Prescrizione causa per mobbing
Prescrizione causa per mobbing
Cari colleghi, vorrei gentilmente sapere se il termine decennale di prescrizione per l'azione risarcitoria (responsabilità datore di lavoro art. 2087 c.c.) decorre dalla cessazione dal servizio o da quando invece sono sorti i comportamenti vessatori.
Nel mio caso i comportamenti vessatori sono iniziati nel 2011 e proseguiti sino al 2013 (documentati da certificazioni mediche del 2012/2013), ovvero quando sono stato posto in malattia, ininterrotta sino alla cessazione dal servizio, avvenuta per riforma a giugno 2015.
Pertanto, se il termine decennale decorresse dalla cessazione vi rientrerei, se invece decorresse dalle certificazioni mediche no.
PS. Nel 2019, ho ottenuto il riconoscimento della causa di servizio per mobbing.
Grazie a tutti quello che vorranno intervenire, in particolare @aeronatica
Nel mio caso i comportamenti vessatori sono iniziati nel 2011 e proseguiti sino al 2013 (documentati da certificazioni mediche del 2012/2013), ovvero quando sono stato posto in malattia, ininterrotta sino alla cessazione dal servizio, avvenuta per riforma a giugno 2015.
Pertanto, se il termine decennale decorresse dalla cessazione vi rientrerei, se invece decorresse dalle certificazioni mediche no.
PS. Nel 2019, ho ottenuto il riconoscimento della causa di servizio per mobbing.
Grazie a tutti quello che vorranno intervenire, in particolare @aeronatica
- nonno Alberto
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da nonno Alberto »
Ciao !Giaguaro ha scritto: ↑lun apr 28, 2025 5:22 pm Cari colleghi, vorrei gentilmente sapere se il termine decennale di prescrizione per l'azione risarcitoria (responsabilità datore di lavoro art. 2087 c.c.) decorre dalla cessazione dal servizio o da quando invece sono sorti i comportamenti vessatori.
Nel mio caso i comportamenti vessatori sono iniziati nel 2011 e proseguiti sino al 2013 (documentati da certificazioni mediche del 2012/2013), ovvero quando sono stato posto in malattia, ininterrotta sino alla cessazione dal servizio, avvenuta per riforma a giugno 2015.
Pertanto, se il termine decennale decorresse dalla cessazione vi rientrerei, se invece decorresse dalle certificazioni mediche no.
PS. Nel 2019, ho ottenuto il riconoscimento della causa di servizio per mobbing.
Grazie a tutti quello che vorranno intervenire, in particolare @aeronatica
Per quello che ho reperito :
Per mobbing, danni esistenziali e biologici, il termine di prescrizione è di dieci anni decorrenti dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Questo perché come hai già scritto, tali azioni rientrano nella responsabilità contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., che impone a quest’ultimo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore, in merito diverse sentenze.
La Corte di Cassazione ha più volte affermato che il diritto al risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale si prescrive in dieci anni, come previsto dall’art. 2946 cod. civ.
Certamente, materia di @aeronatica
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da bestiaccia »
Premetto che non sono un tuo collega, nè un avvocato nè un sindacalista ma un semplice cittadino e che pertanto posso anche essere smentito.
Prendo atto di quello che ti risponde il moderatore, ma non concordo.
ti allego il link all'articolo che ho trovato:
https://amblav.it/mobbing-e-prescrizion ... ne-civile/
secondo questa sentenza della cassazione la prescrizione comincia non dal momento in cui cominciano gli atti vessatori, ne dalla cessazione del rapporto di lavoro ma bensì dal loro manifestarsi all'esterno. motivo per cui io prenderei a riferimento le date dei tuoi certificati medici.
poi, ripeto, può essere che venga smentito da chi è del mestiere ma questo è quanto ho trovato io.
Tanti auguri per tutto. ciao
Prendo atto di quello che ti risponde il moderatore, ma non concordo.
ti allego il link all'articolo che ho trovato:
https://amblav.it/mobbing-e-prescrizion ... ne-civile/
secondo questa sentenza della cassazione la prescrizione comincia non dal momento in cui cominciano gli atti vessatori, ne dalla cessazione del rapporto di lavoro ma bensì dal loro manifestarsi all'esterno. motivo per cui io prenderei a riferimento le date dei tuoi certificati medici.
poi, ripeto, può essere che venga smentito da chi è del mestiere ma questo è quanto ho trovato io.
Tanti auguri per tutto. ciao
Re: Prescrizione causa per mobbing
Argomento interessante, con diverse sfaccetatture. In effetti ho anche io dubbi se valga il termine menzionato dal Nonno o quello riportato da bestiaccia. Vediamo se @aeronatica ci aiuta.
