Ritardo grado: motivazioni.
Ritardo grado: motivazioni.
Messaggio da william83 »
È possibile che non si passa al grado successivo perché un anno si é stati valutati INFERIORE ALLA MEDIA?
- antoniomlg
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Re: Ritardo grado: motivazioni.
Messaggio da antoniomlg »
Attenzione alle qualifiche
con la qulifica di "inferiore alla media" si può incorrere
in tantissime disavventure.
tipo essere messo "disponibilile" per altre sedi;
ecc. ecc.
non ultimo anche la destituzione per scarso rendimento.
coridali saluti
con la qulifica di "inferiore alla media" si può incorrere
in tantissime disavventure.
tipo essere messo "disponibilile" per altre sedi;
ecc. ecc.
non ultimo anche la destituzione per scarso rendimento.
coridali saluti
Re: Ritardo grado: motivazioni.
Infatti, con le Note Inferiore alla media questo può succede.
cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento
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Sentenza del 29/03/2010
N. 04917/2010 REG.SEN.
N. 18555/1993 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 18555 del 1993, proposto da:
M. M., rappresentato e difeso dall'avv. S. C., con domicilio eletto presso S. C. in Roma, via M. M., 51;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento della nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con il quale è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento del ricorrente; della proposta formulata dall’autorità gerarchica e del parere espresso in data 1.9.1993 dalla commissione permanente di valutazione per l’avanzamento dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri; di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale comunque teso ad incidere negativamente sulla sfera giuridica del ricorrente, ivi compresi i giudizi che hanno portato a tale determinazione;.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2010 il dott. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori avv.to A. C. F., con delega per parte ricorrente, e l'avv. dello Stato Gianna Galluzzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente carabiniere – qualificatosi sottufficiale - ha impugnato il provvedimento n. …… di protocollo, datato 4 ottobre 1993, con il quale l’intimata amministrazione ha disposto la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168.
In punto di diritto, l’interessato deduce i seguenti motivi di ricorso:
1)violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c) e 17 della legge n. 1168/1961; violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990; eccesso di potere sotto vari profili:
1.1) il provvedimento impugnato reca una motivazione del tutto generica senza fare preciso riferimento a fatti che dimostrino lo scarso rendimento che il ricorrente avrebbe avuto in servizio;
1.2) le presunte scadenti prestazioni di servizio del ricorrente sarebbero evidenziate nella documentazione caratteristica il cui contenuto non è stato palesato all’interessato;
1.3) il ricorrente ha conseguito il giudizio “meno di sufficiente” solo nell’ultimo anno;
1.4) l’amministrazione può disporre la dispensa dal servizio previa contestazione di specifici fatti che devono essere inequivocabilmente assertivi di una condotta lavorativa scarsa quanto a risultati conseguiti ed all’impegno assunto;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 nonché eccesso di potere:
2.1) il ricorrente non ha mai avuto contestazioni né richiami relativamente al servizio svolto ma solo ingiusti richiami di scarsa rilevanza;
2.2) le contestazioni formulate durante il servizio riguardano fatti che non possono essere assunti quali indici rivelatori di inettitudine del dipendente a raggiungere il normale rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio;
2.3) in ogni caso, i fatti oggetto di contestazione durante il servizio potevano, al più, essere considerati quali presupposti per l’adozione di un provvedimento disciplinare ovviamente con il rispetto delle garanzie che la legge dispone per detti procedimenti;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 nonché eccesso di potere sotto altri profili:
3.1) non è stato comunicato all’interessato l’inizio del procedimento in modo da consentirgli di precisare osservazioni; il ministero avrebbe dovuto avvisare il ricorrente, nei termini e modalità di legge, dell’inizio del procedimento a suo carico così da consentire allo stesso di predisporre una difesa adeguata dei propri interessi;
4) violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi e della loro certezza; inesistenza dell’atto; incompetenza:
4.1) il provvedimento non reca alcuna sottoscrizione resa da parte dell’organo emanante ma solo un dattiloscritto col nominativo del direttore generale che ha emesso l’atto.
Si è costituita l’avvocatura di stato.
All’udienza del 20 gennaio 2010 la causa è stata spedita in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente ha impugnato il provvedimento n. …… di protocollo, datato 4 ottobre 1993, con il quale l’intimata amministrazione ha disposto la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168.
Il ricorso è fondato nei sensi e limiti che seguono.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 240 del 18 luglio 1997, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lettera c), e art. 17 L. n. 1168/1961 (Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri), nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente dei sottufficiali dei carabinieri per scarso rendimento senza la partecipazione dell'interessato al procedimento disciplinare.
Ebbene, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il procedimento di adozione dell'atto della cui legittimità si discute è in grado di determinare la caducazione in via derivata del medesimo (cfr C.d.s., sez. IV. 27 ottobre 2005, n. 6043).
Per vero, la sentenza della Corte Cost n 240 del 1997 attiene ai sottufficiali,
mentre il ricorrente dagli atti di causa risulta, sì, avere la qualifica di carabiniere ma non anche il grado di sottufficiale (circostanza affermata ma non comprovata).
Ritiene il Collegio che, se anche la sentenza della Corte costituzionale non fosse perfettamente aderente al caso di specie (ma la qualifica di sottufficiale non è stata, per vero, confutata dall’amministrazione resistente) essa potrebbe valere senz’altro come richiamo a un principio
generale già operante sin dal 1993 in forza anche della legge n. 241/1990.
Il ricorrente ha, infatti, censurato espressamente la violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (che non consta in atti sia stato istaurato) e di istruttoria (mancato esame di memorie difensive che il ricorrente non ha potuto neanche produrre in assenza del relativo procedimento) non essendo stato consentito all'interessato di offrire quegli elementi di prova o di indizi ovvero la rappresentazione di tutte quelle ulteriori circostanze di fatto che sole avrebbero condotto all'adozione di un giusto procedimento.
