loro’orario di lavoro).
Nel recente provvedimento il Garante ribadisce che devono sempre essere osservate le garanzie previste in materia di lavoro quando la videosorveglianza è necessaria per esigenze organizzative o produttive, o per la sicurezza del lavoro e queste garanzie vanno osservate sia all’interno degli edifici, sia in altri contesti in cui è resa la prestazione di lavoro (ad es. cantieri edili, veicoli adibiti al trasporto pubblico, taxi, ecc.).
L’utilizzo di sistemi di videosorveglianza finalizzati al controllo a distanza dei lavoratori o a compiere indagini sulle loro opinioni o su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale dei lavoratori (indagini vietate dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori), integra la fattispecie di reato prevista dall’art. 171 del Codice, che dispone che la violazione dell’art. 114 è punita con le sanzioni di cui all’art. 38 della L. n. 300/70.
Infine, l’Autorità per la privacy precisa che eventuali riprese televisive sui luoghi di lavoro per documentare attività o operazioni solo per scopi divulgativi o di comunicazione istituzionale o aziendale, che vedano coinvolto il personale dipendente, possono essere assimilate ai trattamenti temporanei finalizzati alla pubblicazione occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero; pertanto a tali riprese si applicano le disposizioni sull’attività giornalistica contenute negli artt. 136 e seguenti del Codice, fermi restando, comunque, i limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza, nonché l’osservanza del codice deontologico per l’attività giornalistica e il diritto del lavoratore a tutelare la propria immagine opponendosi alla sua diffusione.
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il provvedimento a carattere generale del Garante per la privacy dell’8/4/2010 (che sostituisce integralmente il precedente provvedimento del 29 /4/2004 in tema di videosorverglianza), ha ribadito l’obbligo per il datore di lavoro che voglia effettuare la videosorveglianza per ragioni organizzative o produttive, ovvero per la sicurezza del lavoro,di osservare le regole “procedurali” previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori (L. n. 300/70). Detto art. 4 subordina l’installazione degli impianti audiovisivi al preventivo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, ovvero in difetto di tale accordo, alla autorizzazione preventiva del Servizio Ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro.
Inoltre, è fondamentale affinchè i trattamenti di dati personali derivanti dalla videosorveglianza (“trattamenti” che sono costituiti dalla rilevazione di immagini che permettono di identificare le persone) siano leciti e corretti che sia data sempre l’informativa preventiva ai soggetti interessati. Tale informativa può essere data in via generale ricorrendo a un cartello analogo al fac-simile proposto dal Garante stesso (con gli opportuni adattamenti che diano conto della sola rilevazione di immagini, o anche della eventuale registrazione e/o dell’eventuale collegamento diretto della videosorveglianza privata con le forze di polizia), cartello che deve essere posizionato prima del raggio d’azione delle telecamere (per consentire all’interessato la scelta di non accedere all’area coperta dal raggio d’azione) e non necessariamente a contatto con gli impianti e deve essere sempre chiaramente visibile, anche nelle ore notturne. Va segnalato però che il Garante, nel suo provvedimento dell’8/4/2010, invita inoltre a integrare l’informativa resa tramite i cartelli fac-simile con un testo completo (contenente tutti gli elementi previsti dall’art. 13 del Codice della privacy D.Lgs. n. 196/03) reso facilmente disponibile agli interessati.
Quanto all’aspetto sanzionatorio, il mancato rispetto delle anzidette prescrizioni costituisce una violazione amministrativa punita con il pagamento di una somma da 30.000 euro a 180.000 euro, mentre per l’omessa o inidonea informativa continua ad applicarsi la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 6.000 euro a 36.000 euro. Inoltre, se dall’utilizzo illecito di sistemi di videosorveglianza nei luoghi di lavoro deriva un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, il fatto è sanzionato anche penalmente ai sensi dell’art. 171 del D.Lgs. n. 196/03 e dell’art. 38 della L. n. 300/70.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Messaggio da lettrice2 »
vi ringrazio per le risposte, ma mi chiedevo, nel momento un cui un comandante sciagurato, decide di mettere nero su bianco, basandosi sul contenuto della videosorveglianza, oltre ad "autodenunciarsi" di quale denuncia è passibile? cioè noi subordinati per cosa lo possiamo denunciare? mobbing?.....
