LOMBARDIA SENTENZA 148 12/08/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA SENTENZA 148 2016 PENSIONI 12/08/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA
nella persona del magistrato Eugenio MUSUMECI, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al n° 28281 del registro di segreteria della Sezione;
PROPOSTO DA
G. N., nato a Omissis il Omissis e residente a Omissis, codice fiscale OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Zabbara (del foro di Milano), nonché elettivamente domiciliato a Milano in via Benedetto Marcello n° 48 presso lo studio del difensore stesso;
CONTRO
INPS (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale), in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Peco (iscritto nell’elenco speciale annesso all’albo degli avvocati presso il tribunale di Milano), nonché elettivamente domiciliato a Milano in piazza Giuseppe Missori nn° 8/10 presso l’ufficio legale distrettuale dell’INPS stesso.
§ § §
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso depositato presso questa Sezione l’11 maggio 2015 G. N., ex dipendente della Polizia di Stato, ha domandato l’attribuzione della pensione ordinaria in riferimento ad un (asserito) requisito contributivo di 35 anni: da coniugarsi con l’età anagrafica di 57 anni e tre mesi o, quanto meno, con quella di 60 anni da lui raggiunta alla data del ricorso.
A suffragio di tale pretesa il G. N. ha ricordato che, dopo esser stato dispensato (nel luglio 2004) dal servizio nella Polizia di Stato per inabilità fisica, aveva fruito di un trattamento pensionistico sino al luglio 2010: per poi veder revocata quella pensione allorquando era stata confermata la legittimità di una pregressa destituzione dal servizio inflittagli nel 1997, la cui esecutività era stata sospesa l’anno dopo dal Consiglio di Stato. Ed ha altresì richiamato la sentenza n° 381/2012 di questa Sezione: in virtù della quale la sua anzianità contributiva era stata determinata in 29 anni, 2 mesi e 15 giorni.
2. Con comparsa depositata all’udienza camerale del 10 giugno 2016, fissata per l’esame di una domanda cautelare proposta dal G. N. nel ricorso introduttivo, si è costituito l’INPS. Il quale ha resistito alla pretesa attorea evidenziando: che, in virtù della sentenza n° 6521/2008 emessa dal Consiglio di Stato, aveva avuto reviviscenza il provvedimento di destituzione dal servizio (nella Polizia di Stato) irrogato all’odierno ricorrente il 23 luglio 1997, la cui esecutività era stata poi sospesa dal giudice amministrativo; che, comunque, i requisiti pensionistici previsti per il personale della Polizia di Stato andavano raggiunti in costanza di servizio; e che, infine, la contribuzione maturata dal G. N. durante l’originario servizio nella Polizia di Stato, seppur insufficiente illo tempore per attribuirgli stabilmente la pensione , aveva dato vita alla costituzione di una posizione assicurativa presso l’INPS stesso.
3. Dopo che alla già ricordata udienza camerale del 10 giugno 2016 si era costituito quale difensore dell’odierno ricorrente l’avv. Francesco Zabbara e che questi aveva depositato (qualche giorno dopo) una memoria a sostegno della pretesa attorea, all’ulteriore udienza camerale svoltasi il 25 di quello stesso mese questo giudice si è riservato di decidere sull’istanza cautelare proposta dal G. N.. Tale riserva è stata poi sciolta, con ordinanza n° 86/2015, nel senso di escludere l’esistenza del fumus boni iuris nella domanda attorea e perciò di rigettare la domanda cautelare stessa.
Nel successivo giudizio di merito è stata sollevata ex officio la questione concernente l’eventuale difetto di giurisdizione della Corte dei conti, venendo perciò assegnato alle parti termine ex art. 101 c.p.c. per memorie al suddetto riguardo. Depositata memoria (il 23 novembre 2015) soltanto da parte del G. N., successivamente questi ha revocato il mandato difensivo all’avv. Zabbara; e tuttavia dopo alcuni rinvii, inframezzati da un’altra memoria scritta stilata personalmente dall’odierno ricorrente e depositata il 26 gennaio scorso, ha officiato nuovamente quel medesimo difensore. Questi ha depositato il 31 marzo 2016 un’ulteriore memoria scritta ed infine, all’udienza del 20 aprile successivo, la causa è stata discussa dalle parti e trattenuta in decisione.
4. Preliminarmente va osservato che nella testé ricordata memoria del 31 marzo 2016 il G. N. ha emendato la propria domanda originaria: rivendicando l’accertamento del diritto alla pensione e, “… in ogni caso …”, il ripristino del trattamento pensionistico di cui egli godeva anteriormente al decreto emesso dal Ministero dell’Interno (dipartimento della Pubblica Sicurezza) il 22 dicembre 2009.
Invero mediante tale provvedimento (all. 1 di parte resistente), conseguente alla già menzionata sentenza n° 6521/2008 del Consiglio di Stato in virtù della quale era stata confermata la legittimità della destituzione dal servizio inflitta al G. N. il 23 luglio 1997, erano stati annullati sia la sua provvisoria reintegrazione in servizio (avvenuta nel 1998, sulla scorta di una pronuncia cautelare del giudice amministrativo stesso) sia la dispensa dal servizio con la quale quel periodo di provvisoria reintegrazione in servizio si era concluso il 21 luglio 2004. Se dunque quest’ultima è la data in cui il G. N. è definitivamente cessato dal servizio nella Polizia di Stato, con la sentenza n° 381/2012 questa Sezione ha già escluso che a quella medesima data l’odierno ricorrente vantasse il diritto ad una pensione che traesse fondamento da una causa di risoluzione del rapporto d’impiego diversa dalla dispensa per inabilità fisica: dispensa che, una volta confermata la legittimità della pregressa destituzione dal servizio, a quest’ultima aveva ceduto il passo cronologicamente e, soprattutto, giuridicamente.
Inoltre il novero delle questioni deducibili in quel giudizio, nel quale il G. N. risulta aver censurato (pag. 1 della su menzionata sentenza) innanzitutto il predetto decreto ministeriale del 22 dicembre 2009, includevano necessariamente anche la legittimità della revoca della pensione che gli era stata concessa in conseguenza della su richiamata dispensa per inabilità fisica: perché evidentemente quella revoca costituiva il presupposto logico della domanda attorea finalizzata a vedersi attribuito, a decorrere da quella medesima data del 21 luglio 2004, un trattamento pensionistico che sostanzialmente tenesse il luogo di quello che, in conseguenza del testé richiamato provvedimento ministeriale, gli era stato appunto revocato.
Conclusivamente va rigettato il secondo capo di domanda attorea, perché costituente un bis in idem rispetto alle domande definite da questa Sezione con la sentenza n° 381/2012.
5. A detrimento del merito del primo capo di domanda attorea appaiono sostanzialmente meritevoli di conferma le considerazioni svolte da questo giudice nell’ordinanza cautelare n° 86/2015.
In sintesi, una volta escluso che il G. N. vantasse un diritto a pensione alla data del 21 luglio 2004, successivamente sono venute meno la “… specificità del rapporto di impiego e ... le obiettive peculiarità ed esigenze dei rispettivi settori di attività …” (art. 6 comma 2 del D.Lgs. n° 165/1997) che possano giustificare la perdurante applicabilità di quei più favorevoli requisiti pensionistici. Inoltre l’incontestata anzianità contributiva (di 34 anni, 3 mesi e 20 giorni) attribuitagli dal Ministero dell’Interno con il decreto n° 373 dell’11 novembre 2014 (all. 2 alla memoria depositata dall’INPS il 10 giugno 2015) risulta lontana da quella di oltre 42 anni prevista per la pensione c.d. anticipata dal comma 10 dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011 (convertito dalla legge n° 214/2011). Mentre il diritto alla pensione di vecchiaia è anch’esso palesemente escluso dalla circostanza che il ricorrente non ha ancora raggiunto il requisito anagrafico di 66 anni sancito dalla lettera c del comma 6 del testé menzionato art. 24 del D.L. n° 201/2011.
6. Tuttavia, relativamente al primo dei due capi di domanda attoreo, risulta assorbente il difetto di giurisdizione di questa Corte: dovendosi infatti ascrivere al giudice ordinario tale giurisdizione.
Invero la circostanza che il G. N. sia cessato dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione ha comportato la “… costituzione, per il corrispondente periodo di iscrizione, della posizione assicurativa nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti …” (primo comma dell’articolo unico della legge n° 322/1958, quale vigente alla data del 21 luglio 2004: che è quella in cui, come fin qui ampiamente chiarito, andava considerato cessato il rapporto d’impiego del G. N. presso la Polizia di Stato, provvisoriamente ripristinato in via cautelare). Ma, evidentemente, la costituzione della suddetta posizione assicurativa esclude che la successiva pensione possa considerarsi “… in tutto o in parte a carico dello Stato …” (art. 13 terzultimo alinea del R.D. n° 1214/1934): ciò che neanche il ricorrente ha sostanzialmente contestato, pur avendo concretamente potuto fruire di un termine ben più ampio di quello sancito dal secondo comma dell’art. 101 c.p.c..
7. La peculiarità della vicenda e, soprattutto, la circostanza che le prospettive pensionistiche del G. N. siano state sensibilmente modificate in peius per effetto dell’art. 24 del D.L. n° 201/2011 (invece non contemplato, ratione temporis, da questa Sezione nella sentenza n° 381/2012) giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, definitivamente pronunciando in relazione al giudizio n° 28281:
1) dichiara il difetto di giurisdizione della Corte dei conti in riferimento alla domanda di cui al punto 1 delle note conclusionali depositate da G. N. il 31 marzo 2016, indicando quale giudice munito di giurisdizione quello ordinario;
2) rigetta la domanda di cui al punto 2 di quelle medesime note conclusionali;
3) compensa integralmente fra le parti le spese di lite;
4) fissa in sessanta giorni il termine per il deposito della presente sentenza.
Così deciso a Milano nella camera di consiglio del 20 aprile 2016.
IL GIUDICE
(Eugenio Musumeci)
DEPOSITO IN SEGRETERIA, 12/08/2016
Perdita grado e revoca pensione
Re: Perdita grado e revoca pensione
La Corte dei Conti 3 Sez. d'Appello ha ACCOLTO l'Appello del collega CC.