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da bestiaccia »
vorrei chiederti una cosa giaguaro, se vuoi e/o puoi naturalmente.
quali sono gli atti subiti che hanno dato vita al mobbing?
perchè se fosse demansionamento le cose potrebbero cambiare, leggi quì:
https://www.lavorosi.it/rapporti-di-lav ... ionamento/
se capisco bene, in questo caso l'inizio della prescrizione si rinnova di giorno in giorno fino alla data di cessazione del demansionamento.
potresti (al condizionale) fatti riconoscere il periodo di malattia fino al tuo congedo come prosecuzione del demansionamento subito.
in questo caso si il periodo di prescrizione potrebbe decorrere dalla data del tuo congedo e rientreresti nei 10 anni per intentare causa risarcitoria.
parere personale ovviamente il mio.
attendiamo il parere di chi è più ferrato in materia.
ma qualche info in più non guasterebbe.
buona fortuna. ciao
quali sono gli atti subiti che hanno dato vita al mobbing?
perchè se fosse demansionamento le cose potrebbero cambiare, leggi quì:
https://www.lavorosi.it/rapporti-di-lav ... ionamento/
se capisco bene, in questo caso l'inizio della prescrizione si rinnova di giorno in giorno fino alla data di cessazione del demansionamento.
potresti (al condizionale) fatti riconoscere il periodo di malattia fino al tuo congedo come prosecuzione del demansionamento subito.
in questo caso si il periodo di prescrizione potrebbe decorrere dalla data del tuo congedo e rientreresti nei 10 anni per intentare causa risarcitoria.
parere personale ovviamente il mio.
attendiamo il parere di chi è più ferrato in materia.
ma qualche info in più non guasterebbe.
buona fortuna. ciao
Re: Prescrizione causa per mobbing
Ciao bestiaccia, interessante! In effetti ho subito anche un demansionamento, che si è protratto sino alla cessazione dal servizio. Per di più, quando ero giò assente dal servizio per malattia, mi hanno denunciato in procura, per poi essere assolto con formula piena quando ormai avevo già cessato (le stesse indagini che dovevano essere "contro" di me, in realtà dimostrarono che avevo subito mobbing).
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da Silvestro64 »
vi racconto solo a titolo di curiosità questo episodio..Giaguaro ha scritto: ↑lun apr 28, 2025 5:22 pm Cari colleghi, vorrei gentilmente sapere se il termine decennale di prescrizione per l'azione risarcitoria (responsabilità datore di lavoro art. 2087 c.c.) decorre dalla cessazione dal servizio o da quando invece sono sorti i comportamenti vessatori.
Nel mio caso i comportamenti vessatori sono iniziati nel 2011 e proseguiti sino al 2013 (documentati da certificazioni mediche del 2012/2013), ovvero quando sono stato posto in malattia, ininterrotta sino alla cessazione dal servizio, avvenuta per riforma a giugno 2015.
Pertanto, se il termine decennale decorresse dalla cessazione vi rientrerei, se invece decorresse dalle certificazioni mediche no.
PS. Nel 2019, ho ottenuto il riconoscimento della causa di servizio per mobbing.
Grazie a tutti quello che vorranno intervenire, in particolare @aeronatica
ieri mi trovavo in una udienza alla corte dei conti per un mio ricorso (in proprio) e mi sono fermato ad assistere alle altre cause pensionistiche.
C'era una causa di riconoscimento della causa di servizio per patologia neuropsichiatrica a seguito di mobbing (sembra vessazioni iniziate quando il militare aveva relazionato su fatti illeciti) . Il Giudice aveva fatto eseguire una CTU (sembra negativa per la correlazione con il servizio) e l'avvocato ha dibattuto con il giudice nel merito della causa e per contestare questa CTU.
Purtroppo (anche per me) questo Giudice mi sembra un Pilato cioè cerca in tutti i modi di non decidere e scaricare su altri soggetti.
--------.ho visto lo storico delle sentenze di questo giudice e per il 90% sono sentenze post sentenza SSRR art. 54 in cui ratifica riconoscimenti dell'Inps per il 2,44% con notevole dispendio di energie per i ricorrenti per l'Inps e per la stessa Corte dei Conti...oppure sentenze dichiarate inammissbili per cavilli di notifica...rarissime sentenze in cui deve decidere con la sua testa..
avevo molta fiducia nella Corte dei Conti invece mi sembra il solito carrozzone italico..forse peggio. Certo poi dipende da Giudice che ti capita..
-
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da aeronatica »
Buon giorno a tutti.
Risponderò a breve Giaguaro ed a tutti ove interessati.
Scusate l'isteresi ma faccio fatica a stare al passo.
Il quesito non è di immediato riscontro anche perchè, mi pare, investa e coinvolga anche pronunce giurisdizionali intervenute (forse irrevocabili oppure no).
In termini generali ci soccorre il cc ove all'art. 2935 che dispone quanto segue:
“la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Detta norma, ovviamente, regola i vari aspetti di principio.
Non posso far vale un mio diritto fin quando esso non sia entrato nel mio patrimonio giuridico.
Pertanto, detto profilo, va posto a riguardo, tenuto a riferimento e calzato alla fattispecie.
La prescrizione civile è regolata dal codice civile dall’articolo 2934 all’articolo 2963.
E' bene sapere che alcuni diritti non possono cadere in prescrizione e sono pertanto imprescrittibili.
Certo è noto a tutti che il termine di prescrizione non è uguale per tutti i casi.
E' noto anche che esistono diversi tipi di prescrizione, presuntiva ed estintiva.
Nel credito, di poi, i termini di prescrizione dipendono dall'ambito di insorgenza del credito medesimo.
Il termine della prescrizione può essere sospeso oppure interrotto.
A volte basta poco ed il computo del termine ricomincia da capo, magari solamente con una raccomandata da 5 euro si ripristina il termine e gli si da nuova decorrenza.