Non meravigliatevi per la domanda illogica, perchè il soggetto di cui sto parlando sta minacciando un atto simile.
Ma quante energie si devono sprecare per difendersi da atti insensati?
C'è chi crede di applicare il grande fratello alla realtà lavorativa!!
Non meravigliatevi per la domanda illogica, perchè il soggetto di cui sto parlando sta minacciando un atto simile.
Ma quante energie si devono sprecare per difendersi da atti insensati?
C'è chi crede di applicare il grande fratello alla realtà lavorativa!!
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Videosorveglianza in caso di reati o di sospetto di reati.
È possibile controllare il lavoratore in caso di reato o di sospetto di reato se il provvedimento è stato ordinato dal giudice o dalla polizia giudiziaria in seguito a una denuncia contro ignoti. Per l’esercizio del diritto d’informazione nell’ambito di un procedimento pendente non si applica la legge sulla protezione dei dati bensì le relative norme procedurali (Art. 2 cpv. 2 lett. c LPD). A titolo eccezionale, l’impiego di un sistema di videosorveglianza da parte del datore di lavoro è lecito se vi è uno stato di necessità (Art. 17 CP). Si può anche utilizzare una telecamera se vi è il sospetto di un reato ed è stata data un’informazione preventiva su controlli di tempo limitato.
Pretese dei lavoratori in caso di sorveglianza illecita.
Se non vi è uno stato di necessità, l’impiego di sistemi di videosorveglianza da parte del datore di lavoro non solo è considerato un mezzo di prova illecito nell’ambito di un processo ma può anche comportare conseguenze civili (Art. 15 e 25 LPD) e penali (Art. 179quater CP).
È possibile controllare il lavoratore in caso di reato o di sospetto di reato se il provvedimento è stato ordinato dal giudice o dalla polizia giudiziaria in seguito a una denuncia contro ignoti. Per l’esercizio del diritto d’informazione nell’ambito di un procedimento pendente non si applica la legge sulla protezione dei dati bensì le relative norme procedurali (Art. 2 cpv. 2 lett. c LPD). A titolo eccezionale, l’impiego di un sistema di videosorveglianza da parte del datore di lavoro è lecito se vi è uno stato di necessità (Art. 17 CP). Si può anche utilizzare una telecamera se vi è il sospetto di un reato ed è stata data un’informazione preventiva su controlli di tempo limitato.
Pretese dei lavoratori in caso di sorveglianza illecita.
Se non vi è uno stato di necessità, l’impiego di sistemi di videosorveglianza da parte del datore di lavoro non solo è considerato un mezzo di prova illecito nell’ambito di un processo ma può anche comportare conseguenze civili (Art. 15 e 25 LPD) e penali (Art. 179quater CP).
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Questa notizia potrebbe interessare a molti.
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Videosorveglianza in condominio: l’assemblea non ha potere decisionale
Privacy, sicurezza e condominio: dal Tribunale di Salerno arriva un brusco stop al proliferare d’impianti di videosorveglianza delle parti comuni. Se si fosse trattato d’una sentenza della Corte di Cassazione la notizia avrebbe certamente avuto maggiore risalto. A pronunciarsi in tal modo, invece, e’ stato un Tribunale (quello di Salerno), tra l’altro non con una sentenza definitiva ma con un’ordinanza interlocutoria (datata 14 dicembre 2010) di sospensione dell’efficacia d’una deliberazione assembleare. La pronuncia, tuttavia, ha una sua importanza almeno per due motivi:
a) in primis ribadisce il grave vuoto normativo in materia di videosorveglianza delle parti comuni di un edificio in condominio;
b) in secondo luogo afferma l’incompetenza dell’assemblea, quanto meno nel caso di votazione adottata a maggioranza, a decidere sull’installazione di simili impianti.