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1) - veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.
2) - Prima della cessazione, il militare, all'epoca dei fatti penalmente indagato per la commissione di alcuni reati, con D.M. n. 0093/3-7/2006 del in data 20 marzo 2006, era stato sospeso precauzionalmente dall'impiego ex art. 20, comma 2, della legge n. 599/154, con decorrenza dal 6.03.2006.
La Corte (ecco alcuni brani) precisa:
3) - La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
4) - Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta che il procedimento disciplinare conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599, è stato avviato con inchiesta formale il 27 novembre 2009.
5) - Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 13 settembre 2006, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione dell’appellante.
6) - Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
7) - In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento col quale l’appellante venne dispensato dal servizio per inabilità assoluta a far data dal 13 settembre 2006.
N.B.: per completezza leggete il tutto nella sua interezza direttamente qui sotto.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 463 03/10/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 463 2016 RESPONSABILITA 03/10/2016
Sent
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
composta dai seguenti magistrati
dr. Enzo Rotolo, Presidente
dr. Galeota Antonio, Consigliere
dr.ssa Giuseppa Maneggio, Consigliere
dr.ssa Giuseppina Maio, Consigliere relatore
dr. Giovanni Comite, Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 46493 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. A. R., rappresentato e difeso dall' Avv. Angelo Fiore TARTAGLIA ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma in Viale delle Medaglie d'Oro n. 266;
contro
il Ministero della Difesa, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (ex gestione INPDAP);
per la riforma della sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna n. 117/2013, depositata il 25 luglio 2013;
Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 9 settembre 2016, con l’assistenza del segretario, sig.ra Gerarda Calabrese, il relatore, dr.ssa Giuseppina Maio, l’Avv. Angelo Fiore Tartaglia per parte appellante, l’Avv. Luigi Caliulo per delega dell’Avv. Clementina Pulli in rappresentanza dell’INPS, la dr.ssa Antonella Giammichele per il Ministero dell’Economia e Finanze e la dr.ssa Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa;
Ritenuto in
FATTO
1.- Con sentenza n. 117/13/M depositata in data 25 luglio 2013, la Sezione giurisdizionale per la regione Emilia Romagna ha respinto, il ricorso del sig. A. volto a far annullare: il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Centro Nazionale Amministrativo, in data 9 settembre 2010 prot. n. ……/5-PNP avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza"; il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Centro Nazionale Amministrativo, in data 9 novembre 2010 prot. n. ……/5-2-PNP avente ad oggetto il "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza. 2° SOLLECITO", nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente; il Decreto n. 445/111-9/2009 con cui il Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto, a far data dal 13 settembre 2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei confronti del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della legge 31 luglio 1954, n. 599; la nota n. ……./4-1-PNP datata 03.08.2010 dell'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri di Chieti Scalo, con cui il Comando disponeva che l'INPDAP di OMISSIS procedesse alla "sospensione del trattamento pensionistico provvisorio" erogato a favore del ricorrente; la lettera n. 24631 del 17.08.2010 con cui l'INPDAP di OMISSIS informava l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ed il ricorrente di aver "sospeso i relativi pagamenti di pensione a favore dell'interessato a decorrere dal 01 settembre 2010".
2. Risulta dagli atti che l'odierno ricorrente, ex Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, con decreto ministeriale n. 1027 del 5 aprile 2007, veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.
Prima della cessazione, il militare, all'epoca dei fatti penalmente indagato per la commissione di alcuni reati, con D.M. n. 0093/3-7/2006 del in data 20 marzo 2006, era stato sospeso precauzionalmente dall'impiego ex art. 20, comma 2, della legge n. 599/154, con decorrenza dal 6.03.2006.
A seguito di sentenza n. 2400/08 del 27.10.2008, divenuta irrevocabile il 21.12.2008, con la quale il Tribunale di OMISSIS aveva applicato, ex art. 444 c.p.p., nei confronti del ricorrente la pena sospesa di anni 2 (due) in ordine ai reati di "tentata concussione in concorso", il Sig. A. veniva sottoposto a procedimento disciplinare, avviato con inchiesta formale il 7 aprile 2009 e conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599.
Successivamente, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha revocato, tramite l’I.N.P.D.A.P., il beneficio del trattamento pensionistico allo stesso corrisposto in virtù di congedo per riforma, in quanto alla data del 19.09.2006, ossia dalla data di effettività della perdita del grado per rimozione, il ricorrente non avrebbe avuto i requisiti contributivi e di anzianità per percepire tale trattamento.
3. Con ricorso in appello depositato presso la Segreteria in data 10 ottobre 2013, il sig. A. ha rilevato vari motivi di gravame.
3.1. Erroneità ed illogicità dell’impugnata sentenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 bis della l.n. 241/1990; Violazione di tutti i principi in tema di diritti previdenziali acquisiti; Violazione del principio del divieto di reformatio in pejus.
Sostiene che, del tutto erroneamente, l’impugnata sentenza ritiene applicabili le previgenti norme dell’ordinamento militare in quanto superate dall’art. 21 bis della l.n. 241/1990; richiama sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5582/2012; afferma, altresì, che il collocamento in congedo assoluto, per infermità ex art.29 l.n. 599/1954, prevale sulla sanzione disciplinare successivamente intervenuta.
In ordine, poi, agli effetti della sanzione disciplinare della perdita del grado rispetto all’anzianità contributiva necessaria per l’accesso alla pensione ex l.n. 449/1997, l’appellante richiama giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali regionali secondo cui la rilevanza retroattiva del provvedimento è irrilevante ai fini pensionistici (cita giurisprudenza delle Sezioni di primo grado sulla questione).
3.2. Erroneità dell’impugnata sentenza ed omessa motivazione sul punto; Violazione di tutti i principi in materia di irripetibilità delle somme erroneamente corrisposte al pensionato in buona fede. Eccezione di prescrizione.
In via subordinata, rispetto al motivo assorbente, l’appellante richiama i principi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti nella sent. n.7/QM/2007, secondo cui il decorso di un lungo termine per l’emanazione del provvedimento pensionistico definitivo, unitamente all’assenza di dolo, costituiscono condizioni ostative al recupero dell’indebito pensionistico; ribadisce, altresì, l’eccezione di prescrizione dell’azione di recupero.
In conclusione, l’appellante ha ritenuto che il provvedimento disciplinare non potesse incidere sul diritto quesito al trattamento pensionistico concessogli dall’INPS nel 2010 ed ha chiesto che gli venga riconosciuto il diritto a percepire la pensione ordinaria e quella privilegiata dalla data del provvedimento di riforma con conseguente condanna delle intimate amministrazioni a corrispondergli il relativo trattamento pensionistico.
4. Con memoria depositata in data 12 febbraio 2015 (che ha rilevato l’inammissibilità del secondo motivo d’appello) si è costituito il Ministero della Difesa e con successiva memoria in data 21 luglio 2016 dopo aver ripercorso i termini fattuali e giuridici della vicenda, ha chiesto, il rigetto dell’appello, con vittoria di spese per euro 1.000,00; in subordine, in caso d’accoglimento dell’appello, ha chiesto l’applicazione della prescrizione quinquennale.
5. In data 30 agosto 2016 l’appellante ha depositato una memoria, per l’odierna udienza di discussione, nella quale ha richiamato precedenti giurisprudenziali delle Sezioni di appello (Sez. I n. 48/2015; Sez. II n. 789/2015 n. 256/2016, n. 706/2016), le quali affermano che il provvedimento di perdita del grado per rimozione non può incidere, travolgendolo, sul maturato diritto a percepire la pensione per effetto della riforma per inidoneità fisica.
Conclusivamente, il sig. A. chiede che il gravame venga accolto, ribadendone integralmente le conclusioni ivi rassegnate.
L’INPS si è costituito in giudizio, quale successore ex art. 21, d.l.n. 201/2011, conv. nella l.n. 214/2011 dell’INPDAP, depositando una memoria, in data 5 febbraio 2015, ripropone le eccezioni sollevate nel primo rado di giudizio confermando la legittimità del proprio operato.
6. All’udienza del 9 settembre 2016, dopo l’esposizione introduttiva del Giudice relatore, i difensori delle parti si sono riportati agli atti scritti, confermandone il contenuto e le relative conclusioni. La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
Ritenuto in
DIRITTO
1. Preliminarmente la Sezione deve dare atto dell’ estromissione del MEF dal presente giudizio, peraltro già disposta dal Giudice di primo grado per difetto di legittimazione passiva.
2. La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
A tal fine, occorre in primo luogo tener presente che la normativa in esame si colloca nel medesimo contesto operativo di riferimento di una serie di varie disposizioni (p. es., art. 1 del decreto - legge 3 giugno 1938, n. 1032, contenente norme sulla perdita del diritto a pensione per il personale statale destituito, convertito nella legge 5 gennaio 1939, n. 84) che prevedevano la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare.
Dette disposizioni vennero, anche a seguito di pronunce dell’illegittimità costituzionale delle relative norme (v. C. cost. sent. nn. 3 del 1966; 78 del 1967; 112 del 1968), definitivamente abrogate dalla l. n. 08.06.1966, n. 424.
Il complessivo disegno ordinamentale avviato con tale abrogazione, ponendosi nel solco della tutela rafforzata del credito previdenziale prevista dall’art. 36 Cost., così come interpretato dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale, è stato poi completato dall’art. 5 del d.P.R. 1092 del 1973 che ha previsto che, in linea generale, “Il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza italiana o per altre cause, salvo quanto disposto per il trattamento di riversibilità dagli articoli 81, comma settimo, e 86, comma secondo”.
Il descritto contesto normativo impone, quindi, al Collegio una ricostruzione ed applicazione particolarmente attenta delle norme in esame, che rappresentano una disciplina oggettivamente e soggettivamente speciale, proprio al fine di evitare che l’effetto della loro interpretazione riproponga conseguenze non più compatibili con l’Ordinamento costituzionale.
L’art. 37 della l. n. 599 del 1954 sullo Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica stabiliva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.
Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
In sostanza, la normativa ora richiamata - poi essenzialmente riprodotta nel D.lgs. n. 66 del 2010 e s.m.i. recante le norme sull’Ordinamento militare - assegna effetti retroattivi, che travolgono la causa di cessazione dal servizio, alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concluda, dopo l’intervenuta cessazione dal servizio, con una sentenza di condanna alla perdita del grado o con l’irrogazione della sanzione disciplinare della rimozione/perdita del grado, sostituendo quest’ultima causa di cessazione dal servizio a quella in precedenza verificatasi.
Infatti, l’art. 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954 disponeva che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 (ossia, come nel caso in esame, la rimozione per motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina) e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
In altre parole, la predetta normativa, senz’altro ancora applicabile alla fattispecie per effetto della norma di salvaguardia recata dall’art. 1, comma 2, del d.lgvo n. 66/2010, come giustamente affermato nella sentenza impugnata, attribuisce effetti retroattivi alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concludano, dopo la cessazione dal servizio, con la conseguente perdita del grado, (quale pena accessoria ex art.19 c.p. ovvero sanzione disciplinare), sostituendosi al precedente titolo giuridico estintivo del rapporto d’impiego.
Ciò posto, passando alla soluzione del caso in esame, in primo luogo, il Collegio osserva che, pur essendo stato sottoposto l’appellante a procedimento penale al momento della cessazione dal servizio per invalidità, tuttavia detto procedimento si è concluso con una sentenza che – alla stregua degli atti di causa – non risulta abbia condannato anche alla perdita del grado , rimanendo per l’effetto inapplicabile a tale titolo l’art. 37, comma 2, l. n. 599 del 1954.
Quanto alla configurabilità degli effetti retroattivi con decorrenza dal 13 settembre 2006 della causa di cessazione della rimozione per perdita del grado di cui al procedimento disciplinare conclusosi nel 2009, questione che ha originato il presente giudizio, occorre osservare che, come ricordato, detti effetti retroattivi – secondo l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 - conseguono al fatto che il procedimento disciplinare fosse in atto, ossia pendente, al momento della cessazione dal servizio per altra causa, nel caso in esame per invalidità.
Ed infatti, come ricordato, l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 prevede che il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente, tra le quali quella per invalidità, cessi dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare, e soltanto ‘qualora il procedimento - ossia quello al quale il sottufficiale si trovava sottoposto al momento del verificarsi dell’altra causa di cessazione - si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta’.
Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta che il procedimento disciplinare conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599, è stato avviato con inchiesta formale il 27 novembre 2009.
Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 13 settembre 2006, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione dell’appellante.
Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
2.1. Quanto precede, induce il Collegio ad escludere l’applicabilità al caso in esame della disciplina speciale posta dagli artt. 37 e 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954, e consente di poter ritenere come definitivo il provvedimento dell’INPDAP col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 13 settembre 2006.
3. All’accoglimento di questo motivo d’appello consegue l’assorbimento delle eccezioni formulate dalla difesa dell’appellante relativa alla violazione degli art. 203 e ss del d.P.R. 1092 del 1973 essendo venuto meno il titolo giuridico sostanziale del credito erariale accertato dall’INPS per ratei pensionistici indebitamente erogati al sig. A..
Per quanto precede l’appello va integralmente accolto.
4. Dall’accoglimento dell’appello consegue l’interesse dell’INPS a vedersi accogliere l’eccezione di prescrizione formulata nella memoria di costituzione del presente giudizio.
Tuttavia, proprio perché formulata per la prima volta in grado d’appello, l’eccezione di prescrizione – notoriamente non rilevabile d’ufficio ex art. 2938 c.c. – si rivela inammissibile ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
5. In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento col quale l’appellante venne dispensato dal servizio per inabilità assoluta a far data dal 13 settembre 2006.
6. Sulle somme arretrate spettanti a titolo di ratei pensionistici decorrenti dalla sospensione, spettano gli interessi legali e rivalutazione monetaria, da calcolarsi non in cumulo integrale, quale matematica sommatoria dell’una e dell’altra componente accessoria del credito pensionistico liquidato con ritardo, bensì parziale, quale possibile integrazione degli interessi legali ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi, secondo i principi affermati nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 10/QM/2002.
7. Le spese legali seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
8. Nulla per le spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti - Terza Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando,
dichiara il difetto d legittimazione passiva del M.E.F.;
accoglie l’appello iscritto al n. 46493 del Registro di segreteria e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto del sig. R. A. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP col quale l’appellante venne dispensato dal servizio a far data dal 13 settembre 2006;
Sulle somme arretrate spettanti a titolo di ratei pensionistici decorrenti dalla sospensione, spettano gli interessi legali e rivalutazione monetaria, da calcolarsi come stabilito in motivazione.
Liquida le spese legali nella misura di euro 1.000,00 in favore di parte appellante, ponendole a carico, in parti uguali delle amministrazioni appellate (Ministero della Difesa ed I.N.P.S.).
Nulla per le spese di giudizio.
Manda alla segreteria per il seguito di competenza.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 9 settembre 2016.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Cons. Giuseppina Maio F.to Pres. Enzo Rotolo
Depositata in Segreteria il giorno 03-10-2016
Il Dirigente
F.to Dott. Massimo Biagi
G 46493 Sent 463/2016
-------------------------------------------------------------------------------------
1) - veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.
2) - Prima della cessazione, il militare, all'epoca dei fatti penalmente indagato per la commissione di alcuni reati, con D.M. n. 0093/3-7/2006 del in data 20 marzo 2006, era stato sospeso precauzionalmente dall'impiego ex art. 20, comma 2, della legge n. 599/154, con decorrenza dal 6.03.2006.
La Corte (ecco alcuni brani) precisa:
3) - La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
4) - Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta che il procedimento disciplinare conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599, è stato avviato con inchiesta formale il 27 novembre 2009.
5) - Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 13 settembre 2006, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione dell’appellante.
6) - Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
7) - In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento col quale l’appellante venne dispensato dal servizio per inabilità assoluta a far data dal 13 settembre 2006.
N.B.: per completezza leggete il tutto nella sua interezza direttamente qui sotto.
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TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 463 03/10/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
TERZA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 463 2016 RESPONSABILITA 03/10/2016
Sent
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello
composta dai seguenti magistrati
dr. Enzo Rotolo, Presidente
dr. Galeota Antonio, Consigliere
dr.ssa Giuseppa Maneggio, Consigliere
dr.ssa Giuseppina Maio, Consigliere relatore
dr. Giovanni Comite, Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 46493 del Registro di Segreteria, proposto dal Sig. A. R., rappresentato e difeso dall' Avv. Angelo Fiore TARTAGLIA ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma in Viale delle Medaglie d'Oro n. 266;
contro
il Ministero della Difesa, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (ex gestione INPDAP);
per la riforma della sentenza della Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna n. 117/2013, depositata il 25 luglio 2013;
Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 9 settembre 2016, con l’assistenza del segretario, sig.ra Gerarda Calabrese, il relatore, dr.ssa Giuseppina Maio, l’Avv. Angelo Fiore Tartaglia per parte appellante, l’Avv. Luigi Caliulo per delega dell’Avv. Clementina Pulli in rappresentanza dell’INPS, la dr.ssa Antonella Giammichele per il Ministero dell’Economia e Finanze e la dr.ssa Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa;
Ritenuto in
FATTO
1.- Con sentenza n. 117/13/M depositata in data 25 luglio 2013, la Sezione giurisdizionale per la regione Emilia Romagna ha respinto, il ricorso del sig. A. volto a far annullare: il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Centro Nazionale Amministrativo, in data 9 settembre 2010 prot. n. ……/5-PNP avente ad oggetto: "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza"; il provvedimento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - Centro Nazionale Amministrativo, in data 9 novembre 2010 prot. n. ……/5-2-PNP avente ad oggetto il "Recupero somme erogate a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza. 2° SOLLECITO", nonché di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e conseguente; il Decreto n. 445/111-9/2009 con cui il Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare ha disposto, a far data dal 13 settembre 2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari nei confronti del ricorrente, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della legge 31 luglio 1954, n. 599; la nota n. ……./4-1-PNP datata 03.08.2010 dell'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri di Chieti Scalo, con cui il Comando disponeva che l'INPDAP di OMISSIS procedesse alla "sospensione del trattamento pensionistico provvisorio" erogato a favore del ricorrente; la lettera n. 24631 del 17.08.2010 con cui l'INPDAP di OMISSIS informava l'Ufficio T.E.Q. del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ed il ricorrente di aver "sospeso i relativi pagamenti di pensione a favore dell'interessato a decorrere dal 01 settembre 2010".
2. Risulta dagli atti che l'odierno ricorrente, ex Maresciallo dell'Arma dei Carabinieri, con decreto ministeriale n. 1027 del 5 aprile 2007, veniva posto in congedo assoluto, a decorrere dal 13.09.2006, siccome riconosciuto "non idoneo permanentemente al SMI in modo assoluto.
Prima della cessazione, il militare, all'epoca dei fatti penalmente indagato per la commissione di alcuni reati, con D.M. n. 0093/3-7/2006 del in data 20 marzo 2006, era stato sospeso precauzionalmente dall'impiego ex art. 20, comma 2, della legge n. 599/154, con decorrenza dal 6.03.2006.
A seguito di sentenza n. 2400/08 del 27.10.2008, divenuta irrevocabile il 21.12.2008, con la quale il Tribunale di OMISSIS aveva applicato, ex art. 444 c.p.p., nei confronti del ricorrente la pena sospesa di anni 2 (due) in ordine ai reati di "tentata concussione in concorso", il Sig. A. veniva sottoposto a procedimento disciplinare, avviato con inchiesta formale il 7 aprile 2009 e conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599.
Successivamente, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha revocato, tramite l’I.N.P.D.A.P., il beneficio del trattamento pensionistico allo stesso corrisposto in virtù di congedo per riforma, in quanto alla data del 19.09.2006, ossia dalla data di effettività della perdita del grado per rimozione, il ricorrente non avrebbe avuto i requisiti contributivi e di anzianità per percepire tale trattamento.
3. Con ricorso in appello depositato presso la Segreteria in data 10 ottobre 2013, il sig. A. ha rilevato vari motivi di gravame.
