REPUBBLICAITALIANA
INNOMEDELPOPOLOITALIANO
LACORTED’APPELLODIROMA
IIISEZIONELAVOROEPREVIDENZA
composta dai signori magistrati:
NETTIS dr. Vito Francesco – Presidente
TURCO dr. Vincenzo - Consigliere
COSENTINO dr.ssa Maria Giulia – Consigliere rel.
All’udienza di discussione del 8 gennaio 2024, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella controversia in materia di previdenza in grado di appello iscritta al n. 777 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2024,
TRA
MINISTERO DELL’INTERNO, con l’Avvocatura Generale dello Stato
Appellante
E
xxxxxxxxxxxxxxxx, con l’Avv. Luigi Elefante
Appellato
NONCHE’
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
Appellato contumace
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Rieti n. 32/2024 del 26.3.2024.
CONCLUSIONI DELLE PARTI COSTITUITE:
per l’appellante: “Voglia codesta Ecc.ma Corte: - dichiarare il difetto di giurisdizione in favore del G.O. in favore della Corte dei Conti; - nel merito, comunque riformare nel merito la sentenza appellata rigettando il ricorso di primo grado, in quanto manifestamente infondato, con vittoria delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.”; 2
per xxxxxxxx“1. Rigettare, perché infondato, l’appello proposto dal Ministero dell’Interno avverso la Sentenza n.32/2024 del Tribunale di Rieti Sezione Lavoro pubblicata in data 26.03.2024 2. Con vittoria di spese diritti ed onorari di grado con distrazione a favore del sottoscritto procuratore antistatario.”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 14.6.2022, xxxxxxxxxe, premesso di avere ottenuto il riconoscimento dello status di vittima del dovere, aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Rieti il Ministero dell’Interno e l’INPS per chiedere il riconoscimento del proprio diritto all’aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l’anzianità pensionistica e la misura della pensione, nonché il TFR come previsto dall’art. 3 della l.n. 206/2004.
Si era costituito il Ministero dell’Interno eccependo il difetto di giurisdizione in favore della Corte dei Conti, la carenza della propria legittimazione passiva, l’infondatezza nel merito della domanda, trattandosi di benefici accordati alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, e non anche alle vittime del dovere. Anche l’INPS si era costituito per chiedere il rigetto del ricorso, rilevando la prescrizione del diritto alle maggiorazioni pensionistiche, il proprio difetto di legittimazione passiva, l’improponibilità della domanda nei propri confronti in assenza di domanda in sede amministrativa.
Il Tribunale di Rieti ha ritenuto:
- che la giurisdizione è del giudice ordinario dal momento che si verte di un diritto soggettivo di natura assistenziale che può essere disposto anche per chi non è dipendente pubblico;
- che sussiste la legittimazione passiva del Ministero dell’Interno in quanto “amministrazione di appartenenza”, ma non dell’INPS in quanto soggetto erogatore della pensione, tenuto conto che non è chiesta la condanna ma soltanto l’accertamento del diritto;
- che lo status di vittima del dovere è imprescrittibile e sono semmai prescrittibili in dieci anni i ratei dei benefici, ma non è richiesta alcuna condanna;
- che la domanda è nel merito fondata in quanto l’art. 1, commi 562-565 della legge n. 266/2005 prevede una “progressiva estensione dei benefìci già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei commi 563 e 564”, con il solo limite delle risorse di bilancio (impedimento non posto dal Ministero) e l’art. 1 del DPR attuativo n. 243/2006 alla lettera a) definisce
3
“benefici e provvidenze” per le vittime del dovere tutte le misure di cui alla legge n. 206/2004 e quindi anche quella in oggetto.
Conclusivamente, il Tribunale ha statuito quanto segue: “− Dichiara il difetto di legittimazione passiva di Inps; − In accoglimento del ricorso accerta e dichiara il diritto del ricorrente al beneficio dell’incremento figurativo decennale di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l’anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente, come previsto dall’art. 3 della legge 3.08.2004, n. 206; − Condanna il Ministero resistente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in euro 1.865,00 oltre rimborso forfetario delle spese al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dell’Avv. Luigi Elefante dichiaratosi antistatario; − Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Inps delle spese di lite che si liquidano in euro 1.865,00 oltre rimborso forfetario delle spese al 15%, IVA e CPA come per legge.”.