Trattandosi, sostanzialmente, della prima pronuncia giurisprudenziale in materia vale la pena osservare da vicino che cosa ha detto il giudice adito e soprattutto perche’ ha concluso nel modo teste’ indicato. Quanto ai riferimenti normativi il magistrato salernitano e’ stato chiarissimo. Si legge nell’ordinanza: “lo specifico tema della videosorveglianza nei condomini sia stato oggetto oltre due anni orsono di apposita segnalazione da parte del medesimo Garante per la protezione dei dati personali al Governo ed al Parlamento, segnalazione volta a manifestare l'opportunita’ di un intervento legislativo (cfr. Segnalazione al Parlamento e al Governo sulla videosorveglianza nei condomini del 13 maggio 2008, in Boll., maggio 2008, n. 94, doc web 1523997 sul sito ufficiale del Garante, http://www.garanteprivacy.it" onclick="window.open(this.href);return false;). Di tal che la vicenda oggetto del presente giudizio sconta innanzitutto l'assoluta carenza del dato normativo, e va risolta facendo unicamente buona applicazione dei principi generali che sovrintendono ai "separati mondi" della protezione dei dati personali e del condominio negli edifici” (Trib. Salerno 14 dicembre 2010).
In questo contesto, dunque, il Tribunale ha evidenziato come l’assemblea di condominio non possa in alcun modo essere considerata alla stregua d’un titolare del trattamento dei dati personali dei quali s’entra in possesso in virtu’ del normale funzionamento dell’impianto di videosorveglianza. L’assemblea, infatti, anche nel caso in cui volesse essere considerata un organo d’amministrazione del condominio (in realta’ essa e’ definita come riunione di persone che decidono sulla gestione e conservazione delle parti comuni dell’edificio) non potra’ mai essere titolare del trattamento dei dati, poiche’ le sue competenze si fermano all’amministrazione dei beni di cui all’art. 1117 c.c. e non possono, senza il consenso di tutti i comproprietari, invadere la sfera dei diritti individuali dei singoli condomini. In questo senso, nell’ordinanza, si dice che “l'assemblea di Condominio non puo’ infatti validamente perseguire, con una deliberazione soggetta al suo fisionomico carattere maggioritario, quella che e’ la tipica finalita’ di sicurezza del Titolare del trattamento il quale provveda ad installare un impianto di videosorveglianza, ovvero i "fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalita’ di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro". L'oggetto di una siffatta deliberazione non rientra dunque nei compiti dell'assemblea condominiale. Lo scopo della tutela dell'incolumita’ delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l'impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell'organo assembleare. L'installazione della videosorveglianza non appare di per se’ prestazione finalizzata a servire i beni in comunione, ne’ giova addurre l'innegabile maggior sicurezza che ne deriva allo stabile nel suo complesso, di fronte ad una deliberazione che coinvolge il trattamento di dati personali di cui l'assembla stessa non e’ affatto titolare, e che e’ volta ad uno scopo estraneo alle esigenze condominiali, di per se’ cioe’ non rientrante nei poteri dell'assemblea (arg da Cassazione civile, sez. II 20/04/1993 n. 4631)” (Trib. ult. cit.).
In sostanza, l’assemblea, nemmeno con il voto di tutti i partecipanti alla riunione che non coincidano con la totalita’ dei comproprietari, non puo’ decidere per l’installazione d’un impianto di videosorveglianza delle parti comuni dell’edificio. Solamente una scelta concordata tra tutti i condomini sarebbe da considerarsi lecita. E’ bene evidenziare che si tratta d’una decisione giurisprudenziale, tra l’altro, si ribadisce, interlocutoria: cio’ vuol dire che non e’ detto che non possano giungere decisioni diametralmente opposte, per assurdo anche nello stesso giudizio. Un intervento legislativo, quindi, e’ sempre piu’ auspicabile.