Il Consiglio di stato, con la decisione sopra richiamata (27 ottobre 2005, n. 6043) ha precisato che se anche “le censure di difetto istruttoria e di difetto di partecipazione al procedimento sono state svolte in modo generico (…) per un verso, occorre ricordare che ben può il giudice, nell'ambito dei fatti rappresentatigli (causa petendi) e del provvedimento concreto richiestogli (petitum), interpretare la domanda giudiziale e ciò anche nel processo amministrativo, interpretando correttamente le censure rivolte avverso il provvedimento amministrativo impugnato, e, per altro verso, occorre sottolineare che tale interpretazione del ricorso giurisdizionale è indispensabile allorquando, come nel caso di specie, sia sopravvenuta nel corso del giudizio una pronuncia della Corte Costituzionale che abbia abrogato la normativa su cui si fondava il provvedimento impugnato, pena la violazione degli articoli 24 e 113 della Corte Costituzionale (tanto più che non si è in presenza di un rapporto esaurito)”.
Le restanti censure sono, invece, destituite di giuridico fondamento.
Il provvedimento impugnato fa espresso riferimento sia ai pareri acquisiti, sia alle valutazioni insufficienti riportate negli ultimi anni, sia alle scadenti prestazioni di servizio, sia, infine, a carenze qualitative personali e professionali. Gli elementi di fatto indicati a supporto della determinazione trovano riscontro nella documentazione istruttoria. Ed invero, il ricorrente:
-è stato ammonito due volte;
-è stato invitato formalmente a mutare condotta in relazione all’inadeguato comportamento tenuto ad allo scarso rendimento reso in servizio;
-è stato sempre avvertito che, in caso contrario, si sarebbe reso necessario adottare, nei suoi confronti, il provvedimento di cessazione dal servizio d’autorità;
-nonostante i formali ammonimenti egli è stato più di una volta sanzionato disciplinarmente,;
-ha fornito un rendimento complessivo classificato “insufficiente”;
-i suoi superiori hanno appurato l’insussistenza di segni di miglioramento.
Sia la motivazione del provvedimento che tutti gli elementi presupposti alla determinazione impugnata appaiono, perciò, del tutto congrui ed adeguati nonché idonei a far comprendere al destinatario per quali ragioni il provvedimento sia stato adottato. Le contestazioni formulate durante il servizio riguardavano fatti che, per la loro entità e gravità (il ricorrente era stato destinatario di ben due sanzioni disciplinari di corpo negli anni immediatamente precedenti la dispensa dal servizio), correttamente sono stati assunti quali indici rivelatori di inettitudine del dipendente a raggiungere il normale rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio.
Il procedimento regolato dall’art. 12, lett. c) della legge n. 1168/1961 non ha natura disciplinare, da cui l’infondatezza delle censure riconducibili a tale profilo (in fatto, motivo di ricorso n. 2).
Ed invero, il Consiglio di stato, sez. IV, con decisione 18 marzo 2009, n. 1596 ha chiarito che “In assenza di un esplicito intervento del legislatore, al procedimento di dispensa sono da applicare le disposizioni relative all'identico istituto della dispensa per scarso rendimento di cui all'articolo 129 del T.U. degli impiegati civili dello Stato, che costituiscono principi generali validi per tutto il pubblico impiego: infatti, esistendo nell'ordinamento generale un istituto perfettamente assimilabile a quello di cui ai citati articolo 12 e 17, non sarebbe logico applicare alla fattispecie i principi desunti dal procedimento disciplinare, che ha diversa natura”.
Quanto alla quarta censura (sottoscrizione dell’atto), il Collegio rileva che il provvedimento impugnato reca chiaramente l’indicazione dell’organo e dell’ufficio redattore dell’atto, titolare della competenza e responsabile della decisione adottata nella persona del direttore generale del ministero della difesa. La circostanza che in calce manchi la sottoscrizione autografa da parte del dirigente non rende l’atto inesistente poiché – in assenza di norme di diritto pubblico sulla forma degli atti amministrativi – è sufficiente che il provvedimento si esteriorizzi indicando l’ufficio che lo ha adottato e la qualità del soggetto che se ne è assunto la responsabilità (oltre la data ed il contenuto essenziale) così da renderne possibile l’imputabilità soggettiva ovvero l’identificazione dell’organo.
Per le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sono fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, ai sensi dell’art. 26 della L. n. 1034/1971, che l’amministrazione riterrà di adottare previa eliminazione del vizio che ha determinato l’annullamento del provvedimento impugnato.
. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio sez. I^ bis, accoglie il ricorso meglio in epigrafe specificato.
Condanna il ministero della difesa alla refusione delle spese di giudizio che liquida in € 2.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore
Roberto Proietti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/03/2010
cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento
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Sentenza del 29/03/2010
N. 04917/2010 REG.SEN.
N. 18555/1993 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 18555 del 1993, proposto da:
M. M., rappresentato e difeso dall'avv. S. C., con domicilio eletto presso S. C. in Roma, via M. M., 51;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento della nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con il quale è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento del ricorrente; della proposta formulata dall’autorità gerarchica e del parere espresso in data 1.9.1993 dalla commissione permanente di valutazione per l’avanzamento dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri; di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale comunque teso ad incidere negativamente sulla sfera giuridica del ricorrente, ivi compresi i giudizi che hanno portato a tale determinazione;.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2010 il dott. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori avv.to A. C. F., con delega per parte ricorrente, e l'avv. dello Stato Gianna Galluzzo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente carabiniere – qualificatosi sottufficiale - ha impugnato il provvedimento n. …… di protocollo, datato 4 ottobre 1993, con il quale l’intimata amministrazione ha disposto la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168.
In punto di diritto, l’interessato deduce i seguenti motivi di ricorso:
1)violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c) e 17 della legge n. 1168/1961; violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/1990; eccesso di potere sotto vari profili:
1.1) il provvedimento impugnato reca una motivazione del tutto generica senza fare preciso riferimento a fatti che dimostrino lo scarso rendimento che il ricorrente avrebbe avuto in servizio;
1.2) le presunte scadenti prestazioni di servizio del ricorrente sarebbero evidenziate nella documentazione caratteristica il cui contenuto non è stato palesato all’interessato;
1.3) il ricorrente ha conseguito il giudizio “meno di sufficiente” solo nell’ultimo anno;
1.4) l’amministrazione può disporre la dispensa dal servizio previa contestazione di specifici fatti che devono essere inequivocabilmente assertivi di una condotta lavorativa scarsa quanto a risultati conseguiti ed all’impegno assunto;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 nonché eccesso di potere:
2.1) il ricorrente non ha mai avuto contestazioni né richiami relativamente al servizio svolto ma solo ingiusti richiami di scarsa rilevanza;
2.2) le contestazioni formulate durante il servizio riguardano fatti che non possono essere assunti quali indici rivelatori di inettitudine del dipendente a raggiungere il normale rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio;
2.3) in ogni caso, i fatti oggetto di contestazione durante il servizio potevano, al più, essere considerati quali presupposti per l’adozione di un provvedimento disciplinare ovviamente con il rispetto delle garanzie che la legge dispone per detti procedimenti;
3) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168 nonché eccesso di potere sotto altri profili:
3.1) non è stato comunicato all’interessato l’inizio del procedimento in modo da consentirgli di precisare osservazioni; il ministero avrebbe dovuto avvisare il ricorrente, nei termini e modalità di legge, dell’inizio del procedimento a suo carico così da consentire allo stesso di predisporre una difesa adeguata dei propri interessi;
4) violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi e della loro certezza; inesistenza dell’atto; incompetenza:
4.1) il provvedimento non reca alcuna sottoscrizione resa da parte dell’organo emanante ma solo un dattiloscritto col nominativo del direttore generale che ha emesso l’atto.
