RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
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Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Messaggio da giovannicrobu »
Buon giorno,
volevo condividere con chi riesce a trovare una soluzione a questo quesito, che per quanto ovvio al momento dell'evento io ero in Raf.v. e questa era la dicitura nei miei documenti al momento del congedo.
Mi sono arruolato nell'Arma dei CC nel giugno 1984 e ho trascorso circa cinque anni e mezzo di servizio compreso il periodo della scuola allievi.
Nel 1989 per una situazione personale e dopo l'informativa della legge sul congedo volontario riduceva da oltre i sei anni di servizio a cinque, faccio domanda di congedo e viene accolta. !0 gennaio 1990.
Dopo circa cinque mesi (luglio 1990) faccio una domanda di riammissione in servizio e viene accolta. Tutta la pratica in effetti sembra andare nella maniera più auspicabile ma ad un certo punto dopo circa un anno vengo informato che i miei documenti informativi erano fermi presso un ufficio della compagnia di apparteneza dove risiedevo in quel periodo. Visto l'intoppo chiedo aiuto e le informazioni partono il giorno stesso.
Dopo qualche giorno vengo a sapere che il comandante della stazione dei cc dove risiedevo era in conflitto con il comandate del nucleo informativo della compagnia di appartenenza.
Visto che non ho mai avuto problemi di natura amministrativa ne tantomeno giuridica non sono stato mai indicato come persona delinquentosa e le informazioni indicarono all'epoca e oggigiorno individuo di buona condotta morale e civile e in pubblico gode di buona stima e reputazione non sò se sia il caso cercare di capire chi ha giocato con la mia vita, il mio nome, rovinando deliberatamente il mio futuro.
Un saluto cordiale
volevo condividere con chi riesce a trovare una soluzione a questo quesito, che per quanto ovvio al momento dell'evento io ero in Raf.v. e questa era la dicitura nei miei documenti al momento del congedo.
Mi sono arruolato nell'Arma dei CC nel giugno 1984 e ho trascorso circa cinque anni e mezzo di servizio compreso il periodo della scuola allievi.
Nel 1989 per una situazione personale e dopo l'informativa della legge sul congedo volontario riduceva da oltre i sei anni di servizio a cinque, faccio domanda di congedo e viene accolta. !0 gennaio 1990.
Dopo circa cinque mesi (luglio 1990) faccio una domanda di riammissione in servizio e viene accolta. Tutta la pratica in effetti sembra andare nella maniera più auspicabile ma ad un certo punto dopo circa un anno vengo informato che i miei documenti informativi erano fermi presso un ufficio della compagnia di apparteneza dove risiedevo in quel periodo. Visto l'intoppo chiedo aiuto e le informazioni partono il giorno stesso.
Dopo qualche giorno vengo a sapere che il comandante della stazione dei cc dove risiedevo era in conflitto con il comandate del nucleo informativo della compagnia di appartenenza.
Visto che non ho mai avuto problemi di natura amministrativa ne tantomeno giuridica non sono stato mai indicato come persona delinquentosa e le informazioni indicarono all'epoca e oggigiorno individuo di buona condotta morale e civile e in pubblico gode di buona stima e reputazione non sò se sia il caso cercare di capire chi ha giocato con la mia vita, il mio nome, rovinando deliberatamente il mio futuro.
Un saluto cordiale
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Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Messaggio da giovannicrobu »
Mi mandarono a visita e insieme a dei cc ausililiari giudicato idoneo, tornai a casa fiducioso e motivato.
Il comandate della stazione disse.....devono solo mandarti a repato ti faccio sapere.
Poi la doccia fredda e la caduta dalle nuvole da parte di tutti e dico tutti militi compresi....risposta tramite messaggio scritto......i cc che si trovano in s.p.e. al momento del congedo non possono fare domanda di riammissione, la domanda è questa IO NON ERO IN S.P.E.
all'epoca allora 24enne feci una seconda domanda di ARRUOLAMENTO
(vista 'eta) e cosi mi risposero...dobbiamo trattarlo da riammittente ..e va bene ma allora perchè la domenda fu accolta ?
Salutoni e speriamo ....bene!!!
Il comandate della stazione disse.....devono solo mandarti a repato ti faccio sapere.
Poi la doccia fredda e la caduta dalle nuvole da parte di tutti e dico tutti militi compresi....risposta tramite messaggio scritto......i cc che si trovano in s.p.e. al momento del congedo non possono fare domanda di riammissione, la domanda è questa IO NON ERO IN S.P.E.


Salutoni e speriamo ....bene!!!
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
In tema del titolo del post, metto qui questa sentenza del Tar Lazio giusto per opportuna notizia.
Questa è un'altra diversa vicenda poiché riferita ad un Capitano dell’Arma dei Carabinieri che cessato a domanda dal servizio permanente dal gennaio del 2005, impugna il provvedimento del 27.1.2006 di rigetto dell’istanza di riammissione in servizio (presentata in data 28.5.2005).
IL TAR LAZIO precisa:
1) - Con riferimento alle previsioni dello stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate ed alla natura speciale della disciplina dettata per i Carabinieri dal d.vlo 12.5.1995, n. 198, è stato inoltre di recente riaffermato il principio che l’istituto della riammissione in servizio, previsto per il pubblico impiego civile dall' art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale, e che la specifica disciplina dell’istituto in parola dettata per il personale di una Forza Armata non è, in ragione della sua specialità, esportabile in diverso ambito militare (CGA 16 febbraio 2011 n. 135).
Ricorso respinto.
Le vicende/motivazioni potete leggerli qui sotto.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------
12/12/2013 201310758 Sentenza 1B
N. 10758/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01597/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1597/2006, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. M. A., M. C. A., con domicilio eletto presso M. A. in Roma, piazza Gondar, 22;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del 27.1.2006 Ministero della Difesa - Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri di rigetto istanza di revoca delle dimissioni e/o per la riammissione in servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 ottobre 2013 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Con il ricorso in esame il Capitano dell’Arma dei Carabinieri ricorrente, premesso di essere cessato a domanda dal servizio permanente dal gennaio del 2005, impugna il provvedimento del 27.1.2006 di rigetto dell’istanza di riammissione in servizio (presentata in data 28.5.2005).
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione della legge n. 113/54, della legge 1137/55 nonché del d.lvo n. 490/97 e del d.lvo n. 298/2000. Erronea, mancata applicazione dell’art. 132 del DPR 3/57 e art. 39 del D.lvo n. 69/2001- Violazione degli artt. 3 e 7 Cost.- Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90- Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; difetto di motivazione;
Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata depositando rapporto difensivo.
Alla pubblica udienza del 2.10.2013 la causa – confermata la persistenza dell’interesse a ricorrere da parte del patrono del ricorrente - è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato.
Con il primo mezzo di gravame il ricorrente denuncia l’illegittimità per vizi di forma dell’atto impugnato assumendo che esso avrebbe dovuto assumere la veste di Decreto del Presidente della Repubblica.
La doglianza va respinta.
L’atto in questione non rientra tra quelli indicati dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13, che riporta l'elencazione tassativa degli atti da adottare con Decreto del Capo dello Stato: si tratta di un elenco tassativo, che non include tutti gli atti di gestione del personale militare, bensì, per il principio di economicità dei mezzi giuridici, esclusivamente i provvedimenti di cessazione dal servizio degli Ufficiali che sono contestualmente promossi al grado di Generale di Brigata o superiore. Ne consegue che per i rimanenti provvedimenti di cessazione dal servizio di Ufficiali di grado inferiore Generale di Brigata la competenza resta attribuita ai dirigenti ministeriali, secondo il consueto criterio di riparto introdotto sin dal d.lvo n. 29/93. Nello specifico l’adozione di tali provvedimenti è stata attribuita con DM 2.4.2004 alla competenza del Capo del Reparto II.
Del pari vanno disattese le censure mosse sul piano sostanziale.
Il provvedimento impugnato è stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente in materia.
I dubbi sollevati dal ricorrente in merito alla legittimità costituzionale della normativa che introduce una disciplina restrittiva e discriminatoria per il personale militare sono stati già dissipati dalla Corte Costituzionale che con sentenza n. 430 del 25.11.2005 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 43, comma 2, della Legge n. 113/54, nella parte in cui non prevede la riammissione in servizio dell'Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo. La Corte ha chiarito che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a domanda, di una Amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l'impiego pubblico in generale in tutte le sue diverse articolazioni, dovendosi invece riconoscere al legislatore ordinario un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali.
Tali conclusioni, sebbene formulate con riferimento all’applicabilità dell’Istituto agli Ufficiali dell’Esercito, hanno valenza generale atta ad escludere l’illegittimità costituzionale di analoghe previsioni normative relativa al personale di altre Forze Armate e sono state riproposte anche nei confronti di altre categorie di dipendenti pubblici non privatizzati e retti da disciplina speciale (vedi sentenza Corte Costituzionale n. 10 del 30.1.2002 che ha dichiarato infondata l’analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 211 del R.D.30.1.1941, n. 12 che vieta la riammissione in magistratura del magistrato ordinario cessato dal servizio a domanda, escludendo che tale norma determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai magistrati amministrativi e contabili).
Con riferimento alle previsioni dello stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate ed alla natura speciale della disciplina dettata per i Carabinieri dal d.vlo 12.5.1995, n. 198, è stato inoltre di recente riaffermato il principio che l’istituto della riammissione in servizio, previsto per il pubblico impiego civile dall' art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale, e che la specifica disciplina dell’istituto in parola dettata per il personale di una Forza Armata non è, in ragione della sua specialità, esportabile in diverso ambito militare (CGA 16 febbraio 2011 n. 135).
Alla luce di tale principio va esclusa anche la illegittimità costituzionale della disparità di trattamento rispetto al più sfavorevole regime previsto per gli appartenenti all’Arma rispetto a quelli di altre Forze Armate, valendo ad escludere l’illegittimità delle relative disposizioni le considerazioni svolte dalla Corte nelle sentenze sopra richiamate: poichè l'ordinamento vigente non contempla uniformità di attribuzioni di funzioni, né di regolamentazione dell'assetto strutturale degli uffici e dello stato giuridico delle diverse tipologie di personale - non sussistendo la asserita omogeneità tra le figure in comparazione- la diversità di disciplina prevista per diverse tipologie non si pone in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
Disattesa la questione di legittimità costituzionale il provvedimento impugnato, che di tale contestata normativa costituisce mera applicazione, e ribadita, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, l’inapplicabilità della più favorevole normativa a favore di altre categorie di impiegati pubblici, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/12/2013
Questa è un'altra diversa vicenda poiché riferita ad un Capitano dell’Arma dei Carabinieri che cessato a domanda dal servizio permanente dal gennaio del 2005, impugna il provvedimento del 27.1.2006 di rigetto dell’istanza di riammissione in servizio (presentata in data 28.5.2005).
IL TAR LAZIO precisa:
1) - Con riferimento alle previsioni dello stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate ed alla natura speciale della disciplina dettata per i Carabinieri dal d.vlo 12.5.1995, n. 198, è stato inoltre di recente riaffermato il principio che l’istituto della riammissione in servizio, previsto per il pubblico impiego civile dall' art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale, e che la specifica disciplina dell’istituto in parola dettata per il personale di una Forza Armata non è, in ragione della sua specialità, esportabile in diverso ambito militare (CGA 16 febbraio 2011 n. 135).
Ricorso respinto.
Le vicende/motivazioni potete leggerli qui sotto.
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12/12/2013 201310758 Sentenza 1B
N. 10758/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01597/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1597/2006, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. M. A., M. C. A., con domicilio eletto presso M. A. in Roma, piazza Gondar, 22;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento del 27.1.2006 Ministero della Difesa - Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri di rigetto istanza di revoca delle dimissioni e/o per la riammissione in servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa e del Comando Generale Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 ottobre 2013 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Con il ricorso in esame il Capitano dell’Arma dei Carabinieri ricorrente, premesso di essere cessato a domanda dal servizio permanente dal gennaio del 2005, impugna il provvedimento del 27.1.2006 di rigetto dell’istanza di riammissione in servizio (presentata in data 28.5.2005).
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione della legge n. 113/54, della legge 1137/55 nonché del d.lvo n. 490/97 e del d.lvo n. 298/2000. Erronea, mancata applicazione dell’art. 132 del DPR 3/57 e art. 39 del D.lvo n. 69/2001- Violazione degli artt. 3 e 7 Cost.- Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90- Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità, travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti; difetto di motivazione;
Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata depositando rapporto difensivo.
Alla pubblica udienza del 2.10.2013 la causa – confermata la persistenza dell’interesse a ricorrere da parte del patrono del ricorrente - è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato.
Con il primo mezzo di gravame il ricorrente denuncia l’illegittimità per vizi di forma dell’atto impugnato assumendo che esso avrebbe dovuto assumere la veste di Decreto del Presidente della Repubblica.
La doglianza va respinta.
L’atto in questione non rientra tra quelli indicati dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13, che riporta l'elencazione tassativa degli atti da adottare con Decreto del Capo dello Stato: si tratta di un elenco tassativo, che non include tutti gli atti di gestione del personale militare, bensì, per il principio di economicità dei mezzi giuridici, esclusivamente i provvedimenti di cessazione dal servizio degli Ufficiali che sono contestualmente promossi al grado di Generale di Brigata o superiore. Ne consegue che per i rimanenti provvedimenti di cessazione dal servizio di Ufficiali di grado inferiore Generale di Brigata la competenza resta attribuita ai dirigenti ministeriali, secondo il consueto criterio di riparto introdotto sin dal d.lvo n. 29/93. Nello specifico l’adozione di tali provvedimenti è stata attribuita con DM 2.4.2004 alla competenza del Capo del Reparto II.
Del pari vanno disattese le censure mosse sul piano sostanziale.
Il provvedimento impugnato è stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente in materia.
I dubbi sollevati dal ricorrente in merito alla legittimità costituzionale della normativa che introduce una disciplina restrittiva e discriminatoria per il personale militare sono stati già dissipati dalla Corte Costituzionale che con sentenza n. 430 del 25.11.2005 ha ritenuto manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell'art. 43, comma 2, della Legge n. 113/54, nella parte in cui non prevede la riammissione in servizio dell'Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo. La Corte ha chiarito che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a domanda, di una Amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l'impiego pubblico in generale in tutte le sue diverse articolazioni, dovendosi invece riconoscere al legislatore ordinario un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali.
Tali conclusioni, sebbene formulate con riferimento all’applicabilità dell’Istituto agli Ufficiali dell’Esercito, hanno valenza generale atta ad escludere l’illegittimità costituzionale di analoghe previsioni normative relativa al personale di altre Forze Armate e sono state riproposte anche nei confronti di altre categorie di dipendenti pubblici non privatizzati e retti da disciplina speciale (vedi sentenza Corte Costituzionale n. 10 del 30.1.2002 che ha dichiarato infondata l’analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 211 del R.D.30.1.1941, n. 12 che vieta la riammissione in magistratura del magistrato ordinario cessato dal servizio a domanda, escludendo che tale norma determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai magistrati amministrativi e contabili).
Con riferimento alle previsioni dello stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate ed alla natura speciale della disciplina dettata per i Carabinieri dal d.vlo 12.5.1995, n. 198, è stato inoltre di recente riaffermato il principio che l’istituto della riammissione in servizio, previsto per il pubblico impiego civile dall' art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale, e che la specifica disciplina dell’istituto in parola dettata per il personale di una Forza Armata non è, in ragione della sua specialità, esportabile in diverso ambito militare (CGA 16 febbraio 2011 n. 135).
Alla luce di tale principio va esclusa anche la illegittimità costituzionale della disparità di trattamento rispetto al più sfavorevole regime previsto per gli appartenenti all’Arma rispetto a quelli di altre Forze Armate, valendo ad escludere l’illegittimità delle relative disposizioni le considerazioni svolte dalla Corte nelle sentenze sopra richiamate: poichè l'ordinamento vigente non contempla uniformità di attribuzioni di funzioni, né di regolamentazione dell'assetto strutturale degli uffici e dello stato giuridico delle diverse tipologie di personale - non sussistendo la asserita omogeneità tra le figure in comparazione- la diversità di disciplina prevista per diverse tipologie non si pone in contrasto con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza.
Disattesa la questione di legittimità costituzionale il provvedimento impugnato, che di tale contestata normativa costituisce mera applicazione, e ribadita, alla stregua delle considerazioni sopra svolte, l’inapplicabilità della più favorevole normativa a favore di altre categorie di impiegati pubblici, il ricorso deve essere respinto.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/12/2013
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Questa l'avevo messa tempo fa nel forum Esercito, quindi per completamento l'aggiungo qui.
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da panorama » mer lug 10, 2013 10:01 am
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1) - il ricorrente fa presente di aver svolto il suo servizio nell’Esercito Italiano come militare di truppa in ferma volontaria fino a quando fu collocato in congedo ed inserito nella riserva.
2) - In data 4 novembre 2006 il ricorrente notificava al Ministero della Difesa una istanza-diffida per la sua riammissione in servizio ex art. 132 del D.P.R. 3/1957.
3) - Con il provvedimento impugnato il Ministero della Difesa ha negato il diritto del ricorrente alla richiesta riammissione in servizio.
4) - L’istanza di riammissione in servizio del ricorrente è stata respinta dall’Amministrazione della Difesa nella considerazione che non esiste nell’ordinamento una norma che consenta la riammissione in sevizio di un militare che si sia dimesso volontariamente e che l’art. 132 de T.U n. 3/1957 non è estensibile al personale militare.
IL TAR LAZIO precisa:
5) - la questione di costituzionalità della norma de qua è stata già sottoposta allo scrutinio della Corte Costituzionale, con riferimento al caso di riammissione in servizio di un Ufficiale dell’Esercito, con ordinanza T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12 maggio 2004 , n. 4315.
6) - La Corte, però, con sentenza n.430 del 25/11/2005, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ex art. 3 e 97 Cost. dell’art. 43 , comma 2, della L. del 10.04.1954 n. 113 (Stato degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente), rinvenendo la ratio della mancata previsione di riammissione in servizio “nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze Armate (la difesa dello Stato; l’operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte; il concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni; il soccorso in circostanza di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza: art. 1 della L. del 14.11.2000 n. 331)”. Particolare status connesso, quindi, ai compiti assegnati dalla Repubblica agli appartenenti alle Forze Armate in modo unitario, a tutti ed a ciascuno, senza distinzioni in grado, come si evince chiaramente dalla lettera della motivazione addotta.