3.1. Erroneità ed illogicità dell’impugnata sentenza. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 bis della l.n. 241/1990; Violazione di tutti i principi in tema di diritti previdenziali acquisiti; Violazione del principio del divieto di reformatio in pejus.
Sostiene che, del tutto erroneamente, l’impugnata sentenza ritiene applicabili le previgenti norme dell’ordinamento militare in quanto superate dall’art. 21 bis della l.n. 241/1990; richiama sul punto la sentenza del Consiglio di Stato n. 5582/2012; afferma, altresì, che il collocamento in congedo assoluto, per infermità ex art.29 l.n. 599/1954, prevale sulla sanzione disciplinare successivamente intervenuta.
In ordine, poi, agli effetti della sanzione disciplinare della perdita del grado rispetto all’anzianità contributiva necessaria per l’accesso alla pensione ex l.n. 449/1997, l’appellante richiama giurisprudenza delle Sezioni giurisdizionali regionali secondo cui la rilevanza retroattiva del provvedimento è irrilevante ai fini pensionistici (cita giurisprudenza delle Sezioni di primo grado sulla questione).
3.2. Erroneità dell’impugnata sentenza ed omessa motivazione sul punto; Violazione di tutti i principi in materia di irripetibilità delle somme erroneamente corrisposte al pensionato in buona fede. Eccezione di prescrizione.
In via subordinata, rispetto al motivo assorbente, l’appellante richiama i principi giurisprudenziali espressi dalle Sezioni Riunite di questa Corte dei conti nella sent. n.7/QM/2007, secondo cui il decorso di un lungo termine per l’emanazione del provvedimento pensionistico definitivo, unitamente all’assenza di dolo, costituiscono condizioni ostative al recupero dell’indebito pensionistico; ribadisce, altresì, l’eccezione di prescrizione dell’azione di recupero.
In conclusione, l’appellante ha ritenuto che il provvedimento disciplinare non potesse incidere sul diritto quesito al trattamento pensionistico concessogli dall’INPS nel 2010 ed ha chiesto che gli venga riconosciuto il diritto a percepire la pensione ordinaria e quella privilegiata dalla data del provvedimento di riforma con conseguente condanna delle intimate amministrazioni a corrispondergli il relativo trattamento pensionistico.
4. Con memoria depositata in data 12 febbraio 2015 (che ha rilevato l’inammissibilità del secondo motivo d’appello) si è costituito il Ministero della Difesa e con successiva memoria in data 21 luglio 2016 dopo aver ripercorso i termini fattuali e giuridici della vicenda, ha chiesto, il rigetto dell’appello, con vittoria di spese per euro 1.000,00; in subordine, in caso d’accoglimento dell’appello, ha chiesto l’applicazione della prescrizione quinquennale.
5. In data 30 agosto 2016 l’appellante ha depositato una memoria, per l’odierna udienza di discussione, nella quale ha richiamato precedenti giurisprudenziali delle Sezioni di appello (Sez. I n. 48/2015; Sez. II n. 789/2015 n. 256/2016, n. 706/2016), le quali affermano che il provvedimento di perdita del grado per rimozione non può incidere, travolgendolo, sul maturato diritto a percepire la pensione per effetto della riforma per inidoneità fisica.
Conclusivamente, il sig. A. chiede che il gravame venga accolto, ribadendone integralmente le conclusioni ivi rassegnate.
L’INPS si è costituito in giudizio, quale successore ex art. 21, d.l.n. 201/2011, conv. nella l.n. 214/2011 dell’INPDAP, depositando una memoria, in data 5 febbraio 2015, ripropone le eccezioni sollevate nel primo rado di giudizio confermando la legittimità del proprio operato.
6. All’udienza del 9 settembre 2016, dopo l’esposizione introduttiva del Giudice relatore, i difensori delle parti si sono riportati agli atti scritti, confermandone il contenuto e le relative conclusioni. La causa è stata quindi trattenuta per la decisione.
Ritenuto in
DIRITTO
1. Preliminarmente la Sezione deve dare atto dell’ estromissione del MEF dal presente giudizio, peraltro già disposta dal Giudice di primo grado per difetto di legittimazione passiva.
2. La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
A tal fine, occorre in primo luogo tener presente che la normativa in esame si colloca nel medesimo contesto operativo di riferimento di una serie di varie disposizioni (p. es., art. 1 del decreto - legge 3 giugno 1938, n. 1032, contenente norme sulla perdita del diritto a pensione per il personale statale destituito, convertito nella legge 5 gennaio 1939, n. 84) che prevedevano la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare.
Dette disposizioni vennero, anche a seguito di pronunce dell’illegittimità costituzionale delle relative norme (v. C. cost. sent. nn. 3 del 1966; 78 del 1967; 112 del 1968), definitivamente abrogate dalla l. n. 08.06.1966, n. 424.
Il complessivo disegno ordinamentale avviato con tale abrogazione, ponendosi nel solco della tutela rafforzata del credito previdenziale prevista dall’art. 36 Cost., così come interpretato dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale, è stato poi completato dall’art. 5 del d.P.R. 1092 del 1973 che ha previsto che, in linea generale, “Il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza italiana o per altre cause, salvo quanto disposto per il trattamento di riversibilità dagli articoli 81, comma settimo, e 86, comma secondo”.
Il descritto contesto normativo impone, quindi, al Collegio una ricostruzione ed applicazione particolarmente attenta delle norme in esame, che rappresentano una disciplina oggettivamente e soggettivamente speciale, proprio al fine di evitare che l’effetto della loro interpretazione riproponga conseguenze non più compatibili con l’Ordinamento costituzionale.
L’art. 37 della l. n. 599 del 1954 sullo Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica stabiliva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.
Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
In sostanza, la normativa ora richiamata - poi essenzialmente riprodotta nel D.lgs. n. 66 del 2010 e s.m.i. recante le norme sull’Ordinamento militare - assegna effetti retroattivi, che travolgono la causa di cessazione dal servizio, alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concluda, dopo l’intervenuta cessazione dal servizio, con una sentenza di condanna alla perdita del grado o con l’irrogazione della sanzione disciplinare della rimozione/perdita del grado, sostituendo quest’ultima causa di cessazione dal servizio a quella in precedenza verificatasi.
Infatti, l’art. 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954 disponeva che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 (ossia, come nel caso in esame, la rimozione per motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina) e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
In altre parole, la predetta normativa, senz’altro ancora applicabile alla fattispecie per effetto della norma di salvaguardia recata dall’art. 1, comma 2, del d.lgvo n. 66/2010, come giustamente affermato nella sentenza impugnata, attribuisce effetti retroattivi alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concludano, dopo la cessazione dal servizio, con la conseguente perdita del grado, (quale pena accessoria ex art.19 c.p. ovvero sanzione disciplinare), sostituendosi al precedente titolo giuridico estintivo del rapporto d’impiego.
Ciò posto, passando alla soluzione del caso in esame, in primo luogo, il Collegio osserva che, pur essendo stato sottoposto l’appellante a procedimento penale al momento della cessazione dal servizio per invalidità, tuttavia detto procedimento si è concluso con una sentenza che – alla stregua degli atti di causa – non risulta abbia condannato anche alla perdita del grado , rimanendo per l’effetto inapplicabile a tale titolo l’art. 37, comma 2, l. n. 599 del 1954.
Quanto alla configurabilità degli effetti retroattivi con decorrenza dal 13 settembre 2006 della causa di cessazione della rimozione per perdita del grado di cui al procedimento disciplinare conclusosi nel 2009, questione che ha originato il presente giudizio, occorre osservare che, come ricordato, detti effetti retroattivi – secondo l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 - conseguono al fatto che il procedimento disciplinare fosse in atto, ossia pendente, al momento della cessazione dal servizio per altra causa, nel caso in esame per invalidità.
Ed infatti, come ricordato, l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 prevede che il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente, tra le quali quella per invalidità, cessi dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare, e soltanto ‘qualora il procedimento - ossia quello al quale il sottufficiale si trovava sottoposto al momento del verificarsi dell’altra causa di cessazione - si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado , la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta’.
Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta che il procedimento disciplinare conclusosi con l'emissione del D. M. n. 445/III-7/2009 in data 27.11.2009, con il quale veniva disposta a far data dal 13.09.2006, la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, ai sensi del combinato disposto degli artt. 37 e 60, n. 6) della Legge 31 luglio 1954 n. 599, è stato avviato con inchiesta formale il 27 novembre 2009.
Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 13 settembre 2006, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione dell’appellante.
Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
2.1. Quanto precede, induce il Collegio ad escludere l’applicabilità al caso in esame della disciplina speciale posta dagli artt. 37 e 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954, e consente di poter ritenere come definitivo il provvedimento dell’INPDAP col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 13 settembre 2006.
3. All’accoglimento di questo motivo d’appello consegue l’assorbimento delle eccezioni formulate dalla difesa dell’appellante relativa alla violazione degli art. 203 e ss del d.P.R. 1092 del 1973 essendo venuto meno il titolo giuridico sostanziale del credito erariale accertato dall’INPS per ratei pensionistici indebitamente erogati al sig. A..
Per quanto precede l’appello va integralmente accolto.
4. Dall’accoglimento dell’appello consegue l’interesse dell’INPS a vedersi accogliere l’eccezione di prescrizione formulata nella memoria di costituzione del presente giudizio.
Tuttavia, proprio perché formulata per la prima volta in grado d’appello, l’eccezione di prescrizione – notoriamente non rilevabile d’ufficio ex art. 2938 c.c. – si rivela inammissibile ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
5. In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento col quale l’appellante venne dispensato dal servizio per inabilità assoluta a far data dal 13 settembre 2006.
6. Sulle somme arretrate spettanti a titolo di ratei pensionistici decorrenti dalla sospensione, spettano gli interessi legali e rivalutazione monetaria, da calcolarsi non in cumulo integrale, quale matematica sommatoria dell’una e dell’altra componente accessoria del credito pensionistico liquidato con ritardo, bensì parziale, quale possibile integrazione degli interessi legali ove l’indice di svalutazione dovesse eccedere la misura dei primi, secondo i principi affermati nella sentenza delle Sezioni Riunite n. 10/QM/2002.