Si è costituita l’avvocatura di stato.
All’udienza del 20 gennaio 2010 la causa è stata spedita in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente ha impugnato il provvedimento n. …… di protocollo, datato 4 ottobre 1993, con il quale l’intimata amministrazione ha disposto la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, lett. c), e 17 della legge 18 ottobre 1961, n. 1168.
Il ricorso è fondato nei sensi e limiti che seguono.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 240 del 18 luglio 1997, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lettera c), e art. 17 L. n. 1168/1961 (Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri), nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente dei sottufficiali dei carabinieri per scarso rendimento senza la partecipazione dell'interessato al procedimento disciplinare.
Ebbene, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il procedimento di adozione dell'atto della cui legittimità si discute è in grado di determinare la caducazione in via derivata del medesimo (cfr C.d.s., sez. IV. 27 ottobre 2005, n. 6043).
Per vero, la sentenza della Corte Cost n 240 del 1997 attiene ai sottufficiali,
mentre il ricorrente dagli atti di causa risulta, sì, avere la qualifica di carabiniere ma non anche il grado di sottufficiale (circostanza affermata ma non comprovata).
Ritiene il Collegio che, se anche la sentenza della Corte costituzionale non fosse perfettamente aderente al caso di specie (ma la qualifica di sottufficiale non è stata, per vero, confutata dall’amministrazione resistente) essa potrebbe valere senz’altro come richiamo a un principio
generale già operante sin dal 1993 in forza anche della legge n. 241/1990.
Il ricorrente ha, infatti, censurato espressamente la violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (che non consta in atti sia stato istaurato) e di istruttoria (mancato esame di memorie difensive che il ricorrente non ha potuto neanche produrre in assenza del relativo procedimento) non essendo stato consentito all'interessato di offrire quegli elementi di prova o di indizi ovvero la rappresentazione di tutte quelle ulteriori circostanze di fatto che sole avrebbero condotto all'adozione di un giusto procedimento.
Il Consiglio di stato, con la decisione sopra richiamata (27 ottobre 2005, n. 6043) ha precisato che se anche “le censure di difetto istruttoria e di difetto di partecipazione al procedimento sono state svolte in modo generico (…) per un verso, occorre ricordare che ben può il giudice, nell'ambito dei fatti rappresentatigli (causa petendi) e del provvedimento concreto richiestogli (petitum), interpretare la domanda giudiziale e ciò anche nel processo amministrativo, interpretando correttamente le censure rivolte avverso il provvedimento amministrativo impugnato, e, per altro verso, occorre sottolineare che tale interpretazione del ricorso giurisdizionale è indispensabile allorquando, come nel caso di specie, sia sopravvenuta nel corso del giudizio una pronuncia della Corte Costituzionale che abbia abrogato la normativa su cui si fondava il provvedimento impugnato, pena la violazione degli articoli 24 e 113 della Corte Costituzionale (tanto più che non si è in presenza di un rapporto esaurito)”.
Le restanti censure sono, invece, destituite di giuridico fondamento.
Il provvedimento impugnato fa espresso riferimento sia ai pareri acquisiti, sia alle valutazioni insufficienti riportate negli ultimi anni, sia alle scadenti prestazioni di servizio, sia, infine, a carenze qualitative personali e professionali. Gli elementi di fatto indicati a supporto della determinazione trovano riscontro nella documentazione istruttoria. Ed invero, il ricorrente:
-è stato ammonito due volte;
-è stato invitato formalmente a mutare condotta in relazione all’inadeguato comportamento tenuto ad allo scarso rendimento reso in servizio;
-è stato sempre avvertito che, in caso contrario, si sarebbe reso necessario adottare, nei suoi confronti, il provvedimento di cessazione dal servizio d’autorità;
-nonostante i formali ammonimenti egli è stato più di una volta sanzionato disciplinarmente,;
-ha fornito un rendimento complessivo classificato “insufficiente”;
-i suoi superiori hanno appurato l’insussistenza di segni di miglioramento.
Sia la motivazione del provvedimento che tutti gli elementi presupposti alla determinazione impugnata appaiono, perciò, del tutto congrui ed adeguati nonché idonei a far comprendere al destinatario per quali ragioni il provvedimento sia stato adottato. Le contestazioni formulate durante il servizio riguardavano fatti che, per la loro entità e gravità (il ricorrente era stato destinatario di ben due sanzioni disciplinari di corpo negli anni immediatamente precedenti la dispensa dal servizio), correttamente sono stati assunti quali indici rivelatori di inettitudine del dipendente a raggiungere il normale rendimento richiesto dal tipo di mansioni inerenti al suo ufficio.
Il procedimento regolato dall’art. 12, lett. c) della legge n. 1168/1961 non ha natura disciplinare, da cui l’infondatezza delle censure riconducibili a tale profilo (in fatto, motivo di ricorso n. 2).
Ed invero, il Consiglio di stato, sez. IV, con decisione 18 marzo 2009, n. 1596 ha chiarito che “In assenza di un esplicito intervento del legislatore, al procedimento di dispensa sono da applicare le disposizioni relative all'identico istituto della dispensa per scarso rendimento di cui all'articolo 129 del T.U. degli impiegati civili dello Stato, che costituiscono principi generali validi per tutto il pubblico impiego: infatti, esistendo nell'ordinamento generale un istituto perfettamente assimilabile a quello di cui ai citati articolo 12 e 17, non sarebbe logico applicare alla fattispecie i principi desunti dal procedimento disciplinare, che ha diversa natura”.