Basterebbe la formazione di un atto di contestazione in mora, oppure - addirittura - il riconoscimento del diritto da parte del soggetto passivo.
Nel caso di cui si discute, addirittura, per legge la prescrizione viene interrotta ogni volta che viene posta una domanda giudiziale e detta interruzione vale fino alla sentenza; dopodichè ricomincia a decorrere.
Potrebbe anche nuovamente essere interrotto o sospeso.
Per dare una risposta certa, visto che non sono solito ad improvvisare, avrei necessità di poter leggere il carteggio specifico dal quale desumere aspetti peculiari e salienti che sono indispensabili.
Vi invito a scrivere ai miei recapiti diretti (tel. 348.8859007) ed inviare il carteggio (manlioferrario@gmail.com) per la disamina che farò volentieri nello spirito di questo forum ed appena possibile.
Nel frattempo porgo un saluto a tutti.
Risponderò a breve Giaguaro ed a tutti ove interessati.
Scusate l'isteresi ma faccio fatica a stare al passo.
Il quesito non è di immediato riscontro anche perchè, mi pare, investa e coinvolga anche pronunce giurisdizionali intervenute (forse irrevocabili oppure no).
In termini generali ci soccorre il cc ove all'art. 2935 che dispone quanto segue:
“la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.
Detta norma, ovviamente, regola i vari aspetti di principio.
Non posso far vale un mio diritto fin quando esso non sia entrato nel mio patrimonio giuridico.
Pertanto, detto profilo, va posto a riguardo, tenuto a riferimento e calzato alla fattispecie.
La prescrizione civile è regolata dal codice civile dall’articolo 2934 all’articolo 2963.
E' bene sapere che alcuni diritti non possono cadere in prescrizione e sono pertanto imprescrittibili.
Certo è noto a tutti che il termine di prescrizione non è uguale per tutti i casi.
E' noto anche che esistono diversi tipi di prescrizione, presuntiva ed estintiva.
Nel credito, di poi, i termini di prescrizione dipendono dall'ambito di insorgenza del credito medesimo.
Il termine della prescrizione può essere sospeso oppure interrotto.
A volte basta poco ed il computo del termine ricomincia da capo, magari solamente con una raccomandata da 5 euro si ripristina il termine e gli si da nuova decorrenza.
Basterebbe la formazione di un atto di contestazione in mora, oppure - addirittura - il riconoscimento del diritto da parte del soggetto passivo.
Nel caso di cui si discute, addirittura, per legge la prescrizione viene interrotta ogni volta che viene posta una domanda giudiziale e detta interruzione vale fino alla sentenza; dopodichè ricomincia a decorrere.
Potrebbe anche nuovamente essere interrotto o sospeso.
Per dare una risposta certa, visto che non sono solito ad improvvisare, avrei necessità di poter leggere il carteggio specifico dal quale desumere aspetti peculiari e salienti che sono indispensabili.
Vi invito a scrivere ai miei recapiti diretti (tel. 348.8859007) ed inviare il carteggio (manlioferrario@gmail.com) per la disamina che farò volentieri nello spirito di questo forum ed appena possibile.
Nel frattempo porgo un saluto a tutti.
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Re: Prescrizione causa per mobbing
Messaggio da aeronatica »
Buona sera a tutti.
Confidando che quanto segue possa essere di utile ausilio (almeno per una parte della disamina), porgo cordiali saluti.
Pubblicato il 15/06/2020
N. 03851/2020REG.PROV.COLL.
N. 03882/2012 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3882 del 2012, proposto dalla sig.ra -OMISSIS-e dal sig. -OMISSIS-, da ultimo rappresentati e difesi dall’avvocato Vincenzo Parato e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Pio Torcicollo in Roma, via Carlo Mirabello n. 11.
contro
il Ministero della difesa in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e concernente risarcimento danni per infermità patita da un congiunto e dipendente da causa di servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Giancarlo Luttazi nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli appellanti sig.ra -OMISSIS-ed sig. -OMISSIS- sono rispettivamente vedova e figlio del sottufficiale -OMISSIS-, capo di l^ classe della Marina militare deceduto per "-OMISSIS-", malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio in data 15 settembre 1996 e relativamente alla quale la Commissione medica dell'Ospedale militare marittimo di Taranto in data 14 novembre 1998 esprimeva giudizio favorevole sia alla corresponsione dell'equo indennizzo - poi liquidato in favore degli eredi in misura pari ad euro -OMISSIS-a seguito di decreto del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie n. -OMISSIS- dell’8 maggio 2001 - sia al diritto alla pensione privilegiata a termine, sino al dicembre 2009, periodo di completamento dei quattro anni di studi universitari del figlio del deceduto sottufficiale.
Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. -OMISSIS-, la quale, compensando le spese, ha in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione e in parte respinto, nei sensi precisati in motivazione, il ricorso n. 67 del 2009, proposto dagli appellanti per:
- l'annullamento della nota del Ministero della difesa prot. -OMISSIS-con la quale, sentita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, si comunicava che non venivano ravvisati i presupposti per dare corso alla richiesta risarcitoria avanzata dagli appellanti medesimi in data 9 marzo 2006;
- la condanna dell'Amministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti dai ricorrenti iure proprio e iure hereditatis, patrimoniali e non patrimoniali, per danno morale soggettivo e danno biologico derivante dal rapporto contrattuale tra il sig. -OMISSIS- e il Ministero della difesa.
