LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
In passato ho scritto, dando dei piccoli suggerimenti a colleghi che venivano constantemente denigrati, offesi e mobbizzati da superiori gerarchici, di rappresentare i fatti per i quali si era oggetto delle angherie, direttamente ad un ufficiale, serio ed onesto della scala gerarchica, e che ce ne sono tanti. Oggi, purtroppo, affermo, dopo essere stato vittima e tuttora lo sono di gravissime forme di vessazione, che probabilmente le persecuzioni lavorative, che lasciano gravi strascichi anche nell'ambito familiare, e questa è la nota più grave, hanno bisogno di un unico e solo rimedio. LA DENUNCIA E LA COLLABORAZIONE DEI COLLEGHI CHE PUR SAPENDO CIO' CHE ACCADE PREFERISCONO VIVERE NEL SILENZIO (forse) PER PAURA. QuestI attI dovutI credo siano sinonimi del nostro lavoro perchè "non può regnare l'omertà nella casa della legalità". E' il nostro lavoro che ci obbliga a ciò e prima ancora la nostra coscienza. Schuster
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Messaggio da bond »
penso tu sia ancora in servizio. non credo avrai molte risposte a riguardo. ho lasciato l'ARMA dopo 20 anni di servizio e quello a cui ho assististo................lasciamo perdere. se vuoi ne possiamo parlare ma in p.v.t.. un caro saluto da un fortunato EX CC.
BOND.
BOND.
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Leggete qui sotto:
Che ve ne pare?
Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale o quantomeno accettabile.
Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un Corpo di Polizia ad ordinamento militare, caratterizzato, per definizione, da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
N. 01462/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00980/2008 REG.RIC.
N. 01162/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 980 del 2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. OMISSIS, elettivamente presso il suo studio in Lecce, via ………..;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze - Roma, Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Regionale della Guardia di Finanza – Bari e Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Torino e di OMISSIS, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi;
sul ricorso numero di registro generale 1162 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. OMISSIS, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Lecce, via ……..;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza –Roma, Comandi Regionali della Guardia di Finanza – Piemonte e Puglia, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi;
per l’accertamento
A) quanto al ricorso n. 980 del 2008:
- del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’illecita condotta tenuta dalle Amministrazioni indicate in epigrafe, consistente in atti e fatti vessatori nei confronti del dipendente, tanto da costituire mobbing da cui è derivata la sua lesione psico-fisica;
e per la condanna delle stesse Amministrazioni al pagamento della somma di complessivi €. 601.000,00 o al pagamento della somma ritenuta di giustizia;
OMISSIS
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze Comando Generale della Guardia di Finanza – Roma, del Comando Regionale della Guardia di Finanza – Bari e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza - OMISSIS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2011 la dott.ssa Gabriella Caprini e uditi per le parti l’avv. OMISSIS
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Il ricorrente, ex appartenente alla Guardia di Finanza agisce per il risarcimento del danno biologico, concretantesi nella lesione alla propria integrità psicofisica (sindrome ansioso depressiva cronica, di entità medio-grave), e nei conseguenti danni esistenziali e patrimoniali derivanti, quanto al ricorso n. 980/2008, da atti e fatti vessatori costituenti mobbing e, quanto al ricorso n. 1162/2010, per l’illegittimo diniego di collocamento in congedo dal 31 agosto 1997 OMISSIS
2. – Si sono costituite le Amministrazioni intimate concludendo per il rigetto del ricorso.
3. – Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, fissata per la trattazione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi all’esame che, in considerazione della loro connessione soggettiva e oggettiva possono essere decisi con un’unica sentenza.
I ricorsi sono infondati.
f) A partire poi dal 2004, il ricorrente, trasferito dal Comando Regionale del Piemonte al Comando Provinciale di Lecce, ritiene di avere subito una serie di atti vessatori, sussumibili a suo parere nella fattispecie del cd. “mobbing”. Evidenzia, in particolare, un rapporto di forte conflittualità con il superiore gerarchico, Comandante della Compagnia, caratterizzato, a suo dire, da reiterati tentativi di ritardare od ostacolare il proprio lavoro (dilazione della firma, continue correzioni dei documenti predisposti, lunghe attese, intermediazione di altri colleghi nonostante fosse Comandante della squadra di P.G.) e culminante, da ultimo, nel trasferimento d’autorità, per esigenze di servizio, al Comando Nucleo Provinciale della medesima città, percepito dal ricorrente come punitivo per avergli impedito di ricoprire un incarico di maggiore prestigio e per la situazione di incompatibilità presente presso la nuova sede di servizio.
