Il Garante per l’infanzia

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Il Garante per l’infanzia

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Civile 20 luglio 2011

In Gazzetta la legge 112 del 2011: nasce il Garante per l’infanzia.

Al via una nuova Autorità amministrativa indipendente



Pubblicata nella Gazzetta del 19 luglio, la legge istitutiva dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.

Il provvedimento, che entrerà in vigore il prossimo 3 agosto, è stato votato in maniera bipartisan sia alla Camera (16 marzo 2011: 467 sì e due astenuti) che al Senato (22 giugno 2011: all’unanimità).

Si tratta di nuova autorità amministrativa indipendente, il Garante per l’infanzia, già esistente in altri paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svezia).

È un organo monocratico, con poteri autonomi di organizzazione, indipendenza amministrativa e senza vincoli di subordinazione gerarchica rispetto all’esecutivo. Il titolare è nominato d’intesa con i presidenti della Camera e del Senato, dura in carica quattro anni e il suo mandato è rinnovabile una sola volta.

La legge prevede l’Ufficio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, composto da dipendenti del comparto Ministeri o appartenenti ad altre amministrazioni pubbliche, in posizione di comando obbligatorio (nel numero massimo di dieci): la sua organizzazione verrà regolata con apposito dpcm, da adottarsi entro i prossimi novanta giorni.

La sede e i locali destinati all’Ufficio dovranno essere messi a disposizione della Presidenza del Consiglio, senza (in teoria) ulteriori oneri a carico della finanza pubblica.

La legge istituisce, inoltre, la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, presieduta dall’Autorità e composta dai garanti regionali o da figure analoghe, ove istituite, per promuovere l’adozione di linee d’azione comuni ed individuare forme per un costante scambio di dati e di informazioni.

Al Garante sono assegnate una serie di funzioni di promozione, collaborazione, garanzia, oltre a competenze consultive. Esprime pareri sui disegni di legge e sugli atti normativi del Governo in tema di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Presenta alle Camere, entro il 30 aprile di ogni anno, una relazione sull’attività svolta con riferimento all’anno solare precedente.

Chiunque può rivolgersi all’Autorità garante anche attraverso il numero telefonico di emergenza gratuito 114, ovvero attraverso altri numeri telefonici di pubblica utilità gratuiti, per la segnalazione di violazioni ovvero di situazioni di rischio di violazione dei diritti dei minori.

Il Garante segnala alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni situazioni di disagio di minori, e alla procura della Repubblica competente eventuali abusi. Può richiedere alle pubbliche amministrazioni nonché a qualsiasi soggetto pubblico informazioni rilevanti ai fini della tutela dei minori e anche accedere alle strutture pubbliche ove siano presenti minori. Può anche effettuare visite agli istituti di pena per i minorenni.

Il Garante segnala al Governo, alle regioni o agli enti locali e territoriali, tutte le iniziative opportune per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, con particolare riferimento al diritto alla famiglia, all’educazione, all’istruzione, alla salute.

Il Garante, infine, potrà avvalersi dei dati e delle informazioni dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l’infanzia e l’adolescenza, nonché dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile.


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Re: Il Garante per l’infanzia

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Penale 20 settembre 2011

Non picchiare il figlio tuo…

A proposito dell’arresto in Svezia di un politico italiano “manesco”


L’increscioso episodio, accaduto lo scorso 23 agosto, dell’arresto in Svezia di un italiano, consigliere comunale a Canosa di Puglia, che aveva suscitato un grande scalpore facendo rimbalzare la notizia su tutti i siti web, i giornali e le emittenti televisive, continua a dividere l’opinione pubblica in queste ore, all’indomani della pronuncia del Tribunale di Stoccolma.

L’arresto era scaturito dal presunto schiaffo rifilato dal nostro politico al figlio dodicenne all’ingresso di un ristorante di Stoccolma, dove il ragazzo non voleva entrare; l’episodio era avvenuto al cospetto di alcuni testimoni che avevano prontamente informato la polizia e da qui erano scattate le manette per il nostro connazionale, trattenuto poi in carcere per tre giorni e due notti.