7) - Manifestamente infondata è dunque l’eccezione di incostituzionalità formulata dal ricorrente.
Ricorso RESPINTO.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
09/07/2013 201306787 Sentenza 1B
N. 06787/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10127/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10127/2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Alfonso Olla, con domicilio eletto presso Fabrizio Gallo in Roma, via Calabria 17;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'accertamento del suo diritto alla
riammissione in servizio nell’Esercito Italiano
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il dott. Domenico Landi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto depositato il 7 novembre 2008, il Sig. OMISSIS ha proposto ricorso per l’accertamento del suo diritto alla riammissione in servizio nell’Esercito Italiano, previa declaratoria dell’illegittimità del silenzio inadempimento del Ministero della Difesa sulla sua istanza di riammissione in servizio.
Il ricorrente fa presente di aver svolto il suo servizio nell’Esercito Italiano come militare di truppa in ferma volontaria fino a quando fu collocato in congedo ed inserito nella riserva.
In data 4 novembre 2006 il ricorrente notificava al Ministero della Difesa una istanza-diffida per la sua riammissione in servizio ex art. 132 del D.P.R. 3/1957.
Con il provvedimento impugnato il Ministero della Difesa ha negato il diritto del ricorrente alla richiesta riammissione in servizio.
Con il presente atto il ricorrente contesta la legittimità del disposto diniego, sostenendo, in buona sostanza, che, mancando una specifica previsione normativa per i militari, dovrebbe essere applicata nel suo caso la normativa specifica per la riammissione in servizio prevista per l’Arma dei Carabinieri e per la Guardia di Finanza mediante l’applicazione dei principi costituzionali (art. 3 e 97 Costituzione) nonché attraverso l’interpretazione sistematica della normativa esistente per situazioni analoghe.
Solleva, infine, questione di legittimità costituzionale della normativa esistente che non consente al personale militare la riammissione in servizio.
L’Amministrazione intimata si è formalmente costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 26 marzo 2013 la causa è passata in decisione.
Il ricorso non si appalesa fondato.
L’istanza di riammissione in servizio del ricorrente è stata respinta dall’Amministrazione della Difesa nella considerazione che non esiste nell’ordinamento una norma che consenta la riammissione in sevizio di un militare che si sia dimesso volontariamente e che l’art. 132 de T.U n. 3/1957 non è estensibile al personale militare.
Detta norma dispone: “l’impiegato…cessato dal servizio per dimissioni…può essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di Amministrazione…l’impiegato riammesso è collocato nel ruolo e nella qualifica cui apparteneva al momento della cessazione del servizio, con decorrenza di anzianità nella qualifica stessa dalla data del provvedimento di riassunzione. La riammissione in servizio è subordinata alla vacanza del posto”.
Ed in relazione a tale formulazione, la motivazione del provvedimento impugnato si appalesa ineccepibile.
Esaminando la normativa vigente per il personale militare, si rileva tra l’altro, che lo stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate è regolato, infatti, da una disciplina speciale contenuta nella L. 31.07.1954 n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) con norme che, pertanto, derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato.
Dall’esame di tale speciale normativa, si evince che la riammissione in servizio è possibile esclusivamente per un caso particolare ed a determinate condizioni. Infatti, l’art. 31, comma 3 della stessa la prevede solo per “l’ipotesi di riacquisto della idoneità fisica al servizio militare incondizionato, a seguito di lesioni o infermità riportate o aggravate per causa di servizio, di guerra o attinente alla guerra”. La riammissione, in tal caso, è ammessa solo qualora, “alla data del relativo accertamento sanitario seguito dal giudizio positivo, non siano trascorsi più di due anni dalla cessazione del servizio permanente o dal collocamento in aspettativa seguito dalla cessazione dal servizio permanente”.
Inoltre, ad avviso del Collegio, è utile richiamare anche un’altra disciplina speciale, quella contenuta nel D. Lgs. del 12.05.1995 n. 198 (Decreto per il riordino dei ruolo nell’Arma dei Carabinieri) che, all’art. 8, dopo aver dettato precisi limiti di età per la riammissione in servizio degli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, chiarisce inoltre che “tali disposizioni non si applicano al personale comunque cessato dal servizio permanente”.
E’ evidente, dalla lettura delle norme sopra richiamate, che il principio generale della riammissione in servizio, posto per il rapporto di pubblico impiego dall’art. 132 del D.P.R. del 10.01.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono disciplinati da una normativa speciale.
Tale differente trattamento, che il personale militare riceve rispetto a quello delle altre Pubbliche Amministrazioni non è, ad avviso del Collegio, inficiato dal vizio di costituzionalità denunciato dal ricorrente.
Invero, la questione di costituzionalità della norma de qua è stata già sottoposta allo scrutinio della Corte Costituzionale, con riferimento al caso di riammissione in servizio di un Ufficiale dell’Esercito, con ordinanza T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12 maggio 2004 , n. 4315.
La Corte, però, con sentenza n.430 del 25/11/2005, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ex art. 3 e 97 Cost. dell’art. 43 , comma 2, della L. del 10.04.1954 n. 113 (Stato degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente), rinvenendo la ratio della mancata previsione di riammissione in servizio “nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze Armate (la difesa dello Stato; l’operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte; il concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni; il soccorso in circostanza di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza: art. 1 della L. del 14.11.2000 n. 331)”. Particolare status connesso, quindi, ai compiti assegnati dalla Repubblica agli appartenenti alle Forze Armate in modo unitario, a tutti ed a ciascuno, senza distinzioni in grado, come si evince chiaramente dalla lettera della motivazione addotta. La Suprema Corte ha inoltre statuito che “deve escludersi che la norma denunciata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della Pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a domanda, di una Amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni”.
Manifestamente infondata è dunque l’eccezione di incostituzionalità formulata dal ricorrente.
La risposta fornita dall’Amministrazione resistente all’odierno ricorrente è, pertanto, un atto dovuto non residuando in capo alla stessa alcun residuo margine di discrezionalità.
Questa, in definitiva, non poteva che negare la riammissione in servizio del ricorrente, stante la mancanza di una disposizione che preveda, per il personale militare comunque cessato dal servizio permanente a domanda, di essere riammesso nella detta posizione di stato.
Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato.
Sussistono valide ragioni per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti, attesa la particolare natura della controversia.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2013
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da panorama » mer lug 10, 2013 10:01 am
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1) - il ricorrente fa presente di aver svolto il suo servizio nell’Esercito Italiano come militare di truppa in ferma volontaria fino a quando fu collocato in congedo ed inserito nella riserva.
2) - In data 4 novembre 2006 il ricorrente notificava al Ministero della Difesa una istanza-diffida per la sua riammissione in servizio ex art. 132 del D.P.R. 3/1957.
3) - Con il provvedimento impugnato il Ministero della Difesa ha negato il diritto del ricorrente alla richiesta riammissione in servizio.
4) - L’istanza di riammissione in servizio del ricorrente è stata respinta dall’Amministrazione della Difesa nella considerazione che non esiste nell’ordinamento una norma che consenta la riammissione in sevizio di un militare che si sia dimesso volontariamente e che l’art. 132 de T.U n. 3/1957 non è estensibile al personale militare.
IL TAR LAZIO precisa:
5) - la questione di costituzionalità della norma de qua è stata già sottoposta allo scrutinio della Corte Costituzionale, con riferimento al caso di riammissione in servizio di un Ufficiale dell’Esercito, con ordinanza T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12 maggio 2004 , n. 4315.
6) - La Corte, però, con sentenza n.430 del 25/11/2005, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ex art. 3 e 97 Cost. dell’art. 43 , comma 2, della L. del 10.04.1954 n. 113 (Stato degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente), rinvenendo la ratio della mancata previsione di riammissione in servizio “nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze Armate (la difesa dello Stato; l’operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte; il concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni; il soccorso in circostanza di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza: art. 1 della L. del 14.11.2000 n. 331)”. Particolare status connesso, quindi, ai compiti assegnati dalla Repubblica agli appartenenti alle Forze Armate in modo unitario, a tutti ed a ciascuno, senza distinzioni in grado, come si evince chiaramente dalla lettera della motivazione addotta.
7) - Manifestamente infondata è dunque l’eccezione di incostituzionalità formulata dal ricorrente.
Ricorso RESPINTO.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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09/07/2013 201306787 Sentenza 1B
N. 06787/2013 REG.PROV.COLL.
N. 10127/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10127/2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Alfonso Olla, con domicilio eletto presso Fabrizio Gallo in Roma, via Calabria 17;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'accertamento del suo diritto alla
riammissione in servizio nell’Esercito Italiano
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 marzo 2013 il dott. Domenico Landi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto depositato il 7 novembre 2008, il Sig. OMISSIS ha proposto ricorso per l’accertamento del suo diritto alla riammissione in servizio nell’Esercito Italiano, previa declaratoria dell’illegittimità del silenzio inadempimento del Ministero della Difesa sulla sua istanza di riammissione in servizio.
Il ricorrente fa presente di aver svolto il suo servizio nell’Esercito Italiano come militare di truppa in ferma volontaria fino a quando fu collocato in congedo ed inserito nella riserva.
In data 4 novembre 2006 il ricorrente notificava al Ministero della Difesa una istanza-diffida per la sua riammissione in servizio ex art. 132 del D.P.R. 3/1957.
Con il provvedimento impugnato il Ministero della Difesa ha negato il diritto del ricorrente alla richiesta riammissione in servizio.
Con il presente atto il ricorrente contesta la legittimità del disposto diniego, sostenendo, in buona sostanza, che, mancando una specifica previsione normativa per i militari, dovrebbe essere applicata nel suo caso la normativa specifica per la riammissione in servizio prevista per l’Arma dei Carabinieri e per la Guardia di Finanza mediante l’applicazione dei principi costituzionali (art. 3 e 97 Costituzione) nonché attraverso l’interpretazione sistematica della normativa esistente per situazioni analoghe.
Solleva, infine, questione di legittimità costituzionale della normativa esistente che non consente al personale militare la riammissione in servizio.
L’Amministrazione intimata si è formalmente costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza del 26 marzo 2013 la causa è passata in decisione.
Il ricorso non si appalesa fondato.
L’istanza di riammissione in servizio del ricorrente è stata respinta dall’Amministrazione della Difesa nella considerazione che non esiste nell’ordinamento una norma che consenta la riammissione in sevizio di un militare che si sia dimesso volontariamente e che l’art. 132 de T.U n. 3/1957 non è estensibile al personale militare.
Detta norma dispone: “l’impiegato…cessato dal servizio per dimissioni…può essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di Amministrazione…l’impiegato riammesso è collocato nel ruolo e nella qualifica cui apparteneva al momento della cessazione del servizio, con decorrenza di anzianità nella qualifica stessa dalla data del provvedimento di riassunzione. La riammissione in servizio è subordinata alla vacanza del posto”.
Ed in relazione a tale formulazione, la motivazione del provvedimento impugnato si appalesa ineccepibile.
Esaminando la normativa vigente per il personale militare, si rileva tra l’altro, che lo stato giuridico dei sottufficiali delle Forze Armate è regolato, infatti, da una disciplina speciale contenuta nella L. 31.07.1954 n. 599 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) con norme che, pertanto, derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato.
Dall’esame di tale speciale normativa, si evince che la riammissione in servizio è possibile esclusivamente per un caso particolare ed a determinate condizioni. Infatti, l’art. 31, comma 3 della stessa la prevede solo per “l’ipotesi di riacquisto della idoneità fisica al servizio militare incondizionato, a seguito di lesioni o infermità riportate o aggravate per causa di servizio, di guerra o attinente alla guerra”. La riammissione, in tal caso, è ammessa solo qualora, “alla data del relativo accertamento sanitario seguito dal giudizio positivo, non siano trascorsi più di due anni dalla cessazione del servizio permanente o dal collocamento in aspettativa seguito dalla cessazione dal servizio permanente”.
Inoltre, ad avviso del Collegio, è utile richiamare anche un’altra disciplina speciale, quella contenuta nel D. Lgs. del 12.05.1995 n. 198 (Decreto per il riordino dei ruolo nell’Arma dei Carabinieri) che, all’art. 8, dopo aver dettato precisi limiti di età per la riammissione in servizio degli appartenenti all’Arma dei Carabinieri, chiarisce inoltre che “tali disposizioni non si applicano al personale comunque cessato dal servizio permanente”.
E’ evidente, dalla lettura delle norme sopra richiamate, che il principio generale della riammissione in servizio, posto per il rapporto di pubblico impiego dall’art. 132 del D.P.R. del 10.01.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono disciplinati da una normativa speciale.
Tale differente trattamento, che il personale militare riceve rispetto a quello delle altre Pubbliche Amministrazioni non è, ad avviso del Collegio, inficiato dal vizio di costituzionalità denunciato dal ricorrente.
Invero, la questione di costituzionalità della norma de qua è stata già sottoposta allo scrutinio della Corte Costituzionale, con riferimento al caso di riammissione in servizio di un Ufficiale dell’Esercito, con ordinanza T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 12 maggio 2004 , n. 4315.
La Corte, però, con sentenza n.430 del 25/11/2005, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale ex art. 3 e 97 Cost. dell’art. 43 , comma 2, della L. del 10.04.1954 n. 113 (Stato degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente), rinvenendo la ratio della mancata previsione di riammissione in servizio “nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze Armate (la difesa dello Stato; l’operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale ed alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l’Italia fa parte; il concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni; il soccorso in circostanza di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza: art. 1 della L. del 14.11.2000 n. 331)”. Particolare status connesso, quindi, ai compiti assegnati dalla Repubblica agli appartenenti alle Forze Armate in modo unitario, a tutti ed a ciascuno, senza distinzioni in grado, come si evince chiaramente dalla lettera della motivazione addotta. La Suprema Corte ha inoltre statuito che “deve escludersi che la norma denunciata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della Pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a domanda, di una Amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni”.
Manifestamente infondata è dunque l’eccezione di incostituzionalità formulata dal ricorrente.
La risposta fornita dall’Amministrazione resistente all’odierno ricorrente è, pertanto, un atto dovuto non residuando in capo alla stessa alcun residuo margine di discrezionalità.
Questa, in definitiva, non poteva che negare la riammissione in servizio del ricorrente, stante la mancanza di una disposizione che preveda, per il personale militare comunque cessato dal servizio permanente a domanda, di essere riammesso nella detta posizione di stato.
Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato.
Sussistono valide ragioni per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti, attesa la particolare natura della controversia.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
Francesco Riccio, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/07/2013
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Anche questa l'ho messa tempo fa nel forum PolPen poiché riguarda il loro personale. In questo caso però è stato Accolto, pertanto non resta che confrontare le leggi richiamate in questa ed in quelle negative del Ministero Difesa.
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da panorama » mer set 26, 2012 2:57 pm
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Speriamo bene che la ricorrente rientri a far parte del Corpo.
Auguri di cuore.
Il Tar Lazio ha precisato:
il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento già assunto dal Tribunale (cfr. sent. n. 3230/2012 e n. 7550/ 2012) e, pertanto, afferma che:
- il superamento del termine di cinque anni dalla cessazione dal servizio ed il superamento del 40° anno di età, posti a fondamento del gravato diniego, non sono contemplati dalle prescrizioni di legge che disciplinano la materia (in particolare, art. 42 d.lgs. 443/92 e art. 132 D.P.R. n. 3/1957) e, comunque, sono inidonei a comprovare ex se la perdita della professionalità della ricorrente;
- la riammissione in servizio è sì oggetto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione volta alla verifica del soddisfacimento dell’interesse pubblico con la copertura del posto vacante senza concorso ma l’insussistenza di tale interesse non può essere desunta automaticamente dalle circostanze ostative indicate nel provvedimento, bensì deve essere ricavata da una pluralità di elementi che connotano il caso concreto, quali, ad esempio, il periodo di tempo trascorso dalla cessazione del servizio, l’attività espletata medio tempore, la condotta del dipendente prima della cessazione o, ancora, l’idoneità fisica e/o psichica all’espletamento del servizio;
il resto potete leggerlo in sentenza.
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25/09/2012 201208073 Sentenza Breve 1Q
N. 08073/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06919/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 6919 del 2012, proposto da:
G. M., rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Gozzi, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Giovanni Bettolo n. 17;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento,
previa sospensione,
- del provvedimento prot. n. GDAP-0177201-2012 dell'8.5.2012, notificato il 12 giugno 2012, del Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con cui veniva rigettata la richiesta di riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria;
- del presupposto parere contrario alla riammissione in servizio della ricorrente reso dal Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia con nota prot. n. DGAP–0168644-2012 del 10 aprile 2012;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2012 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato, in fatto, che la ricorrente impugna il provvedimento dirigenziale prot. n. GDAP-0177201-2012 dell’8 maggio 2012, con cui il Ministero della Giustizia ha respinto l’istanza di riammissione in servizio avanzata dalla predetta;
Considerato, in diritto, che il ricorso è fondato;
Ritenuto, in particolare, che il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento già assunto dal Tribunale (cfr. sent. n. 3230/2012 e n. 7550/ 2012) e, pertanto, afferma che:
- il superamento del termine di cinque anni dalla cessazione dal servizio ed il superamento del 40° anno di età, posti a fondamento del gravato diniego, non sono contemplati dalle prescrizioni di legge che disciplinano la materia (in particolare, art. 42 d.lgs. 443/92 e art. 132 D.P.R. n. 3/1957) e, comunque, sono inidonei a comprovare ex se la perdita della professionalità della ricorrente;
- la riammissione in servizio è sì oggetto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione volta alla verifica del soddisfacimento dell’interesse pubblico con la copertura del posto vacante senza concorso ma l’insussistenza di tale interesse non può essere desunta automaticamente dalle circostanze ostative indicate nel provvedimento, bensì deve essere ricavata da una pluralità di elementi che connotano il caso concreto, quali, ad esempio, il periodo di tempo trascorso dalla cessazione del servizio, l’attività espletata medio tempore, la condotta del dipendente prima della cessazione o, ancora, l’idoneità fisica e/o psichica all’espletamento del servizio;
- ciò detto, l’iter motivazionale seguito dall’Amministrazione risulta illogico;
Ritenuto, in sintesi, che il ricorso va accolto, con salvezza degli ulteriori motivati provvedimenti che l’Amministrazione riterrà di adottare;
Ritenuto che – tenuto conto delle peculiarità giuridico-fattuali della vicenda oggetto di causa – sussistono valide ragioni per disporre, ai sensi degli artt. 26 d.lgs. 104/2010 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese di giudizio tra le parti;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6919/2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato ed il presupposto parere del Consiglio di Amministrazione, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2012 con l'intervento dei Magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2012
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da panorama » mer set 26, 2012 2:57 pm
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Speriamo bene che la ricorrente rientri a far parte del Corpo.