g) Nelle more della conflittuale vita lavorativa il ricorrente, ritenendosi vessato dal comportamento dell’Amministrazione, manifestava i primi segni di “sindrome ansioso-depressiva endoreattiva ad andamento cronico di entità medio grave”; pertanto, in data 13 luglio 2006 presentava domanda per il riconoscimento della causa di servizio e, successivamente, veniva inviato presso il Centro Ospedaliero Militare competente per gli accertamenti del caso.
h) In data 20 aprile 2007, con verbale n. ……., il Centro Ospedaliero indicato giudicava il ricorrente permanentemente inidoneo al servizio nella Guardia di Finanza per l’esistenza di una pluralità di patologie, tra le quali quella di natura psichiatrica.
i) Con successivo verbale del 3 febbraio 2009, la Commissione Medica Straordinaria riconosceva la dipendenza da causa di servizio di talune della patologie riconosciute (per la sindrome ansioso-depressiva: “giudizio in corso accertamento sanitario iniziato in data 4/11/2008) formulando i giudizi ai fini dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.
III. Ciò premesso in fatto, in merito alle pretese di cui al ricorso 980 del 2008, ritiene il Collegio di dovere svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul cd. fenomeno del “mobbing” nell’ambiente di lavoro.
III.1. Per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambito lavorativo, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica volte ad estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa e da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
III.2. In particolare, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 31 marzo 2011, n. 528).
III.3. La ricorrenza di una condotta di mobbing va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare “singulatim” elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo nel complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. Ne deriva che la sussistenza del mobbing presuppone la dimostrazione dettagliata dei singoli comportamenti e atti che rivelino l’asserito intento persecutorio diretto ad emarginare il dipendente o estrometterlo dalla struttura organizzativa, non rilevando mere posizioni divergenti o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo.
III.4. In altri termini, il mobbing - proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo - non può essere imputato in via esclusiva al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877).
D’altra parte, come è stato condivisibilmente affermato, nell’esaminare i casi di preteso “mobbing” occorre evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima. Da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica Da un altro lato, è possibile che gli atti del datore di lavoro, pur sgraditi, siano di per sé ragionevoli e giustificati e in particolare che abbiano una certa spiegazione in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo o difficoltà caratteriali. Non si deve cioè sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato. Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale o quantomeno accettabile.
III.5. Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un Corpo di Polizia ad ordinamento militare, caratterizzato, per definizione, da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.
III.6. Sulla base delle suesposte considerazioni e tenuto conto della particolare personalità del ricorrente (v. consulenza specialistica psichiatrica di parte del 31 marzo 2008 nella quale si legge “Riferisce nel 2003, per qualche mese, disturbi episodici inquadrabili come crisi di panico quando era destinato a Torino, spontaneamente regredite”), può conclusivamente escludersi la sussistenza di condotte “mobbizzanti”.
Invero, le vicende dedotte non mettono in luce un sistema di condotte vessatorie, di forte pressione psicologica, dirette, secondo un disegno unitario, ad isolare ed emarginare il dipendente nell’ambiente di lavoro, ma consistono in atti e comportamenti aderenti alle modalità di svolgimento del rapporto di subordinazione gerarchica, che implica la sottoposizione a poteri di valutazione, di verifica e di controllo da parte dei superiori gerarchici (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 4 febbraio 2011, n. 350; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 8 febbraio 2011, n. 1230).
Né, del resto, il dipendente ha fornito un principio di prova in ordine all’intento effettivamente persecutorio del superiore gerarchico, il cui comportamento, per come descritto, sembra maggiormente sintomatico di una non adeguata capacità organizzativa nella gestione delle risorse umane e nella direzione del lavoro nell’ambito dell’ufficio di spettanza.