7. Le spese legali seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
8. Nulla per le spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti - Terza Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando,
dichiara il difetto d legittimazione passiva del M.E.F.;
accoglie l’appello iscritto al n. 46493 del Registro di segreteria e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto del sig. R. A. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP col quale l’appellante venne dispensato dal servizio a far data dal 13 settembre 2006;
Sulle somme arretrate spettanti a titolo di ratei pensionistici decorrenti dalla sospensione, spettano gli interessi legali e rivalutazione monetaria, da calcolarsi come stabilito in motivazione.
Liquida le spese legali nella misura di euro 1.000,00 in favore di parte appellante, ponendole a carico, in parti uguali delle amministrazioni appellate (Ministero della Difesa ed I.N.P.S.).
Nulla per le spese di giudizio.
Manda alla segreteria per il seguito di competenza.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 9 settembre 2016.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Cons. Giuseppina Maio F.to Pres. Enzo Rotolo
Depositata in Segreteria il giorno 03-10-2016
Il Dirigente
F.to Dott. Massimo Biagi
G 46493 Sent 463/2016
Re: Perdita grado e revoca pensione
queste sono fresche fresche leggete
tar basilicata sentenza nr 45 del 15.12.2016
tar piemonte sentenza nr 272 del 14.12.2016
auguri a tutti i colleghi caduti in disgrazia, Dio quello che toglie prima o poi lo ridà.
auguri anche a quei colleghi "onesti" che non sono d'accordo con me e che magari tutti i mesi fanno 55 ore di
straordinario....................
buon proseguimento a tutti
tar basilicata sentenza nr 45 del 15.12.2016
tar piemonte sentenza nr 272 del 14.12.2016
auguri a tutti i colleghi caduti in disgrazia, Dio quello che toglie prima o poi lo ridà.
auguri anche a quei colleghi "onesti" che non sono d'accordo con me e che magari tutti i mesi fanno 55 ore di
straordinario....................
buon proseguimento a tutti
Re: Perdita grado e revoca pensione
Panorama e colleghi tutti scusatemi le sentenze non sono dei tar ma della corte dei conti i numeri sono giusti
basilicata sentenza nr 45 del 15.12.2016
piemonte sentenza nr 272 del 14.12.2016
basilicata sentenza nr 45 del 15.12.2016
piemonte sentenza nr 272 del 14.12.2016
Re: Perdita grado e revoca pensione
Ricorso Accolto.
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La Corte dei Conti sede di Palermo scrive:
1) - In quanto il ricorrente è stato posto in quiescenza con la motivazione di inidoneità al servizio permanente, conseguentemente tale motivazione in diritto acquista efficacia definitiva e non è più revocabile ai sensi delle predette norme.
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SICILIA SENTENZA 70 01/02/2017
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA SENTENZA 70 2017 PENSIONI 01/02/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. Giuseppe Grasso ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 70/2017
Sul ricorso in materia pensionistica, depositato in data 7/5/2013 ed iscritto al n.60384 del registro di segreteria, promosso da D.F.G. rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Micali e domiciliato in Palermo presso lo studio dell’avv. Rosaria Petrolà in via Notarbartolo n.49
nei confronti di
INPS gestione INPDAP e Ministero della difesa Comando generale dei carabinieri .
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale;
Uditi, nella udienza di consiglio del 3 ottobre 2016, l’avv. Petrolà per delega dell’avv. Micali per il ricorrente e l’avv. Gianfranco Raia per L’INPS. E il col. Fruttini per il Carabinieri .
FATTO
il ricorrente impugna i provvedimenti del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri n...../1-3PBN del 7/3/2008 in cui si è provveduto a comunicare all’interessato ed all’INPS la interruzione del trattamento pensionistico, nonché provvedere al recupero di quello già erogato, non avendo il ricorrente il possesso dei requisiti contributivi ed anagrafici previsti dalla legge 449/1997 e d.lgs.165/1997 in conseguenza di provvedimento di perdita del grado, espulsione e conseguente carenza dei requisiti anagrafici per l’erogazione del trattamento pensionistico. per la pensione di anzianità avendo modificato il precedente provvedimento n.392/2 del 22/3/2006 in cui il ricorrente veniva collocato in congedo assoluto per infermità.
Il ricorrente impugna i predetti provvedimenti sotto il profilo previdenziale, eccependo l’inefficacia retroattiva degli stessi, alla luce soprattutto del provvedimento di collocamento a riposo per inidoneità al servizio di istituto, come da precedente provvedimento, non potendo i detti provvedimenti incidere su quest’ultimo con effetti retroattivi, nonché per contraddizione tra la concessione del trattamento pensionistico per inidoneità al servizio e sospensione di tale trattamento, in quanto ritenuto per anzianità di servizio.
Si è costituito il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri il quale ha chiesto il rigetto della domanda
Si è costituito l’INPS gestione INPDAP, il quale, ha precisato il proprio difetto di giurisdizione indicando la competenza del giudice amministrativo.
DIRITTO
Il ricorso del signor De F. G. e fondato nei seguenti termini.
Preliminarmente si afferma la giurisdizione del giudice contabile trattandosi di un indebito di natura pensionistica legato alla sussistenza dei requisiti per il collocamento in quiescenza del ricorrente.
Nel merito, ai fini dell’esame della fattispecie in questione è specifica la disciplina dell’art. 203 e segg. del DPR 1092/1973.
L’art. 203 prevede che : il provvedimento definitivo del trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall’ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti.
Il successivo art. 204 prevede per quanto qui interessa: la revoca o modifica di cui all’articolo precedente può aver luogo quando: a)vi sia stato un errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;
Ancora, il successivo art. 205 prevede che: la revoca e la modifica sono effettuate d’ufficio e nel caso previsto dalla lett. a) dell’art. 204, il provvedimento può essere revocato o modificato d’ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso.
E l’art. 206 prevede come nel caso in questione ove in conseguenza del provvedimento revocato o modificato siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato.
Nel caso in questione è evidente che il provvedimento di autotutela dell’amministrazione è intervenuto senza che vi sia stato un errore di fatto dell’amministrazione, nè può ritenersi esistente alcun fatto doloso dell’interessato, che non ha in alcun modo ingannato l’amministrazione.
In quanto il ricorrente è stato posto in quiescenza con la motivazione di inidoneità al servizio permanente, conseguentemente tale motivazione in diritto acquista efficacia definitiva e non è più revocabile ai sensi delle predette norme.
Considerata la rilevanza degli artt.203 e 204 del DPR 1092/1973 che si riverbera sul provvedimento definitivo, il ricorso deve essere accolto e conseguentemente, l’atto impugnato deve essere annullato come tutti gli altri provvedimenti conseguenziali.
Sul pagamento degli arretrati sono dovuti gli interessi legali dalla data della trattenuta sino al soddisfo.
Si ritiene giusta la compensazione delle spese.
P. Q. M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso del signor De F.G. nei termini di cui in motivazione.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.
Spese al definitivo.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2016.
IL GIUDICE
F.to Dott. Giuseppe Grasso
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge
Palermo, 30 gennaio 2017
Pubblicata l’1 febbraio 2017
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
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La Corte dei Conti sede di Palermo scrive:
1) - In quanto il ricorrente è stato posto in quiescenza con la motivazione di inidoneità al servizio permanente, conseguentemente tale motivazione in diritto acquista efficacia definitiva e non è più revocabile ai sensi delle predette norme.
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SICILIA SENTENZA 70 01/02/2017
SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SICILIA SENTENZA 70 2017 PENSIONI 01/02/2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Dott. Giuseppe Grasso ha pronunciato la seguente
SENTENZA N. 70/2017
Sul ricorso in materia pensionistica, depositato in data 7/5/2013 ed iscritto al n.60384 del registro di segreteria, promosso da D.F.G. rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Micali e domiciliato in Palermo presso lo studio dell’avv. Rosaria Petrolà in via Notarbartolo n.49
nei confronti di
INPS gestione INPDAP e Ministero della difesa Comando generale dei carabinieri .
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale;
Uditi, nella udienza di consiglio del 3 ottobre 2016, l’avv. Petrolà per delega dell’avv. Micali per il ricorrente e l’avv. Gianfranco Raia per L’INPS. E il col. Fruttini per il Carabinieri .
FATTO
il ricorrente impugna i provvedimenti del Comando generale dell’Arma dei Carabinieri n...../1-3PBN del 7/3/2008 in cui si è provveduto a comunicare all’interessato ed all’INPS la interruzione del trattamento pensionistico, nonché provvedere al recupero di quello già erogato, non avendo il ricorrente il possesso dei requisiti contributivi ed anagrafici previsti dalla legge 449/1997 e d.lgs.165/1997 in conseguenza di provvedimento di perdita del grado, espulsione e conseguente carenza dei requisiti anagrafici per l’erogazione del trattamento pensionistico. per la pensione di anzianità avendo modificato il precedente provvedimento n.392/2 del 22/3/2006 in cui il ricorrente veniva collocato in congedo assoluto per infermità.
Il ricorrente impugna i predetti provvedimenti sotto il profilo previdenziale, eccependo l’inefficacia retroattiva degli stessi, alla luce soprattutto del provvedimento di collocamento a riposo per inidoneità al servizio di istituto, come da precedente provvedimento, non potendo i detti provvedimenti incidere su quest’ultimo con effetti retroattivi, nonché per contraddizione tra la concessione del trattamento pensionistico per inidoneità al servizio e sospensione di tale trattamento, in quanto ritenuto per anzianità di servizio.
Si è costituito il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri il quale ha chiesto il rigetto della domanda
Si è costituito l’INPS gestione INPDAP, il quale, ha precisato il proprio difetto di giurisdizione indicando la competenza del giudice amministrativo.
DIRITTO
Il ricorso del signor De F. G. e fondato nei seguenti termini.
Preliminarmente si afferma la giurisdizione del giudice contabile trattandosi di un indebito di natura pensionistica legato alla sussistenza dei requisiti per il collocamento in quiescenza del ricorrente.
Nel merito, ai fini dell’esame della fattispecie in questione è specifica la disciplina dell’art. 203 e segg. del DPR 1092/1973.
L’art. 203 prevede che : il provvedimento definitivo del trattamento di quiescenza può essere revocato o modificato dall’ufficio che lo ha emesso, secondo le norme contenute negli articoli seguenti.