L’avvocato difensore ha da sempre ribadito fermamente che non si è trattato di uno schiaffo ma di un semplice – seppur concitato ed energico – rimprovero e che pertanto l’accusa di maltrattamenti fosse del tutto infondata.

Di diverso avviso, il Tribunale di Stoccolma che lo ha riconosciuto colpevole del reato di maltrattamenti lievi, avendo “deliberatamente causato dolore” al ragazzo “tirandogli i capelli” (comportamento che per i giudici svedesi viene considerato un abuso) e lo ha condannato alla pena pecuniaria di 6.600 corone (pari a 725 euro).

Probabilmente, il nostro connazionale non sapeva che la Svezia è una nazione particolarmente attenta alla tutela dei minori tanto da aver adottato, già nel 1979, per prima in Europa, una legge che vieta in assoluto l’uso di punizioni corporali nei confronti dei bambini, che vengono quindi tutelati non solo da ogni tipo di maltrattamento ma anche da possibili esposizioni a situazioni stressanti.

Naturalmente la vicenda – che contrappone coloro che ritengono più che legittimo, per un genitore, l’uso della violenza nei metodi educativi e coloro che la condannano fermamente – solleva un problema culturale.

Ci troviamo di fronte, infatti, ad una percezione distorta dell’uso della violenza sui minori piuttosto che su soggetti adulti.

Basti pensare che, fortunatamente, da anni ormai la violenza sulle donne viene pubblicamente ed aspramente condannata, sia che essa venga perpetrata dai genitori, dal marito o da un perfetto sconosciuto: difficilmente, perciò, ci capiterà per strada di assistere passivamente ad un ceffone (o peggio) dato ad una donna senza che ciò sollevi l’indignazione (e l’intervento) dei presenti e la condanna di quelle culture in cui ciò è ancora ammesso.

Di contro, in Italia capita spesso di assistere pubblicamente a scene di genitori che, in nome dell’antico ius corrigendi, si sentono ampiamente legittimati ad utilizzare le maniere forti con i propri figli, nella convinzione che uno schiaffo, un ceffone o uno scapaccione possano avere una forte valenza educativa.

La conferma che l’uso delle maniere forti nel sistema educativo italiano sia piuttosto radicata la si trova persino nella legislazione penale (specchio della nostra cultura) che giustifica simili comportamenti non comminando alcuna sanzione a quei genitori che ricorrono a metodi educativi violenti, se da tale comportamento non scaturisce il pericolo di una malattia. Nel caso, invece, in cui vi sia il pericolo di una malattia, vengono applicate solamente delle sanzioni piuttosto blande (art. 571 c.p., abuso di mezzi di correzione).

Il “ceffone educativo” viene perciò assolto dagli italiani con formula piena, senza star molto a riflettere sul fatto che spesso il ricorso alle maniere forti rappresenti il fallimento di metodi educativi fondati sul dialogo, sulla comprensione e sul buon esempio, e che uno schiaffo dato pubblicamente – per di più ad un adolescente – possa essere profondamente umiliante ed avere conseguenze psicologiche di non poco conto.

Desta perciò perplessità, a mio avviso, il fatto che in molti gridino allo scandalo per la condanna del consigliere comunale pugliese e disprezzino quella che da sempre è stata considerata una delle Nazioni in cui è più elevato il senso civico.

Vale la pena, da ultimo, riportare il parere della SIP (Società Italiana di Pediatria) che – in una nota – ribadisce la propria contrarietà alle punizioni corporali, in sintonia con il Consiglio d’Europa e il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia, anche perché è dimostrato che le punizioni corporali alterano la percezione della negatività della violenza fisica, abituando i bambini a giustificarla e a usarla come metodo per risolvere i conflitti tra pari.
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Re: Il Garante per l’infanzia

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Civile 1 agosto 2011

Quando un genitore mette il figlio contro l’altro genitore…

L’alienazione genitoriale é una forma di abuso, una vera e propria sindrome (la sindrome di Pas)


Una minore, figlia di genitori separati, diviene in concreto ‘’vittima’’ della madre collocataria. Quest’ultima arriva a suggestionare e spingere la figlia al rancore verso il padre; la bambina diviene, dunque, uno ‘strumento’’ della madre, idoneo per esternare la propria ostilità all’ex marito. Tale comportamento, nel suo complesso, provoca un concreto danno alla minore, considerato che da parte della donna, madre in primis ed ex coniuge in secundis, non vi è stata la minima disponibilità a condividere la genitorialità con il marito.