IV. – OMISSIS
IV.1. – Ciò non di meno si osserva che per ricondurre la responsabilità della Pubblica Amministrazione al modello aquiliano, descritto dall’art. 2043 c.c., secondo quanto statuito, da ultimo, dall’art. 30 c.p.a. per accedere alla tutela risarcitoria, occorre provare: la sussistenza di un evento dannoso, l’ingiustizia del danno (in relazione alla lesione di un interesse meritevole di tutela), il nesso causale tra il suddetto evento e la condotta positiva o omissiva della Amministrazione ed, infine, l’elemento soggettivo, ossia l’imputabilità del danno, a titolo di dolo o colpa, alla stessa P.A..
V. OMISSIS
VI. OMISSIS
VII. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, i ricorsi riuniti nn. 980/2008 e 1162/2010 devono essere respinti.
VIII. Sussistono ragioni di equità per compensare tra le parti le spese e competenze di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Gabriella Caprini, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/07/2011
Che ve ne pare?
Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale o quantomeno accettabile.
Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un Corpo di Polizia ad ordinamento militare, caratterizzato, per definizione, da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.
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N. 01462/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00980/2008 REG.RIC.
N. 01162/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 980 del 2008, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv. OMISSIS, elettivamente presso il suo studio in Lecce, via ………..;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze - Roma, Comando Generale della Guardia di Finanza, Comando Regionale della Guardia di Finanza – Bari e Comandi Provinciali della Guardia di Finanza di Torino e di OMISSIS, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi;
sul ricorso numero di registro generale 1162 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. OMISSIS, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Lecce, via ……..;
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza –Roma, Comandi Regionali della Guardia di Finanza – Piemonte e Puglia, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliata in Lecce, via F. Rubichi;
per l’accertamento
A) quanto al ricorso n. 980 del 2008:
- del diritto del ricorrente al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’illecita condotta tenuta dalle Amministrazioni indicate in epigrafe, consistente in atti e fatti vessatori nei confronti del dipendente, tanto da costituire mobbing da cui è derivata la sua lesione psico-fisica;
e per la condanna delle stesse Amministrazioni al pagamento della somma di complessivi €. 601.000,00 o al pagamento della somma ritenuta di giustizia;
OMISSIS
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze Comando Generale della Guardia di Finanza – Roma, del Comando Regionale della Guardia di Finanza – Bari e del Comando Provinciale della Guardia di Finanza - OMISSIS;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 giugno 2011 la dott.ssa Gabriella Caprini e uditi per le parti l’avv. OMISSIS
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Il ricorrente, ex appartenente alla Guardia di Finanza agisce per il risarcimento del danno biologico, concretantesi nella lesione alla propria integrità psicofisica (sindrome ansioso depressiva cronica, di entità medio-grave), e nei conseguenti danni esistenziali e patrimoniali derivanti, quanto al ricorso n. 980/2008, da atti e fatti vessatori costituenti mobbing e, quanto al ricorso n. 1162/2010, per l’illegittimo diniego di collocamento in congedo dal 31 agosto 1997 OMISSIS
2. – Si sono costituite le Amministrazioni intimate concludendo per il rigetto del ricorso.
3. – Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, fissata per la trattazione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi all’esame che, in considerazione della loro connessione soggettiva e oggettiva possono essere decisi con un’unica sentenza.
I ricorsi sono infondati.
f) A partire poi dal 2004, il ricorrente, trasferito dal Comando Regionale del Piemonte al Comando Provinciale di Lecce, ritiene di avere subito una serie di atti vessatori, sussumibili a suo parere nella fattispecie del cd. “mobbing”. Evidenzia, in particolare, un rapporto di forte conflittualità con il superiore gerarchico, Comandante della Compagnia, caratterizzato, a suo dire, da reiterati tentativi di ritardare od ostacolare il proprio lavoro (dilazione della firma, continue correzioni dei documenti predisposti, lunghe attese, intermediazione di altri colleghi nonostante fosse Comandante della squadra di P.G.) e culminante, da ultimo, nel trasferimento d’autorità, per esigenze di servizio, al Comando Nucleo Provinciale della medesima città, percepito dal ricorrente come punitivo per avergli impedito di ricoprire un incarico di maggiore prestigio e per la situazione di incompatibilità presente presso la nuova sede di servizio.
g) Nelle more della conflittuale vita lavorativa il ricorrente, ritenendosi vessato dal comportamento dell’Amministrazione, manifestava i primi segni di “sindrome ansioso-depressiva endoreattiva ad andamento cronico di entità medio grave”; pertanto, in data 13 luglio 2006 presentava domanda per il riconoscimento della causa di servizio e, successivamente, veniva inviato presso il Centro Ospedaliero Militare competente per gli accertamenti del caso.