Auguri di cuore.
Il Tar Lazio ha precisato:
il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento già assunto dal Tribunale (cfr. sent. n. 3230/2012 e n. 7550/ 2012) e, pertanto, afferma che:
- il superamento del termine di cinque anni dalla cessazione dal servizio ed il superamento del 40° anno di età, posti a fondamento del gravato diniego, non sono contemplati dalle prescrizioni di legge che disciplinano la materia (in particolare, art. 42 d.lgs. 443/92 e art. 132 D.P.R. n. 3/1957) e, comunque, sono inidonei a comprovare ex se la perdita della professionalità della ricorrente;
- la riammissione in servizio è sì oggetto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione volta alla verifica del soddisfacimento dell’interesse pubblico con la copertura del posto vacante senza concorso ma l’insussistenza di tale interesse non può essere desunta automaticamente dalle circostanze ostative indicate nel provvedimento, bensì deve essere ricavata da una pluralità di elementi che connotano il caso concreto, quali, ad esempio, il periodo di tempo trascorso dalla cessazione del servizio, l’attività espletata medio tempore, la condotta del dipendente prima della cessazione o, ancora, l’idoneità fisica e/o psichica all’espletamento del servizio;
il resto potete leggerlo in sentenza.
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25/09/2012 201208073 Sentenza Breve 1Q
N. 08073/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06919/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 6919 del 2012, proposto da:
G. M., rappresentata e difesa dall'avv. Riccardo Gozzi, con domicilio eletto presso lo studio del difensore, situato in Roma, via Giovanni Bettolo n. 17;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per l'annullamento,
previa sospensione,
- del provvedimento prot. n. GDAP-0177201-2012 dell'8.5.2012, notificato il 12 giugno 2012, del Direttore Generale del Personale e della Formazione del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, con cui veniva rigettata la richiesta di riammissione in servizio nel Corpo di Polizia Penitenziaria;
- del presupposto parere contrario alla riammissione in servizio della ricorrente reso dal Consiglio di Amministrazione del Ministero della Giustizia con nota prot. n. DGAP–0168644-2012 del 10 aprile 2012;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2012 il Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato, in fatto, che la ricorrente impugna il provvedimento dirigenziale prot. n. GDAP-0177201-2012 dell’8 maggio 2012, con cui il Ministero della Giustizia ha respinto l’istanza di riammissione in servizio avanzata dalla predetta;
Considerato, in diritto, che il ricorso è fondato;
Ritenuto, in particolare, che il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento già assunto dal Tribunale (cfr. sent. n. 3230/2012 e n. 7550/ 2012) e, pertanto, afferma che:
- il superamento del termine di cinque anni dalla cessazione dal servizio ed il superamento del 40° anno di età, posti a fondamento del gravato diniego, non sono contemplati dalle prescrizioni di legge che disciplinano la materia (in particolare, art. 42 d.lgs. 443/92 e art. 132 D.P.R. n. 3/1957) e, comunque, sono inidonei a comprovare ex se la perdita della professionalità della ricorrente;
- la riammissione in servizio è sì oggetto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione volta alla verifica del soddisfacimento dell’interesse pubblico con la copertura del posto vacante senza concorso ma l’insussistenza di tale interesse non può essere desunta automaticamente dalle circostanze ostative indicate nel provvedimento, bensì deve essere ricavata da una pluralità di elementi che connotano il caso concreto, quali, ad esempio, il periodo di tempo trascorso dalla cessazione del servizio, l’attività espletata medio tempore, la condotta del dipendente prima della cessazione o, ancora, l’idoneità fisica e/o psichica all’espletamento del servizio;
- ciò detto, l’iter motivazionale seguito dall’Amministrazione risulta illogico;
Ritenuto, in sintesi, che il ricorso va accolto, con salvezza degli ulteriori motivati provvedimenti che l’Amministrazione riterrà di adottare;
Ritenuto che – tenuto conto delle peculiarità giuridico-fattuali della vicenda oggetto di causa – sussistono valide ragioni per disporre, ai sensi degli artt. 26 d.lgs. 104/2010 e 92 c.p.c., la compensazione delle spese di giudizio tra le parti;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6919/2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato ed il presupposto parere del Consiglio di Amministrazione, facendo comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 settembre 2012 con l'intervento dei Magistrati:
Elia Orciuolo, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Antonella Mangia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2012
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
1) - è stata rigettata l'istanza presentata in data 04/06/2013, volta ad ottenere la riammissione in servizio dello stesso, ai sensi dell'articolo 961 del Decreto Legislativo n. 66 del 15 marzo 2010;
2) - La pretesa dedotta in giudizio concerne l’istanza di riammissione del ricorrente, già appartenente (con le qualifiche che verranno meglio di seguito specificate) all’Arma dei Carabinieri, e posto in congedo, a richiesta, a far data dal 26 gennaio 2009.
Ricorso al Tar Palermo accolto.
Il resto leggetelo qui sotto.
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16/10/2013 201301893 Sentenza Breve 1
N. 01893/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01718/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1718 del 2013, proposto da:
A. P., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Impiduglia, con domicilio eletto presso il predetto difensore in Palermo, via Oberdan N.5;
contro
Ministero Della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi 81;
Per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia
- della nota prot. n. M_D GMIL …., datata 04/07/2013, del Ministero Della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare - I° Reparto 1^ Divisione 5^ Sezione, con la quale è stata rigettata l'istanza presentata dal sig. P. A. in data 04/06/2013, volta ad ottenere la riammissione in servizio dello stesso, ai sensi dell'articolo 961 del Decreto Legislativo n. 66 del 15 marzo 2010;
- della nota prot. n. M_D GMIL …. datata 02/08/2013, del Ministero Della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare- I° Reparto 1^ Divisione 5^ Sezione, con la quale è stata rigettata l'istanza presentata dall'odierno ricorrente e volta al ritiro in autotutela della summenzionata nota n. M_D GMIL …… datata 04/07/2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Della Difesa e di Comando Generale Dell'Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con ricorso notificato il 12 settembre 2013, e depositato il successivo 19 settembre, il sig. A. P. ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’amministrazione statale intimata, producendo documentazione ma senza svolgere difese scritte.
All’udienza camerale del 10 ottobre 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione sulla domanda cautelare.
Il Collegio ritiene di potere adottare la tipologia di provvedimento decisorio di cui all’art. 60 d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in ragione della ritualità delle modalità di instaurazione del contraddittorio e della completezza dello stesso, nonché della superfluità di ulteriore istruzione della causa (considerato che la controversia verte su unica questione di diritto, i cui presupposti fattuali sono documentati in atti) e comunque dell’assenza delle cause ostative previste dal citato art. 60.
2. La pretesa dedotta in giudizio concerne l’istanza di riammissione del ricorrente, già appartenente (con le qualifiche che verranno meglio di seguito specificate) all’Arma dei Carabinieri, e posto in congedo, a richiesta, a far data dal 26 gennaio 2009.
L’amministrazione ha respinto l’istanza di riammissione in servizio dell’odierno ricorrente per difetto dell’anzianità necessaria, prima del congedo, per il conseguimento della promozione a Carabiniere: requisito che a dire dell’amministrazione condizionerebbe l’assentibilità dell’istanza medesima.
Per una migliore intelligenza della questione va chiarito in fatto che l’odierno ricorrente:
dal 23 giugno 2003 al 13 gennaio 2006 ha prestato servizio quale Ufficiale (sottotenente, quindi tenente) dell’Arma dei Carabinieri, in qualità di ausiliario del ruolo speciale;
dal 2 ottobre 2008 al 12 febbraio 2009 ha partecipato, in qualità di vincitore del relativo concorso, al tredicesimo corso biennale per Allievi Marescialli nel ruolo Ispettori dell’Arma dei Carabinieri (cessandone a seguito dell’accoglimento dell’istanza di proscioglimento dalla ferma volontaria, presentata per gravi motivi familiari).
Successivamente, in data 4 giugno 2013, venute meno le ragioni che avevano determinato il proscioglimento, il OMISSIS presentava l’istanza di riammissione respinta con i provvedimenti impugnati (il secondo, reso in esito ad istanza di autotutela, meramente confermativo del primo); i quali, come accennato, sono motivati nel senso che “l’articolo 961 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 nel caso di specie non può trovare applicazione, in quanto al momento del proscioglimento la S.V. rivestiva il grado di Allievo Carabiniere Allievo Maresciallo, non avendo ancora maturato l’anzianità prevista per il conseguimento della promozione a Carabiniere, cui è subordinato il riconoscimento del beneficio previsto dalla disposizione di cui sopra”.
3. Sempre in via preliminare va chiarito che, sulla base delle risultanze in atti, appare incontestato fra le parti:
- che la riammissione del ricorrente non comporterebbe alcun aggravio economico per l’amministrazione, in ragione della previsione di spesa che lo riguarda fin dal 2008, a seguito dell’accesso al corso formativo;
- che il ricorrente, successivamente al proscioglimento dalla ferma, non è stato sostituito da altro candidato (onde non è interessata la vicenda della graduatoria scaturita dalla procedura concorsuale);
che il ricorso in esame non investe il profilo generale della individuazione dei requisiti per la riammissione, rispetto all’interpretazione di tali requisiti data dall’amministrazione: ma – in ragione del carattere dirimente della relativa censura - la ricognizione in fatto degli specifici requisiti in capo all’odierno ricorrente, all’esito del peculiare percorso di servizio del medesimo, e la qualificazione degli stessi agli specifici fini relativi alla valutazione dell’istanza di riammissione.
4. Con il secondo motivo di ricorso, la cui rilevanza appare al Collegio assorbente (in quanto direttamente inerente la pretesa sostanziale), il ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 961 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010. Violazione e falsa applicazione dell’art. 768 d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del bando di concorso, per titoli ed esami, per l’ammissione al 13° corso biennale (2008-2010) di 350 allievi marescialli del ruolo ispettori dell’Arma dei Carabinieri. Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta”.
La censura è fondata.
In disparte la legittimità o meno della tesi esegetica rappresentata nella richiamata motivazione del provvedimento impugnato (che non appare neppure oggetto di contestazione), in punto di individuazione dei requisiti per la riammissione ciò che appare dirimente è che tale motivazione appare viziata dai profili di illegittimità denunciati nel motivo in esame, relativi alla mancata considerazione dei peculiari profili fattuali della fattispecie.
Volendo, infatti, convenire sulla necessità del possesso del grado di Carabiniere ai fini della riammissione, l’amministrazione non ha tuttavia considerato che l’odierno ricorrente, ancor prima di partecipare alla procedura selettiva per allievi marescialli, e di accedere al relativo corso formativo, aveva ottenuto il grado di tenente.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 768 del d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66, nonché ai sensi dell’art. 20 del bando di concorso della richiamata procedura selettiva (decreto n. 180, versato in atti in stralcio), il OMISSIS, già ufficiale in ferma prefissata, accedeva ex lege al corso di allievo maresciallo con il grado di Carabiniere.
Poiché tale inquadramento discende direttamente da una previsione normativa, in presenza del richiamato – ed incontestato – presupposto fattuale (l’essere stato ufficiale in ferma prefissata), ne consegue che il positivo riscontro di tale circostanza non richiede l’esistenza – almeno in sede di valutazione del percorso di servizio ai fini della riammissione – di un previo provvedimento attributivo del grado da parte dell’amministrazione.
La ratio della disposizione in esame ha infatti riguardo alla perimetrazione dei requisiti per la riammissione da un punto di vista sostanziale, in termini di individuazione di una pregressa permanenza minima nell’Arma (tale da raggiungere almeno il periodo necessario per l’attribuzione del grado di Carabiniere).
L’incompleta considerazione fattuale della fattispecie dedotta, i cui elementi erano stati peraltro rappresentati sia in sede di istanza di riammissione che in sede di istanza di autotutela, ha del resto condotto l’amministrazione ad una applicazione dell’invocata disposizione non solo contraria al paradigma normativo regolante la fattispecie medesima, ma anche del tutto paradossale, e contraria alla lettera e allo spirito della disposizione in parola: in esito alla quale l’odierno ricorrente, che ha complessivamente prestato oltre trentacinque mesi di servizio nell’Arma dei Carabinieri (di cui oltre ventisette da ufficiale), e che ha dunque nell’Arma un percorso di servizio di gran lunga superiore a quello minimo richiesto per l’attribuzione del grado di Carabiniere, non si vede riconosciuto un grado inferiore a quello a lungo posseduto (e mai perduto, se non per congedo e proscioglimento a domanda).
E’ appena il caso di precisare che l’eventuale (ed erronea) mancata attribuzione formale al OMISSIS del grado di Carabiniere all’atto dell’inizio del corso di allievo maresciallo, come previsto dalla norma sopra indicata per gli ex ufficiali, non può ridondare ex post in danno del medesimo: non foss’altro perché, come si è accennato, tale attribuzione discende, in presenza dell’inequivoco presupposto fattuale qui riscontrato, direttamente dal dettato legislativo, e dunque la relativa produzione degli effetti non necessita – almeno ai fini che qui vengono in rilievo: trattandosi della mera ricognizione di uno status professionale, e non dell’attribuzione di un inquadramento - di un provvedimento dell’amministrazione avente natura costitutiva.
Diversamente opinando, a paradosso si aggiungerebbe paradosso: facendosi seguire ad una incompleta valutazione del percorso di servizio del ricorrente, l’attribuzione al medesimo del peso delle conseguenze di un errore della stessa amministrazione in sede di inquadramento all’atto del corso formativo.
Ne consegue che l’odierno ricorrente, avendo pacificamente diritto ab initio (fin dall’ammissione al corso per l’accesso al ruolo degli Ispettori dei Carabinieri) all’attribuzione del grado di Carabiniere, possiede il requisito sostanziale alla cui verifica la stessa amministrazione subordina la riammissione in servizio.
5. Il riscontro della fondatezza della censura sopra esaminata, nei sensi precisati, determina l’accoglimento della stessa e, assorbito quant’altro, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Sussistono le condizioni di legge, alla luce della peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giovanni Tulumello, Presidente FF, Estensore
Aurora Lento, Consigliere
Maria Cappellano, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/10/2013
2) - La pretesa dedotta in giudizio concerne l’istanza di riammissione del ricorrente, già appartenente (con le qualifiche che verranno meglio di seguito specificate) all’Arma dei Carabinieri, e posto in congedo, a richiesta, a far data dal 26 gennaio 2009.
Ricorso al Tar Palermo accolto.
Il resto leggetelo qui sotto.
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16/10/2013 201301893 Sentenza Breve 1
N. 01893/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01718/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1718 del 2013, proposto da:
A. P., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Impiduglia, con domicilio eletto presso il predetto difensore in Palermo, via Oberdan N.5;
contro
Ministero Della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliata in Palermo, via A. De Gasperi 81;
Per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia
- della nota prot. n. M_D GMIL …., datata 04/07/2013, del Ministero Della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare - I° Reparto 1^ Divisione 5^ Sezione, con la quale è stata rigettata l'istanza presentata dal sig. P. A. in data 04/06/2013, volta ad ottenere la riammissione in servizio dello stesso, ai sensi dell'articolo 961 del Decreto Legislativo n. 66 del 15 marzo 2010;
- della nota prot. n. M_D GMIL …. datata 02/08/2013, del Ministero Della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare- I° Reparto 1^ Divisione 5^ Sezione, con la quale è stata rigettata l'istanza presentata dall'odierno ricorrente e volta al ritiro in autotutela della summenzionata nota n. M_D GMIL …… datata 04/07/2013.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Della Difesa e di Comando Generale Dell'Arma dei Carabinieri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 il dott. Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con ricorso notificato il 12 settembre 2013, e depositato il successivo 19 settembre, il sig. A. P. ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.
Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’amministrazione statale intimata, producendo documentazione ma senza svolgere difese scritte.
All’udienza camerale del 10 ottobre 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione sulla domanda cautelare.
Il Collegio ritiene di potere adottare la tipologia di provvedimento decisorio di cui all’art. 60 d. lgs. 2 luglio 2010, n. 104, in ragione della ritualità delle modalità di instaurazione del contraddittorio e della completezza dello stesso, nonché della superfluità di ulteriore istruzione della causa (considerato che la controversia verte su unica questione di diritto, i cui presupposti fattuali sono documentati in atti) e comunque dell’assenza delle cause ostative previste dal citato art. 60.
2. La pretesa dedotta in giudizio concerne l’istanza di riammissione del ricorrente, già appartenente (con le qualifiche che verranno meglio di seguito specificate) all’Arma dei Carabinieri, e posto in congedo, a richiesta, a far data dal 26 gennaio 2009.
L’amministrazione ha respinto l’istanza di riammissione in servizio dell’odierno ricorrente per difetto dell’anzianità necessaria, prima del congedo, per il conseguimento della promozione a Carabiniere: requisito che a dire dell’amministrazione condizionerebbe l’assentibilità dell’istanza medesima.
Per una migliore intelligenza della questione va chiarito in fatto che l’odierno ricorrente:
dal 23 giugno 2003 al 13 gennaio 2006 ha prestato servizio quale Ufficiale (sottotenente, quindi tenente) dell’Arma dei Carabinieri, in qualità di ausiliario del ruolo speciale;
dal 2 ottobre 2008 al 12 febbraio 2009 ha partecipato, in qualità di vincitore del relativo concorso, al tredicesimo corso biennale per Allievi Marescialli nel ruolo Ispettori dell’Arma dei Carabinieri (cessandone a seguito dell’accoglimento dell’istanza di proscioglimento dalla ferma volontaria, presentata per gravi motivi familiari).