Quanto alla quarta censura (sottoscrizione dell’atto), il Collegio rileva che il provvedimento impugnato reca chiaramente l’indicazione dell’organo e dell’ufficio redattore dell’atto, titolare della competenza e responsabile della decisione adottata nella persona del direttore generale del ministero della difesa. La circostanza che in calce manchi la sottoscrizione autografa da parte del dirigente non rende l’atto inesistente poiché – in assenza di norme di diritto pubblico sulla forma degli atti amministrativi – è sufficiente che il provvedimento si esteriorizzi indicando l’ufficio che lo ha adottato e la qualità del soggetto che se ne è assunto la responsabilità (oltre la data ed il contenuto essenziale) così da renderne possibile l’imputabilità soggettiva ovvero l’identificazione dell’organo.
Per le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Sono fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione, ai sensi dell’art. 26 della L. n. 1034/1971, che l’amministrazione riterrà di adottare previa eliminazione del vizio che ha determinato l’annullamento del provvedimento impugnato.
. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio sez. I^ bis, accoglie il ricorso meglio in epigrafe specificato.
Condanna il ministero della difesa alla refusione delle spese di giudizio che liquida in € 2.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore
Roberto Proietti, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/03/2010
Re: Ritardo grado: motivazioni.
Questa è la continuazione della vicenda di cui alla sentenza sopra messa poco fa.
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07/01/2014 201400090 Sentenza 1B
N. 00090/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01630/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1630 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M. M., rappresentato e difeso dall'avv. S. C., con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G. A., 49;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'esecuzione
della sentenza del TAR Lazio, Sez. I/bis, n. 4917/2010 che ha annullato la nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con la quale è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento del ricorrente;
con atto contenente motivi aggiunti,
per l’annullamento
del decreto del Ministero della Difesa – a firma del Direttore Generale per il Personale Militare – n. … del 4.3.2013, recante la declaratoria di cessazione dal servizio permanente del ricorrente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, comma II, lett. c), e 17 della legge 18.10.1961 n. 1168, nonché dell’art. 2187 del D.Lgs. 15.3.2010 n. 66; e della nota del Comando Regionale Carabinieri Lazio, recante la comunicazione di avvio del procedimento del 22.9.2011, ricevuta in data 24.9.2011;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza collegiale n. 8526/2013 con cui si prospetta l’ipotesi dell’inammissibilità dell’azione proposta, anche attraverso l’atto contenente motivi aggiunti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 73, comma 3, del c.p.a.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La parte istante con ricorso n. 18555 del 1993 ha agito in giudizio per chiedere l'annullamento della nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con la quale è stata disposta la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento, nonchè della proposta formulata dall’autorità gerarchica e del parere espresso in data 1.9.1993 dalla commissione permanente di valutazione per l’avanzamento dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri.
Con sentenza n. 4917 del 2010 questa sezione ha ritenuto fondato il ricorso e quindi ha annullato i provvedimenti impugnati per le seguenti determinazioni:
“La Corte Costituzionale, con sentenza n. 240 del 18 luglio 1997, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lettera c), e art. 17 L. n. 1168/1961 (Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri), nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente dei sottufficiali dei carabinieri per scarso rendimento senza la partecipazione dell'interessato al procedimento disciplinare.
Ebbene, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il procedimento di adozione dell'atto della cui legittimità si discute è in grado di determinare la caducazione in via derivata del medesimo (cfr C.d.s., sez. IV. 27 ottobre 2005, n. 6043).
Per vero, la sentenza della Corte Cost. n 240 del 1997 attiene ai sottufficiali, mentre il ricorrente dagli atti di causa risulta, sì, avere la qualifica di carabiniere ma non anche il grado di sottufficiale (circostanza affermata ma non comprovata).
Ritiene il Collegio che, se anche la sentenza della Corte costituzionale non fosse perfettamente aderente al caso di specie (ma la qualifica di sottufficiale non è stata, per vero, confutata dall’amministrazione resistente) essa potrebbe valere senz’altro come richiamo a un principio generale già operante sin dal 1993 in forza anche della legge n. 241/1990.
Il ricorrente ha, infatti, censurato espressamente la violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (che non consta in atti sia stato istaurato) e di istruttoria (mancato esame di memorie difensive che il ricorrente non ha potuto neanche produrre in assenza del relativo procedimento) non essendo stato consentito all'interessato di offrire quegli elementi di prova o di indizi ovvero la rappresentazione di tutte quelle ulteriori circostanze di fatto che sole avrebbero condotto all'adozione di un giusto procedimento.
Il Consiglio di stato, con la decisione sopra richiamata (27 ottobre 2005, n. 6043) ha precisato che se anche <le censure di difetto istruttoria e di difetto di partecipazione al procedimento sono state svolte in modo generico (…) per un verso, occorre ricordare che ben può il giudice, nell'ambito dei fatti rappresentatigli (causa petendi) e del provvedimento concreto richiestogli (petitum), interpretare la domanda giudiziale e ciò anche nel processo amministrativo, interpretando correttamente le censure rivolte avverso il provvedimento amministrativo impugnato, e, per altro verso, occorre sottolineare che tale interpretazione del ricorso giurisdizionale è indispensabile allorquando, come nel caso di specie, sia sopravvenuta nel corso del giudizio una pronuncia della Corte Costituzionale che abbia abrogato la normativa su cui si fondava il provvedimento impugnato, pena la violazione degli articoli 24 e 113 della Corte Costituzionale (tanto più che non si è in presenza di un rapporto esaurito)>”.
Con ricorso per l’esecuzione del giudicato (n. 7067/2010) la parte ha chiesto che il procedimento per la destituzione dall’impiego fosse correttamente riattivato, che l’interessato fosse medio tempore riammesso in servizio e corrisposte le competenze economiche non percepite sin dal 1993.
Con la sentenza di questa sezione n. 8194/2011 è stato affermato che è fondata solo la prima domanda, giacché il ripristino del rapporto di lavoro e conseguentemente il riconoscimento degli emolumenti non corrisposti esula dal contenuto della sentenza di cui si chiede l'ottemperanza.