h) In data 20 aprile 2007, con verbale n. ……., il Centro Ospedaliero indicato giudicava il ricorrente permanentemente inidoneo al servizio nella Guardia di Finanza per l’esistenza di una pluralità di patologie, tra le quali quella di natura psichiatrica.
i) Con successivo verbale del 3 febbraio 2009, la Commissione Medica Straordinaria riconosceva la dipendenza da causa di servizio di talune della patologie riconosciute (per la sindrome ansioso-depressiva: “giudizio in corso accertamento sanitario iniziato in data 4/11/2008) formulando i giudizi ai fini dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.
III. Ciò premesso in fatto, in merito alle pretese di cui al ricorso 980 del 2008, ritiene il Collegio di dovere svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul cd. fenomeno del “mobbing” nell’ambiente di lavoro.
III.1. Per “mobbing” si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambito lavorativo, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica volte ad estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa e da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
III.2. In particolare, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 31 marzo 2011, n. 528).
III.3. La ricorrenza di una condotta di mobbing va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare “singulatim” elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo nel complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. Ne deriva che la sussistenza del mobbing presuppone la dimostrazione dettagliata dei singoli comportamenti e atti che rivelino l’asserito intento persecutorio diretto ad emarginare il dipendente o estrometterlo dalla struttura organizzativa, non rilevando mere posizioni divergenti o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo.
III.4. In altri termini, il mobbing - proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo - non può essere imputato in via esclusiva al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877).
D’altra parte, come è stato condivisibilmente affermato, nell’esaminare i casi di preteso “mobbing” occorre evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima. Da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica Da un altro lato, è possibile che gli atti del datore di lavoro, pur sgraditi, siano di per sé ragionevoli e giustificati e in particolare che abbiano una certa spiegazione in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo o difficoltà caratteriali. Non si deve cioè sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato. Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale o quantomeno accettabile.
III.5. Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un Corpo di Polizia ad ordinamento militare, caratterizzato, per definizione, da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.
III.6. Sulla base delle suesposte considerazioni e tenuto conto della particolare personalità del ricorrente (v. consulenza specialistica psichiatrica di parte del 31 marzo 2008 nella quale si legge “Riferisce nel 2003, per qualche mese, disturbi episodici inquadrabili come crisi di panico quando era destinato a Torino, spontaneamente regredite”), può conclusivamente escludersi la sussistenza di condotte “mobbizzanti”.
Invero, le vicende dedotte non mettono in luce un sistema di condotte vessatorie, di forte pressione psicologica, dirette, secondo un disegno unitario, ad isolare ed emarginare il dipendente nell’ambiente di lavoro, ma consistono in atti e comportamenti aderenti alle modalità di svolgimento del rapporto di subordinazione gerarchica, che implica la sottoposizione a poteri di valutazione, di verifica e di controllo da parte dei superiori gerarchici (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 4 febbraio 2011, n. 350; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 8 febbraio 2011, n. 1230).
Né, del resto, il dipendente ha fornito un principio di prova in ordine all’intento effettivamente persecutorio del superiore gerarchico, il cui comportamento, per come descritto, sembra maggiormente sintomatico di una non adeguata capacità organizzativa nella gestione delle risorse umane e nella direzione del lavoro nell’ambito dell’ufficio di spettanza.
IV. – OMISSIS
IV.1. – Ciò non di meno si osserva che per ricondurre la responsabilità della Pubblica Amministrazione al modello aquiliano, descritto dall’art. 2043 c.c., secondo quanto statuito, da ultimo, dall’art. 30 c.p.a. per accedere alla tutela risarcitoria, occorre provare: la sussistenza di un evento dannoso, l’ingiustizia del danno (in relazione alla lesione di un interesse meritevole di tutela), il nesso causale tra il suddetto evento e la condotta positiva o omissiva della Amministrazione ed, infine, l’elemento soggettivo, ossia l’imputabilità del danno, a titolo di dolo o colpa, alla stessa P.A..
V. OMISSIS
VI. OMISSIS
VII. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, i ricorsi riuniti nn. 980/2008 e 1162/2010 devono essere respinti.