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Videosorveglianza in condominio: l’assemblea non ha potere decisionale
Privacy, sicurezza e condominio: dal Tribunale di Salerno arriva un brusco stop al proliferare d’impianti di videosorveglianza delle parti comuni. Se si fosse trattato d’una sentenza della Corte di Cassazione la notizia avrebbe certamente avuto maggiore risalto. A pronunciarsi in tal modo, invece, e’ stato un Tribunale (quello di Salerno), tra l’altro non con una sentenza definitiva ma con un’ordinanza interlocutoria (datata 14 dicembre 2010) di sospensione dell’efficacia d’una deliberazione assembleare. La pronuncia, tuttavia, ha una sua importanza almeno per due motivi:
a) in primis ribadisce il grave vuoto normativo in materia di videosorveglianza delle parti comuni di un edificio in condominio;
b) in secondo luogo afferma l’incompetenza dell’assemblea, quanto meno nel caso di votazione adottata a maggioranza, a decidere sull’installazione di simili impianti.
Trattandosi, sostanzialmente, della prima pronuncia giurisprudenziale in materia vale la pena osservare da vicino che cosa ha detto il giudice adito e soprattutto perche’ ha concluso nel modo teste’ indicato. Quanto ai riferimenti normativi il magistrato salernitano e’ stato chiarissimo. Si legge nell’ordinanza: “lo specifico tema della videosorveglianza nei condomini sia stato oggetto oltre due anni orsono di apposita segnalazione da parte del medesimo Garante per la protezione dei dati personali al Governo ed al Parlamento, segnalazione volta a manifestare l'opportunita’ di un intervento legislativo (cfr. Segnalazione al Parlamento e al Governo sulla videosorveglianza nei condomini del 13 maggio 2008, in Boll., maggio 2008, n. 94, doc web 1523997 sul sito ufficiale del Garante, http://www.garanteprivacy.it" onclick="window.open(this.href);return false;). Di tal che la vicenda oggetto del presente giudizio sconta innanzitutto l'assoluta carenza del dato normativo, e va risolta facendo unicamente buona applicazione dei principi generali che sovrintendono ai "separati mondi" della protezione dei dati personali e del condominio negli edifici” (Trib. Salerno 14 dicembre 2010).
In questo contesto, dunque, il Tribunale ha evidenziato come l’assemblea di condominio non possa in alcun modo essere considerata alla stregua d’un titolare del trattamento dei dati personali dei quali s’entra in possesso in virtu’ del normale funzionamento dell’impianto di videosorveglianza. L’assemblea, infatti, anche nel caso in cui volesse essere considerata un organo d’amministrazione del condominio (in realta’ essa e’ definita come riunione di persone che decidono sulla gestione e conservazione delle parti comuni dell’edificio) non potra’ mai essere titolare del trattamento dei dati, poiche’ le sue competenze si fermano all’amministrazione dei beni di cui all’art. 1117 c.c. e non possono, senza il consenso di tutti i comproprietari, invadere la sfera dei diritti individuali dei singoli condomini. In questo senso, nell’ordinanza, si dice che “l'assemblea di Condominio non puo’ infatti validamente perseguire, con una deliberazione soggetta al suo fisionomico carattere maggioritario, quella che e’ la tipica finalita’ di sicurezza del Titolare del trattamento il quale provveda ad installare un impianto di videosorveglianza, ovvero i "fini di tutela di persone e beni rispetto a possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, o finalita’ di prevenzione di incendi o di sicurezza del lavoro". L'oggetto di una siffatta deliberazione non rientra dunque nei compiti dell'assemblea condominiale. Lo scopo della tutela dell'incolumita’ delle persone e delle cose dei condomini, cui tende l'impianto di videosorveglianza, esula dalle attribuzioni dell'organo assembleare. L'installazione della videosorveglianza non appare di per se’ prestazione finalizzata a servire i beni in comunione, ne’ giova addurre l'innegabile maggior sicurezza che ne deriva allo stabile nel suo complesso, di fronte ad una deliberazione che coinvolge il trattamento di dati personali di cui l'assembla stessa non e’ affatto titolare, e che e’ volta ad uno scopo estraneo alle esigenze condominiali, di per se’ cioe’ non rientrante nei poteri dell'assemblea (arg da Cassazione civile, sez. II 20/04/1993 n. 4631)” (Trib. ult. cit.).