Il successivo art. 204 prevede per quanto qui interessa: la revoca o modifica di cui all’articolo precedente può aver luogo quando: a)vi sia stato un errore di fatto o sia stato omesso di tener conto di elementi risultanti dagli atti;
Ancora, il successivo art. 205 prevede che: la revoca e la modifica sono effettuate d’ufficio e nel caso previsto dalla lett. a) dell’art. 204, il provvedimento può essere revocato o modificato d’ufficio non oltre il termine di tre anni dalla data di registrazione del provvedimento stesso.
E l’art. 206 prevede come nel caso in questione ove in conseguenza del provvedimento revocato o modificato siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che la revoca o la modifica siano state disposte in seguito all’accertamento di fatto doloso dell’interessato.
Nel caso in questione è evidente che il provvedimento di autotutela dell’amministrazione è intervenuto senza che vi sia stato un errore di fatto dell’amministrazione, nè può ritenersi esistente alcun fatto doloso dell’interessato, che non ha in alcun modo ingannato l’amministrazione.
In quanto il ricorrente è stato posto in quiescenza con la motivazione di inidoneità al servizio permanente, conseguentemente tale motivazione in diritto acquista efficacia definitiva e non è più revocabile ai sensi delle predette norme.
Considerata la rilevanza degli artt.203 e 204 del DPR 1092/1973 che si riverbera sul provvedimento definitivo, il ricorso deve essere accolto e conseguentemente, l’atto impugnato deve essere annullato come tutti gli altri provvedimenti conseguenziali.
Sul pagamento degli arretrati sono dovuti gli interessi legali dalla data della trattenuta sino al soddisfo.
Si ritiene giusta la compensazione delle spese.
P. Q. M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso del signor De F.G. nei termini di cui in motivazione.
Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.
Spese al definitivo.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 3 ottobre 2016.
IL GIUDICE
F.to Dott. Giuseppe Grasso
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge
Palermo, 30 gennaio 2017
Pubblicata l’1 febbraio 2017
IL FUNZIONARIO DI CANCELLERIA
F.to Piera Maria Tiziana Ficalora
Re: Perdita grado e revoca pensione
qui manca questa sentenza della Corte dei Conti - SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO - che Accogliendo il ricorso dell'interessato, conclude così:
1) - dichiara il diritto del sig. R. C. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010; su tali somme spetta la maggior somma tra gli interessi e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c.
N.B.: collega CC.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 789 16/11/2015
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 789 2015 RESPONSABILITA 16/11/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
IIª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott. Stefano Imperiali, Presidente
dott.ssa Angela Silveri, Consigliere
dott. Luigi Cirillo, Consigliere
dott.ssa Francesca Padula, Consigliere
dott. Marco Smiroldo, Consigliere relatore
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 47140 del Registro di Segreteria, proposto da R. C., rappresentato e difeso dall’avv. Elena Pettinau, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Andrea Lippi, in Roma, via Baiamonti n. 4, contro il Ministero della Difesa, in persona del ministro p.t. rappresentato e difeso dal dott. Alfredo Venditti, domiciliato in Roma, viale dell’Esercito 186, e contro l’INPS, rappresentato e difeso dalla dott.ssa Maria Caravaggio, per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Sardegna n. 298 del 20.11.2013.
Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 27.10.2015 il relatore, consigliere Marco Smiroldo, la dott.ssa Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa e la dott.ssa Paola Alessandrella per l’INPS; assente l’appellante.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza n. 298 del 20.11.2013, la Sezione giurisdizionale per la regione Sardegna ha respinto, in applicazione dell’art. 37 della l. n. 599 del 1954 e delle leggi nn. 165 e 499 del 1997, il ricorso del sig. C.. volto a far annullare il provvedimento di sospensione del trattamento pensionistico in godimento e, quindi, dichiarare il diritto del medesimo alla restituzione dei ratei trattenuti e non percepiti, comprensivi d’accessori.
Il sig. C.., infatti, dopo esser stato sospeso dal servizio ex art. 4, comma 1, l. n. 97 del 2001 in data 09.02.2010 a seguito di sentenza ex art. 444 c.p.p. di primo grado non definitiva, venne collocato in congedo assoluto per infermità nel luglio 2010 e, nel medesimo anno – ossia in data 18.11.2010 –, gli venne riconosciuto dall’INPDAP il diritto a pensione indicando quale causa di cessazione la dispensa dal servizio per invalidità (art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995).
Successivamente, ossia nel gennaio 2012, a seguito del passaggio in giudicato di sentenza penale che lo riguardava, al sig. C.. veniva inflitta, in esito a procedimento disciplinare avviato in data 28.07.2011, la sanzione disciplinare della perdita del grado e rimozione per motivi disciplinari, con decorrenza giuridica dal 09.02.2010.
Così, in applicazione dell’art. 37 della l. n. 599 del 1954, essendo intervenuto un mutamento della causa di cessazione dal servizio (da invalidità a perdita del grado) che implicava una differente decorrenza, tale da non consentire più la corresponsione del trattamento pensionistico per insufficienza dell’anzianità minima, l’INPS ne sospendeva i pagamenti col provvedimento poi impugnato col ricorso respinto in primo grado.
2.- Con ricorso in appello notificato in data 20.01.2014, al Ministero della difesa ed all’INPS, nonché al Comando generale dei Carabinieri, alla Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, e depositato presso la Segreteria in data 21.02.2014, il sig. C.. ha contestato l’errata applicazione dell’art. 37, comma 2 e 61 comma 2 della l. n. 599 del 1954 operata dal giudice di prime cure.
Inoltre, la difesa – dopo aver rilevato che l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010, giusto provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010 - ha contestato la mancata applicazione dei principi posti da SSRR n. 15/2011/QM sull’estensione del potere di autoannullamento dei provvedimenti concessivi di pensione , disciplinato dall’art. 203 e ss. del d.P.R. 1092 del 1973, a mente del quale non è prevista la modifica dei provvedimenti “per motivi disciplinari”, sul punto richiamando a sostengo della propria prospettazione anche giurisprudenza di primo e secondo grado.
In conclusione, l’appellante ha ritenuto che il provvedimento disciplinare non potesse incidere sul diritto quesito al trattamento pensionistico concessogli dall’INPS nel 2010 ed ha chiesto che gli venga riconosciuto il diritto a mantenere la pensione concessagli per invalidità a far data dal 16.07.2010.
3.- Con memoria del 08.10.2015 si è costituito l’INPS. l’Istituto ha precisato i termini giuridici della vicenda, e chiesto il rigetto dell’appello.
4.- Con memoria depositata 14.10.2015 si è costituito il Ministero della Difesa che, dopo aver ripercorso i termini fattuali e giuridici della vicenda, ha chiesto, il rigetto dell’appello, con vittoria di spese per euro 1.000,00; in subordine, in caso d’accoglimento dell’appello, ha chiesto l’applicazione della prescrizione quinquennale.
5.- All’udienza del 27.10.2015, udita la relazione del Cons. Smiroldo, la dott.ssa Paola Alessandrella, per l’INPS, ha confermato le conclusioni formulate con la memoria di costituzione.
La dott.ssa Maria Luisa Guttuso, per il Ministero della Difesa, dopo aver ampiamente illustrato la normativa di riferimento, si è soffermata sulla valenza – anche a fini pensionistici – della perdita del grado come sanzione disciplinare ed ha quindi chiesto il rigetto del gravame.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
A tal fine, occorre in primo luogo tener presente che la normativa in esame si colloca nel medesimo contesto operativo di riferimento di una serie di varie disposizioni (p.es., art. 1 del decreto - legge 3 giugno 1938, n. 1032, contenente norme sulla perdita del diritto a pensione per il personale statale destituito, convertito nella legge 5 gennaio 1939, n. 84) in base alle quali, in conseguenza di certe condanne penali o di certe sanzioni disciplinari, prevedevano la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare.
Dette disposizioni vennero, anche a seguito di pronunce dell’illegittimità costituzionale delle relative norme (v. C. cost. sent. nn. 3 del 1966; 78 del 1967; 112 del 1968), definitivamente abrogate dalla l. n. 08.06.1966, n. 424.
Il complessivo disegno ordinamentale avviato con tale abrogazione, ponendosi nel solco della tutela rafforzata del credito previdenziale prevista dall’art. 36 Cost., così come interpretato dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale, è stato poi completato dall’art. 5 del d.P.R. 1092 del 1973 che ha previsto che, in linea generale, “Il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza italiana o per altre cause, salvo quanto disposto per il trattamento di riversibilità dagli articoli 81, comma settimo, e 86, comma secondo”.
Il descritto contesto normativo impone, quindi, al Collegio una ricostruzione ed applicazione particolarmente attenta delle norme in esame, che rappresentano una disciplina oggettivamente e soggettivamente speciale, proprio al fine di evitare che l’effetto della loro interpretazione riproponga conseguenze non più compatibili con l’Ordinamento costituzionale.
3.- L’art. 37 della l. n. 599 del 1954 sullo Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica stabiliva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.
Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
In sostanza, la normativa ora richiamata - poi essenzialmente riprodotta nel D.lgs. n. 66 del 2010 e s.m.i. recante le norme sull’Ordinamento militare - assegna effetti retroattivi, che travolgono la causa di cessazione dal servizio, alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concluda, dopo l’intervenuta cessazione dal servizio, con una sentenza di condanna alla perdita del grado o con l’irrogazione della sanzione disciplinare della rimozione/perdita del grado, sostituendo quest’ultima causa di cessazione dal servizio a quella in precedenza verificatasi.
Infatti, l’art. 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954 disponeva che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 (ossia, come nel caso in esame, la rimozione per motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina) e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
Ciò posto, passando alla soluzione del caso in esame, in primo luogo, il Collegio osserva che, pur essendo stato sottoposto l’appellante a procedimento penale al momento della cessazione dal servizio per invalidità, tuttavia detto procedimento si è concluso con una sentenza che – alla stregua degli atti di causa – non risulta abbia condannato anche alla perdita del grado, rimanendo per l’effetto inapplicabile a tale titolo l’art. 37, comma 2, l. n. 599 del 1954.