Successivamente, in data 4 giugno 2013, venute meno le ragioni che avevano determinato il proscioglimento, il OMISSIS presentava l’istanza di riammissione respinta con i provvedimenti impugnati (il secondo, reso in esito ad istanza di autotutela, meramente confermativo del primo); i quali, come accennato, sono motivati nel senso che “l’articolo 961 del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 nel caso di specie non può trovare applicazione, in quanto al momento del proscioglimento la S.V. rivestiva il grado di Allievo Carabiniere Allievo Maresciallo, non avendo ancora maturato l’anzianità prevista per il conseguimento della promozione a Carabiniere, cui è subordinato il riconoscimento del beneficio previsto dalla disposizione di cui sopra”.
3. Sempre in via preliminare va chiarito che, sulla base delle risultanze in atti, appare incontestato fra le parti:
- che la riammissione del ricorrente non comporterebbe alcun aggravio economico per l’amministrazione, in ragione della previsione di spesa che lo riguarda fin dal 2008, a seguito dell’accesso al corso formativo;
- che il ricorrente, successivamente al proscioglimento dalla ferma, non è stato sostituito da altro candidato (onde non è interessata la vicenda della graduatoria scaturita dalla procedura concorsuale);
che il ricorso in esame non investe il profilo generale della individuazione dei requisiti per la riammissione, rispetto all’interpretazione di tali requisiti data dall’amministrazione: ma – in ragione del carattere dirimente della relativa censura - la ricognizione in fatto degli specifici requisiti in capo all’odierno ricorrente, all’esito del peculiare percorso di servizio del medesimo, e la qualificazione degli stessi agli specifici fini relativi alla valutazione dell’istanza di riammissione.
4. Con il secondo motivo di ricorso, la cui rilevanza appare al Collegio assorbente (in quanto direttamente inerente la pretesa sostanziale), il ricorrente deduce “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 961 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010. Violazione e falsa applicazione dell’art. 768 d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66. Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del bando di concorso, per titoli ed esami, per l’ammissione al 13° corso biennale (2008-2010) di 350 allievi marescialli del ruolo ispettori dell’Arma dei Carabinieri. Eccesso di potere per travisamento dei fatti ed ingiustizia manifesta”.
La censura è fondata.
In disparte la legittimità o meno della tesi esegetica rappresentata nella richiamata motivazione del provvedimento impugnato (che non appare neppure oggetto di contestazione), in punto di individuazione dei requisiti per la riammissione ciò che appare dirimente è che tale motivazione appare viziata dai profili di illegittimità denunciati nel motivo in esame, relativi alla mancata considerazione dei peculiari profili fattuali della fattispecie.
Volendo, infatti, convenire sulla necessità del possesso del grado di Carabiniere ai fini della riammissione, l’amministrazione non ha tuttavia considerato che l’odierno ricorrente, ancor prima di partecipare alla procedura selettiva per allievi marescialli, e di accedere al relativo corso formativo, aveva ottenuto il grado di tenente.
Conseguentemente, ai sensi dell’art. 768 del d. lgs. 15 marzo 2010, n. 66, nonché ai sensi dell’art. 20 del bando di concorso della richiamata procedura selettiva (decreto n. 180, versato in atti in stralcio), il OMISSIS, già ufficiale in ferma prefissata, accedeva ex lege al corso di allievo maresciallo con il grado di Carabiniere.
Poiché tale inquadramento discende direttamente da una previsione normativa, in presenza del richiamato – ed incontestato – presupposto fattuale (l’essere stato ufficiale in ferma prefissata), ne consegue che il positivo riscontro di tale circostanza non richiede l’esistenza – almeno in sede di valutazione del percorso di servizio ai fini della riammissione – di un previo provvedimento attributivo del grado da parte dell’amministrazione.
La ratio della disposizione in esame ha infatti riguardo alla perimetrazione dei requisiti per la riammissione da un punto di vista sostanziale, in termini di individuazione di una pregressa permanenza minima nell’Arma (tale da raggiungere almeno il periodo necessario per l’attribuzione del grado di Carabiniere).
L’incompleta considerazione fattuale della fattispecie dedotta, i cui elementi erano stati peraltro rappresentati sia in sede di istanza di riammissione che in sede di istanza di autotutela, ha del resto condotto l’amministrazione ad una applicazione dell’invocata disposizione non solo contraria al paradigma normativo regolante la fattispecie medesima, ma anche del tutto paradossale, e contraria alla lettera e allo spirito della disposizione in parola: in esito alla quale l’odierno ricorrente, che ha complessivamente prestato oltre trentacinque mesi di servizio nell’Arma dei Carabinieri (di cui oltre ventisette da ufficiale), e che ha dunque nell’Arma un percorso di servizio di gran lunga superiore a quello minimo richiesto per l’attribuzione del grado di Carabiniere, non si vede riconosciuto un grado inferiore a quello a lungo posseduto (e mai perduto, se non per congedo e proscioglimento a domanda).
E’ appena il caso di precisare che l’eventuale (ed erronea) mancata attribuzione formale al OMISSIS del grado di Carabiniere all’atto dell’inizio del corso di allievo maresciallo, come previsto dalla norma sopra indicata per gli ex ufficiali, non può ridondare ex post in danno del medesimo: non foss’altro perché, come si è accennato, tale attribuzione discende, in presenza dell’inequivoco presupposto fattuale qui riscontrato, direttamente dal dettato legislativo, e dunque la relativa produzione degli effetti non necessita – almeno ai fini che qui vengono in rilievo: trattandosi della mera ricognizione di uno status professionale, e non dell’attribuzione di un inquadramento - di un provvedimento dell’amministrazione avente natura costitutiva.
Diversamente opinando, a paradosso si aggiungerebbe paradosso: facendosi seguire ad una incompleta valutazione del percorso di servizio del ricorrente, l’attribuzione al medesimo del peso delle conseguenze di un errore della stessa amministrazione in sede di inquadramento all’atto del corso formativo.
Ne consegue che l’odierno ricorrente, avendo pacificamente diritto ab initio (fin dall’ammissione al corso per l’accesso al ruolo degli Ispettori dei Carabinieri) all’attribuzione del grado di Carabiniere, possiede il requisito sostanziale alla cui verifica la stessa amministrazione subordina la riammissione in servizio.
5. Il riscontro della fondatezza della censura sopra esaminata, nei sensi precisati, determina l’accoglimento della stessa e, assorbito quant’altro, l’annullamento dei provvedimenti impugnati.
Sussistono le condizioni di legge, alla luce della peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giovanni Tulumello, Presidente FF, Estensore
Aurora Lento, Consigliere
Maria Cappellano, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/10/2013
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Per orientamento ecco cosa compete nei seguenti casi ed a stabilirlo è il C.d.S.
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1) - Il ricorrente è cessazione dal servizio permanente ed è stato collocato in congedo “nella categoria della riserva” ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 e 30 del D.Lgs. n. 196 del 1995 e dell’art. 29 della legge n. 599 del 1954.
2) - Facendo ricorso straordinario al PDR è stato annullato il provvedimento del M.D..
3) - In conseguenza di ciò il ricorrente ha chiesto al Ministero il reintegro tutti gli effetti in ruolo, ed il pagamento a titolo risarcitorio di tutte le spettanze economiche non percepite con i relativi interessi.
4) - il Ministero successivamente lo ammette in servizio per avvenuto superamento delle visite e provvede ai relativi conteggi dei conguagli.
5) - L’interessato non essendo stato soddisfatto, con il ricorso al CdS chiede la completa ottemperanza dell’ordine conseguente alla decisione di annullamento con il pagamento delle retribuzioni comprensive delle voci aggiuntive per scatti di anzianità e/o di grado aumenti salariali, ferie permessi ecc. ecc. e la piena reintegrazione sul piano della carriera.
Ricorso Accolto nei sensi e nei limiti che potete leggere qui sotto.
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10/03/2014 201401108 Sentenza 4
N. 01108/2014REG.PROV.COLL.
N. 05269/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5269 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Roma, via Sebino 32;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 52°Reggimento A.Ter "Torino"-Vercelli;
per l'ottemperanza
del Decreto del Presidente della Repubblica del 22/06/2012 - collocazione in congedo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS, per delega dell'Avv. OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con Decreto del Decreto del Presidente della Repubblica del 22/06/2012, è stato annullato su ricorso straordinario il provvedimento OMISSIS emesso dal Ministero della Difesa di cessazione dal servizio permanente del ricorrente e la sua collocazione in congedo “nella categoria della riserva” ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 e 30 del D.Lgs. n. 196 del 1995 e dell’art. 29 della legge n. 599 del 1954.
In conseguenza di ciò il ricorrente con lettera del 7 settembre 2012 ha chiesto al Ministero il reintegro tutti gli effetti in ruolo, ed il pagamento a titolo risarcitorio di tutte le spettanze economiche non percepite con i relativi interessi.
Non avendo ricevuto alcun seguito alla richiesta, con primo ricorso intestato al Tar del Lazio, il ricorrente ha insistito nelle sue richieste di pagamento delle predette retribuzioni.
In quella sede il Ministero depositava il prospetto dimostrativo del conguaglio delle somme spettanti alla luce del quale il ricorrente sarebbe creditore della somma di € …….. per sorte capitale.
L’appellante con il presente gravame chiede la completa ottemperanza dell’ordine conseguente alla decisione di annullamento con il pagamento delle retribuzioni comprensive delle voci aggiuntive per scatti di anzianità e/o di grado aumenti salariali, ferie permessi ecc. ecc. e la piena reintegrazione sul piano della carriera.
Si è costituito il Ministero depositando il provvedimento di ammissione servizio per avvenuto superamento delle visite e le copie dei conteggi dei conguagli.
Chiamata alla camera di consiglio, uditi i patrocinatori del ricorrente, il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.
L'appello è fondato nei limiti e nei sensi che seguono.
___ 1. Come esattamente ricordato dal ricorrente sussiste la competenza del Consiglio di Stato in materia di ottemperanza dei decreti decisori del ricorso straordinario ai sensi della lettera b) dell'articolo 112 comma 2º, come anche affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. nn. 9.10 del 6 maggio 2013).
__ 2. Quanto al merito del ricorso si osserva quanto segue.
___ 2.1. Come specificato al punto a) per il ricorrente il ristoro conseguente all’annullamento dovrebbe comportare la ricostruzione integrale della posizione giuridica legittimamente sacrificata incrementata delle ulteriori voci a titolo di scatti di anzianità e/o di grado, aumenti salariali, ferie e permessi non godute e di ogni altra voce reddituale non compresa della predetta somma, con interessi e rivalutazione Istat dalle singole scadenze mensili sino al soddisfo.
La domanda può essere accolta solo in parte la richiesta sub a) delle retribuzioni arretrate non corrisposte.
a.1. In primo luogo il Comando ha formalmente comunicato nella nota del 8.10.2013 di avere in corso il pagamento delle somme delle retribuzioni mensili comprensive di vacanza contrattuale, impiego operativo ed agg. della somma di € …….., per cui allo stato non si ritiene di dover provvedere al riguardo (ma sul punto vedi anche sub d).
a.2. Deve invece negarsi il diritto la corresponsione a tutti gli altri emolumenti, quali quelli per scatti di anzianità e/o di grado, per aumenti salariali, ferie e permessi non godute.
Si tratta di competenze che presuppongono necessariamente la sinallagmatica e, quindi, l’effettività della prestazione lavorativa che nel caso non stata comunque prestata (arg. ex . Cons. Stato Sez. IV 1 ottobre 2007 n. 5048; Cons. Stato Sez. III 25 giugno 2012 n. 3716).
___ 2. Analogamente non si ritiene, allo stato, di dover provvedere al riguardo della richiesta sub b) concernente l’avanzamento al grado superiore dato che nella nota di cui sopra è stato formalmente comunicato che il ricorrente è stato inserito nell’aliquota per il 2012 per Caporal Maggiore Scelto e nelle aliquote 2003 e 2008 per quello di Caporal Maggiore capo;
___ 3. Possono essere esaminate congiuntamente le richieste con cui il ricorrente chiede la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata integrale esecuzione del giudicato, ordinando il pagamento di una somma di danaro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del giudicato ai sensi dell'articolo 112 c.p.a. dal giorno della reintegra all'effettivo pagamento (di cui alla lettera c) ) e di condannare ex articolo 114 comma 4, lett. e) al pagamento di ogni somma di danaro per ogni violazione inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione determinarsi secondo giustizia ed equità (di cui alla lettera d) ).
La prima richiesta deve essere respinta in quanto deve darsi atto all’Amministrazione di non aver adottato alcun atteggiamento ostruzionistico o defatigatorio per cui non si ritiene al momento vi siano i presupposti per far luogo dell'articolo 112 c.p.a. .
Per quanto riguarda invece la seconda domanda ex articolo 114 comma 4, lett. e) del c.p.a. si ritiene che, nel caso di mancato effettivo pagamento delle somme in questione entro il termine di 90 gg. dalla notifica o dalla data di ricevimento della comunicazione in via amministrativa a cura della segreteria della presente sentenza, debba essere fissata, in via equitativa, la somma una tantum di € 5.000,00 per l’eventuale inosservanza nel termine dell’obbligo di adempimento derivante dal provvedimento esecutivo per cui è causa.
___ 4. In definitiva il ricorso deve essere in parte accolto nei sensi e nei limiti di cui sopra.
Le spese tuttavia possono essere allo stato essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie in parte il ricorso di cui in epigrafe nei sensi e nei limiti di cui motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
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1) - Il ricorrente è cessazione dal servizio permanente ed è stato collocato in congedo “nella categoria della riserva” ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 e 30 del D.Lgs. n. 196 del 1995 e dell’art. 29 della legge n. 599 del 1954.
2) - Facendo ricorso straordinario al PDR è stato annullato il provvedimento del M.D..
3) - In conseguenza di ciò il ricorrente ha chiesto al Ministero il reintegro tutti gli effetti in ruolo, ed il pagamento a titolo risarcitorio di tutte le spettanze economiche non percepite con i relativi interessi.
4) - il Ministero successivamente lo ammette in servizio per avvenuto superamento delle visite e provvede ai relativi conteggi dei conguagli.
5) - L’interessato non essendo stato soddisfatto, con il ricorso al CdS chiede la completa ottemperanza dell’ordine conseguente alla decisione di annullamento con il pagamento delle retribuzioni comprensive delle voci aggiuntive per scatti di anzianità e/o di grado aumenti salariali, ferie permessi ecc. ecc. e la piena reintegrazione sul piano della carriera.
Ricorso Accolto nei sensi e nei limiti che potete leggere qui sotto.
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10/03/2014 201401108 Sentenza 4
N. 01108/2014REG.PROV.COLL.
N. 05269/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5269 del 2013, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. OMISSIS, con domicilio eletto presso OMISSIS in Roma, via Sebino 32;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 52°Reggimento A.Ter "Torino"-Vercelli;
per l'ottemperanza
del Decreto del Presidente della Repubblica del 22/06/2012 - collocazione in congedo.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati OMISSIS, per delega dell'Avv. OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con Decreto del Decreto del Presidente della Repubblica del 22/06/2012, è stato annullato su ricorso straordinario il provvedimento OMISSIS emesso dal Ministero della Difesa di cessazione dal servizio permanente del ricorrente e la sua collocazione in congedo “nella categoria della riserva” ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 e 30 del D.Lgs. n. 196 del 1995 e dell’art. 29 della legge n. 599 del 1954.
In conseguenza di ciò il ricorrente con lettera del 7 settembre 2012 ha chiesto al Ministero il reintegro tutti gli effetti in ruolo, ed il pagamento a titolo risarcitorio di tutte le spettanze economiche non percepite con i relativi interessi.
Non avendo ricevuto alcun seguito alla richiesta, con primo ricorso intestato al Tar del Lazio, il ricorrente ha insistito nelle sue richieste di pagamento delle predette retribuzioni.
In quella sede il Ministero depositava il prospetto dimostrativo del conguaglio delle somme spettanti alla luce del quale il ricorrente sarebbe creditore della somma di € …….. per sorte capitale.
L’appellante con il presente gravame chiede la completa ottemperanza dell’ordine conseguente alla decisione di annullamento con il pagamento delle retribuzioni comprensive delle voci aggiuntive per scatti di anzianità e/o di grado aumenti salariali, ferie permessi ecc. ecc. e la piena reintegrazione sul piano della carriera.
Si è costituito il Ministero depositando il provvedimento di ammissione servizio per avvenuto superamento delle visite e le copie dei conteggi dei conguagli.
Chiamata alla camera di consiglio, uditi i patrocinatori del ricorrente, il ricorso è stato trattenuto in decisione dal Collegio.
L'appello è fondato nei limiti e nei sensi che seguono.
___ 1. Come esattamente ricordato dal ricorrente sussiste la competenza del Consiglio di Stato in materia di ottemperanza dei decreti decisori del ricorso straordinario ai sensi della lettera b) dell'articolo 112 comma 2º, come anche affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. nn. 9.10 del 6 maggio 2013).
__ 2. Quanto al merito del ricorso si osserva quanto segue.
___ 2.1. Come specificato al punto a) per il ricorrente il ristoro conseguente all’annullamento dovrebbe comportare la ricostruzione integrale della posizione giuridica legittimamente sacrificata incrementata delle ulteriori voci a titolo di scatti di anzianità e/o di grado, aumenti salariali, ferie e permessi non godute e di ogni altra voce reddituale non compresa della predetta somma, con interessi e rivalutazione Istat dalle singole scadenze mensili sino al soddisfo.
La domanda può essere accolta solo in parte la richiesta sub a) delle retribuzioni arretrate non corrisposte.
a.1. In primo luogo il Comando ha formalmente comunicato nella nota del 8.10.2013 di avere in corso il pagamento delle somme delle retribuzioni mensili comprensive di vacanza contrattuale, impiego operativo ed agg. della somma di € …….., per cui allo stato non si ritiene di dover provvedere al riguardo (ma sul punto vedi anche sub d).
a.2. Deve invece negarsi il diritto la corresponsione a tutti gli altri emolumenti, quali quelli per scatti di anzianità e/o di grado, per aumenti salariali, ferie e permessi non godute.