La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda risarcitoria proposta dagli appellanti iure proprio, in quanto domanda da ritenere di natura extracontrattuale e solo occasionalmente connessa al pregresso rapporto di pubblico impiego; mentre ha respinto la domanda proposta dai ricorrenti iure hereditatis e basata sulla responsabilità di tipo contrattuale dell’Amministrazione datrice di lavoro, ritenendo il Tar quella domanda iure hereditatis rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma prescritta perché decorso il decennio di legge, come eccepito dal ministero della difesa.
L’appello denuncia:
- Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087, 2947 e 1218 del codice civile; dell'art. 22 del d.P.R. n. 303 del 19 marzo 1956, degli artt. 369 e 387 del d.P.R. n. 547 del 27 aprile 955;
- Violazione e/o falsa applicazione degli art. 589 e 157 del codice penale. Illogicità, contraddittorietà, erroneità, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto dcll'impugnata sentenza;
- Violazione dell'art. 97 della Costituzione: violazione dci principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa.
Il Ministero della difesa ha depositato atto formale di costituzione in data 8 giugno 2012.
Gli appellanti hanno depositato memoria difensiva e documenti in data 21 gennaio 2014.
In data 13 maggio 2014 parte appellante si è costituita con un nuovo difensore.
In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 7 giugno 2017 parte appellante ha depositato, in data 4 agosto 2017, domanda di fissazione di udienza.
Il Ministero della difesa ha depositato una memoria in data 17 aprile 2020.
La causa è passata in decisione in data 19 maggio 2020, ai sensi della normativa emergenziale di cui all'art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato.
Gli appellanti, vedova e figlio di un sottufficiale della Marina militare deceduto per malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, contestano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale che, pronunciandosi su loro ricorso contro il Ministero della difesa, proposto per:
- l'annullamento della nota del Ministero della difesa prot. -OMISSIS-con la quale, sentita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, si comunicava che non venivano ravvisati i presupposti per dare corso alla richiesta risarcitoria avanzata dagli appellanti medesimi in data 9 marzo 2006;
- per la condanna dell'Amministrazione della difesa al risarcimento di tutti i danni subiti dai ricorrenti iure proprio e iure hereditatis, patrimoniali e non patrimoniali, per danno morale soggettivo e danno biologico derivante dal rapporto contrattuale tra il de cuius e il Ministero della difesa.
La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda risarcitoria proposta dagli appellanti iure proprio, in quanto domanda da ritenere di natura extracontrattuale e solo occasionalmente connessa al pregresso rapporto di pubblico impiego, mentre - pur ritenendo rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda proposta dai ricorrenti iure hereditatis, perché basata sulla responsabilità di tipo contrattuale dell’Amministrazione datrice di lavoro - ha respinto la relativa pretesa ritenendo condivisibile l’eccezione di prescrizione decennale sollevata dall’Amministrazione.
1.1– Relativamente alla giurisdizione l’appello afferma che il dante causa degli istanti: “ha contratto la patologia -OMISSIS-a seguito di attività lavorativa svolta, in assenza di misura di precauzioni, e quindi la natura della responsabilità invocata dagli appellanti è di tipo contrattuale. Ergo non vi sono dubbi che la giurisdizione sia del Giudice amministrativo quale Giudice del rapporto di pubblico impiego. I danni lamentati dagli appellanti sono danni derivati dalla violazione delle regole afferenti il rapporto di pubblico impiego.”.
L’affermazione, condivisa dal Tar relativamente alla pretesa degli istanti iure hereditatis, è, per definizione, incompatibile con l’ulteriore pretesa avanzata iure proprio, essendo quest’ultima una richiesta di risarcimento non in quanto eredi ma in quanto danneggiati in proprio, e quindi al di fuori del rapporto contrattuale, estintosi con il decesso del dante causa. Pertanto erroneamente questo rapporto contrattuale del dante causa viene invocato più volte dagli appellanti per affermare la bontà della loro pretesa risarcitoria iure proprio.
Per questa pretesa risulta dunque corretta la declinatoria di giurisdizione affermata dal Tar. Declinatoria conforme del resto, come pure dal Tar rilevato, a un chiaro e consolidato orientamento della Corte di cassazione (v., per tutte, Cass. civ., Sezioni unite, 5 maggio 2014, n. 9573).
1.2- Relativamente al rigetto della seconda pretesa (domanda risarcitoria iure hereditatis), correttamente il Tar ha condiviso l’eccezione ministeriale di prescrizione decennale del credito.
In proposito il Tar ha rilevato che per il credito in argomento, di natura contrattuale per la sua origine dal rapporto lavorativo del dante causa, il termine prescrizionale doveva farsi decorrere dal 22 ottobre 1995, data in cui risultava che l’infermità in questione era stata diagnosticata e comunicata al dipendente; e che pertanto la richiesta risarcitoria presentata - dagli eredi del relativo credito risarcitorio - per la prima volta il 9 marzo 2006, lo era stata oltre l’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’articolo 2946 del codice civile.
Le relative contestazioni d’appello sono infondate.