Quanto alla configurabilità degli effetti retroattivi con decorrenza dal 09.02.2010 della causa di cessazione della rimozione per perdita del grado di cui al procedimento disciplinare conclusosi nel 2012, questione che ha originato il presente giudizio, occorre osservare che, come ricordato, detti effetti retroattivi – secondo l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 - conseguono al fatto che il procedimento disciplinare fosse in atto, ossia pendente, al momento della cessazione dal servizio per altra causa, nel caso in esame per invalidità.
Ed infatti, come ricordato, l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 prevede che il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente, tra le quali quella per invalidità, cessi dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare, e soltanto ‘qualora il procedimento - ossia quello al quale il sottufficiale si trovava sottoposto al momento del verificarsi dell’altra causa di cessazione - si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta’.
Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta (cfr. il DM 39 del 2012 col quale è stata irrogata la sanzione) che il procedimento disciplinare (l’istruttoria formale) all’esito del quale è stato disposto il deferimento al giudizio di apposita Commissione di disciplina è stato avviato con ordine del 28.07.2011.
Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 16.07.2010, giusta Decreto dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse dal 09.02.2010 i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione ex art. 4, comma 1, l. n. 97 del 2001 dell’appellante, che non risulta peraltro sia stata seguita a suo tempo dall’avvio di alcun procedimento disciplinare, poi eventualmente sospeso ex art. 5, comma 4, l. n. 97 del 2001.
Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
Quanto precede, induce il Collegio ad escludere l’applicabilità al caso in esame della disciplina speciale posta dagli artt. 37 e 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954, consente di poter ritenere come definitivo il provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010.
E’ appena il caso di ricordare, al riguardo, che dall’accertamento dell’ inabilità assoluta ex art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 (assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa) deriva la risoluzione definitiva del rapporto di impiego (art. 7, comma 1, D.M. n. 187 del 1997).
In tale prospettiva assumo pregio allora anche le eccezioni formulate dalla difesa dell’appellante relativa alla violazione degli art. 203 e ss del d.P.R. 1092 del 1973 che individuano, secondo i principi espressi da SSRR n. 15/2011/QM, ipotesi tipiche e tassative di revoca dei provvedimenti definitivi di pensione, limitando in tal modo l’ordinario potere dell’amministrazione in materia.
Per quanto precede l’appello va accolto.
4.- Dall’accoglimento dell’appello consegue l’interesse dell’INPS a vedersi accogliere l’eccezione di prescrizione formulata nella memoria di costituzione del presente giudizio.
Tuttavia, proprio perché formulata per la prima volta in grado d’appello, l’eccezione di prescrizione – notoriamente non rilevabile d’ufficio ex art. 2938 c.c. – si rivela inammissibile ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
5.- In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010, oltre accessori così come stabiliti in dispositivo.
6.- La particolare articolazione dei fatti di causa e le complesse questioni interpretative ad essi connesse inducono il Collegio a compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
la Corte dei conti - II Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello iscritto al n. 47140 del Registro di segreteria e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto del sig. R. C. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010; su tali somme spetta la maggior somma tra gli interessi e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c.
Spese di giudizio del presente grado compensate.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 27.10.2015.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Cons. Marco Smiroldo Pres. Stefano Imperiali
f.to Marco Smiroldo f.to Stefano Imperiali
Depositato in Segreteria il 16 nov. 2015
p.Il Dirigente
Dott.ssa Daniela D’Amaro
Il Coordinatore Amministrativo
d.ssa Simonetta Desideri
f.to Simonetta Desideri
1) - dichiara il diritto del sig. R. C. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010; su tali somme spetta la maggior somma tra gli interessi e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c.
N.B.: collega CC.
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SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 789 16/11/2015
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
SECONDA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO SENTENZA 789 2015 RESPONSABILITA 16/11/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
IIª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati
dott. Stefano Imperiali, Presidente
dott.ssa Angela Silveri, Consigliere
dott. Luigi Cirillo, Consigliere
dott.ssa Francesca Padula, Consigliere
dott. Marco Smiroldo, Consigliere relatore
riunita in Camera di consiglio ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello iscritto al n. 47140 del Registro di Segreteria, proposto da R. C., rappresentato e difeso dall’avv. Elena Pettinau, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Andrea Lippi, in Roma, via Baiamonti n. 4, contro il Ministero della Difesa, in persona del ministro p.t. rappresentato e difeso dal dott. Alfredo Venditti, domiciliato in Roma, viale dell’Esercito 186, e contro l’INPS, rappresentato e difeso dalla dott.ssa Maria Caravaggio, per la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per la regione Sardegna n. 298 del 20.11.2013.
Visti tutti gli atti ed i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del giorno 27.10.2015 il relatore, consigliere Marco Smiroldo, la dott.ssa Maria Luisa Guttuso per il Ministero della Difesa e la dott.ssa Paola Alessandrella per l’INPS; assente l’appellante.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con sentenza n. 298 del 20.11.2013, la Sezione giurisdizionale per la regione Sardegna ha respinto, in applicazione dell’art. 37 della l. n. 599 del 1954 e delle leggi nn. 165 e 499 del 1997, il ricorso del sig. C.. volto a far annullare il provvedimento di sospensione del trattamento pensionistico in godimento e, quindi, dichiarare il diritto del medesimo alla restituzione dei ratei trattenuti e non percepiti, comprensivi d’accessori.
Il sig. C.., infatti, dopo esser stato sospeso dal servizio ex art. 4, comma 1, l. n. 97 del 2001 in data 09.02.2010 a seguito di sentenza ex art. 444 c.p.p. di primo grado non definitiva, venne collocato in congedo assoluto per infermità nel luglio 2010 e, nel medesimo anno – ossia in data 18.11.2010 –, gli venne riconosciuto dall’INPDAP il diritto a pensione indicando quale causa di cessazione la dispensa dal servizio per invalidità (art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995).
Successivamente, ossia nel gennaio 2012, a seguito del passaggio in giudicato di sentenza penale che lo riguardava, al sig. C.. veniva inflitta, in esito a procedimento disciplinare avviato in data 28.07.2011, la sanzione disciplinare della perdita del grado e rimozione per motivi disciplinari, con decorrenza giuridica dal 09.02.2010.
Così, in applicazione dell’art. 37 della l. n. 599 del 1954, essendo intervenuto un mutamento della causa di cessazione dal servizio (da invalidità a perdita del grado) che implicava una differente decorrenza, tale da non consentire più la corresponsione del trattamento pensionistico per insufficienza dell’anzianità minima, l’INPS ne sospendeva i pagamenti col provvedimento poi impugnato col ricorso respinto in primo grado.
2.- Con ricorso in appello notificato in data 20.01.2014, al Ministero della difesa ed all’INPS, nonché al Comando generale dei Carabinieri, alla Legione Carabinieri Piemonte e Valle d’Aosta, e depositato presso la Segreteria in data 21.02.2014, il sig. C.. ha contestato l’errata applicazione dell’art. 37, comma 2 e 61 comma 2 della l. n. 599 del 1954 operata dal giudice di prime cure.
Inoltre, la difesa – dopo aver rilevato che l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010, giusto provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010 - ha contestato la mancata applicazione dei principi posti da SSRR n. 15/2011/QM sull’estensione del potere di autoannullamento dei provvedimenti concessivi di pensione , disciplinato dall’art. 203 e ss. del d.P.R. 1092 del 1973, a mente del quale non è prevista la modifica dei provvedimenti “per motivi disciplinari”, sul punto richiamando a sostengo della propria prospettazione anche giurisprudenza di primo e secondo grado.
In conclusione, l’appellante ha ritenuto che il provvedimento disciplinare non potesse incidere sul diritto quesito al trattamento pensionistico concessogli dall’INPS nel 2010 ed ha chiesto che gli venga riconosciuto il diritto a mantenere la pensione concessagli per invalidità a far data dal 16.07.2010.
3.- Con memoria del 08.10.2015 si è costituito l’INPS. l’Istituto ha precisato i termini giuridici della vicenda, e chiesto il rigetto dell’appello.
4.- Con memoria depositata 14.10.2015 si è costituito il Ministero della Difesa che, dopo aver ripercorso i termini fattuali e giuridici della vicenda, ha chiesto, il rigetto dell’appello, con vittoria di spese per euro 1.000,00; in subordine, in caso d’accoglimento dell’appello, ha chiesto l’applicazione della prescrizione quinquennale.
5.- All’udienza del 27.10.2015, udita la relazione del Cons. Smiroldo, la dott.ssa Paola Alessandrella, per l’INPS, ha confermato le conclusioni formulate con la memoria di costituzione.
La dott.ssa Maria Luisa Guttuso, per il Ministero della Difesa, dopo aver ampiamente illustrato la normativa di riferimento, si è soffermata sulla valenza – anche a fini pensionistici – della perdita del grado come sanzione disciplinare ed ha quindi chiesto il rigetto del gravame.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La questione oggetto del presente giudizio concerne essenzialmente l’individuazione dei corretti termini d’applicazione della disciplina normativa posta dagli artt. 37 e 61 della l. n. 599 del 1954, applicabile ratione temporis ai fatti di causa.
A tal fine, occorre in primo luogo tener presente che la normativa in esame si colloca nel medesimo contesto operativo di riferimento di una serie di varie disposizioni (p.es., art. 1 del decreto - legge 3 giugno 1938, n. 1032, contenente norme sulla perdita del diritto a pensione per il personale statale destituito, convertito nella legge 5 gennaio 1939, n. 84) in base alle quali, in conseguenza di certe condanne penali o di certe sanzioni disciplinari, prevedevano la perdita, la riduzione o la sospensione delle pensioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare.
Dette disposizioni vennero, anche a seguito di pronunce dell’illegittimità costituzionale delle relative norme (v. C. cost. sent. nn. 3 del 1966; 78 del 1967; 112 del 1968), definitivamente abrogate dalla l. n. 08.06.1966, n. 424.
Il complessivo disegno ordinamentale avviato con tale abrogazione, ponendosi nel solco della tutela rafforzata del credito previdenziale prevista dall’art. 36 Cost., così come interpretato dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale, è stato poi completato dall’art. 5 del d.P.R. 1092 del 1973 che ha previsto che, in linea generale, “Il diritto al trattamento di quiescenza, diretto o di riversibilità, non si perde per prescrizione, per perdita della cittadinanza italiana o per altre cause, salvo quanto disposto per il trattamento di riversibilità dagli articoli 81, comma settimo, e 86, comma secondo”.