Il Ministero dell’Interno ha appellato la sentenza, riproponendo l’eccezione di difetto di giurisdizione e quella di non spettanza del beneficio. Si è costituito xxxxxxxxx per chiedere il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza oggetto di gravame.
All’odierna udienza, alla presenza dei difensori delle parti, che si sono riportati ai rispettivi atti introduttivi, le cui conclusioni sono trascritte in epigrafe, la causa è stata discussa e decisa con la pronuncia del dispositivo in calce.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente prendersi atto che sulla legittimazione passiva del Ministero appellante e sulla carenza di legittimazione passiva dell’INPS è ormai sceso il giudicato per difetto di gravame.
Con un primo motivo, il Ministero dell’Interno torna ad eccepire il difetto della giurisdizione del giudice adito in favore della Corte di Conti.
Il motivo è fondato per quanto attiene al beneficio pensionistico, infondato, invece, per quanto attiene alla richiesta maggiorazione del trattamento di fine rapporto.
Il xxxxxxxx è infatti un carabiniere e pertanto sulle sue questioni pensionistiche ha giurisdizione il giudice contabile e non il giudice ordinario; va inoltre considerato che qui non si dibatte dell’accertamento dello status di vittima del dovere, che è pacifico, ma dell’accertamento di un diritto di natura pensionistica derivante da tale status.
La conclusione non è smentita dalla giurisprudenza citata dall’appellato e in parte recepita nella sentenza gravata (ad es. Cass. n. 17440/2022), che è inconferente poiché ha riguardo alla diversa questione, ormai abbondantemente arata, della devoluzione alla giurisdizione ordinaria 4
(in luogo dell’ipotetica giurisdizione amministrativa del TAR) delle questioni di accertamento dello status di vittima del dovere, da cui discendono un correlato insieme di benefici che hanno la natura di diritti soggettivi assistenziali; ma qui, come si è detto, non è in discussione che ixxxxxx sia una vittima del dovere, come da decreto in atti.
Com'è noto, ai sensi dell'art. 386 cod. proc. civ., la giurisdizione è determinata in ragione del contenuto della domanda, secondo il criterio del petitum sostanziale, ossia dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi non soltanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma soprattutto della causa petendi, rappresentata dalla posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuabile in relazione alla sostanziale protezione accordata, in astratto, dall'ordinamento alla posizione medesima.
Alla stregua di tale criterio, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la possibilità per il giudice ordinario di sindacare ogni questione attinente ai rapporti pensionistici del pubblico impiego c.d. non privatizzato, affermando che: “la Corte dei Conti giudica sui "ricorsi in materia di pensione, a carico totale o parziale dello Stato" (art. 13 r.d. 1214/34). In questo ambito la sua giurisdizione è esclusiva e comprende tutte le controversie funzionali alla pensione: oltre a problemi relativi al sorgere e modificarsi del diritto alla pensione, la Corte si occupa anche dei problemi connessi, quali riscatto di periodi di servizio, ricongiunzione di periodi assicurativi, assegni accessori, interessi e rivalutazione, recupero di somme indebitamente erogate. Al contrario, rimangono fuori da questo ambito le controversie che non concernono il trattamento pensionistico, bensì il trattamento di fine rapporto quale che sia la sua declinazione" ( Cass. sent. n. 11849 del 2016, in senso conforme Cass. SS.UU. n.12/2007, Cass. n.25093/2013 n.4853/2013).
È stato dunque affermato appartenere alla giurisdizione della Corte dei conti, quale giudice della pensione, e non alla giurisdizione del giudice del rapporto di impiego (giudice amministrativo o, per le vicende successive al 30 giugno 1998, giudice ordinario per il solo pubblico impiego privatizzato), la controversia sulla domanda del dipendente di un ente pubblico locale diretta a ottenere il computo nella base pensionistica di emolumenti a suo tempo percepiti sulla retribuzione, ai fini della quantificazione del trattamento di pensione, influendo la relativa cognizione unicamente sull'entità di questo trattamento e non sul pregresso rapporto di pubblico impiego (Cass. Sez. U. n. 10131/2012 e n.12337/2010); quando non si tratti, invece, di questioni funzionali al trattamento pensionistico, bensì al trattamento di fine rapporto, la giurisdizione è dell’autorità giudiziaria ordinaria (Cass. Sez. U. n.25039/2013 e n.10455/2008); analogamente nel caso di controversie relative all'ammontare 5
della pensione erogata o da erogare; dovendosi ritenere che la domanda appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti (Cass. Sez. U n. 12337/2010, n.1134/2007 e n.10509/2010).