1.2.1 - L’appello rileva in primo luogo, con diffusa argomentazione, che la patologia e il decesso del dante causa sono stati provocati dal comportamento omissivo dell’Amministrazione, da considerare in astratto come reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.). Da ciò deriverebbe l’applicabilità, esclusa dal Tar, dell’articolo 2947, terzo comma, primo periodo, del codice civile (“In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”). Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, essendo il dante causa soggetto passivo del suddetto comportamento da considerare in astratto come reato di omicidio colposo ed essendo gli eredi i danneggiati da quel reato, si sarebbe dovuto applicare - data la pena edittale per quel reato e la previsione di cui all’articolo 157 del codice penale - il termine prescrizionale di 10 anni previsto da quest’ultima disposizione, il quale sarebbe dovuto decorrere dalla data del decesso del dante causa (15 settembre 1996).
Il Tar avrebbe ignorato queste considerazioni, che gli appellanti avrebbero esposto nel ricorso di primo grado, e si sarebbe limitato a censurare il difetto di giurisdizione e la mancata tempestività della domanda proposta.
Si precisa in proposito che nel ricorso di primo grado sono assenti le specifiche prospettazioni testé indicate, che i ricorrenti hanno invece esposto in memoria, e che il Tar ha comunque considerato (dalla sentenza appellata: “Con la precisazione che (contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti) non è invocabile nella specie l’art. 2947 terzo comma del Codice civile (riguardante unicamente le prescrizioni brevi e il diritto al risarcimento da fatto illecito), perché trattasi di azione contrattuale (cfr: Corte di Cassazione civile, I Sezione, 21 marzo 1996 n° 2432; Sezione Lavoro, 8 Maggio 2007 n° 10441), e che, comunque, non può farsi decorrere il termine decennale di prescrizione dall’epoca della morte del pubblico dipendente (qualificata dai ricorrenti in termini di omicidio colposo ex art. 589 c.p.), in quanto (nella presente sede) viene esplicitamente fatto valere il diritto al risarcimento del danno sofferto dal OMISSIS (trasmesso agli eredi) nel periodo intercorrente tra il Gennaio 1995 ed il 16 Settembre 1996, ovverosia tra l’insorgere della malattia leucemica e il decesso, e non può essere valutato il danno subìto (iure proprio) dai prossimi congiunti del predetto per la perdita del loro familiare, perché, come detto, esula dalla giurisdizione del G.A..”).
In ogni caso si ritiene di poter prescindere in proposito da considerazioni in tema di nova in appello (anche in considerazione della circostanza che il presente petitum attiene a diritti soggettivi e quindi può anche non ritenersi vincolato a profili impugnatori).
E ritiene altresì il Collegio di poter prescindere da ogni altra pur possibile considerazione, tra cui quella della inapplicabilità allo Stato della responsabilità penale da delitto propria delle persone fisiche, e dunque dell’inapplicabilità alla fattispecie delle conseguenze che gli appellanti argomentano partendo dal delitto di omicidio colposo di cui all’articolo 589 del codice penale.
Si prescinde infatti dalle suddette ulteriori considerazioni per l’assorbente e decisiva erroneità dell’assunto che intende far decorrere il diritto risarcitorio iure hereditatis, diritto che per definizione trae origine dal precedente patrimonio giuridico del de cuius, dalla morte di quest’ultimo, e quindi da un evento successivo ed estraneo a quel patrimonio (tranne che per il fatto che l’exitus comporta la successione nel credito).
1.2.2 - L’appello aggiunge che se anche si volesse considerare una responsabilità dell'Amministrazione non conseguente ad omicidio colposo, e con decorrenza iniziale diversa da quella della data del decesso, la domanda avanzata dagli appellanti eredi risulterebbe tempestiva perché, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, la decorrenza del termine decennale di prescrizione doveva computarsi non dal 22 ottobre 1995 (data della diagnosi della malattia letale e della relativa comunicazione al paziente dante causa degli appellanti) ma dal 3 agosto 1996, data in cui il dante causa inoltrava all'Amministrazione la richiesta di riconoscimento di malattia professionale.
Anche questo assunto non è fondato.
Premesso che è incontestato, e invero incontestabile, che il termine prescrizionale si è trasferito agli appellanti, con il relativo diritto, con l’apertura della successione (nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet), si osserva che la prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 del codice civile, comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può esser fatto valere.
La decorrenza del termine prescrizionale può talora farsi iniziare dalla domanda di riconoscimento del diritto, ma ciò soltanto ove manchi “la dimostrazione di un momento di conoscenza anteriore del fatto dannoso nella sua dimensione” (v. Cass. civ., Sez. III, 29 novembre 2013, n. 26786); e nel caso di specie la conoscenza del fatto dannoso nella sua portata lesiva coincide, con evidenza, dalla comunicazione della diagnosi in data 22 ottobre 1995, peraltro avvenuta dopo oltre nove mesi dall’esordio dei sintomi (nel gennaio 1995, come riferito dagli appellanti).
Alla fattispecie in esame risulta attagliarsi proprio il principio indicato dalla Corte di cassazione nelle pronunce richiamate dagli stessi appellanti (i quali indicano: Cass. n. 2645/2003; Cass. n. 12287/2004; Cass. n. 10493/2006) e riferito nell’appello: il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere: “dal momento in cui la malattia può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al fatto doloso o colposo del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”.
Né può ritenersi che, conosciuto il danno subìto, il titolare del diritto al risarcimento possa determinare lui stesso, con la propria domanda risarcitoria, la decorrenza della prescrizione.