In sostanza, l’assemblea, nemmeno con il voto di tutti i partecipanti alla riunione che non coincidano con la totalita’ dei comproprietari, non puo’ decidere per l’installazione d’un impianto di videosorveglianza delle parti comuni dell’edificio. Solamente una scelta concordata tra tutti i condomini sarebbe da considerarsi lecita. E’ bene evidenziare che si tratta d’una decisione giurisprudenziale, tra l’altro, si ribadisce, interlocutoria: cio’ vuol dire che non e’ detto che non possano giungere decisioni diametralmente opposte, per assurdo anche nello stesso giudizio. Un intervento legislativo, quindi, e’ sempre piu’ auspicabile.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
leggete questa nota del Ministero dell'Interno.
speriamo però che questo rimanga possibile leggerlo per almeno un mese.
http://www.guardiegiurateincongedo.it/C ... 8.2010.PDF" onclick="window.open(this.href);return false;
speriamo però che questo rimanga possibile leggerlo per almeno un mese.
http://www.guardiegiurateincongedo.it/C ... 8.2010.PDF" onclick="window.open(this.href);return false;
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Su internet ho trovato questa notizia che potrebbe essere anche utile.
registrare registrazione conversazioni ambientali si può ?
02/08/2011
Con la Sentenza n. 4847/2006, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di una docente universitaria che, per dimostrare di essere oggetto di comportamenti persecutori e vessatori da parte del Direttore dell’Istituto in cui svolgeva il proprio servizio. Alla docente era stata comminata una sanzione disciplinare con sospensione dal servizio e dallo stipendio per due mesi, in quanto la medesima aveva registrato alcuni colloqui al fine di dimostrare che stava subendo pressioni e vessazioni. L’Amministrazione di appartenenza ha ritenuto il comportamento della docente, ossia l’effettuazione delle registrazioni, fosse scorretto e tale da ledere il decorso e l’immagine dell’istituzione accademica. Ma il Tar non è stato dello avviso, per cui ha annullato la sanzione disciplinare comminata alla docente, ribadendo che l’articolo 24 comma 1 lettera f) del D.Lgs 196/03 consente il trattamento dei dati personali senza il consenso dell’interessato qualora lo stesso sia necessario per la tutela del diritto di difesa giudiziale.
registrare registrazione conversazioni ambientali si può ?
02/08/2011
Con la Sentenza n. 4847/2006, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di una docente universitaria che, per dimostrare di essere oggetto di comportamenti persecutori e vessatori da parte del Direttore dell’Istituto in cui svolgeva il proprio servizio. Alla docente era stata comminata una sanzione disciplinare con sospensione dal servizio e dallo stipendio per due mesi, in quanto la medesima aveva registrato alcuni colloqui al fine di dimostrare che stava subendo pressioni e vessazioni. L’Amministrazione di appartenenza ha ritenuto il comportamento della docente, ossia l’effettuazione delle registrazioni, fosse scorretto e tale da ledere il decorso e l’immagine dell’istituzione accademica. Ma il Tar non è stato dello avviso, per cui ha annullato la sanzione disciplinare comminata alla docente, ribadendo che l’articolo 24 comma 1 lettera f) del D.Lgs 196/03 consente il trattamento dei dati personali senza il consenso dell’interessato qualora lo stesso sia necessario per la tutela del diritto di difesa giudiziale.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Anche se il testo è diverso penso che cmq. potrebbe interessare a qualcuno.