Si tratta di competenze che presuppongono necessariamente la sinallagmatica e, quindi, l’effettività della prestazione lavorativa che nel caso non stata comunque prestata (arg. ex . Cons. Stato Sez. IV 1 ottobre 2007 n. 5048; Cons. Stato Sez. III 25 giugno 2012 n. 3716).
___ 2. Analogamente non si ritiene, allo stato, di dover provvedere al riguardo della richiesta sub b) concernente l’avanzamento al grado superiore dato che nella nota di cui sopra è stato formalmente comunicato che il ricorrente è stato inserito nell’aliquota per il 2012 per Caporal Maggiore Scelto e nelle aliquote 2003 e 2008 per quello di Caporal Maggiore capo;
___ 3. Possono essere esaminate congiuntamente le richieste con cui il ricorrente chiede la condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata integrale esecuzione del giudicato, ordinando il pagamento di una somma di danaro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del giudicato ai sensi dell'articolo 112 c.p.a. dal giorno della reintegra all'effettivo pagamento (di cui alla lettera c) ) e di condannare ex articolo 114 comma 4, lett. e) al pagamento di ogni somma di danaro per ogni violazione inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione determinarsi secondo giustizia ed equità (di cui alla lettera d) ).
La prima richiesta deve essere respinta in quanto deve darsi atto all’Amministrazione di non aver adottato alcun atteggiamento ostruzionistico o defatigatorio per cui non si ritiene al momento vi siano i presupposti per far luogo dell'articolo 112 c.p.a. .
Per quanto riguarda invece la seconda domanda ex articolo 114 comma 4, lett. e) del c.p.a. si ritiene che, nel caso di mancato effettivo pagamento delle somme in questione entro il termine di 90 gg. dalla notifica o dalla data di ricevimento della comunicazione in via amministrativa a cura della segreteria della presente sentenza, debba essere fissata, in via equitativa, la somma una tantum di € 5.000,00 per l’eventuale inosservanza nel termine dell’obbligo di adempimento derivante dal provvedimento esecutivo per cui è causa.
___ 4. In definitiva il ricorso deve essere in parte accolto nei sensi e nei limiti di cui sopra.
Le spese tuttavia possono essere allo stato essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie in parte il ricorso di cui in epigrafe nei sensi e nei limiti di cui motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
diniego dell’istanza di riammissione in servizio.
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Il Tenente di Vascello di complemento del Corpo Sanitario della Marina Militare, con istanza del 17.09.2009, ha presentato domanda di cessazione dal servizio permanente, poi accolta dalla Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa.
Successivamente, il ricorrente, con istanza del 20.08.2010, ha chiesto di essere riammesso in servizio permanente effettivo, in qualità di Ufficiale Medico del Corpo Sanitario Militare Marittimo, con disponibilità immediata.
La Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con foglio del 10.02.2011, ha rigettato la suddetta istanza.
Per completezza leggete il tutto qui sotto per comprendere le motivazioni.
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10/04/2014 201300613 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 08/01/2014
Numero 01188/2014 e data 10/04/2014
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 8 gennaio 2014
NUMERO AFFARE 00613/2013
OGGETTO:
Ministero della Difesa.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto, previa sospensiva, dal Tenente di vascello di complemento T. R. avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di riammissione in servizio.
LA SEZIONE
Vista la relazione con la quale il Ministero della Difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario indicato in oggetto;
esaminati gli atti ed udito il relatore-estensore, consigliere Nicolò Pollari;
ritenuto quanto riferito dall’Amministrazione nella menzionata relazione;
PREMESSO:
Il Tenente di Vascello di complemento del Corpo Sanitario della Marina Militare T. R., con istanza del 17.09.2009, ha presentato domanda di cessazione dal servizio permanente, poi accolta dalla Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa.
Successivamente, il ricorrente, con istanza del 20.08.2010, ha chiesto di essere riammesso in servizio permanente effettivo, in qualità di Ufficiale Medico del Corpo Sanitario Militare Marittimo, con disponibilità immediata.
La Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con foglio n. M_D ….. del 10.02.2011, ha rigettato la suddetta istanza, con la seguente motivazione:
“(…) sia il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 recante “codice dell’ordinamento militare”, entrato in vigore il 9 ottobre 2010, che la normativa vigente al momento della proposizione della domanda (legge 10 aprile 1954, n. 113 e decreto legislativo 30 dicembre 1997, n. 490), non contemplano la possibilità di riammissione in servizio permanente degli ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’amministrazione difesa”.
Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, deducendo, in particolare, i seguenti motivi di diritto:
1. Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza, errore e/o falsità dei presupposti, carenza di motivazione;
2. Illegittimità per violazione e/o falsa applicazione:
dell’art. 43, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113, nella parte in cui non contempla che l’Amministrazione della Difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo;
dell’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, laddove disciplina l’istituto della riammissione in servizio dei dipendenti civili dello Stato;
del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
Il ricorrente fa presente, in particolare, che “(…) l'art. 43, co. 2, della L. n. 113/1954 (normativa sul rapporto di impiego degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente, attualmente recepita nel Codice dell'ordinamento militare di cui al D. Lgs. n. 66/2010, entrato in vigore il 29 ottobre 2010), disciplinando la cessazione volontaria dell'Ufficiale dal servizio permanente, non “contempla'’ che l'Amministrazione della Difesa possa procedere alla riammissione in servizio di detto personale collocato in congedo, ma neppure nega tale facoltà. Tale articolo non fa menzione dell'istituto della riammissione in servizio e non detta un'autonoma disciplina in proposito. Se si considerasse l'art. 43, co. 2 della L. n. 113/1954, come fondato su di una presunzione di assoluta irreversibilità della situazione nascente dal congedo, su base volontaria dell'ufficiale, esso parrebbe privo di razionalità, in quanto priverebbe l'Amministrazione della Difesa della possibilità di valutare, in sintonia col prevalente interesse pubblico affidato alla sua tutela, se riammettere o meno tra i suoi ranghi l'Ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo. Se la norma fosse così interpretata contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto non consentirebbe la riammissione neppure nei casi in cui quest'ultima fosse suscettibile di soddisfare esigenze permanenti ed istituzionali. L'interpretazione resa dall’amministrazione appare dunque oltre che irrazionale ed illogica, irragionevole ed erronea sui presupposti giuridici. (…) L'istituto della riammissione in servizio del pubblico dipendente, disciplinata dall'art. 132 del D.P.R. n. 3/1957, è espressione di un principio generale dei rapporti di pubblico impiego, applicabile, in quanto tale, anche ai rapporti di impiego degli Ufficiali della Marina”.
Il Ministero riferente, nel ritenere che il ricorso sia infondato, precisa che il ricorrente, proprio in virtù della cessazione a domanda, con collocamento nella posizione del complemento dal 17 settembre 2009, disposta ai sensi dell’art. 43, comma 2, della legge n. 113/1954 e dell’art. 35 del decreto legislativo n. 490/1997, non può essere destinatario di riammissione nel servizio permanente effettivo, in quanto tale possibilità non è assolutamente contemplata.
Sull’impossibilità giuridica della riammissione nel rapporto di impiego militare, si è già espressa la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 430 del 25 novembre 2005, emessa nel giudizio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 (articolo poi trasfuso nel codice dell’ordinamento militare), nella parte in cui non prevede che l’Amministrazione della Difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente. In tale pronuncia, la Consulta, nel dichiarare manifestamente infondata la questione, rileva come detta mancata previsione rinvenga la propria ratio nel particolare status dell’Ufficiale in servizio permanente, e come non sia consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative, riconoscendo al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione della carriera degli Ufficiali.
Parimenti, l’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, risulta inapplicabile al caso di specie. Infatti, l’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche”), afferma che il personale in regime di diritto pubblico (fra cui il personale militare) rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, il che esclude un’applicabilità automatica del citato articolo 132 inserito nel “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, in quanto norma contemplata per gli impiegati civili dello Stato.
Il ricorrente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 1199/1971, ha depositato direttamente copia del ricorso in oggetto presso il Consiglio di Stato.
Questa Sezione, con parere interlocutorio n. 613/2013, reso nell’Adunanza del 10 aprile 2013, ha invitato l’Amministrazione a trasmettere il ricorso in originale con i relativi atti, nonché la relazione dell’Amministrazione, con la massima possibile sollecitudine, tenuto conto dei termini fissati per l’istruttoria dall’art. 11, comma 1, del citato d.P.R. n. 1199/1971.
CONSIDERATO:
Il ricorso è infondato.
L’art. 42, comma 1, della Legge 10 aprile 1954, n. 113 (Stato degli Ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) espressamente prevede che “L’ufficiale che cessa dal servizio permanente, qualora abbia prestato almeno venticinque anni di servizio effettivo ovvero rivesta il grado di colonnello o grado corrispondente, è collocato nella riserva o in congedo assoluto a seconda dell’idoneità”.
Correlativamente, il comma 2 del medesimo articolo precisa che “L’ufficiale che non si trovi nelle condizioni di cui al comma 1 ha egualmente diritto alla cessazione dal servizio permanente, sempre che abbia adempiuto agli obblighi delle ferme ordinarie o speciali eventualmente contratte. In tal caso è collocato nella categoria degli ufficiali di complemento o della riserva di complemento a seconda dell’età”.
Appare ictu oculi evidente che la normativa sul rapporto di impiego degli ufficiali delle Forze armate in servizio permanente, nel regolare la cessazione dal servizio permanente a domanda dell’interessato, ignora del tutto l’istituto della riammissione in servizio, nel senso che non detta un’autonoma disciplina né contiene, in proposito, norme di rinvio a quella vigente per il personale civile dello Stato.
Tuttavia, così come precisato dalla Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 430 del 25 novembre 2005, emessa nel giudizio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113, la mancata previsione di questa possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate.
Deve escludersi, pertanto, che la norma - l’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 - sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un’amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni.
Risulta altresì inapplicabile al caso di specie l’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
L’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), invero, espressamente prevede che “In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Come correttamente affermato dalla stessa Amministrazione, nella propria relazione, pertanto, il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
P.Q.M.
la Sezione esprime il parere che il ricorso sia respinto, in quanto infondato, con assorbimento della sospensiva.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicolo' Pollari Gerardo Mastrandrea
IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
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Il Tenente di Vascello di complemento del Corpo Sanitario della Marina Militare, con istanza del 17.09.2009, ha presentato domanda di cessazione dal servizio permanente, poi accolta dalla Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa.
Successivamente, il ricorrente, con istanza del 20.08.2010, ha chiesto di essere riammesso in servizio permanente effettivo, in qualità di Ufficiale Medico del Corpo Sanitario Militare Marittimo, con disponibilità immediata.
La Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con foglio del 10.02.2011, ha rigettato la suddetta istanza.
Per completezza leggete il tutto qui sotto per comprendere le motivazioni.
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10/04/2014 201300613 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 08/01/2014
Numero 01188/2014 e data 10/04/2014
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 8 gennaio 2014
NUMERO AFFARE 00613/2013
OGGETTO:
Ministero della Difesa.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto, previa sospensiva, dal Tenente di vascello di complemento T. R. avverso il provvedimento di diniego dell’istanza di riammissione in servizio.
LA SEZIONE
Vista la relazione con la quale il Ministero della Difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario indicato in oggetto;
esaminati gli atti ed udito il relatore-estensore, consigliere Nicolò Pollari;
ritenuto quanto riferito dall’Amministrazione nella menzionata relazione;
PREMESSO:
Il Tenente di Vascello di complemento del Corpo Sanitario della Marina Militare T. R., con istanza del 17.09.2009, ha presentato domanda di cessazione dal servizio permanente, poi accolta dalla Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa.
Successivamente, il ricorrente, con istanza del 20.08.2010, ha chiesto di essere riammesso in servizio permanente effettivo, in qualità di Ufficiale Medico del Corpo Sanitario Militare Marittimo, con disponibilità immediata.
La Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della Difesa, con foglio n. M_D ….. del 10.02.2011, ha rigettato la suddetta istanza, con la seguente motivazione:
“(…) sia il decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 recante “codice dell’ordinamento militare”, entrato in vigore il 9 ottobre 2010, che la normativa vigente al momento della proposizione della domanda (legge 10 aprile 1954, n. 113 e decreto legislativo 30 dicembre 1997, n. 490), non contemplano la possibilità di riammissione in servizio permanente degli ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’amministrazione difesa”.
Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, deducendo, in particolare, i seguenti motivi di diritto:
1. Eccesso di potere per arbitrarietà, illogicità, irragionevolezza, errore e/o falsità dei presupposti, carenza di motivazione;
2. Illegittimità per violazione e/o falsa applicazione:
dell’art. 43, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113, nella parte in cui non contempla che l’Amministrazione della Difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo;
dell’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, laddove disciplina l’istituto della riammissione in servizio dei dipendenti civili dello Stato;
del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.
Il ricorrente fa presente, in particolare, che “(…) l'art. 43, co. 2, della L. n. 113/1954 (normativa sul rapporto di impiego degli Ufficiali delle Forze Armate in servizio permanente, attualmente recepita nel Codice dell'ordinamento militare di cui al D. Lgs. n. 66/2010, entrato in vigore il 29 ottobre 2010), disciplinando la cessazione volontaria dell'Ufficiale dal servizio permanente, non “contempla'’ che l'Amministrazione della Difesa possa procedere alla riammissione in servizio di detto personale collocato in congedo, ma neppure nega tale facoltà. Tale articolo non fa menzione dell'istituto della riammissione in servizio e non detta un'autonoma disciplina in proposito. Se si considerasse l'art. 43, co. 2 della L. n. 113/1954, come fondato su di una presunzione di assoluta irreversibilità della situazione nascente dal congedo, su base volontaria dell'ufficiale, esso parrebbe privo di razionalità, in quanto priverebbe l'Amministrazione della Difesa della possibilità di valutare, in sintonia col prevalente interesse pubblico affidato alla sua tutela, se riammettere o meno tra i suoi ranghi l'Ufficiale cessato dal servizio permanente effettivo. Se la norma fosse così interpretata contrasterebbe con il principio di buon andamento della pubblica Amministrazione, di cui all’art. 97 della Costituzione, in quanto non consentirebbe la riammissione neppure nei casi in cui quest'ultima fosse suscettibile di soddisfare esigenze permanenti ed istituzionali. L'interpretazione resa dall’amministrazione appare dunque oltre che irrazionale ed illogica, irragionevole ed erronea sui presupposti giuridici. (…) L'istituto della riammissione in servizio del pubblico dipendente, disciplinata dall'art. 132 del D.P.R. n. 3/1957, è espressione di un principio generale dei rapporti di pubblico impiego, applicabile, in quanto tale, anche ai rapporti di impiego degli Ufficiali della Marina”.
Il Ministero riferente, nel ritenere che il ricorso sia infondato, precisa che il ricorrente, proprio in virtù della cessazione a domanda, con collocamento nella posizione del complemento dal 17 settembre 2009, disposta ai sensi dell’art. 43, comma 2, della legge n. 113/1954 e dell’art. 35 del decreto legislativo n. 490/1997, non può essere destinatario di riammissione nel servizio permanente effettivo, in quanto tale possibilità non è assolutamente contemplata.
Sull’impossibilità giuridica della riammissione nel rapporto di impiego militare, si è già espressa la Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 430 del 25 novembre 2005, emessa nel giudizio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 (articolo poi trasfuso nel codice dell’ordinamento militare), nella parte in cui non prevede che l’Amministrazione della Difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente. In tale pronuncia, la Consulta, nel dichiarare manifestamente infondata la questione, rileva come detta mancata previsione rinvenga la propria ratio nel particolare status dell’Ufficiale in servizio permanente, e come non sia consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative, riconoscendo al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione della carriera degli Ufficiali.
Parimenti, l’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, risulta inapplicabile al caso di specie. Infatti, l’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni Pubbliche”), afferma che il personale in regime di diritto pubblico (fra cui il personale militare) rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, il che esclude un’applicabilità automatica del citato articolo 132 inserito nel “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, in quanto norma contemplata per gli impiegati civili dello Stato.
Il ricorrente, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.P.R. n. 1199/1971, ha depositato direttamente copia del ricorso in oggetto presso il Consiglio di Stato.
Questa Sezione, con parere interlocutorio n. 613/2013, reso nell’Adunanza del 10 aprile 2013, ha invitato l’Amministrazione a trasmettere il ricorso in originale con i relativi atti, nonché la relazione dell’Amministrazione, con la massima possibile sollecitudine, tenuto conto dei termini fissati per l’istruttoria dall’art. 11, comma 1, del citato d.P.R. n. 1199/1971.
CONSIDERATO:
Il ricorso è infondato.
L’art. 42, comma 1, della Legge 10 aprile 1954, n. 113 (Stato degli Ufficiali dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica) espressamente prevede che “L’ufficiale che cessa dal servizio permanente, qualora abbia prestato almeno venticinque anni di servizio effettivo ovvero rivesta il grado di colonnello o grado corrispondente, è collocato nella riserva o in congedo assoluto a seconda dell’idoneità”.
Correlativamente, il comma 2 del medesimo articolo precisa che “L’ufficiale che non si trovi nelle condizioni di cui al comma 1 ha egualmente diritto alla cessazione dal servizio permanente, sempre che abbia adempiuto agli obblighi delle ferme ordinarie o speciali eventualmente contratte. In tal caso è collocato nella categoria degli ufficiali di complemento o della riserva di complemento a seconda dell’età”.
Appare ictu oculi evidente che la normativa sul rapporto di impiego degli ufficiali delle Forze armate in servizio permanente, nel regolare la cessazione dal servizio permanente a domanda dell’interessato, ignora del tutto l’istituto della riammissione in servizio, nel senso che non detta un’autonoma disciplina né contiene, in proposito, norme di rinvio a quella vigente per il personale civile dello Stato.
Tuttavia, così come precisato dalla Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 430 del 25 novembre 2005, emessa nel giudizio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113, la mancata previsione di questa possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate.