1.3 - Così confermata la correttezza della pronuncia di primo grado, declinatoria della giurisdizione quanto alla pretesa risarcitoria iure proprio e dichiarativa della prescrizione quanto alla pretesa risarcitoria iure hereditatis, risulta superfluo l’esame dell’ulteriore ampia parte dell’appello (dalla pagina 17 alla pagina 36) dedicata: al nesso di causalità fra le mansioni del dante causa, le sostanze alle quali è stato esposto e la sua patologia; alla condotta colposa dell’Amministrazione di appartenenza; alla normativa di riferimento; alla natura, entità e quantificazione del danno subito dagli appellanti. Questa ulteriore parte dell’appello, infatti, si basa sull’erroneità delle suddette statuizioni del primo giudice, le quali invece risultano condivisibili.
2. - L’appello va dunque respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza, peraltro tenendo conto dei danni - pur non risarcibili in esito al presente giudizio amministrativo - subiti dagli appellanti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al rimborso delle spese di giudizio dell’Amministrazione intimata, e le liquida in euro 3000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso dalla Sezione seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2020 - tenutasi con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 - con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore
Italo Volpe, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giancarlo Luttazi Gianpiero Paolo Cirillo
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Confidando che quanto segue possa essere di utile ausilio (almeno per una parte della disamina), porgo cordiali saluti.
Pubblicato il 15/06/2020
N. 03851/2020REG.PROV.COLL.
N. 03882/2012 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3882 del 2012, proposto dalla sig.ra -OMISSIS-e dal sig. -OMISSIS-, da ultimo rappresentati e difesi dall’avvocato Vincenzo Parato e con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Pio Torcicollo in Roma, via Carlo Mirabello n. 11.
contro
il Ministero della difesa in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. -OMISSIS-, resa tra le parti e concernente risarcimento danni per infermità patita da un congiunto e dipendente da causa di servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Giancarlo Luttazi nell’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2020, tenutasi con le modalità di cui alla normativa emergenziale di cui all’art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito in legge con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Gli appellanti sig.ra -OMISSIS-ed sig. -OMISSIS- sono rispettivamente vedova e figlio del sottufficiale -OMISSIS-, capo di l^ classe della Marina militare deceduto per "-OMISSIS-", malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio in data 15 settembre 1996 e relativamente alla quale la Commissione medica dell'Ospedale militare marittimo di Taranto in data 14 novembre 1998 esprimeva giudizio favorevole sia alla corresponsione dell'equo indennizzo - poi liquidato in favore degli eredi in misura pari ad euro -OMISSIS-a seguito di decreto del Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie n. -OMISSIS- dell’8 maggio 2001 - sia al diritto alla pensione privilegiata a termine, sino al dicembre 2009, periodo di completamento dei quattro anni di studi universitari del figlio del deceduto sottufficiale.
Gli appellanti hanno impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, n. -OMISSIS-, la quale, compensando le spese, ha in parte dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione e in parte respinto, nei sensi precisati in motivazione, il ricorso n. 67 del 2009, proposto dagli appellanti per:
- l'annullamento della nota del Ministero della difesa prot. -OMISSIS-con la quale, sentita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, si comunicava che non venivano ravvisati i presupposti per dare corso alla richiesta risarcitoria avanzata dagli appellanti medesimi in data 9 marzo 2006;
- la condanna dell'Amministrazione al risarcimento di tutti i danni subiti dai ricorrenti iure proprio e iure hereditatis, patrimoniali e non patrimoniali, per danno morale soggettivo e danno biologico derivante dal rapporto contrattuale tra il sig. -OMISSIS- e il Ministero della difesa.
La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda risarcitoria proposta dagli appellanti iure proprio, in quanto domanda da ritenere di natura extracontrattuale e solo occasionalmente connessa al pregresso rapporto di pubblico impiego; mentre ha respinto la domanda proposta dai ricorrenti iure hereditatis e basata sulla responsabilità di tipo contrattuale dell’Amministrazione datrice di lavoro, ritenendo il Tar quella domanda iure hereditatis rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ma prescritta perché decorso il decennio di legge, come eccepito dal ministero della difesa.
L’appello denuncia:
- Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2087, 2947 e 1218 del codice civile; dell'art. 22 del d.P.R. n. 303 del 19 marzo 1956, degli artt. 369 e 387 del d.P.R. n. 547 del 27 aprile 955;
- Violazione e/o falsa applicazione degli art. 589 e 157 del codice penale. Illogicità, contraddittorietà, erroneità, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto dcll'impugnata sentenza;
- Violazione dell'art. 97 della Costituzione: violazione dci principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell'azione amministrativa.
Il Ministero della difesa ha depositato atto formale di costituzione in data 8 giugno 2012.
Gli appellanti hanno depositato memoria difensiva e documenti in data 21 gennaio 2014.
In data 13 maggio 2014 parte appellante si è costituita con un nuovo difensore.
In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 7 giugno 2017 parte appellante ha depositato, in data 4 agosto 2017, domanda di fissazione di udienza.
Il Ministero della difesa ha depositato una memoria in data 17 aprile 2020.
La causa è passata in decisione in data 19 maggio 2020, ai sensi della normativa emergenziale di cui all'art. 84, commi 5 e 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n 18, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato.