Sempre più spiati all'interno dei negozi per tenere sotto controllo la merce ma.........i dipendenti sono pure nello stesso tempo spiati dai datori di lavoro,
ecco altre notizie sul problema VDS e relative sanzioni sulle telecamere nascoste: il fatto stesso che le telecamere siano "nascoste" configura già una serie di violazioni:
1. Mancanza di autorizzazione DTL
2. Mancata certificazione dell'impianto da parte dell'installatore
3. Mancanza di un informativa per i soggetti ripresi
Di conseguenza si desumerebbero anche ipoteticamente:
4.Inosservanza dei provvedimenti di prescrizione di misure necessarie
5.Omessa adozione di misure minime di sicurezza
6.Mancato rispetto dei tempi di conservazione delle immagini raccolte e obbligo di cancellazione oltre il termine previsto
7.Mancata nomina dei soggetti incaricati
Al di la delle leggi sul lavoro per i dipendenti, le sanzioni previste dal codice privacy variano da un minimo di euro 6.000 fino a 180.000.
Potrebbe altresi configurarsi: INTERFERENZA ILLECITA VITA PRIVATA. Codice penale.
Sempre più spiati all'interno dei negozi per tenere sotto controllo la merce ma.........i dipendenti sono pure nello stesso tempo spiati dai datori di lavoro,
ecco altre notizie sul problema VDS e relative sanzioni sulle telecamere nascoste: il fatto stesso che le telecamere siano "nascoste" configura già una serie di violazioni:
1. Mancanza di autorizzazione DTL
2. Mancata certificazione dell'impianto da parte dell'installatore
3. Mancanza di un informativa per i soggetti ripresi
Di conseguenza si desumerebbero anche ipoteticamente:
4.Inosservanza dei provvedimenti di prescrizione di misure necessarie
5.Omessa adozione di misure minime di sicurezza
6.Mancato rispetto dei tempi di conservazione delle immagini raccolte e obbligo di cancellazione oltre il termine previsto
7.Mancata nomina dei soggetti incaricati
Al di la delle leggi sul lavoro per i dipendenti, le sanzioni previste dal codice privacy variano da un minimo di euro 6.000 fino a 180.000.
Potrebbe altresi configurarsi: INTERFERENZA ILLECITA VITA PRIVATA. Codice penale.
Re: controllo militari tramite sistema di videosorveglianza
Responsabilità penale per la videosorveglianza senza autorizzazione
Per la Cassazione il datore di lavoro è penalmente responsabile se installa sistemi di videosorveglianza senza le relative autorizzazioni
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Notizia del 07/02/2014
La Cassazione, con sentenza nr. 4331 dello scorso 31 gennaio, torna a pronunciarsi in tema di videosorveglianza a distanza dei lavoratori, affermando che il datore è penalmente responsabile se, installa le telecamere senza accordo con le rappresentanze sindacali e senza autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Il caso è finito in Cassazione a seguito del ricorso presentato da un datore di lavoro avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Lodi. Alla pena di € 200 di ammenda per il reato di cui all’articolo 4, comma 2, I. 300/1970 per avere, quale legale rappresentante di una s.n.c., ha installato un impianto di videosorveglianza per il controllo a distanza dei lavoratori delle casse del suo supermercato senza accordo con le rappresentanze sindacali e senza autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Secondo il ricorrente, la sola istallazione di telecamere non è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 4 co 2 L 300/70,essendo necessaria anche la verifica della sua idoneità a cagionare concrete conseguenze dannose ai lavoratori.
Gli Ermellini, richiamano il tenore letterale della norma (art. 4 Statuto dei lavoratori), secondo la quale: “Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti”.