Rientra, dunque, nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, la domanda della parte appellata diretta all’ottenimento “dell’aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributi, utili ad aumentare, per una pari durata l’anzianità pensionistica maturata e la misura della pensione”, in quanto controversia funzionale e connessa al diritto alla pensione di un pubblico dipendente, per di più non interessato alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego.
Nello stesso senso, in controversia analoga, Corte di Appello di Palermo n. 321/2017.
Deve dunque rilevarsi il difetto di giurisdizione del giudice ordinario su questa parte della domanda.
Così delimitato il thema decidendum, e passando al secondo motivo di appello, sull’infondatezza nel merito della domanda, per quanto concerne la domanda relativa all'implementazione dell’ammontare del trattamento di fine rapporto deve rilevarsi che in punto di estensione alle vittime del dovere del beneficio (sul solo TFR) di cui all’art. 3 l.n. 206 del 2004, la giurisprudenza di merito è divisa, ciò che verrà tenuto presente per la regolazione delle spese di lite. Il beneficio spetta a chi ha subito una invalidità permanente di qualsiasi entità, al coniuge e ai figli, anche maggiorenni, e in mancanza ai genitori, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento dell’evento ed anche ai figli nati dopo l’evento (in assenza di figli, è riconosciuto ai genitori) e, in base alla lettera della legge istitutiva, spettava solo alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e non anche alle vittime del dovere.
Ad avviso di questo Collegio, non può dirsi che il beneficio sia stato sic et simpliciter esteso alle vittime del dovere con l’art. 34, comma primo, del D.L. n. 159/2007, poiché tale disposizione estende alle vittime del dovere i benefici di cui all’art. 5, commi primo e quinto, della legge n. 206/2004 e non anche il beneficio incrementativo del TFR di cui all’art. 3, disponendo: “1. Alle vittime del dovere ed ai loro familiari superstiti, di cui all’articolo 1, commi 563 e 564, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ed alle vittime della criminalità organizzata, di cui all’articolo 1 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, ed ai loro familiari superstiti sono corrisposte le elargizioni di cui all’articolo 5, commi 1 e 5, della legge 3 agosto 2004, n. 206. Ai beneficiari vanno compensate le somme già percepite. L’onere recato dal presente comma è valutato in 173 milioni di euro per l’anno 2007, 2,72 milioni di euro per l’anno 2008 e 3,2 milioni di euro a decorrere dal 2009”.
E nemmeno può dirsi che la fonte dell’estensione alle vittime del dovere sia di per sé solo il citato comma 562 dell’art. 1 della legge n. 266/05, poiché ivi si parla di mera “progressiva 6
estensione” dei benefici delle vittime del terrorismo anche alle vittime del dovere, con stanziamento di fondi all’uopo. Si tratta di un aspetto, quello dell’adeguamento della dotazione finanziaria previsto dall’art. 1 comma 562 della legge n. 266/05, che tuttavia non autorizza l’interprete ad estendere, di per sé, all’una categoria (vittime del dovere) le provvidenze ed i benefici previsti espressamente per l’altra (vittime del terrorismo).
Si può, invece, giungere in via interpretativa a ritenere che il legislatore abbia voluto estendere alle vittime del dovere anche questo particolare beneficio: in ragione del combinato disposto fra il comma 562 appena citato e l’art. 1 del D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, emanato in attuazione della legge n. 266/2005, il quale, fra le definizioni, prevede quanto segue: “Ai fini del presente regolamento, si intendono: a) per benefici e provvidenze le misure di sostegno e tutela previste dalle leggi 13 agosto 1980, n. 466, 20 ottobre 1990, n. 302, 23 novembre 1998, n. 407, e loro successive modificazioni, e 3 agosto 2004, n. 206”: in questo caso, come si legge, il richiamo è a tutta la legge n. 206/2004 e non solo ad alcune delle sue previsioni.