Con la predetta decisione il Collegio ha, dunque, accolto soltanto in parte, l’azione di esecuzione proposta e depositata dall’attuale ricorrente, cioè limitatamente all'obbligo dell'Amministrazione di riattivare un corretto procedimento, così come indicato nell’ottemperanda sentenza, mentre per il resto (cioè relativamente alla richiesta di ripristinare il rapporto di lavoro e di riconoscimento di tutti gli emolumenti non corrisposti, con gli accessori di legge) il ricorso è stato respinto.
Con il ricorso epigrafe epigrafe, discusso nell’odierna camera di consiglio e notificato il 7 febbraio 2013 e depositato il successivo 18 febbraio, la parte istante agisce per chiedere nuovamente l’ottemperanza al giudicato formatosi per effetto della citata sentenza di questa Sezione n. 4917/2010 al fine di ottenere dal giudice adito la fissazione di un termine perentorio per provvedere in merito alla riassunzione del ricorrente nonché la condanna dell’Amministrazione della Difesa al risarcimento del danno per equivalente, derivante dalla circostanza che il procedimento amministrativo in contestazione non si è ancora concluso dopo oltre 20 anni.
Nel contempo, con atto depositato l’8 aprile 2013 è stata richiesta la nomina di un commissario ad acta.
La domanda sopra rappresentata è del tutto omologa a quella già definita con la citata sentenza di questa Sezione n. 8194/2011, in cui espressamente si è escluso che nella sede dell’ottemperanza si potesse, per il contenuto della sentenza da eseguire, riconoscere il diritto agli emolumenti non corrisposti (che comporta nella sostanza la non ammissione - in tale sede – dell’azione volta all’accertamento del diritto al risarcimento per equivalente).
Pertanto, l’attuale domanda giudiziale può trovare ingresso solo per la conclusione del procedimento amministrativo relativo alla destituzione dall’impiego per scarso rendimento.
In ogni caso, la stessa richiesta di accertare l’obbligo della p.a. al risarcimento dei danni, oltre che generica ed indeterminata nel quantum, risulta essere priva del presupposto giuridico dell’obbligo dell’Amministrazione al reintegro nei ruoli del ricorrente.
Infatti, lo stesso giudicato di cui si chiede l’esecuzione ha annullato il provvedimento finale di destituzione dall’impiego del ricorrente solo per vizi formali e procedurali, obbligando l’Amministrazione resistente a rinnovare la procedura attivata dal momento del rilevato vizio e senza valutare in alcun modo la eventuale insussistenza dei presupposti per la cessazione dal servizio per scarso rendimento.
Poco prima della pubblicazione della sentenza n. 8194/2011, il Comando Legione Carabinieri del Lazio, Compagnia di ……, inviava alla parte istante la nota del 22 settembre 2011 per dare ottemperanza al giudicato e comunicare, conseguentemente l’avvio del procedimento volto a statuire la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 923 del D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, fissando allo scopo un termine di 180 giorni per l’adozione del provvedimento definitivo.
Nonostante la proposizione di due atti di diffida del 18.5.2012 e del 25.7.2012, il Ministero della Difesa ha notificato al ricorrente in data 9 aprile 2013 il Decreto del Direttore Generale per il Personale Militare di declaratoria della cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento con collocamento in congedo a far tempo dal 15.10.1993.
Con successivo atto contenente motivi aggiunti, notificato il 30 aprile 2013 e depositato il successivo 7 maggio, la parte istante ha chiesto l’annullamento del provvedimento sopra indicato, prospettando i seguenti motivi di doglianza:
1) Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Errata applicazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa. Elusione e mancata applicazione delle sentenze del TAR Lazio Sez. I/bis nn. 4017/2010 e 8194/2011, Illegittimità originaria e derivata. Violazione degli artt. 1392 e 2187 del D.Lgs. n. 66 del 2010, degli artt. 12, comma 2 lett.c), e 17 della legge n. 1168/1969. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione e di istruttoria. Violazione del giusto procedimento. Iniquità e manifesta ingiustizia. Abnormità dei tempi dell’azione amministrativa. Carenza di interesse pubblico, poiché il provvedimento adottato, qualificandosi come atto sanzionatorio a carattere disciplinare, sarebbe soggetto a termini perentori scaduti i quali l’Amministrazione consumerebbe il potere in questione; al riguardo, si segnala che lo stesso atto contenente la comunicazione dell’avvio del procedimento indicava un termine di 180 giorni per l’adozione del provvedimento disciplinare definitivo.
In ogni caso, il dies a quo da cui far decorrere i termini per la conclusione del procedimento decorrerebbero dalla data di notifica della sentenza n. 8194/2011, cioè in pratica dal giorno 5 giugno 2012.
Ne consegue che il decreto di cessazione da servizio e di collocamento in congedo del ricorrente, adottato il 4 marzo 2013, sarebbe privo del sottostante potere della p.a..
2) Violazione del giusto procedimento di legge. Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà con i precedenti presupposti erronei. Errata motivazione e carenza di istruttoria. Difetto di interesse pubblico, poiché vi sarebbe una erronea indicazione nei presupposti per il riavvio del procedimento disciplinare che sono indicati nella decisione n. 4917/2010 e non nella sentenza n. 8194/2011; il provvedimento finale sarebbe inoltre viziato nella parte in cui si limita a richiamare il parere espresso dalla commissione permanente del 1.9.1993 senza tener conto del diverso orientamento della giurisprudenza e della successiva normativa intervenuta.
La questione di legittimità dell’atto impugnato prospettata con i motivi aggiunti in esame, seppure argomentata sotto l’aspetto dell’elusione del giudicato, pone in evidenza due circostanze: il supermento dei termini per provvedere in tema di sanzioni disciplinari per fatti avvenuti più di trent’anni prima; l’incongruità dei presupposti valutati dall’amministrazione in sede di irrogazione tardiva del decreto di cessazione dal servizio con collocamento in congedo.
Per ciò che concerne la consumazione del potere sanzionatorio in capo alla p.a., corre l’obbligo di precisare che ciò è già stato esaminato dalla sezione nella citata sentenza n. 8194/2011, laddove in sede di esecuzione del giudicato ha negato alla parte istante il diritto al ripristino del rapporto di lavoro ed il conseguente riconoscimento degli emolumenti non corrisposti, ribadendo casomai l’obbligo della p.a. a provvedere (il contenuto implicito è che in tal caso il potere disciplinare non si è affatto consumato).