Tale norma, proseguono i Giudici, “pur non trovando più sanzione nell’articolo 38, comma 1, sempre dello Statuto dei lavoratori” dopo le modifiche apportate allo stesso art. 38 dall’articolo 179 d.lgs. 196/2003 (che colma la lacuna con il combinato disposto dei suoi articoli 114 e 171), prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale (o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati: Cass. sez. IlI, 17 aprile 2012 n. 22611) o permesso dall’Ispettorato del lavoro.
Per la Suprema Corte, “l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, è necessaria affinché il reato sussista, emerge ictu oculi dalla lettura del testo normativo – idoneità che peraltro è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno.
L’esistenza di tale idoneità, invece, si colloca sul piano fattuale, per cui sono inammissibili al riguardo le doglianze del ricorrente. Ad abundantiam si osserva comunque che tale accertamento è stato effettuato, come emerge dalla descrizione dell’impianto di videosorveglianza nella sentenza impugnata, impianto inclusivo di otto microcamere a circuito chiuso, “alcune puntate direttamente sulle casse ed è dei lavoratori alle casse che l’imputazione contesta la violazione della privacy“
Per la Cassazione il datore di lavoro è penalmente responsabile se installa sistemi di videosorveglianza senza le relative autorizzazioni
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Notizia del 07/02/2014
La Cassazione, con sentenza nr. 4331 dello scorso 31 gennaio, torna a pronunciarsi in tema di videosorveglianza a distanza dei lavoratori, affermando che il datore è penalmente responsabile se, installa le telecamere senza accordo con le rappresentanze sindacali e senza autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Il caso è finito in Cassazione a seguito del ricorso presentato da un datore di lavoro avverso la sentenza di condanna del Tribunale di Lodi. Alla pena di € 200 di ammenda per il reato di cui all’articolo 4, comma 2, I. 300/1970 per avere, quale legale rappresentante di una s.n.c., ha installato un impianto di videosorveglianza per il controllo a distanza dei lavoratori delle casse del suo supermercato senza accordo con le rappresentanze sindacali e senza autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro.
Secondo il ricorrente, la sola istallazione di telecamere non è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 4 co 2 L 300/70,essendo necessaria anche la verifica della sua idoneità a cagionare concrete conseguenze dannose ai lavoratori.
Gli Ermellini, richiamano il tenore letterale della norma (art. 4 Statuto dei lavoratori), secondo la quale: “Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti”.
Tale norma, proseguono i Giudici, “pur non trovando più sanzione nell’articolo 38, comma 1, sempre dello Statuto dei lavoratori” dopo le modifiche apportate allo stesso art. 38 dall’articolo 179 d.lgs. 196/2003 (che colma la lacuna con il combinato disposto dei suoi articoli 114 e 171), prevede una condotta criminosa rappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere la riservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale (o autorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati: Cass. sez. IlI, 17 aprile 2012 n. 22611) o permesso dall’Ispettorato del lavoro.
Per la Suprema Corte, “l’idoneità degli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto alla riservatezza dei lavoratori, è necessaria affinché il reato sussista, emerge ictu oculi dalla lettura del testo normativo – idoneità che peraltro è sufficiente anche se l’impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come un reato di pericolo, la norma sanziona a priori l’installazione, prescindendo dal suo utilizzo o meno.
L’esistenza di tale idoneità, invece, si colloca sul piano fattuale, per cui sono inammissibili al riguardo le doglianze del ricorrente. Ad abundantiam si osserva comunque che tale accertamento è stato effettuato, come emerge dalla descrizione dell’impianto di videosorveglianza nella sentenza impugnata, impianto inclusivo di otto microcamere a circuito chiuso, “alcune puntate direttamente sulle casse ed è dei lavoratori alle casse che l’imputazione contesta la violazione della privacy“
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