Pertanto, il giudice, una volta accertati e valutati i presupposti dell’alienazione genitoriale nel loro concreto, decide di affidare la minore al padre, con incontri settimanali regolati con la madre. Il giudice incaricato, per ovvie ragioni, dispone, in extrema ratio, la decisione più gravosa nei confronti del genitore affidatario; decisione che appare l’unica idonea a ‘’salvare’’ la bambina dall’avvenuta alienazione.

È un caso deciso di recente dal Tribunale di Matera.

Ma che cos’è l’alienazione genitoriale di cui tanto si parla?

Essa risulta essere ‘’una forma di abuso’’, identificata e descritta da molti come una vera e propria sindrome (cd. sindrome di Pas).

In questo disturbo, il genitore affidatario (cd. genitore alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (cd. genitore alienato).

Si tratta di una specie di ‘’lavaggio di cervello’’ nei confronti del figlio, che è così portato a perdere il contatto con la realtà degli affetti e ad esibire astio e dispetto ingiustificato e continuo verso l’altro genitore alienato.

In tale circostanze, viene costruita ‘’una realtà familiare meramente virtuale’’ di terrore e vessazione che genera, nei figli, profondi sentimenti di paura, diffidenza e odio verso il genitore non collocatario. Il tutto arriva, dunque, a distruggere il naturale legame tra figlio e genitore non affidatario (legame costituzionalmente garantito).

L’art. 9.3 della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia (New York, 20 novembre 1989) prevede espressamente che: ‘’gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo, separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo’’.

La norma sovranazionale, appena richiamata, è stata trasposta nella normativa interna, L. 8 febbraio 2006 n. 54, segnatamente con lo statuire ‘’il diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore’’.

In parole semplici, il minore ”non dev’essere privato del genitore non affidatario”! (ex art. 155 c.c.)

La normativa interna, nella sua ratio, tende ad attuare ”l’ottimale realizzazione dell’interesse dei figli con l’affido condiviso ad entrambi i genitori”; se tale affido risulti in qualche modo pregiudizievole, si andrà a disporre l’affidamento monogenitoriale od a soggetto diverso dai genitori.

In parallelo, la normativa europea indica espressamente che ”padre e madre debbono continuare ad esercitare l’attività parentale anche dopo la separazione, ciascuno avendo l’impegno di coltivare le relazioni personali del minore con l’altro coniuge”.

Il Tribunale di Matera si è espresso non disponendo l’affidamento condiviso, ma ripetendo quello monogenitoriale a carico/ favore dell’altro ex coniuge. Permanendo le difficoltà della minore di distaccarsi dalla madre, nonché l’assenza di collaborazione di costei al riavvicinamento della figlia con il ”genitore-bersaglio”, il Collegio è addivenuto alla decisione radicale di affidare il minore al padre, con l’ausilio del competente Servizio sociale.

La sentenza risulta peculiare soprattutto per ”l’accoglimento della domanda risarcitoria” proposta dal genitore non convivente, considerata la lesione dei diritti garantiti costituzionalmente.

La donna, madre collocataria, a dire del Tribunale, aveva infatti il dovere di intervenire attivamente, correggendo se dal caso eventuali errori e comportamenti sbagliati assunti in precedenza, nonostante il clima conflittuale derivante dalla separazione.

In conclusione, la giurisprudenza rileva espressamente che può aversi ”danno da lesione parentale” in conseguenza del mancato adempimento degli obblighi genitoriali.

Tale danno, derivando dal venir meno di un rapporto familiare ed affettivo, si sostanzia in una modificazione in peius della vita del soggetto, proiettata nel futuro, in quanto viene meno l’apporto, l’affetto, la cura e l’assistenza che sostengono l’individuo a ”realizzarsi nel suo complesso percorso esistenziale”.