Deve escludersi, pertanto, che la norma - l’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 - sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un’amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni.
Risulta altresì inapplicabile al caso di specie l’art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
L’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), invero, espressamente prevede che “In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Come correttamente affermato dalla stessa Amministrazione, nella propria relazione, pertanto, il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.
P.Q.M.
la Sezione esprime il parere che il ricorso sia respinto, in quanto infondato, con assorbimento della sospensiva.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F/F
Nicolo' Pollari Gerardo Mastrandrea
IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Il CdS accoglie l'appello del Ministero della Difesa.
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riammissione nel servizio permanente con conservazione dell'anzianità posseduta.
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1) - in generale, ha sostenuto il Ministero, non è richiamabile nell’impiego militare il principio della generale possibilità di riammissione in servizio, previsto per il personale civile dello Stato dall’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3.
il CdS precisa:
2) - Il Collegio osserva che l’ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201703330
- Public 2017-07-06 -
Pubblicato il 06/07/2017
N. 03330/2017REG.PROV.COLL.
N. 07961/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7961 del 2016, proposto da Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
F. P., rappresentato e difeso dagli avvocati Osvaldo Pietricola, Francesco Pietricola, Alba Giordano ed Umberto Verdacchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alba Giordano in Roma, via Muzio Clementi, n. 58;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio – Sezione staccata di Latina - Sezione I n. 503 del 28 luglio 2016, resa tra le parti, concernente riammissione nel servizio permanente con conservazione dell'anzianità posseduta.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di F. P.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Verdacchi e Giordano e l’avvocato dello Stato Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor F. P., premesso di avere prestato servizio nel Corpo delle Capitanerie di Porto come capo di 2^ classe in servizio permanente effettivo sino al 16 giugno 2009, data in cui aveva chiesto il collocamento in congedo per gravi motivi familiari, ha impugnato in prime cure il provvedimento prot. n. GMIL-II-5.3-2012/0085731 del 1 marzo 2012 con cui il Ministero della difesa ha rigettato la sua istanza dell’11 gennaio 2012 di riammissione in servizio permanente con conservazione dell’anzianità, sostenendo che non vi sarebbe alcuna norma dell’ordinamento militare che consenta la riammissione in servizio di personale cessato dal servizio permanente.
2. L’adito T.a.r. ha accolto il ricorso, osservando che “la motivazione del provvedimento impugnato si esaurisce … in una pura enunciazione della assenza di una disposizione nel codice militare … che ammetta la riassunzione in servizio permanente dopo il collocamento a riposo”: tuttavia tale assunto, ad avviso del Tribunale, “non appare convincente, posto che l’art. 986 del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 248 (in vigore dal 9 ottobre 2010), al comma 3, prevede espressamente che: <<il richiamo a domanda: ….b) con assegni ha luogo con decreto ministeriale previa adesione del Ministro dell’economia e Finanze>>”.
3. Il Ministero ha interposto appello, osservando che il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 non prevede la riammissione in servizio permanente dopo il collocamento in congedo e che l’art. 986 citato dal Tribunale attiene alla diversa fattispecie del richiamo in servizio temporaneo del personale militare appartenente ad alcune categorie in congedo; più in generale, ha sostenuto il Ministero, non è richiamabile nell’impiego militare il principio della generale possibilità di riammissione in servizio, previsto per il personale civile dello Stato dall’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3.
4. Costituitosi l’appellato, il ricorso, rinviato al merito su accordo delle parti, è stato discusso alla pubblica udienza del 25 maggio 2017.
5. Il ricorso merita accoglimento.
6. Il Collegio osserva che l’ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso.
7. L’art. 986 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 valorizzato dal Giudice di prime cure, per vero, prevedeva, nel testo vigente alla data dell’emanazione del gravato provvedimento, il mero richiamo temporaneo in servizio, fattispecie ictu oculi ben diversa dall’anelata riammissione in servizio permanente tout court.
8. In seguito, l’art. 4, comma 1, lett. cc) del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 248 ha espunto l’aggettivo “temporaneo” dal corpo della disposizione (in particolare, dal comma 4).
9. L’esposta modifica normativa, comunque inapplicabile nella presente vicenda ratione temporis, non ha, tuttavia, mutato il carattere e le conseguenze del provvedimento di richiamo in servizio: il personale richiamato, infatti, permane, in costanza di richiamo, nello stato giuridico di congedo.
9.1. Ciò si desume dal disposto dell’art. 982 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (disposizione significativamente posta in apertura della Sezione I - “Disposizioni generali” del Capo VII – “Personale in congedo” del Titolo V – “Stato giuridico e impiego” del Libro IV – “Personale militare ”), ai sensi del quale “il militare in congedo, richiamato o trattenuto, è soggetto alle leggi e alle disposizioni vigenti per il personale in servizio permanente, in quanto applicabili. Il militare in congedo è in ogni caso soggetto alle disposizioni di stato riflettenti il grado, la disciplina e il controllo della forza in congedo”.
9.2. L’applicazione delle “leggi e delle disposizioni vigenti per il personale in servizio permanente” è, dunque, disposta “nei limiti della compatibilità”, evidentemente da riferirsi allo stato giuridico di congedo in cui erano e permangono gli interessati.
9.3. Del resto, la disposizione in parola prosegue stabilendo, al secondo comma, che il militare in congedo è sottoposto alle “disposizioni di stato riflettenti il grado, la disciplina e il controllo della forza in congedo … in ogni caso”, ossia – non può che concludersi – anche in costanza di richiamo.
9.4. In definitiva, il richiamo non immuta lo stato giuridico del personale interessato e, in particolare, non determina la riacquisizione dello stato giuridico di servizio permanente.
9.5. Si tratta, quindi, con ogni evidenza, di fattispecie ben diversa da quella, per vero non prevista dalla legge, anelata dal sig. P.., il quale aspira, a mezzo della richiesta “riammissione”, ad ottenere la definitiva reviviscenza dell’originario rapporto d’impiego ed a riacquisire lo stato di servizio permanente.
10. Non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato (cfr., ex multis, Cons. Giust. Amm. Sic., 16 febbraio 2011, n. 135; v. anche Corte Cost., 25 novembre 2005, n. 430, che ha confermato la legittimità costituzionale di tale esclusione): le norme dell’ordinamento militare, infatti, “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune” (così la richiamata pronuncia del Giudice d’appello per la Sicilia).
11. Né vale il riferimento agli articoli 961 e 935-bis d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, recanti norme prima facie eccezionali, come tali insuscettibili di interpretazione analogica.
12. Inconferente, altresì, il richiamo all’art. 795 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, in quanto disposizione che si limita a dettare le modalità operative e concrete della “riammissione in ruolo” di militari in precedenza cessati e che, pertanto, non ha autonoma portata innovativa in punto di an di siffatta “riammissione in ruolo” (fattispecie, oltretutto, non solo lessicalmente diversa dall’anelata “riammissione in servizio”).
13. Né, infine, hanno pregio le censure assorbite in primo grado: da un lato il carattere assolutamente vincolato dell’impugnato diniego rende irrilevante l’omissione della comunicazione del preavviso di rigetto, dall’altro l’Amministrazione non doveva svolgere alcuna particolare istruttoria, non essendo necessaria alcuna acquisizione di conoscenze fattuali, né, tanto meno, era tenuta a confezionare una motivazione che andasse oltre la rappresentazione dell’impossibilità giuridica dell’ottenimento di quanto anelato con l’istanza. Di converso, l’assunto silenzio mantenuto dal Ministero in ordine a due pregresse richieste del ricorrente (rinvio della frequenza del corso “I.MRS” alla sessione successiva e collocamento in aspettativa, in ambedue i casi per gravi motivi familiari) è, in questa sede ed ai fini coltivati con il ricorso di primo grado, del tutto irrilevante.
14. Possono, comunque, compensarsi le spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del rilievo dei sottesi interessi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso proposto in primo grado dal signor F. P..
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
IL SEGRETARIO
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riammissione nel servizio permanente con conservazione dell'anzianità posseduta.
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1) - in generale, ha sostenuto il Ministero, non è richiamabile nell’impiego militare il principio della generale possibilità di riammissione in servizio, previsto per il personale civile dello Stato dall’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3.
il CdS precisa:
2) - Il Collegio osserva che l’ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201703330
- Public 2017-07-06 -
Pubblicato il 06/07/2017
N. 03330/2017REG.PROV.COLL.
N. 07961/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7961 del 2016, proposto da Ministero della difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
contro
F. P., rappresentato e difeso dagli avvocati Osvaldo Pietricola, Francesco Pietricola, Alba Giordano ed Umberto Verdacchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alba Giordano in Roma, via Muzio Clementi, n. 58;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio – Sezione staccata di Latina - Sezione I n. 503 del 28 luglio 2016, resa tra le parti, concernente riammissione nel servizio permanente con conservazione dell'anzianità posseduta.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di F. P.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il consigliere Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Verdacchi e Giordano e l’avvocato dello Stato Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor F. P., premesso di avere prestato servizio nel Corpo delle Capitanerie di Porto come capo di 2^ classe in servizio permanente effettivo sino al 16 giugno 2009, data in cui aveva chiesto il collocamento in congedo per gravi motivi familiari, ha impugnato in prime cure il provvedimento prot. n. GMIL-II-5.3-2012/0085731 del 1 marzo 2012 con cui il Ministero della difesa ha rigettato la sua istanza dell’11 gennaio 2012 di riammissione in servizio permanente con conservazione dell’anzianità, sostenendo che non vi sarebbe alcuna norma dell’ordinamento militare che consenta la riammissione in servizio di personale cessato dal servizio permanente.
2. L’adito T.a.r. ha accolto il ricorso, osservando che “la motivazione del provvedimento impugnato si esaurisce … in una pura enunciazione della assenza di una disposizione nel codice militare … che ammetta la riassunzione in servizio permanente dopo il collocamento a riposo”: tuttavia tale assunto, ad avviso del Tribunale, “non appare convincente, posto che l’art. 986 del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 248 (in vigore dal 9 ottobre 2010), al comma 3, prevede espressamente che: <<il richiamo a domanda: ….b) con assegni ha luogo con decreto ministeriale previa adesione del Ministro dell’economia e Finanze>>”.
3. Il Ministero ha interposto appello, osservando che il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 non prevede la riammissione in servizio permanente dopo il collocamento in congedo e che l’art. 986 citato dal Tribunale attiene alla diversa fattispecie del richiamo in servizio temporaneo del personale militare appartenente ad alcune categorie in congedo; più in generale, ha sostenuto il Ministero, non è richiamabile nell’impiego militare il principio della generale possibilità di riammissione in servizio, previsto per il personale civile dello Stato dall’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3.
4. Costituitosi l’appellato, il ricorso, rinviato al merito su accordo delle parti, è stato discusso alla pubblica udienza del 25 maggio 2017.
5. Il ricorso merita accoglimento.
6. Il Collegio osserva che l’ordinamento militare non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso.
7. L’art. 986 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 valorizzato dal Giudice di prime cure, per vero, prevedeva, nel testo vigente alla data dell’emanazione del gravato provvedimento, il mero richiamo temporaneo in servizio, fattispecie ictu oculi ben diversa dall’anelata riammissione in servizio permanente tout court.
8. In seguito, l’art. 4, comma 1, lett. cc) del d.lgs. 31 dicembre 2012, n. 248 ha espunto l’aggettivo “temporaneo” dal corpo della disposizione (in particolare, dal comma 4).
9. L’esposta modifica normativa, comunque inapplicabile nella presente vicenda ratione temporis, non ha, tuttavia, mutato il carattere e le conseguenze del provvedimento di richiamo in servizio: il personale richiamato, infatti, permane, in costanza di richiamo, nello stato giuridico di congedo.
9.1. Ciò si desume dal disposto dell’art. 982 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (disposizione significativamente posta in apertura della Sezione I - “Disposizioni generali” del Capo VII – “Personale in congedo” del Titolo V – “Stato giuridico e impiego” del Libro IV – “Personale militare ”), ai sensi del quale “il militare in congedo, richiamato o trattenuto, è soggetto alle leggi e alle disposizioni vigenti per il personale in servizio permanente, in quanto applicabili. Il militare in congedo è in ogni caso soggetto alle disposizioni di stato riflettenti il grado, la disciplina e il controllo della forza in congedo”.
9.2. L’applicazione delle “leggi e delle disposizioni vigenti per il personale in servizio permanente” è, dunque, disposta “nei limiti della compatibilità”, evidentemente da riferirsi allo stato giuridico di congedo in cui erano e permangono gli interessati.
9.3. Del resto, la disposizione in parola prosegue stabilendo, al secondo comma, che il militare in congedo è sottoposto alle “disposizioni di stato riflettenti il grado, la disciplina e il controllo della forza in congedo … in ogni caso”, ossia – non può che concludersi – anche in costanza di richiamo.
9.4. In definitiva, il richiamo non immuta lo stato giuridico del personale interessato e, in particolare, non determina la riacquisizione dello stato giuridico di servizio permanente.
9.5. Si tratta, quindi, con ogni evidenza, di fattispecie ben diversa da quella, per vero non prevista dalla legge, anelata dal sig. P.., il quale aspira, a mezzo della richiesta “riammissione”, ad ottenere la definitiva reviviscenza dell’originario rapporto d’impiego ed a riacquisire lo stato di servizio permanente.
10. Non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato (cfr., ex multis, Cons. Giust. Amm. Sic., 16 febbraio 2011, n. 135; v. anche Corte Cost., 25 novembre 2005, n. 430, che ha confermato la legittimità costituzionale di tale esclusione): le norme dell’ordinamento militare, infatti, “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune” (così la richiamata pronuncia del Giudice d’appello per la Sicilia).
11. Né vale il riferimento agli articoli 961 e 935-bis d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, recanti norme prima facie eccezionali, come tali insuscettibili di interpretazione analogica.
12. Inconferente, altresì, il richiamo all’art. 795 d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, in quanto disposizione che si limita a dettare le modalità operative e concrete della “riammissione in ruolo” di militari in precedenza cessati e che, pertanto, non ha autonoma portata innovativa in punto di an di siffatta “riammissione in ruolo” (fattispecie, oltretutto, non solo lessicalmente diversa dall’anelata “riammissione in servizio”).
13. Né, infine, hanno pregio le censure assorbite in primo grado: da un lato il carattere assolutamente vincolato dell’impugnato diniego rende irrilevante l’omissione della comunicazione del preavviso di rigetto, dall’altro l’Amministrazione non doveva svolgere alcuna particolare istruttoria, non essendo necessaria alcuna acquisizione di conoscenze fattuali, né, tanto meno, era tenuta a confezionare una motivazione che andasse oltre la rappresentazione dell’impossibilità giuridica dell’ottenimento di quanto anelato con l’istanza. Di converso, l’assunto silenzio mantenuto dal Ministero in ordine a due pregresse richieste del ricorrente (rinvio della frequenza del corso “I.MRS” alla sessione successiva e collocamento in aspettativa, in ambedue i casi per gravi motivi familiari) è, in questa sede ed ai fini coltivati con il ricorso di primo grado, del tutto irrilevante.
14. Possono, comunque, compensarsi le spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del rilievo dei sottesi interessi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in totale riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso proposto in primo grado dal signor F. P..
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Oberdan Forlenza, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
IL SEGRETARIO
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Fa seguito alla sentenza da me qui postata il 16/12/2013.
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Capitano dell’Arma dei Carabinieri.
1) - Il Ministero della difesa si è costituito con memoria, valorizzando l’intervento della Corte che ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità e opponendo l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957.
Qui sotto alcuni brani.
Il CdS precisa:
2) - Ritiene il Collegio che, ad onta di quanto opinato dall’appellante, la pronuncia della Corte è estensibile a tutte le Forze Armate, ivi compresa l’Arma dei Carabinieri (elevata al rango di quarta “Forza Armata” ai sensi dell’art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78), essendo comuni le esigenze di continuità del servizio astrattamente idonee a giustificare l’esclusione dell’istituto della riammissione in servizio e che la stessa Corte ha riconnesso al “particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate”.
3) - Ne consegue che non è suscettibile di applicazione al caso di specie la norma, invocata dall’appellante, dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente - come detto - speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento.
4) - Sulla stessa linea interpretativa si pone la menzionata pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui .........
5) - Tale orientamento è stato confermato di recente da questa Sezione, essendosi appunto rilevato che “non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. sentenza, n. 330 del 6 luglio 2017).
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201801960
- Public 2018-03-28 -
Pubblicato il 28/03/2018
N. 01960/2018 REG. PROV. COLL.
N. 02766/2014 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2766 del 2014, proposto dal signor G.. Aurelio, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Antonelli ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Gondar n. 22, presso il suo studio;
contro
Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sez. I bis, n. 10758 del 12.12.2013, resa inter partes, concernente diniego riammissione in servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Vista la memoria difensiva dell’appellato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2018 il Cons. Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Antonelli e l’avv.to dello Stato Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor Aurelio G.., Capitano dell’Arma dei Carabinieri, ha impugnato, avanti il T.a.r. per il Lazio – Roma, sez. I bis, il provvedimento del 27.01.2006, col quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo la cessazione del servizio a decorrere dal mese di gennaio 2005 e contestuale collocamento nel corrispondente ruolo degli Ufficiali di complemento dell’Arma dei Carabinieri, respingeva la sua istanza, del 28.09.2005, con la quale chiedeva di essere riammesso in servizio in applicazione del principio di cui all’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957 e comunque di vedere revocate le dimissioni non essendo ancora intervenuto il d.P.R. di cessazione dal servizio permanente.
2. Il signor G.., nel quadro di un unico complesso motivo di censura, ha lamentato l’illegittimità di tale decisione, in quanto la mera accettazione delle dimissioni – fintantochè non sia stato emesso il decreto presidenziale richiesto dall’art. 33, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – non determina la cessazione del servizio in grado di precludere la revoca delle dimissioni; comunque, nella dichiarata consapevolezza della mancanza di una norma che contempli la riammissione in servizio a domanda nel micro ordinamento di settore - del quale se ne lamenta pertanto la illegittimità costituzionale - ha invocato l’applicazione del citato art. 132 del testo unico per il pubblico impiego, in quanto espressivo di un principio generale del quale sarebbe esplicazione l’art. 39 del d.lgs. n. 69/2001, che consente la riammissione in servizio per gli ufficiali della Guardia di Finanza.