Gli appellanti, vedova e figlio di un sottufficiale della Marina militare deceduto per malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, contestano la sentenza del Tribunale amministrativo regionale che, pronunciandosi su loro ricorso contro il Ministero della difesa, proposto per:
- l'annullamento della nota del Ministero della difesa prot. -OMISSIS-con la quale, sentita l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, si comunicava che non venivano ravvisati i presupposti per dare corso alla richiesta risarcitoria avanzata dagli appellanti medesimi in data 9 marzo 2006;
- per la condanna dell'Amministrazione della difesa al risarcimento di tutti i danni subiti dai ricorrenti iure proprio e iure hereditatis, patrimoniali e non patrimoniali, per danno morale soggettivo e danno biologico derivante dal rapporto contrattuale tra il de cuius e il Ministero della difesa.
La sentenza appellata ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione la domanda risarcitoria proposta dagli appellanti iure proprio, in quanto domanda da ritenere di natura extracontrattuale e solo occasionalmente connessa al pregresso rapporto di pubblico impiego, mentre - pur ritenendo rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda proposta dai ricorrenti iure hereditatis, perché basata sulla responsabilità di tipo contrattuale dell’Amministrazione datrice di lavoro - ha respinto la relativa pretesa ritenendo condivisibile l’eccezione di prescrizione decennale sollevata dall’Amministrazione.
1.1– Relativamente alla giurisdizione l’appello afferma che il dante causa degli istanti: “ha contratto la patologia -OMISSIS-a seguito di attività lavorativa svolta, in assenza di misura di precauzioni, e quindi la natura della responsabilità invocata dagli appellanti è di tipo contrattuale. Ergo non vi sono dubbi che la giurisdizione sia del Giudice amministrativo quale Giudice del rapporto di pubblico impiego. I danni lamentati dagli appellanti sono danni derivati dalla violazione delle regole afferenti il rapporto di pubblico impiego.”.
L’affermazione, condivisa dal Tar relativamente alla pretesa degli istanti iure hereditatis, è, per definizione, incompatibile con l’ulteriore pretesa avanzata iure proprio, essendo quest’ultima una richiesta di risarcimento non in quanto eredi ma in quanto danneggiati in proprio, e quindi al di fuori del rapporto contrattuale, estintosi con il decesso del dante causa. Pertanto erroneamente questo rapporto contrattuale del dante causa viene invocato più volte dagli appellanti per affermare la bontà della loro pretesa risarcitoria iure proprio.
Per questa pretesa risulta dunque corretta la declinatoria di giurisdizione affermata dal Tar. Declinatoria conforme del resto, come pure dal Tar rilevato, a un chiaro e consolidato orientamento della Corte di cassazione (v., per tutte, Cass. civ., Sezioni unite, 5 maggio 2014, n. 9573).
1.2- Relativamente al rigetto della seconda pretesa (domanda risarcitoria iure hereditatis), correttamente il Tar ha condiviso l’eccezione ministeriale di prescrizione decennale del credito.
In proposito il Tar ha rilevato che per il credito in argomento, di natura contrattuale per la sua origine dal rapporto lavorativo del dante causa, il termine prescrizionale doveva farsi decorrere dal 22 ottobre 1995, data in cui risultava che l’infermità in questione era stata diagnosticata e comunicata al dipendente; e che pertanto la richiesta risarcitoria presentata - dagli eredi del relativo credito risarcitorio - per la prima volta il 9 marzo 2006, lo era stata oltre l’ordinario termine decennale di prescrizione di cui all’articolo 2946 del codice civile.
Le relative contestazioni d’appello sono infondate.
1.2.1 - L’appello rileva in primo luogo, con diffusa argomentazione, che la patologia e il decesso del dante causa sono stati provocati dal comportamento omissivo dell’Amministrazione, da considerare in astratto come reato di omicidio colposo (art. 589 c.p.). Da ciò deriverebbe l’applicabilità, esclusa dal Tar, dell’articolo 2947, terzo comma, primo periodo, del codice civile (“In ogni caso, se il fatto è considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga, questa si applica anche all'azione civile”). Pertanto, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, essendo il dante causa soggetto passivo del suddetto comportamento da considerare in astratto come reato di omicidio colposo ed essendo gli eredi i danneggiati da quel reato, si sarebbe dovuto applicare - data la pena edittale per quel reato e la previsione di cui all’articolo 157 del codice penale - il termine prescrizionale di 10 anni previsto da quest’ultima disposizione, il quale sarebbe dovuto decorrere dalla data del decesso del dante causa (15 settembre 1996).
Il Tar avrebbe ignorato queste considerazioni, che gli appellanti avrebbero esposto nel ricorso di primo grado, e si sarebbe limitato a censurare il difetto di giurisdizione e la mancata tempestività della domanda proposta.