Allo stesso modo non può rilevare la violazione del diverso e più ristretto termine imposto con la sentenza da ultimo indicata (trenta giorni).
Infatti, nell’economia del giudizio di ottemperanza la fissazione di un termine per provvedere, non comporta di per sé (cioè una volta spirato quest’ultimo) la consumazione del potere in capo all’amministrazione soccombente in sede di merito, ma semmai determina l’onere per la parte ricorrente di chiedere la nomina di un commissario ad acta.
Giova, al riguardo, osservare che la nomina del commissario ad acta per l'esecuzione di un giudicato non determina di per sé l'esaurimento della competenza dell'Amministrazione a provvedere anche tardivamente, dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, in quanto il venir meno dell'inerzia dell'Amministrazione, pur dopo la scadenza del termine assegnatole − e fino al concreto insediamento del commissario ad acta − rende prive di causa la nomina e la funzione del commissario stesso, secondo i principi di economicità e buon andamento dell'azione amministrativa, non smentiti dalla legge o dalla pronuncia del giudice dell'ottemperanza ed essendo indifferente per il privato che il giudicato sia eseguito dalla P.A. piuttosto che dal commissario, perché l'attività di entrambi resta ugualmente soggetta al controllo del giudice (Cfr. Cons. Stato. Sez. IV, 10 maggio 2011 n. 2764).
Ne consegue, pertanto, che ogni altra doglianza relativa al superamento dei più ampi termini per provvedere previsti dalle norme di settore, nel caso di specie, non può rimanere nell’alveo dell’elusione del giudicato, bensì deve essere valutata nel contesto di un giudizio a carattere impugnatorio.
Se l'Amministrazione, a fronte di un giudicato che le ordina di provvedere, senza dirle come, adotta un provvedimento, vi è ottemperanza dell'obbligo di provvedere e il provvedimento non è contestabile con il ricorso di ottemperanza ma con un nuovo ricorso di merito (Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2011 n. 3015).
Allo stesso modo devono essere trattare le altre doglianze relative alla violazione di legge, nonchè al vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione.
Pertanto, gli ulteriori motivi di gravame esulano dal novero dell’esecuzione del giudicato, rivestendo casomai il contenuto di un giudizio ordinario di impugnazione che può essere trattato nell’opportuna sede di merito.
Sul punto, aderendo alla richiesta formulata dal ricorrente con memoria del 7 ottobre 2013, il Collegio dispone per la parte sopra indicata dei motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del c.p.a., la conversione della relativa azione di ottemperanza in azione di impugnazione ex art. 39 del c.p.a., nel cui contesto sarà possibile proporre, nel rispetto dei termini processuali, ogni altra azione connessa.
La suddetta domanda dovrà essere trattata nella prevista sede di merito del giudizio ordinario e solo a seguito della necessaria istanza di fissazione d’udienza ex art. 71 del c.p.a..
Per tutte le ragioni sopra illustrate il Collegio dichiara inammissibile il ricorso originario ed i motivi aggiunti, nella parte in cui prospettano l’elusione del giudicato, e converte questi ultimi, per ogni altra doglianza, in azione di impugnazione da trattarsi in udienza pubblica laddove sussistano i presupposti formali sopra accennati.
La particolare evoluzione della vicenda in contestazione, che è connotata anche da una evidente omissione dell’Amministrazione soccombente, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte, lo dichiara inammissibile ed, in parte, lo converte in azione di impugnazione ex art. 32 del c.p.a. nei termini e nei limiti di cui in motivazione.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 16 luglio 2013, 30 ottobre 2013, con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2014
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
07/01/2014 201400090 Sentenza 1B
N. 00090/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01630/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1630 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M. M., rappresentato e difeso dall'avv. S. C., con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via G. A., 49;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'esecuzione
della sentenza del TAR Lazio, Sez. I/bis, n. 4917/2010 che ha annullato la nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con la quale è stata disposta la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento del ricorrente;
con atto contenente motivi aggiunti,
per l’annullamento
del decreto del Ministero della Difesa – a firma del Direttore Generale per il Personale Militare – n. … del 4.3.2013, recante la declaratoria di cessazione dal servizio permanente del ricorrente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 12, comma II, lett. c), e 17 della legge 18.10.1961 n. 1168, nonché dell’art. 2187 del D.Lgs. 15.3.2010 n. 66; e della nota del Comando Regionale Carabinieri Lazio, recante la comunicazione di avvio del procedimento del 22.9.2011, ricevuta in data 24.9.2011;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza collegiale n. 8526/2013 con cui si prospetta l’ipotesi dell’inammissibilità dell’azione proposta, anche attraverso l’atto contenente motivi aggiunti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 73, comma 3, del c.p.a.;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2013 il dott. Francesco Riccio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La parte istante con ricorso n. 18555 del 1993 ha agito in giudizio per chiedere l'annullamento della nota prot. n. …../SD/93 del 4/10/1993 del Ministero della Difesa, con la quale è stata disposta la sua cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento, nonchè della proposta formulata dall’autorità gerarchica e del parere espresso in data 1.9.1993 dalla commissione permanente di valutazione per l’avanzamento dei sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri.
Con sentenza n. 4917 del 2010 questa sezione ha ritenuto fondato il ricorso e quindi ha annullato i provvedimenti impugnati per le seguenti determinazioni:
“La Corte Costituzionale, con sentenza n. 240 del 18 luglio 1997, ha dichiarato la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12, comma 2, lettera c), e art. 17 L. n. 1168/1961 (Norme sullo stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri), nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente dei sottufficiali dei carabinieri per scarso rendimento senza la partecipazione dell'interessato al procedimento disciplinare.
Ebbene, la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma che disciplina il procedimento di adozione dell'atto della cui legittimità si discute è in grado di determinare la caducazione in via derivata del medesimo (cfr C.d.s., sez. IV. 27 ottobre 2005, n. 6043).
Per vero, la sentenza della Corte Cost. n 240 del 1997 attiene ai sottufficiali, mentre il ricorrente dagli atti di causa risulta, sì, avere la qualifica di carabiniere ma non anche il grado di sottufficiale (circostanza affermata ma non comprovata).