VIII. Sussistono ragioni di equità per compensare tra le parti le spese e competenze di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.
Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Ettore Manca, Consigliere
Gabriella Caprini, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 28/07/2011
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Schuster quello che racconti è lo stato in cui si trova l'Arma oggi, purtroppo certi fatti accadono e anche i colleghi se ne accorgono, ma per paura o per ignoranza stanno zitti, io ho fatto 35 anni nell'Arma e certe angherie non ne ho subite però so che molti colleghi le hanno subite, ti dico se hai coraggio denuncia alla magistratura e vedrai che per incanto le angherie svaniranno.
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Caro collega non ti biasimo, ma ti capisco anche io ho subito, ed ho denunciato, ma la strada e molto in salita, dovrai avere coraggio e forza ad andare avanti i colleghi non sono tutti uguali purtroppo, hai ragione a dire" nella casa della legalita' c'è omertà",ricordati che le persone oneste e leali hanno camminato sempre a testa alta,fai la cosa giusta e ricordati che se è giusta troverai un giusto che ti dira' che hai ragione io ti dico non ti fermare vai avanti ti Auguro un in bocca al lupo
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Messaggio da psikedeliko »
Cosa significa: "ma la strada è molto in salita?"AMAURI ha scritto:Caro collega non ti biasimo, ma ti capisco anche io ho subito, ed ho denunciato, ma la strada e molto in salita, dovrai avere coraggio e forza ad andare avanti i colleghi non sono tutti uguali purtroppo, hai ragione a dire" nella casa della legalita' c'è omertà",ricordati che le persone oneste e leali hanno camminato sempre a testa alta,fai la cosa giusta e ricordati che se è giusta troverai un giusto che ti dira' che hai ragione io ti dico non ti fermare vai avanti ti Auguro un in bocca al lupo
quali conseguenze potrà subire il militare che denuncia alla magistratura?
Grazie
Re: LA DENUNCIA FORSE E' L'UNICA STRADA PER SCONFIGGERE L'OMERTA
Ma quali conseguenze potrebbe avere un Ufficiale o Agente di P.G. che denuncia fatti realmente accaduti ? NESSUNA. E' un obbligo giuridico ma io credo ancor prima di ciò "di coscienza morale". Tra l'altro lo stato giuridico della P.G. lo impone artt. 55 e segg.
DENUNCIARE LE ANGHERIE SIGNIFICA TUTELARE IN PRIMIS SE STESSO, GLI ALTRI COLLEGHI CHE SPESSO FANNO GESTI INSANI PER COLPA DI "ALCUNI" LASCIANDO MOGLIE E FIGLI E LA NOSTRA ISTITUZIONE CHE NULLA C'ENTRA CON QUESTA GENTE SENZA SCRUPOLI CHE INFANGA L'ARMA. RIPETO INFANGA L'ARMA.
Ricordo che durante il corso presso la scuola allievi, alcuni ufficiali e marescialli non terminavano mai di dire e ribadire che IL CARABINIERE si distingueva dagli altri operatori della sicurezza perchè se un nostro genitore avesse commesso un reato NOI CARABINIERI non avremmo esitato ad arrestarlo. ...........E......... poi........ esitiamo per chi non indossa degnamente la divisa abusando ed offendendo tutta l'ISTITUZIONE ? Schuster
DENUNCIARE LE ANGHERIE SIGNIFICA TUTELARE IN PRIMIS SE STESSO, GLI ALTRI COLLEGHI CHE SPESSO FANNO GESTI INSANI PER COLPA DI "ALCUNI" LASCIANDO MOGLIE E FIGLI E LA NOSTRA ISTITUZIONE CHE NULLA C'ENTRA CON QUESTA GENTE SENZA SCRUPOLI CHE INFANGA L'ARMA. RIPETO INFANGA L'ARMA.
Ricordo che durante il corso presso la scuola allievi, alcuni ufficiali e marescialli non terminavano mai di dire e ribadire che IL CARABINIERE si distingueva dagli altri operatori della sicurezza perchè se un nostro genitore avesse commesso un reato NOI CARABINIERI non avremmo esitato ad arrestarlo. ...........E......... poi........ esitiamo per chi non indossa degnamente la divisa abusando ed offendendo tutta l'ISTITUZIONE ? Schuster
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