Si precisa in proposito che nel ricorso di primo grado sono assenti le specifiche prospettazioni testé indicate, che i ricorrenti hanno invece esposto in memoria, e che il Tar ha comunque considerato (dalla sentenza appellata: “Con la precisazione che (contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dei ricorrenti) non è invocabile nella specie l’art. 2947 terzo comma del Codice civile (riguardante unicamente le prescrizioni brevi e il diritto al risarcimento da fatto illecito), perché trattasi di azione contrattuale (cfr: Corte di Cassazione civile, I Sezione, 21 marzo 1996 n° 2432; Sezione Lavoro, 8 Maggio 2007 n° 10441), e che, comunque, non può farsi decorrere il termine decennale di prescrizione dall’epoca della morte del pubblico dipendente (qualificata dai ricorrenti in termini di omicidio colposo ex art. 589 c.p.), in quanto (nella presente sede) viene esplicitamente fatto valere il diritto al risarcimento del danno sofferto dal OMISSIS (trasmesso agli eredi) nel periodo intercorrente tra il Gennaio 1995 ed il 16 Settembre 1996, ovverosia tra l’insorgere della malattia leucemica e il decesso, e non può essere valutato il danno subìto (iure proprio) dai prossimi congiunti del predetto per la perdita del loro familiare, perché, come detto, esula dalla giurisdizione del G.A..”).
In ogni caso si ritiene di poter prescindere in proposito da considerazioni in tema di nova in appello (anche in considerazione della circostanza che il presente petitum attiene a diritti soggettivi e quindi può anche non ritenersi vincolato a profili impugnatori).
E ritiene altresì il Collegio di poter prescindere da ogni altra pur possibile considerazione, tra cui quella della inapplicabilità allo Stato della responsabilità penale da delitto propria delle persone fisiche, e dunque dell’inapplicabilità alla fattispecie delle conseguenze che gli appellanti argomentano partendo dal delitto di omicidio colposo di cui all’articolo 589 del codice penale.
Si prescinde infatti dalle suddette ulteriori considerazioni per l’assorbente e decisiva erroneità dell’assunto che intende far decorrere il diritto risarcitorio iure hereditatis, diritto che per definizione trae origine dal precedente patrimonio giuridico del de cuius, dalla morte di quest’ultimo, e quindi da un evento successivo ed estraneo a quel patrimonio (tranne che per il fatto che l’exitus comporta la successione nel credito).
1.2.2 - L’appello aggiunge che se anche si volesse considerare una responsabilità dell'Amministrazione non conseguente ad omicidio colposo, e con decorrenza iniziale diversa da quella della data del decesso, la domanda avanzata dagli appellanti eredi risulterebbe tempestiva perché, diversamente da quanto ritenuto dal Tar, la decorrenza del termine decennale di prescrizione doveva computarsi non dal 22 ottobre 1995 (data della diagnosi della malattia letale e della relativa comunicazione al paziente dante causa degli appellanti) ma dal 3 agosto 1996, data in cui il dante causa inoltrava all'Amministrazione la richiesta di riconoscimento di malattia professionale.
Anche questo assunto non è fondato.
Premesso che è incontestato, e invero incontestabile, che il termine prescrizionale si è trasferito agli appellanti, con il relativo diritto, con l’apertura della successione (nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet), si osserva che la prescrizione, ai sensi dell’art. 2935 del codice civile, comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può esser fatto valere.
La decorrenza del termine prescrizionale può talora farsi iniziare dalla domanda di riconoscimento del diritto, ma ciò soltanto ove manchi “la dimostrazione di un momento di conoscenza anteriore del fatto dannoso nella sua dimensione” (v. Cass. civ., Sez. III, 29 novembre 2013, n. 26786); e nel caso di specie la conoscenza del fatto dannoso nella sua portata lesiva coincide, con evidenza, dalla comunicazione della diagnosi in data 22 ottobre 1995, peraltro avvenuta dopo oltre nove mesi dall’esordio dei sintomi (nel gennaio 1995, come riferito dagli appellanti).
Alla fattispecie in esame risulta attagliarsi proprio il principio indicato dalla Corte di cassazione nelle pronunce richiamate dagli stessi appellanti (i quali indicano: Cass. n. 2645/2003; Cass. n. 12287/2004; Cass. n. 10493/2006) e riferito nell’appello: il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno inizia a decorrere: “dal momento in cui la malattia può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al fatto doloso o colposo del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”.
Né può ritenersi che, conosciuto il danno subìto, il titolare del diritto al risarcimento possa determinare lui stesso, con la propria domanda risarcitoria, la decorrenza della prescrizione.
1.3 - Così confermata la correttezza della pronuncia di primo grado, declinatoria della giurisdizione quanto alla pretesa risarcitoria iure proprio e dichiarativa della prescrizione quanto alla pretesa risarcitoria iure hereditatis, risulta superfluo l’esame dell’ulteriore ampia parte dell’appello (dalla pagina 17 alla pagina 36) dedicata: al nesso di causalità fra le mansioni del dante causa, le sostanze alle quali è stato esposto e la sua patologia; alla condotta colposa dell’Amministrazione di appartenenza; alla normativa di riferimento; alla natura, entità e quantificazione del danno subito dagli appellanti. Questa ulteriore parte dell’appello, infatti, si basa sull’erroneità delle suddette statuizioni del primo giudice, le quali invece risultano condivisibili.
2. - L’appello va dunque respinto.
Le spese del grado seguono la soccombenza, peraltro tenendo conto dei danni - pur non risarcibili in esito al presente giudizio amministrativo - subiti dagli appellanti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al rimborso delle spese di giudizio dell’Amministrazione intimata, e le liquida in euro 3000,00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.
Così deciso dalla Sezione seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2020 - tenutasi con le modalità di cui all’art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 - con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Giancarlo Luttazi, Consigliere, Estensore
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