3. Costituitasi l'amministrazione erariale, il T.a.r. ha rigettato il ricorso con compensazione delle spese di giudizio.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “l’atto in questione non rientra tra quelli indicati dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13, che riporta l’elencazione tassativa degli atti da adottare con Decreto del capo dello Stato” e che i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina di riferimento vanno sopiti “dovendosi [invece] riconoscere al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali” e pertanto “la diversità di disciplina prevista per diverse tipologie non si pone in contrasto con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza”.
5. Avverso tale pronuncia il signor G.. ha interposto appello, lamentando, da un lato, la omessa considerazione dell’art. 33 della legge 113/1954, laddove prevede che il provvedimento di cessazione del servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, e, dall’altro, che l’impugnato diniego è intervenuto dopo la presa di conoscenza da parte dell’amministrazione della revoca delle dimissioni con l’istanza del 28 settembre 2005 di riammissione in servizio e quindi prima che si sia prodotto l’effetto estintivo del rapporto.
5.1. L’appellante ha ulteriormente dedotto che il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 430 del 25 novembre 2005) nonché una del Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia (n. 135 del 16 febbraio 2011) da ritenere entrambe inconferenti, deponendo la normativa di riferimento (individuata nella legge n. 113/1954, art. 33) nel senso della necessità del decreto presidenziale ai fini dell’adozione del provvedimento di cessazione dal servizio. L’appellante ha evidenziato che non sarebbero riferibili alla presente controversia le conclusioni della Corte Costituzionale di cui alla menzionata sentenza n. 430 in quanto “formulate con riferimento all’applicabilità dell’istituto agli Ufficiali dell’Esercito, e che contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, non sono estensibili alle altre Forze Armate”.
6. Il Ministero della difesa si è costituito con memoria, valorizzando l’intervento della Corte che ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità e opponendo l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
9. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, non merita accoglimento.
9.1. Preliminarmente il Collegio rileva che il nucleo delle deduzioni sollevate dall’appellante, come evidenziato nello stesso atto di gravame (pag. 9), “si incentra […] sull’ammissibilità della revoca delle dimissioni antecedentemente al decreto del Presidente del Presidente della Repubblica e sulla necessità dell’emanazione di detto decreto”. L’appellante infatti ritiene che, stante la necessità della predetta veste formale, l’istanza di riammissione in servizio, oltre che di revoca delle dimissioni precedentemente rese, sarebbe intervenuta prima che si fosse consolidata la cessazione dal servizio, con la conseguente inapplicabilità della norma di cui all’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – articolo oggi trasfuso nell’ordinamento militare – nella parte in cui non prevede che l’amministrazione della difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente. Assume quindi carattere dirimente quanto articolato dall’appellante circa la mancanza della veste formale del decreto presidenziale, dovendosi ritenere tale questione preliminare ed assorbente rispetto a quella, di carattere sostanziale, della pretesa disparità di trattamento.
9.2. La disamina del rilievo non può prescindere dall’esatto tenore testuale della disciplina di riferimento.
L’art. 33 invocato dal ricorrente effettivamente prevede che “Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica. Se il provvedimento è disposto a domanda, ne è fatta menzione nel decreto”. Tale statuizione normativa, che peraltro è stata abrogata dal codice dell’amministrazione militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66), deve ritenersi superata dalla legge n. 13 del 1991, che, come rilevato dal Tribunale, individua gli atti che richiedono la veste del decreto del Presidente della Repubblica attraverso la loro tassativa elencazione che non contempla il provvedimento di cessazione dal servizio. La prevalenza della disciplina di cui alla legge n. 13 del 1991 si deve sia al criterio cronologico, essendo intervenuta successivamente alla legge n. 113 del 1954, sia al criterio di specialità, riferendosi esattamente agli atti del capo dello Stato la cui competenza si assume nel caso di specie pretermessa.
9.3. Le critiche sollevate dall’appellante in ordine alla legittimità costituzionale della disciplina su richiamata, al di là della loro effettiva potenziale refluenza sulla legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, vanno a loro volta disattese, in considerazione della ridetta pronuncia della Corte delle leggi (n. 430 del 2005) che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’istanza “di riammissione in servizio di un ex tenente dell’Esercito”, in quanto “non è consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative (sentenza n. 5 del 2000) - deve escludersi che la norma denunciata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un'amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l'impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni; che, del resto, questa Corte (ordinanza n. 10 del 2002) ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione , la questione di legittimità costituzionale dell' art. 211, primo comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui preclude la riammissione in magistratura al magistrato cessato dal servizio a sua domanda, osservando che la norma, riflettendo la peculiarità di status dei magistrati, è disposizione speciale che non si presta ad essere messa in utile raffronto con norme generali”.
Ritiene il Collegio che, ad onta di quanto opinato dall’appellante, la pronuncia della Corte è estensibile a tutte le Forze Armate, ivi compresa l’Arma dei Carabinieri (elevata al rango di quarta “Forza Armata” ai sensi dell’art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78), essendo comuni le esigenze di continuità del servizio astrattamente idonee a giustificare l’esclusione dell’istituto della riammissione in servizio e che la stessa Corte ha riconnesso al “particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate”.
Ne consegue che non è suscettibile di applicazione al caso di specie la norma, invocata dall’appellante, dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente - come detto - speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento. Sulla stessa linea interpretativa si pone la menzionata pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui “il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall'art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale”.
Del resto, l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche") espressamente prevede che “In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Ne consegue che “il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. Cons. Stato, Adunanza Sez. II, n. 1188 del 10 aprile 2014).
Tale orientamento è stato confermato di recente da questa Sezione, essendosi appunto rilevato che “non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. sentenza, n. 330 del 6 luglio 2017).
8. Conclusivamente, l'appello è infondato e deve essere respinto.
9. Possono, comunque, compensarsi le spese del presente grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del rilievo dei sottesi interessi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 2766/2014), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Giovanni Sabbato, , Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato Filippo Patroni Griffi
IL SEGRETARIO
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Capitano dell’Arma dei Carabinieri.
1) - Il Ministero della difesa si è costituito con memoria, valorizzando l’intervento della Corte che ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità e opponendo l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957.
Qui sotto alcuni brani.
Il CdS precisa:
2) - Ritiene il Collegio che, ad onta di quanto opinato dall’appellante, la pronuncia della Corte è estensibile a tutte le Forze Armate, ivi compresa l’Arma dei Carabinieri (elevata al rango di quarta “Forza Armata” ai sensi dell’art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78), essendo comuni le esigenze di continuità del servizio astrattamente idonee a giustificare l’esclusione dell’istituto della riammissione in servizio e che la stessa Corte ha riconnesso al “particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate”.
3) - Ne consegue che non è suscettibile di applicazione al caso di specie la norma, invocata dall’appellante, dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente - come detto - speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento.
4) - Sulla stessa linea interpretativa si pone la menzionata pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui .........
5) - Tale orientamento è stato confermato di recente da questa Sezione, essendosi appunto rilevato che “non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. sentenza, n. 330 del 6 luglio 2017).
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201801960
- Public 2018-03-28 -
Pubblicato il 28/03/2018
N. 01960/2018 REG. PROV. COLL.
N. 02766/2014 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2766 del 2014, proposto dal signor G.. Aurelio, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Antonelli ed elettivamente domiciliato in Roma, piazza Gondar n. 22, presso il suo studio;
contro
Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sez. I bis, n. 10758 del 12.12.2013, resa inter partes, concernente diniego riammissione in servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Vista la memoria difensiva dell’appellato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2018 il Cons. Giovanni Sabbato e uditi, per le parti rispettivamente rappresentate, l’avvocato Antonelli e l’avv.to dello Stato Palatiello;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor Aurelio G.., Capitano dell’Arma dei Carabinieri, ha impugnato, avanti il T.a.r. per il Lazio – Roma, sez. I bis, il provvedimento del 27.01.2006, col quale il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, dopo la cessazione del servizio a decorrere dal mese di gennaio 2005 e contestuale collocamento nel corrispondente ruolo degli Ufficiali di complemento dell’Arma dei Carabinieri, respingeva la sua istanza, del 28.09.2005, con la quale chiedeva di essere riammesso in servizio in applicazione del principio di cui all’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957 e comunque di vedere revocate le dimissioni non essendo ancora intervenuto il d.P.R. di cessazione dal servizio permanente.
2. Il signor G.., nel quadro di un unico complesso motivo di censura, ha lamentato l’illegittimità di tale decisione, in quanto la mera accettazione delle dimissioni – fintantochè non sia stato emesso il decreto presidenziale richiesto dall’art. 33, secondo comma, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – non determina la cessazione del servizio in grado di precludere la revoca delle dimissioni; comunque, nella dichiarata consapevolezza della mancanza di una norma che contempli la riammissione in servizio a domanda nel micro ordinamento di settore - del quale se ne lamenta pertanto la illegittimità costituzionale - ha invocato l’applicazione del citato art. 132 del testo unico per il pubblico impiego, in quanto espressivo di un principio generale del quale sarebbe esplicazione l’art. 39 del d.lgs. n. 69/2001, che consente la riammissione in servizio per gli ufficiali della Guardia di Finanza.
3. Costituitasi l'amministrazione erariale, il T.a.r. ha rigettato il ricorso con compensazione delle spese di giudizio.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che “l’atto in questione non rientra tra quelli indicati dalla legge 12 gennaio 1991, n. 13, che riporta l’elencazione tassativa degli atti da adottare con Decreto del capo dello Stato” e che i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina di riferimento vanno sopiti “dovendosi [invece] riconoscere al legislatore ordinario un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali” e pertanto “la diversità di disciplina prevista per diverse tipologie non si pone in contrasto con il principio di uguaglianza e di ragionevolezza”.
5. Avverso tale pronuncia il signor G.. ha interposto appello, lamentando, da un lato, la omessa considerazione dell’art. 33 della legge 113/1954, laddove prevede che il provvedimento di cessazione del servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica, e, dall’altro, che l’impugnato diniego è intervenuto dopo la presa di conoscenza da parte dell’amministrazione della revoca delle dimissioni con l’istanza del 28 settembre 2005 di riammissione in servizio e quindi prima che si sia prodotto l’effetto estintivo del rapporto.
5.1. L’appellante ha ulteriormente dedotto che il Tribunale ha posto a fondamento della sua decisione una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 430 del 25 novembre 2005) nonché una del Cons. Giust. Amm. Regione Sicilia (n. 135 del 16 febbraio 2011) da ritenere entrambe inconferenti, deponendo la normativa di riferimento (individuata nella legge n. 113/1954, art. 33) nel senso della necessità del decreto presidenziale ai fini dell’adozione del provvedimento di cessazione dal servizio. L’appellante ha evidenziato che non sarebbero riferibili alla presente controversia le conclusioni della Corte Costituzionale di cui alla menzionata sentenza n. 430 in quanto “formulate con riferimento all’applicabilità dell’istituto agli Ufficiali dell’Esercito, e che contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, non sono estensibili alle altre Forze Armate”.
6. Il Ministero della difesa si è costituito con memoria, valorizzando l’intervento della Corte che ha dichiarato infondata la prospettata questione di costituzionalità e opponendo l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti non hanno svolto difese scritte.
9. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2018, non merita accoglimento.
9.1. Preliminarmente il Collegio rileva che il nucleo delle deduzioni sollevate dall’appellante, come evidenziato nello stesso atto di gravame (pag. 9), “si incentra […] sull’ammissibilità della revoca delle dimissioni antecedentemente al decreto del Presidente del Presidente della Repubblica e sulla necessità dell’emanazione di detto decreto”. L’appellante infatti ritiene che, stante la necessità della predetta veste formale, l’istanza di riammissione in servizio, oltre che di revoca delle dimissioni precedentemente rese, sarebbe intervenuta prima che si fosse consolidata la cessazione dal servizio, con la conseguente inapplicabilità della norma di cui all’art. 43, comma 2, della legge 10 aprile 1954, n. 113 – articolo oggi trasfuso nell’ordinamento militare – nella parte in cui non prevede che l’amministrazione della difesa possa riassumere in servizio l’Ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente. Assume quindi carattere dirimente quanto articolato dall’appellante circa la mancanza della veste formale del decreto presidenziale, dovendosi ritenere tale questione preliminare ed assorbente rispetto a quella, di carattere sostanziale, della pretesa disparità di trattamento.
9.2. La disamina del rilievo non può prescindere dall’esatto tenore testuale della disciplina di riferimento.
L’art. 33 invocato dal ricorrente effettivamente prevede che “Il provvedimento di cessazione dal servizio permanente è adottato con decreto del Presidente della Repubblica. Se il provvedimento è disposto a domanda, ne è fatta menzione nel decreto”. Tale statuizione normativa, che peraltro è stata abrogata dal codice dell’amministrazione militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66), deve ritenersi superata dalla legge n. 13 del 1991, che, come rilevato dal Tribunale, individua gli atti che richiedono la veste del decreto del Presidente della Repubblica attraverso la loro tassativa elencazione che non contempla il provvedimento di cessazione dal servizio. La prevalenza della disciplina di cui alla legge n. 13 del 1991 si deve sia al criterio cronologico, essendo intervenuta successivamente alla legge n. 113 del 1954, sia al criterio di specialità, riferendosi esattamente agli atti del capo dello Stato la cui competenza si assume nel caso di specie pretermessa.
9.3. Le critiche sollevate dall’appellante in ordine alla legittimità costituzionale della disciplina su richiamata, al di là della loro effettiva potenziale refluenza sulla legittimità del provvedimento impugnato in prime cure, vanno a loro volta disattese, in considerazione della ridetta pronuncia della Corte delle leggi (n. 430 del 2005) che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’istanza “di riammissione in servizio di un ex tenente dell’Esercito”, in quanto “non è consentito al controllo di costituzionalità di travalicare nel merito delle opzioni legislative (sentenza n. 5 del 2000) - deve escludersi che la norma denunciata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, tenuto conto che al legislatore ordinario spetta un'ampia discrezionalità nella materia dell'inquadramento e dell'articolazione delle carriere degli ufficiali, e che la riammissione in servizio di colui che abbia cessato di far parte, in seguito a sua domanda, di un'amministrazione, non costituisce un istituto caratterizzante l'impiego pubblico in tutte le sue diverse articolazioni; che, del resto, questa Corte (ordinanza n. 10 del 2002) ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione , la questione di legittimità costituzionale dell' art. 211, primo comma, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui preclude la riammissione in magistratura al magistrato cessato dal servizio a sua domanda, osservando che la norma, riflettendo la peculiarità di status dei magistrati, è disposizione speciale che non si presta ad essere messa in utile raffronto con norme generali”.
Ritiene il Collegio che, ad onta di quanto opinato dall’appellante, la pronuncia della Corte è estensibile a tutte le Forze Armate, ivi compresa l’Arma dei Carabinieri (elevata al rango di quarta “Forza Armata” ai sensi dell’art. 1 della legge delega 31 marzo 2000, n. 78), essendo comuni le esigenze di continuità del servizio astrattamente idonee a giustificare l’esclusione dell’istituto della riammissione in servizio e che la stessa Corte ha riconnesso al “particolare status dell'ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate”.
Ne consegue che non è suscettibile di applicazione al caso di specie la norma, invocata dall’appellante, dell’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957 (T.U. imp. civili dello Stato) riguardando questo il pubblico impiego in generale e non anche quello militare, avente - come detto - speciali caratteristiche che giustificano un diverso trattamento. Sulla stessa linea interpretativa si pone la menzionata pronuncia del Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., n. 135 del 2011, secondo cui “il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall'art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale”.
Del resto, l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ("Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche") espressamente prevede che “In deroga all'articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Ne consegue che “il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. Cons. Stato, Adunanza Sez. II, n. 1188 del 10 aprile 2014).
Tale orientamento è stato confermato di recente da questa Sezione, essendosi appunto rilevato che “non può, per altro verso, propugnarsi l’applicabilità anche in ambito militare della disposizione dell’art. 132 d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3” (cfr. sentenza, n. 330 del 6 luglio 2017).
8. Conclusivamente, l'appello è infondato e deve essere respinto.
9. Possono, comunque, compensarsi le spese del presente grado di giudizio, in considerazione della natura della controversia e del rilievo dei sottesi interessi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (R.G. n. 2766/2014), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere
Daniela Di Carlo, Consigliere
Giovanni Sabbato, , Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato Filippo Patroni Griffi
IL SEGRETARIO
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Il CdS rigetta il ricorso Straordinario
- istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la riammissione in servizio.
- collocata in congedo a domanda con effetto dal 2 aprile 2016
1) - tale istanza veniva rigettata con il provvedimento n. ..... in data 5 giugno 2017, oggetto dell’odierna impugnazione, “non sussistendo i presupposti normativi che possano consentire la riammissione del personale militare cessato a domanda dal servizio permanente effettivo”, in quanto “il Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, concernente il ‘codice dell’ordinamento militare’, non contempla la possibilità di riammissione in servizio permanente degli Ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’Amministrazione della difesa”.
Il CdS precisa:
2) - A ben vedere, quindi, conformemente a quanto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017) e come correttamente rilevato dall’amministrazione resistente, l’ordinamento di settore non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso nei termini auspicati dalla ricorrente.
3) - Il provvedimento avversato è, pertanto, da ritenersi atto vincolato, non residuando in capo all’amministrazione della difesa alcun margine di discrezionalità, in assenza di una previsione normativa che avrebbe consentito la riammissione in servizio della ricorrente.
------------------------
PARERE DEFINITIVO sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201902114
Numero 02114/2019 e data 22/07/2019 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 3 luglio 2019
NUMERO AFFARE 01736/2018
OGGETTO:
Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal Capitano di Fregata del Corpo sanitario militare marittimo di complemento, in congedo, Alessandra G.. per l’annullamento del provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 in data 5 giugno 2017 del Ministero della difesa, di rigetto dell’istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la riammissione in servizio;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. 230936 in data 6 aprile 2018, con la quale il Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
visto il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in data 29 settembre 2017;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto;
Premesso:
Il Capitano di Fregata del Corpo sanitario militare marittimo Alessandra G.., collocata in congedo a domanda con effetto dal 2 aprile 2016, con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in epigrafe ha chiesto l’annullamento del provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 datato 5 giugno 2017 del Ministero della difesa, di rigetto dell’istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la propria riammissione in servizio.