Ritiene il Collegio che, se anche la sentenza della Corte costituzionale non fosse perfettamente aderente al caso di specie (ma la qualifica di sottufficiale non è stata, per vero, confutata dall’amministrazione resistente) essa potrebbe valere senz’altro come richiamo a un principio generale già operante sin dal 1993 in forza anche della legge n. 241/1990.
Il ricorrente ha, infatti, censurato espressamente la violazione dei principi in materia di partecipazione al procedimento amministrativo (che non consta in atti sia stato istaurato) e di istruttoria (mancato esame di memorie difensive che il ricorrente non ha potuto neanche produrre in assenza del relativo procedimento) non essendo stato consentito all'interessato di offrire quegli elementi di prova o di indizi ovvero la rappresentazione di tutte quelle ulteriori circostanze di fatto che sole avrebbero condotto all'adozione di un giusto procedimento.
Il Consiglio di stato, con la decisione sopra richiamata (27 ottobre 2005, n. 6043) ha precisato che se anche <le censure di difetto istruttoria e di difetto di partecipazione al procedimento sono state svolte in modo generico (…) per un verso, occorre ricordare che ben può il giudice, nell'ambito dei fatti rappresentatigli (causa petendi) e del provvedimento concreto richiestogli (petitum), interpretare la domanda giudiziale e ciò anche nel processo amministrativo, interpretando correttamente le censure rivolte avverso il provvedimento amministrativo impugnato, e, per altro verso, occorre sottolineare che tale interpretazione del ricorso giurisdizionale è indispensabile allorquando, come nel caso di specie, sia sopravvenuta nel corso del giudizio una pronuncia della Corte Costituzionale che abbia abrogato la normativa su cui si fondava il provvedimento impugnato, pena la violazione degli articoli 24 e 113 della Corte Costituzionale (tanto più che non si è in presenza di un rapporto esaurito)>”.
Con ricorso per l’esecuzione del giudicato (n. 7067/2010) la parte ha chiesto che il procedimento per la destituzione dall’impiego fosse correttamente riattivato, che l’interessato fosse medio tempore riammesso in servizio e corrisposte le competenze economiche non percepite sin dal 1993.
Con la sentenza di questa sezione n. 8194/2011 è stato affermato che è fondata solo la prima domanda, giacché il ripristino del rapporto di lavoro e conseguentemente il riconoscimento degli emolumenti non corrisposti esula dal contenuto della sentenza di cui si chiede l'ottemperanza.
Con la predetta decisione il Collegio ha, dunque, accolto soltanto in parte, l’azione di esecuzione proposta e depositata dall’attuale ricorrente, cioè limitatamente all'obbligo dell'Amministrazione di riattivare un corretto procedimento, così come indicato nell’ottemperanda sentenza, mentre per il resto (cioè relativamente alla richiesta di ripristinare il rapporto di lavoro e di riconoscimento di tutti gli emolumenti non corrisposti, con gli accessori di legge) il ricorso è stato respinto.
Con il ricorso epigrafe epigrafe, discusso nell’odierna camera di consiglio e notificato il 7 febbraio 2013 e depositato il successivo 18 febbraio, la parte istante agisce per chiedere nuovamente l’ottemperanza al giudicato formatosi per effetto della citata sentenza di questa Sezione n. 4917/2010 al fine di ottenere dal giudice adito la fissazione di un termine perentorio per provvedere in merito alla riassunzione del ricorrente nonché la condanna dell’Amministrazione della Difesa al risarcimento del danno per equivalente, derivante dalla circostanza che il procedimento amministrativo in contestazione non si è ancora concluso dopo oltre 20 anni.
Nel contempo, con atto depositato l’8 aprile 2013 è stata richiesta la nomina di un commissario ad acta.
La domanda sopra rappresentata è del tutto omologa a quella già definita con la citata sentenza di questa Sezione n. 8194/2011, in cui espressamente si è escluso che nella sede dell’ottemperanza si potesse, per il contenuto della sentenza da eseguire, riconoscere il diritto agli emolumenti non corrisposti (che comporta nella sostanza la non ammissione - in tale sede – dell’azione volta all’accertamento del diritto al risarcimento per equivalente).
Pertanto, l’attuale domanda giudiziale può trovare ingresso solo per la conclusione del procedimento amministrativo relativo alla destituzione dall’impiego per scarso rendimento.
In ogni caso, la stessa richiesta di accertare l’obbligo della p.a. al risarcimento dei danni, oltre che generica ed indeterminata nel quantum, risulta essere priva del presupposto giuridico dell’obbligo dell’Amministrazione al reintegro nei ruoli del ricorrente.
Infatti, lo stesso giudicato di cui si chiede l’esecuzione ha annullato il provvedimento finale di destituzione dall’impiego del ricorrente solo per vizi formali e procedurali, obbligando l’Amministrazione resistente a rinnovare la procedura attivata dal momento del rilevato vizio e senza valutare in alcun modo la eventuale insussistenza dei presupposti per la cessazione dal servizio per scarso rendimento.
Poco prima della pubblicazione della sentenza n. 8194/2011, il Comando Legione Carabinieri del Lazio, Compagnia di ……, inviava alla parte istante la nota del 22 settembre 2011 per dare ottemperanza al giudicato e comunicare, conseguentemente l’avvio del procedimento volto a statuire la cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento ai sensi dell’art. 923 del D.Lgs. 15 marzo 2010 n. 66, fissando allo scopo un termine di 180 giorni per l’adozione del provvedimento definitivo.
Nonostante la proposizione di due atti di diffida del 18.5.2012 e del 25.7.2012, il Ministero della Difesa ha notificato al ricorrente in data 9 aprile 2013 il Decreto del Direttore Generale per il Personale Militare di declaratoria della cessazione dal servizio permanente per scarso rendimento con collocamento in congedo a far tempo dal 15.10.1993.