Il descritto contesto normativo impone, quindi, al Collegio una ricostruzione ed applicazione particolarmente attenta delle norme in esame, che rappresentano una disciplina oggettivamente e soggettivamente speciale, proprio al fine di evitare che l’effetto della loro interpretazione riproponga conseguenze non più compatibili con l’Ordinamento costituzionale.
3.- L’art. 37 della l. n. 599 del 1954 sullo Stato dei sottufficiali dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica stabiliva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.
Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
In sostanza, la normativa ora richiamata - poi essenzialmente riprodotta nel D.lgs. n. 66 del 2010 e s.m.i. recante le norme sull’Ordinamento militare - assegna effetti retroattivi, che travolgono la causa di cessazione dal servizio, alla circostanza della pendenza di un procedimento penale o disciplinare che si concluda, dopo l’intervenuta cessazione dal servizio, con una sentenza di condanna alla perdita del grado o con l’irrogazione della sanzione disciplinare della rimozione/perdita del grado, sostituendo quest’ultima causa di cessazione dal servizio a quella in precedenza verificatasi.
Infatti, l’art. 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954 disponeva che “Qualora ricorra l'applicazione del secondo comma dell'art. 37, la perdita del grado per le cause indicate al primo comma, nn. 6 (ossia, come nel caso in esame, la rimozione per motivi disciplinari, previo giudizio di una Commissione di disciplina) e 7, dell'art. 60 decorre dalla data in cui il sottufficiale ha cessato dal servizio permanente”.
Ciò posto, passando alla soluzione del caso in esame, in primo luogo, il Collegio osserva che, pur essendo stato sottoposto l’appellante a procedimento penale al momento della cessazione dal servizio per invalidità, tuttavia detto procedimento si è concluso con una sentenza che – alla stregua degli atti di causa – non risulta abbia condannato anche alla perdita del grado, rimanendo per l’effetto inapplicabile a tale titolo l’art. 37, comma 2, l. n. 599 del 1954.
Quanto alla configurabilità degli effetti retroattivi con decorrenza dal 09.02.2010 della causa di cessazione della rimozione per perdita del grado di cui al procedimento disciplinare conclusosi nel 2012, questione che ha originato il presente giudizio, occorre osservare che, come ricordato, detti effetti retroattivi – secondo l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 - conseguono al fatto che il procedimento disciplinare fosse in atto, ossia pendente, al momento della cessazione dal servizio per altra causa, nel caso in esame per invalidità.
Ed infatti, come ricordato, l’art. 37 della l. n. 599 del 1954 prevede che il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente, tra le quali quella per invalidità, cessi dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare, e soltanto ‘qualora il procedimento - ossia quello al quale il sottufficiale si trovava sottoposto al momento del verificarsi dell’altra causa di cessazione - si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta’.
Sul punto il Collegio rileva che dagli atti risulta (cfr. il DM 39 del 2012 col quale è stata irrogata la sanzione) che il procedimento disciplinare (l’istruttoria formale) all’esito del quale è stato disposto il deferimento al giudizio di apposita Commissione di disciplina è stato avviato con ordine del 28.07.2011.
Ciò posto, all’atto della cessazione dal servizio per invalidità, ossia al 16.07.2010, giusta Decreto dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, il procedimento disciplinare doveva essere ancora avviato, nonostante l’Ente militare già conoscesse dal 09.02.2010 i fatti dalla sentenza di primo grado, che aveva portato alla sospensione ex art. 4, comma 1, l. n. 97 del 2001 dell’appellante, che non risulta peraltro sia stata seguita a suo tempo dall’avvio di alcun procedimento disciplinare, poi eventualmente sospeso ex art. 5, comma 4, l. n. 97 del 2001.
Anche con riferimento al procedimento disciplinare, allora, rimangono inconfigurabili gli effetti retroattivi previsti dall’art. 37, comma 2, della l. n. 599 del 1954, in quanto, in questo caso, il procedimento disciplinare non era pendente al momento della cessazione dal servizio.
Quanto precede, induce il Collegio ad escludere l’applicabilità al caso in esame della disciplina speciale posta dagli artt. 37 e 61, comma 2, della l. n. 599 del 1954, consente di poter ritenere come definitivo il provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010.
E’ appena il caso di ricordare, al riguardo, che dall’accertamento dell’ inabilità assoluta ex art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 (assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa) deriva la risoluzione definitiva del rapporto di impiego (art. 7, comma 1, D.M. n. 187 del 1997).
In tale prospettiva assumo pregio allora anche le eccezioni formulate dalla difesa dell’appellante relativa alla violazione degli art. 203 e ss del d.P.R. 1092 del 1973 che individuano, secondo i principi espressi da SSRR n. 15/2011/QM, ipotesi tipiche e tassative di revoca dei provvedimenti definitivi di pensione, limitando in tal modo l’ordinario potere dell’amministrazione in materia.
Per quanto precede l’appello va accolto.
4.- Dall’accoglimento dell’appello consegue l’interesse dell’INPS a vedersi accogliere l’eccezione di prescrizione formulata nella memoria di costituzione del presente giudizio.
Tuttavia, proprio perché formulata per la prima volta in grado d’appello, l’eccezione di prescrizione – notoriamente non rilevabile d’ufficio ex art. 2938 c.c. – si rivela inammissibile ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
5.- In conclusione, per quanto precede il Collegio accoglie l’appello e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto dell’appellante a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010, oltre accessori così come stabiliti in dispositivo.
6.- La particolare articolazione dei fatti di causa e le complesse questioni interpretative ad essi connesse inducono il Collegio a compensare le spese tra le parti.
P.Q.M.
la Corte dei conti - II Sezione giurisdizionale centrale d’appello, disattesa ogni contraria istanza, azione, deduzione ed eccezione, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello iscritto al n. 47140 del Registro di segreteria e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara il diritto del sig. R. C. a mantenere il trattamento pensionistico attribuitogli con provvedimento dell’INPDAP n. 12143 del 18.11.2010, col quale l’appellante venne dispensato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, comma 12, l. n. 335 del 1995 a far data dal 16.07.2010; su tali somme spetta la maggior somma tra gli interessi e la rivalutazione monetaria ex art. 429 c.p.c.
Spese di giudizio del presente grado compensate.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 27.10.2015.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Cons. Marco Smiroldo Pres. Stefano Imperiali
f.to Marco Smiroldo f.to Stefano Imperiali
Depositato in Segreteria il 16 nov. 2015
p.Il Dirigente
Dott.ssa Daniela D’Amaro
Il Coordinatore Amministrativo
d.ssa Simonetta Desideri
f.to Simonetta Desideri
Re: Perdita grado e revoca pensione
Sent. CdC Sez. 2^ d’Appello n. 92/2025 di ottemperanza e l’esecuzione della sentenza n. 7/2024. Accolto.
>> Vittoria inerente alla perdita del grado per rimozione e gli effetti retroattivi e sostitutivi come causa di congedo con conseguente perdita del diritto al trattamento pensionistico.
> Appello nel giudizio di ottemperanza e per l’esecuzione della sentenza della Sez. 2^ d’appello n.7/2024, resa pubblica in data 9 gennaio 2024 con Rif. alla CdC Campania n. 565/2020.
P.S.: Nella sentenza di 1° grado della CdC Campania si legge: >> Nella fattispecie l'interessato, non avendo alcuno dei suddetti previsti requisiti oggettivi (alla data del 05/12/2005 era in possesso di un'età anagrafica di anni 43 ed un'anzianità contributiva di anni 25, mesi 4 e giorni 12) non può beneficiare di alcun trattamento pensionistico".
>> comunque lo stesso aveva svolto un periodo di servizio di oltre venti anni di servizio effettivo.
N.B.: Nella sentenza della CdC Sez. 2^ d’Appello n. 7/2024 si legge quanto segue in:
DIRITTO
L’appello è da accogliere sulla base del terzo motivo di appello (lettera C della parte in fatto) che pertanto viene immediatamente in trattazione restando assorbite le precedenti questioni preliminari (di cui alle lettere A e B) riguardanti la prescrizione, così come il successivo motivo di cui alla lettera D concernente il mancato riconoscimento dei requisiti di un accesso a pensione alternativo a quello negato per effetto della rimozione per perdita del grado.
>> Per completezza leggete il tutto meglio direttamente dall'allegato di ottemperanza, per il resto consultare direttamente dal portale della CdC.
>> Vittoria inerente alla perdita del grado per rimozione e gli effetti retroattivi e sostitutivi come causa di congedo con conseguente perdita del diritto al trattamento pensionistico.
> Appello nel giudizio di ottemperanza e per l’esecuzione della sentenza della Sez. 2^ d’appello n.7/2024, resa pubblica in data 9 gennaio 2024 con Rif. alla CdC Campania n. 565/2020.
P.S.: Nella sentenza di 1° grado della CdC Campania si legge: >> Nella fattispecie l'interessato, non avendo alcuno dei suddetti previsti requisiti oggettivi (alla data del 05/12/2005 era in possesso di un'età anagrafica di anni 43 ed un'anzianità contributiva di anni 25, mesi 4 e giorni 12) non può beneficiare di alcun trattamento pensionistico".
>> comunque lo stesso aveva svolto un periodo di servizio di oltre venti anni di servizio effettivo.
N.B.: Nella sentenza della CdC Sez. 2^ d’Appello n. 7/2024 si legge quanto segue in:
DIRITTO
L’appello è da accogliere sulla base del terzo motivo di appello (lettera C della parte in fatto) che pertanto viene immediatamente in trattazione restando assorbite le precedenti questioni preliminari (di cui alle lettere A e B) riguardanti la prescrizione, così come il successivo motivo di cui alla lettera D concernente il mancato riconoscimento dei requisiti di un accesso a pensione alternativo a quello negato per effetto della rimozione per perdita del grado.
>> Per completezza leggete il tutto meglio direttamente dall'allegato di ottemperanza, per il resto consultare direttamente dal portale della CdC.
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