Insomma, di fronte all’irresponsabilità, all’egoismo di numerosi genitori si auspica un incisivo intervento da parte del legislatore, per individuare ”le gravi inadempienze dei genitori (affidatari)”, così da garantire ai minori un’effettiva tutela, mediante l’esclusione dell’affidamento medesimo (ricorrendo al cd. ”cambio di affido”).
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Re: Il Garante per l’infanzia

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Civile 30 giugno 2011

Non è possibile avere un secondo padre.

Anche se il marito aveva convissuto con la piccola sin dalla nascita, mentre il padre naturale non si era mai interessato della figlia, “la potestà genitoriale sopravvive alla crisi di coppia”, Cassazione 10265 del 2011


Una recente sentenza della Cassazione (la n. 10265 del 10 maggio 2011) è intervenuta sul tema della paternità, affrontandola da un punto di vista particolare, denso di spunti di riflessione.

Volendo sintetizzare, il caso affrontato era riferito ad un marito che decideva di adottare la figlia di cinque anni, avuta dalla maglie in seguito ad una relazione con un altro uomo prima del matrimonio.

Il marito aveva convissuto con la piccola sin dalla nascita, mentre il padre naturale non si era mai interessato della figlia.

Posta la questione in questi termini, l’intento di adottare la bimba assumeva un rilievo importante, dal punto di vista della famiglia e della sua coesione.

In realtà, il padre naturale ha ritenuto di essere leso da una prospettiva di questo genere, tanto da opporsi in giudizio all’accoglimento del ricorso per l’adozione, sostenendo, che fin dai primi momenti della gravidanza, a causa della scelta della donna di riprendere la convivenza con il coniuge, la stessa aveva ostacolato gli incontri tra padre naturale e figlia.

Come si può apprezzare da queste pochissime battute, la questione è sicuramente controversa e rende difficile prendere una posizione.
Analizzando l’operato dei giudici chiamati a risolvere il caso si può “toccare con mano” la difficoltà interpretativa ed applicativa delle norme di riferimento.

Infatti, mentre il Tribunale dei minorenni di Roma ha accolto l’istanza del ricorrente, disponendo l’adozione da parte dello stesso della minore, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione appellata, ha respinto la domanda di adozione.

Nel primo caso, il Tribunale ha ritenuto decisivo l’elemento della non convivenza del padre naturale con la figlia e, pertanto, il non esercizio in concreto della potestà genitoriale. Nel secondo caso, al contrario, la Corte ha affermato la rilevanza del diniego di consenso manifestato dal padre naturale.

La vicenda è stata risolta con l’intervento della Cassazione che ha ritenuto di dover porre al centro della questione l’interesse prevalente della prole rispetto alle frequenti situazioni di disgregazione del rapporto di coppia.

In questa prospettiva, la legge 54 dell’8 febbraio 2006 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) ha fissato un principio importantissimo.

All’art. 4, comma 2, si stabilisce che l’esercizio della potestà genitoriale è esercitato da entrambi i genitori, indipendentemente da circostanze esterne ed eventuali, quali il rapporto di coniugio, la crisi di coppia, la convivenza del genitore con il minore.

Se non vi è convivenza non è possibile escludere l’esercizio della potestà genitoriale, perché quest’ultima sopravvive proprio alla crisi di coppia…

A questo proposito, la Cassazione con la sentenza del 10 maggio 2011 ha infine sostenuto che “la cessazione della convivenza tra i genitori naturali non conduce alla cessazione dell’esercizio della potestà, perché la potestà genitoriale è ora esercitata da entrambi i genitori, salva la possibilità per il giudice di attribuire a ciascun genitore il potere di assumere singolarmente decisioni sulle questioni di ordinaria amministrazione”.

Contrariamente, la madre della bambina, in sede di ricorso, aveva sostenuto il venir meno della potestà genitoriale del padre non convivente ai sensi dell’articolo 317 bis del cod. civ. (“al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui … Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive”).

La Suprema Corte non ha ritenuto decisivo questo argomento, affermando, come detto, che la potestà genitoriale sopravvive alla crisi di coppia.

Pertanto, non venendo meno l’esercizio della potestà in caso di non convivenza, il mancato assenso all’adozione da parte del padre naturale diventa decisivo e preclusivo, impedendo di fatto alla bambina di avere un secondo padre.
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