Con successivo atto contenente motivi aggiunti, notificato il 30 aprile 2013 e depositato il successivo 7 maggio, la parte istante ha chiesto l’annullamento del provvedimento sopra indicato, prospettando i seguenti motivi di doglianza:
1) Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Errata applicazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa. Elusione e mancata applicazione delle sentenze del TAR Lazio Sez. I/bis nn. 4017/2010 e 8194/2011, Illegittimità originaria e derivata. Violazione degli artt. 1392 e 2187 del D.Lgs. n. 66 del 2010, degli artt. 12, comma 2 lett.c), e 17 della legge n. 1168/1969. Eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione e di istruttoria. Violazione del giusto procedimento. Iniquità e manifesta ingiustizia. Abnormità dei tempi dell’azione amministrativa. Carenza di interesse pubblico, poiché il provvedimento adottato, qualificandosi come atto sanzionatorio a carattere disciplinare, sarebbe soggetto a termini perentori scaduti i quali l’Amministrazione consumerebbe il potere in questione; al riguardo, si segnala che lo stesso atto contenente la comunicazione dell’avvio del procedimento indicava un termine di 180 giorni per l’adozione del provvedimento disciplinare definitivo.
In ogni caso, il dies a quo da cui far decorrere i termini per la conclusione del procedimento decorrerebbero dalla data di notifica della sentenza n. 8194/2011, cioè in pratica dal giorno 5 giugno 2012.
Ne consegue che il decreto di cessazione da servizio e di collocamento in congedo del ricorrente, adottato il 4 marzo 2013, sarebbe privo del sottostante potere della p.a..
2) Violazione del giusto procedimento di legge. Eccesso di potere per illogicità manifesta, contraddittorietà con i precedenti presupposti erronei. Errata motivazione e carenza di istruttoria. Difetto di interesse pubblico, poiché vi sarebbe una erronea indicazione nei presupposti per il riavvio del procedimento disciplinare che sono indicati nella decisione n. 4917/2010 e non nella sentenza n. 8194/2011; il provvedimento finale sarebbe inoltre viziato nella parte in cui si limita a richiamare il parere espresso dalla commissione permanente del 1.9.1993 senza tener conto del diverso orientamento della giurisprudenza e della successiva normativa intervenuta.
La questione di legittimità dell’atto impugnato prospettata con i motivi aggiunti in esame, seppure argomentata sotto l’aspetto dell’elusione del giudicato, pone in evidenza due circostanze: il supermento dei termini per provvedere in tema di sanzioni disciplinari per fatti avvenuti più di trent’anni prima; l’incongruità dei presupposti valutati dall’amministrazione in sede di irrogazione tardiva del decreto di cessazione dal servizio con collocamento in congedo.
Per ciò che concerne la consumazione del potere sanzionatorio in capo alla p.a., corre l’obbligo di precisare che ciò è già stato esaminato dalla sezione nella citata sentenza n. 8194/2011, laddove in sede di esecuzione del giudicato ha negato alla parte istante il diritto al ripristino del rapporto di lavoro ed il conseguente riconoscimento degli emolumenti non corrisposti, ribadendo casomai l’obbligo della p.a. a provvedere (il contenuto implicito è che in tal caso il potere disciplinare non si è affatto consumato).
Allo stesso modo non può rilevare la violazione del diverso e più ristretto termine imposto con la sentenza da ultimo indicata (trenta giorni).
Infatti, nell’economia del giudizio di ottemperanza la fissazione di un termine per provvedere, non comporta di per sé (cioè una volta spirato quest’ultimo) la consumazione del potere in capo all’amministrazione soccombente in sede di merito, ma semmai determina l’onere per la parte ricorrente di chiedere la nomina di un commissario ad acta.
Giova, al riguardo, osservare che la nomina del commissario ad acta per l'esecuzione di un giudicato non determina di per sé l'esaurimento della competenza dell'Amministrazione a provvedere anche tardivamente, dopo la scadenza del termine fissato dal giudice, in quanto il venir meno dell'inerzia dell'Amministrazione, pur dopo la scadenza del termine assegnatole − e fino al concreto insediamento del commissario ad acta − rende prive di causa la nomina e la funzione del commissario stesso, secondo i principi di economicità e buon andamento dell'azione amministrativa, non smentiti dalla legge o dalla pronuncia del giudice dell'ottemperanza ed essendo indifferente per il privato che il giudicato sia eseguito dalla P.A. piuttosto che dal commissario, perché l'attività di entrambi resta ugualmente soggetta al controllo del giudice (Cfr. Cons. Stato. Sez. IV, 10 maggio 2011 n. 2764).
Ne consegue, pertanto, che ogni altra doglianza relativa al superamento dei più ampi termini per provvedere previsti dalle norme di settore, nel caso di specie, non può rimanere nell’alveo dell’elusione del giudicato, bensì deve essere valutata nel contesto di un giudizio a carattere impugnatorio.
Se l'Amministrazione, a fronte di un giudicato che le ordina di provvedere, senza dirle come, adotta un provvedimento, vi è ottemperanza dell'obbligo di provvedere e il provvedimento non è contestabile con il ricorso di ottemperanza ma con un nuovo ricorso di merito (Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 2011 n. 3015).
Allo stesso modo devono essere trattare le altre doglianze relative alla violazione di legge, nonchè al vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione.
Pertanto, gli ulteriori motivi di gravame esulano dal novero dell’esecuzione del giudicato, rivestendo casomai il contenuto di un giudizio ordinario di impugnazione che può essere trattato nell’opportuna sede di merito.
Sul punto, aderendo alla richiesta formulata dal ricorrente con memoria del 7 ottobre 2013, il Collegio dispone per la parte sopra indicata dei motivi aggiunti, ai sensi dell’art. 32, comma 2, del c.p.a., la conversione della relativa azione di ottemperanza in azione di impugnazione ex art. 39 del c.p.a., nel cui contesto sarà possibile proporre, nel rispetto dei termini processuali, ogni altra azione connessa.
La suddetta domanda dovrà essere trattata nella prevista sede di merito del giudizio ordinario e solo a seguito della necessaria istanza di fissazione d’udienza ex art. 71 del c.p.a..
Per tutte le ragioni sopra illustrate il Collegio dichiara inammissibile il ricorso originario ed i motivi aggiunti, nella parte in cui prospettano l’elusione del giudicato, e converte questi ultimi, per ogni altra doglianza, in azione di impugnazione da trattarsi in udienza pubblica laddove sussistano i presupposti formali sopra accennati.
La particolare evoluzione della vicenda in contestazione, che è connotata anche da una evidente omissione dell’Amministrazione soccombente, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte, lo dichiara inammissibile ed, in parte, lo converte in azione di impugnazione ex art. 32 del c.p.a. nei termini e nei limiti di cui in motivazione.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 16 luglio 2013, 30 ottobre 2013, con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere, Estensore
Floriana Rizzetto, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/01/2014
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