Nello stesso senso la Corte di Appello di Ancona n. 330/2023 che condivisibilmente osserva: “La fattispecie in esame rinviene il proprio titolo costitutivo di matrice legale nell’art.1, commi 562, 563, 564 e 565, della legge n.266 del 2005, la cui ratio è stata esplicitata dallo stesso legislatore nell’esigenza di prevedere una “progressiva estensione dei benefìci già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere individuate ai sensi dei commi 563 e 564”. Come è evidente, non si tratta di erogazioni a carattere risarcitorio, ma di provvidenze economiche riconosciute, in onore al principio di solidarietà sociale, in favore di cittadini colpiti da eventi lesivi nell’adempimento di doveri che travalichino quelli propri d’istituto e che sono svolti a difesa degli interessi dell’intera comunità. Orbene, l’art. 3 della legge 3.08.2004, n.206 (recante “Nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice”), prevede che “A tutti coloro che hanno subito un'invalidità permanente di qualsiasi entità e grado della capacità lavorativa, causata da atti di terrorismo e dalle stragi di tale matrice e ai loro familiari, anche superstiti, limitatamente al coniuge ed ai figli anche maggiorenni, ed in mancanza, ai genitori, siano essi dipendenti pubblici o privati o autonomi, anche sui loro trattamenti diretti, è riconosciuto un aumento figurativo di dieci anni di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l'anzianità pensionistica maturata, la misura della pensione, nonché il trattamento di fine rapporto o altro trattamento equipollente. A tale fine è autorizzata la spesa di 5.807.000 euro per l'anno 2004 e di 2.790.000 euro a decorrere dall'anno 2005” (comma così modificato dall'art. 1, commi 794 e 795, L. 27 dicembre 2006, n. 296, a decorrere dal 1° gennaio 2007). È ragionevole ritenere che tale disposizione è diretta a regolare la sola posizione giuridica ed 7
economica delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ossia dell’unica, sino a quel momento, categoria di soggetti beneficiari degli emolumenti assistenziali in discorso, senza, dunque, alcuna possibilità di specifico ed intenzionale rinvio ai, necessariamente ignoti, contenuti dell’ancora emananda normativa che avrebbe nell’avvenire esteso siffatti benefici a tutte le vittime del dovere, come individuate attraverso i criteri dettati dall’art.1, commi 563 e 564, della legge n.266 del 2005. Ciò premesso, in forza del chiaro tenore dell’art. 1, comma 562, della legge n.266 cit., deve prendersi atto della volontà legislativa di realizzare l’estensione dei benefici in argomento alle vittime del dovere individuate alla stregua dei successivi commi 563 e 564. La lettura sistematica di tale complessivo quadro normativo, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata (che eviti ingiustificate disparità di trattamento - ex art. 3 Cost. - tra vittime del dovere e vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice), porta infatti a ritenere che il citato art. 1, comma 562, della legge 23.12.2005, n. 266, abbia inteso estendere alle vittime del dovere indistintamente tutti i benefici previsti a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice. Questa conclusione risulta corroborata dalla circostanza che il comma 562 non effettua distinzioni tra prestazioni diverse, limitandosi a prevedere che l'estensione sia "progressiva", ciò che non esclude che essa sia generalizzata, comprensiva quindi anche del beneficio previsto dalla cit. legge 3.08.2004, n. 206, legge del resto puntualmente richiamata dal citato art. 1 lett. a) del DPR 7.07.2006, n. 243.”.