Si premette che, in data 3 marzo 2016, il C.F. G.. aveva presentato istanza di cessazione dal servizio permanente effettivo con decorrenza, come detto, dal 2 aprile 2016.
La Direzione generale per il personale militare aveva accolto tale istanza con provvedimento n. 118/II/IV/2°/2016 in data 1 aprile 2016, disponendo la cessazione dal servizio permanente effettivo dell’ufficiale con la decorrenza richiesta.
Con successiva domanda del 9 maggio 2017, l’odierna ricorrente chiedeva di essere riammessa in servizio; tale istanza veniva rigettata con il provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 in data 5 giugno 2017, oggetto dell’odierna impugnazione, “non sussistendo i presupposti normativi che possano consentire la riammissione del personale militare cessato a domanda dal servizio permanente effettivo”, in quanto “il Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, concernente il ‘codice dell’ordinamento militare’, non contempla la possibilità di riammissione in servizio permanente degli Ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’Amministrazione della difesa”.
Avverso tale provvedimento, l’ufficiale in congedo ha proposto il gravame in epigrafe, deducendo, con un unico ed articolato motivo di doglianza, violazione e falsa applicazione dell’articolo 935-bis del D.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 132 del D.P.R. n. 3 del 1957, eccesso di potere per irragionevolezza, ingiustizia manifesta e iniquità, nonché violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
La ricorrente, in estrema sintesi, invoca l’illegittimità del provvedimento eccependo:
- l’irragionevolezza e l’iniquità della previsione legislativa – contenuta nell’art. 935-bis del d.lgs. n. 66 del 2010, ritenuto violato – secondo la quale è concesso al dipendente sottoposto a procedimento penale, seppure concluso con un proscioglimento, di ripristinare il rapporto di lavoro, mentre analoga facoltà non è concessa al dipendente che abbia chiesto volontariamente la cessazione dal servizio e abbia poi deciso di riprendere il servizio medesimo;
- la violazione da parte dell’amministrazione dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957, ai sensi del quale “l’impiegato con qualifica inferiore a direttore generale, cessato dal servizio per dimissioni (…) può essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di amministrazione”; tale norma, infatti, consentirebbe “a chiare lettere la possibilità di riammettere in servizio il dipendente che sia cessato dallo stesso per dimissioni volontarie”.
La riammissione in servizio, in definitiva, sarebbe un istituto di “carattere generale che si applica a tutti i dipendenti pubblici, sia civili che militari”.
Il Ministero della difesa, con relazione n. 230936 in data 6 aprile 2018, conclude per la reiezione del ricorso, in quanto infondato nel merito.
Considerato:
Le censure proposte con il presente gravame sono prive di fondamento.
Il codice dell’ordinamento militare, per quanto qui di interesse, disciplina all’art. 935-bis l’istituto della riammissione in servizio con esclusivo riferimento all’ipotesi di pieno proscioglimento dell’interessato da vicende penali.
La norma invocata dalla ricorrente non risulta, quindi, applicabile al caso di specie, recando una disciplina del tutto peculiare e, in quanto tale, non suscettibile di applicazione analogica con riferimento a fattispecie diverse da quanto tassativamente previsto (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2514/2018).
A ben vedere, quindi, conformemente a quanto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017) e come correttamente rilevato dall’amministrazione resistente, l’ordinamento di settore non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso nei termini auspicati dalla ricorrente.
Risulta poi inapplicabile all’ordinamento militare la disposizione invocata dalla ricorrente di cui all’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957, recante il “testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato. Ciò in quanto le norme dell’ordinamento militare “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017, cit.).
Sulla stessa linea interpretativa si pone la pronuncia del C.G.A.R.S. n. 135/2011, secondo cui “il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall’art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale”, per l’appunto il codice dell’ordinamento militare, che non contiene alcuno specifico rinvio alla normativa relativa agli impiegati civili dello Stato, attesa la specificità dell’ordinamento delle Forze armate che trova la sua puntuale disciplina nel predetto d.lgs. n. 66/2010.
Né può essere a tal fine trascurato che l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) espressamente prevede che “In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti (…) il personale militare e delle Forze di polizia di Stato (…)”.
Ne consegue che “il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3” (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 1188/2014).
Tale consolidato orientamento è stato, peraltro, confermato di recente da questa Sezione, essendosi anche in tale contesto rilevato che la “riammissione in servizio ex art. 132, d.P.R. 3/1957 (…) non è applicabile alle Forze armate” (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 742/2019).
Quanto all’invocato contrasto della disciplina in parola con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, la questione è già stata a suo tempo sottoposta all’esame della Corte costituzionale, la quale, con ordinanza n. 430 del 2005, peraltro menzionata dall’amministrazione resistente nella citata relazione ministeriale, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del previgente art. 43, comma 2, della legge 113/1954, nella parte in cui non prevede che l’Amministrazione della difesa possa riammettere in servizio l’ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo.
Con detta pronuncia la Consulta ha, infatti, sancito che “la mancata previsione di tale possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate” e che “deve escludersi che la norma censurata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della p.a., tenuto conto, da un lato, che al legislatore ordinario compete un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e dall’altro, che la riammissione in servizio di colui che sia cessato dal servizio a seguito di domanda non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico”.
Il provvedimento avversato è, pertanto, da ritenersi atto vincolato, non residuando in capo all’amministrazione della difesa alcun margine di discrezionalità, in assenza di una previsione normativa che avrebbe consentito la riammissione in servizio della ricorrente.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto perché infondato.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giancarlo Carmelo Pezzuto Mario Luigi Torsello
IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa
- istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la riammissione in servizio.
- collocata in congedo a domanda con effetto dal 2 aprile 2016
1) - tale istanza veniva rigettata con il provvedimento n. ..... in data 5 giugno 2017, oggetto dell’odierna impugnazione, “non sussistendo i presupposti normativi che possano consentire la riammissione del personale militare cessato a domanda dal servizio permanente effettivo”, in quanto “il Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, concernente il ‘codice dell’ordinamento militare’, non contempla la possibilità di riammissione in servizio permanente degli Ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’Amministrazione della difesa”.
Il CdS precisa:
2) - A ben vedere, quindi, conformemente a quanto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017) e come correttamente rilevato dall’amministrazione resistente, l’ordinamento di settore non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso nei termini auspicati dalla ricorrente.
3) - Il provvedimento avversato è, pertanto, da ritenersi atto vincolato, non residuando in capo all’amministrazione della difesa alcun margine di discrezionalità, in assenza di una previsione normativa che avrebbe consentito la riammissione in servizio della ricorrente.
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PARERE DEFINITIVO sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201902114
Numero 02114/2019 e data 22/07/2019 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 3 luglio 2019
NUMERO AFFARE 01736/2018
OGGETTO:
Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal Capitano di Fregata del Corpo sanitario militare marittimo di complemento, in congedo, Alessandra G.. per l’annullamento del provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 in data 5 giugno 2017 del Ministero della difesa, di rigetto dell’istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la riammissione in servizio;
LA SEZIONE
Vista la relazione n. 230936 in data 6 aprile 2018, con la quale il Ministero della difesa, Direzione generale per il personale militare, ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;
visto il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in data 29 settembre 2017;
esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giancarlo Carmelo Pezzuto;
Premesso:
Il Capitano di Fregata del Corpo sanitario militare marittimo Alessandra G.., collocata in congedo a domanda con effetto dal 2 aprile 2016, con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica in epigrafe ha chiesto l’annullamento del provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 datato 5 giugno 2017 del Ministero della difesa, di rigetto dell’istanza presentata in data 9 maggio 2017 volta ad ottenere la propria riammissione in servizio.
Si premette che, in data 3 marzo 2016, il C.F. G.. aveva presentato istanza di cessazione dal servizio permanente effettivo con decorrenza, come detto, dal 2 aprile 2016.
La Direzione generale per il personale militare aveva accolto tale istanza con provvedimento n. 118/II/IV/2°/2016 in data 1 aprile 2016, disponendo la cessazione dal servizio permanente effettivo dell’ufficiale con la decorrenza richiesta.
Con successiva domanda del 9 maggio 2017, l’odierna ricorrente chiedeva di essere riammessa in servizio; tale istanza veniva rigettata con il provvedimento n. M_D GMIL REG2017 0342554 in data 5 giugno 2017, oggetto dell’odierna impugnazione, “non sussistendo i presupposti normativi che possano consentire la riammissione del personale militare cessato a domanda dal servizio permanente effettivo”, in quanto “il Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, concernente il ‘codice dell’ordinamento militare’, non contempla la possibilità di riammissione in servizio permanente degli Ufficiali in congedo che abbiano precedentemente risolto volontariamente il rapporto di impiego con l’Amministrazione della difesa”.
Avverso tale provvedimento, l’ufficiale in congedo ha proposto il gravame in epigrafe, deducendo, con un unico ed articolato motivo di doglianza, violazione e falsa applicazione dell’articolo 935-bis del D.lgs. n. 66 del 2010 e dell’art. 132 del D.P.R. n. 3 del 1957, eccesso di potere per irragionevolezza, ingiustizia manifesta e iniquità, nonché violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.
La ricorrente, in estrema sintesi, invoca l’illegittimità del provvedimento eccependo:
- l’irragionevolezza e l’iniquità della previsione legislativa – contenuta nell’art. 935-bis del d.lgs. n. 66 del 2010, ritenuto violato – secondo la quale è concesso al dipendente sottoposto a procedimento penale, seppure concluso con un proscioglimento, di ripristinare il rapporto di lavoro, mentre analoga facoltà non è concessa al dipendente che abbia chiesto volontariamente la cessazione dal servizio e abbia poi deciso di riprendere il servizio medesimo;
- la violazione da parte dell’amministrazione dell’art. 132 del d.P.R. n. 3/1957, ai sensi del quale “l’impiegato con qualifica inferiore a direttore generale, cessato dal servizio per dimissioni (…) può essere riammesso in servizio, sentito il parere del Consiglio di amministrazione”; tale norma, infatti, consentirebbe “a chiare lettere la possibilità di riammettere in servizio il dipendente che sia cessato dallo stesso per dimissioni volontarie”.
La riammissione in servizio, in definitiva, sarebbe un istituto di “carattere generale che si applica a tutti i dipendenti pubblici, sia civili che militari”.
Il Ministero della difesa, con relazione n. 230936 in data 6 aprile 2018, conclude per la reiezione del ricorso, in quanto infondato nel merito.
Considerato:
Le censure proposte con il presente gravame sono prive di fondamento.
Il codice dell’ordinamento militare, per quanto qui di interesse, disciplina all’art. 935-bis l’istituto della riammissione in servizio con esclusivo riferimento all’ipotesi di pieno proscioglimento dell’interessato da vicende penali.
La norma invocata dalla ricorrente non risulta, quindi, applicabile al caso di specie, recando una disciplina del tutto peculiare e, in quanto tale, non suscettibile di applicazione analogica con riferimento a fattispecie diverse da quanto tassativamente previsto (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 2514/2018).
A ben vedere, quindi, conformemente a quanto la giurisprudenza amministrativa ha già avuto modo di rilevare (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017) e come correttamente rilevato dall’amministrazione resistente, l’ordinamento di settore non contempla la possibilità che un militare cessato dal servizio permanente a domanda possa esservi in seguito riammesso nei termini auspicati dalla ricorrente.
Risulta poi inapplicabile all’ordinamento militare la disposizione invocata dalla ricorrente di cui all’art. 132 del d.P.R. n. 3 del 1957, recante il “testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, che prevede la generale possibilità di riammissione in servizio per gli impiegati civili dello Stato. Ciò in quanto le norme dell’ordinamento militare “non solo derogano a quelle poste per la generalità degli impiegati dello Stato, ma si configurano come un sistema di rapporti sostanzialmente diverso e chiuso rispetto alle immissioni della disciplina comune” (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3330/2017, cit.).
Sulla stessa linea interpretativa si pone la pronuncia del C.G.A.R.S. n. 135/2011, secondo cui “il principio generale della riammissione in servizio, affermato per il rapporto di pubblico impiego civile dall’art. 132 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, non è applicabile ai rapporti di impiego del personale militare, i quali sono regolati da una normativa speciale”, per l’appunto il codice dell’ordinamento militare, che non contiene alcuno specifico rinvio alla normativa relativa agli impiegati civili dello Stato, attesa la specificità dell’ordinamento delle Forze armate che trova la sua puntuale disciplina nel predetto d.lgs. n. 66/2010.
Né può essere a tal fine trascurato che l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) espressamente prevede che “In deroga all’articolo 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti (…) il personale militare e delle Forze di polizia di Stato (…)”.
Ne consegue che “il personale in regime di diritto pubblico, fra cui è ricompreso, per espressa disposizione legislativa, il personale militare, rimane disciplinato dai rispettivi ordinamenti, escludendosi, così, un’automatica applicabilità del citato art. 132 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3” (Consiglio di Stato, Sez. II, n. 1188/2014).
Tale consolidato orientamento è stato, peraltro, confermato di recente da questa Sezione, essendosi anche in tale contesto rilevato che la “riammissione in servizio ex art. 132, d.P.R. 3/1957 (…) non è applicabile alle Forze armate” (Consiglio di Stato, Sez. I, n. 742/2019).
Quanto all’invocato contrasto della disciplina in parola con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, la questione è già stata a suo tempo sottoposta all’esame della Corte costituzionale, la quale, con ordinanza n. 430 del 2005, peraltro menzionata dall’amministrazione resistente nella citata relazione ministeriale, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del previgente art. 43, comma 2, della legge 113/1954, nella parte in cui non prevede che l’Amministrazione della difesa possa riammettere in servizio l’ufficiale cessato a domanda dal servizio permanente effettivo e collocato in congedo.
Con detta pronuncia la Consulta ha, infatti, sancito che “la mancata previsione di tale possibilità rinviene la propria ratio nel particolare status dell’ufficiale in servizio permanente, per il quale il legislatore prevede peculiari forme di selezione attitudinale, di addestramento e di formazione professionale, in connessione con i compiti che la Repubblica assegna alle Forze armate” e che “deve escludersi che la norma censurata sia manifestamente irragionevole o arbitraria o contrasti con il principio di buon andamento della p.a., tenuto conto, da un lato, che al legislatore ordinario compete un’ampia discrezionalità nella materia dell’inquadramento e dell’articolazione delle carriere degli ufficiali, e dall’altro, che la riammissione in servizio di colui che sia cessato dal servizio a seguito di domanda non costituisce un istituto caratterizzante l’impiego pubblico”.
Il provvedimento avversato è, pertanto, da ritenersi atto vincolato, non residuando in capo all’amministrazione della difesa alcun margine di discrezionalità, in assenza di una previsione normativa che avrebbe consentito la riammissione in servizio della ricorrente.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere respinto perché infondato.
P.Q.M.
Esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giancarlo Carmelo Pezzuto Mario Luigi Torsello
IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa
Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Dimissioni dal Corso allievi "per motivi personali e motivazionali"' e successivamente chiesta la riammissione che non veniva concessa.
Il CdS con il presente Parere rigetta il ricorso straordinario.
Il CdS precisa:
1) - Non ha pregio il ripensamento del ricorrente per le conseguenze che il proscioglimento ha avuto sulla sua vita privata e professionale. Infatti, non sussiste un onere per la P.A. di accettare la revoca di una istanza già accolta, il cui procedimento amministrativo si è concluso con la determinazione di accoglimento. Né è contemplata nell’Ordinamento militare l’ipotesi di riammissione ad un corso di formazione presso le Scuole dell’Arma dal quale l’allievo carabiniere, già ammesso alla frequenza, abbia ottenuto il proscioglimento su sua espressa e motivata richiesta.
Il CdS con il presente Parere rigetta il ricorso straordinario.
Il CdS precisa:
1) - Non ha pregio il ripensamento del ricorrente per le conseguenze che il proscioglimento ha avuto sulla sua vita privata e professionale. Infatti, non sussiste un onere per la P.A. di accettare la revoca di una istanza già accolta, il cui procedimento amministrativo si è concluso con la determinazione di accoglimento. Né è contemplata nell’Ordinamento militare l’ipotesi di riammissione ad un corso di formazione presso le Scuole dell’Arma dal quale l’allievo carabiniere, già ammesso alla frequenza, abbia ottenuto il proscioglimento su sua espressa e motivata richiesta.
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Re: RIAMMISSIONE IN SERVIZIO
Il Tar Lazio rigetta il ricorso del ricorrente della GdF.
1) - Parte ricorrente dopo aver prestato servizio dal 1998 nella Guardia di Finanza veniva collocata in congedo volontario in data 30 settembre 2020, stante la sua espressa richiesta in tal senso.
2) - Presentava, tuttavia, in data 30 marzo 2021, istanza di riammissione in servizio ex art. 68 d.lgs. 199/1995.
3) - Nell’ambito del suddetto procedimento, le Autorità gerarchiche esprimevano parere favorevole per l’accoglimento della suddetta istanza.
4) - L'Amministrazione rigettava l’istanza del ricorrente in ragione del superamento del prescritto limite anagrafico di quarant’anni per la riassunzione in servizio.
N.B.: per completezza leggete il tutto nel PDF allegato.
1) - Parte ricorrente dopo aver prestato servizio dal 1998 nella Guardia di Finanza veniva collocata in congedo volontario in data 30 settembre 2020, stante la sua espressa richiesta in tal senso.
2) - Presentava, tuttavia, in data 30 marzo 2021, istanza di riammissione in servizio ex art. 68 d.lgs. 199/1995.
3) - Nell’ambito del suddetto procedimento, le Autorità gerarchiche esprimevano parere favorevole per l’accoglimento della suddetta istanza.
4) - L'Amministrazione rigettava l’istanza del ricorrente in ragione del superamento del prescritto limite anagrafico di quarant’anni per la riassunzione in servizio.
N.B.: per completezza leggete il tutto nel PDF allegato.
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