Argomenti interpretativi in questo senso si possono ricavare anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n.6214 del 24/02/2022: “1.1. A riportare ad unum i due versanti di normazione è stata ancora una legge finanziaria: ed infatti la I. 23 dicembre 2005 n. 266, all'art. 1, comma 562, ha autorizzato la spesa annua nel limite massimo di 10 milioni di euro a decorrere dal 2006 al fine della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte le vittime del dovere, stabilendo, al comma 563 (come già ricordato al punto sub 5.1. che precede) che: «Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466 e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; in operazioni di soccorso; in attività di tutela della pubblica incolumità; a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità» e precisando, al successivo comma 564, che: «Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che 8
abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative». Con tale legge, dunque, si è recuperata l'equiparazione tra le diverse tipologie di vittime di cui all'art. 82 della finanziaria del 2001. Si è, poi, rimessa (comma 565) ad un adottando regolamento (da emanarsi su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro dell'economia e delle finanze - indicazione anch'essa significativa dell'equiparazione) la disciplina dei termini e delle modalità per la corresponsione delle provvidenze (disciplina, dunque, unica per le indicate categorie). 8.12. È così intervenuto il d.P.R. n. 243/2006, appunto recante il regolamento concernente la corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo. Esso disciplina la procedura per la richiesta dell'interessato, il suo vaglio da parte delle amministrazioni competenti, la predisposizione da parte del Ministero dell'interno-Dipartimento della pubblica sicurezza di una graduatoria unica nazionale delle posizioni”. Tale decisione, pur dettata con specifico riferimento alle provvidenze economiche, in più parti ha posto quale principio generale quello secondo cui il trattamento delle vittime del dovere è stato in tutto equiparato a quello delle vittime di terrorismo o criminalità organizzata e che un’interpretazione della normativa in senso difforme comporterebbe il rischio di violazione dell’art. 3 Cost..
Ciò in quanto la legislazione primaria in materia è ispirata a un chiaro intento perequativo, e coerente col principio di razionalità - equità di cui all'art. 3 Cost., così come inteso dalla costante giurisprudenza amministrativa e ordinaria (v. Cass.Civ., sez. lav., 05/04/2022, n.11015). Ne segue che la scelta ermeneutica del Ministero creerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata e le vittime del dovere. In altri termini, escludere le vittime del dovere e i soggetti equiparati dall’aumento del TFR equivarrebbe a creare una ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con l'evoluzione della legislazione in materia, tutta permeata da un evidente intento perequativo.
Di qui il rigetto dell’appello del Ministero in punto di incremento del TFR.
Le spese di lite del doppio grado fra il Ministero xxxxxxxxx meritano compensazione in ragione della compresenza di opposti orientamenti di merito sulla spettanza del beneficio; invece la condanna del Txxxxxxxxxxal rimborso delle spese di lite del primo grado sostenute dall’INPS – di cui alla sentenza del Tribunale di Rieti - deve essere mantenuta ferma:
la decisione sulle spese, infatti, può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione (ex multis Cass. 9064/2018).
Nel presente grado l’INPS è contumace e nemmeno legittimato a contraddire, per come accertato in una parte non gravata della sentenza; pertanto non vi è luogo a provvedere in merito alle spese di questo grado con riguardo ai rapporti fra l’Istituto e le altre parti del giudizio.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal Ministero dell’Interno, con ricorso depositato in data 27.3.2024 nei confronti di xxxxxxx e dell’INPS, avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Rieti n. 32/2024 del 26.3.2024, così provvede:
- in parziale accoglimento dell’appello e in parziale modifica della sentenza impugnata, che conferma nel resto, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della Corte dei Conti in merito alla domanda di accertare il diritto dell’appellato al beneficio dell’incremento figurativo decennale di versamenti contributivi utili ad aumentare, per una pari durata, l’anzianità pensionistica maturata e la misura della pensione;
- respinge, per il resto, l’appello;
- conferma la statuizione di primo grado in merito alla regolazione delle spese di lite fra ricorrente e INPS e quanto al resto compensa le spese di lite del doppio grado.
Così deciso in Roma, lì 8 gennaio 2025.
Il Giudice estensore Il Presidente
Badate bene che anche se il giudice ha dichiarato la sua incompetenza giurisdizionale in favore delle corte dei conti,ma ha riconosciuti il TFR, che e beneficio collegato ai 10 anni figurativi.Per cui quando il ricorrente anadrà in Corte dei Conti,i giudici contabili non avranno difficoltà a riconoscere i 10 anni figurativi visto che La Corte di Appello gli ha riconosciuto il TFR che e collegato ai 10 anni figurativi
aumenti figurativo e tfr
Re: aumenti figurativo e tfr
Grazie avt8, intendevo nel caso specifico sopracitato, vinto l'appello, possono portare la vittima in qualche altro giudizio. Chiedo perché non sono proprio ferrato in giurisprudenza
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Re: aumenti figurativo e tfr
Messaggio da domenico69 »
Cassazione di sicuro.
In che senso precedente scomodo?
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