buongiorno a tutti, sono trascorsi oltre 2 anni dalla destituzione e sto aspettando ultimo giudizio del cds.
mi restano molti dubbi su i miei diritti:
- non ho ancora percepito il tfs è normale?
- al momento della destituzione ero in malattia sotto ospedale militare, che alla prossima visita avrebbe potuto valutare anche di mandarmi in pensione o a ruolo civile.Questo puo' influire?
- avevo un monte di ferie ancora non usufruito, che non m i hanno liquidato, dicendomi che non è un mio diritto, anzi che possono richiedere anche la restituzione dell'assegno che mi davano nel periodo di sospenzione cautelare fino al giudizio.
- nel frattempo mi è arrivato un riconoscimento di una causa di servizio, e ne avevo già un'altra in tab b, mi servono a qualcosa?
- Ultima cosa a questo punto quando vado in pensione? E' normale che dopo la destituzione non ho avuto diritto a niente tipo disoccupazione . naspi etc, e che in questi periodi con le difficoltà di salute non si trova nessun impiego cosa mi consigliate ? per portare aventi la famiglia con dignità come sempre fatto.
- mi sono dimenticato , ma il giudice istruttore che ha dato parere favorevole ad una pena minore alla destituzione , non conta niente???
grazie mille
destituzione
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Re: destituzione
Messaggio da naturopata »
ftizy ha scritto: ↑mer ago 19, 2020 11:34 am buongiorno a tutti, sono trascorsi oltre 2 anni dalla destituzione e sto aspettando ultimo giudizio del cds.
mi restano molti dubbi su i miei diritti:
- non ho ancora percepito il tfs è normale?
Si, perché se vincessi l'appello, potresti essere riammesso.
- al momento della destituzione ero in malattia sotto ospedale militare, che alla prossima visita avrebbe potuto valutare anche di mandarmi in pensione o a ruolo civile.Questo puo' influire?
Si.
- avevo un monte di ferie ancora non usufruito, che non m i hanno liquidato, dicendomi che non è un mio diritto, anzi che possono richiedere anche la restituzione dell'assegno che mi davano nel periodo di sospenzione cautelare fino al giudizio.
Per le ferie, non sono d'accordo, ovvero ti vanno corrisposte, per l'assegno hanno parzialmente ragione, in quanto possono richiedere indietro i contributi afferenti l'assegno alimentare, ma non tutta la somma. La fortuna, al momento e che tale restituzione non riguarda l'INPS che ha già iiscritto a bilancio quei conteibuti dalla tua amm.ne, altrimenti, ti verrebbero certamente richiesti, ma credo che, a breve, verranno richiesti dalle amm.ni di app.za. Sulla questione nessun giudice si è espresso, ovvero on è per nulla improbabile che, manipolando la norma accordino la restituzione ad integrum di tutto l'importo dell'assegno alimentare.
- nel frattempo mi è arrivato un riconoscimento di una causa di servizio, e ne avevo già un'altra in tab b, mi servono a qualcosa?
Si per la pensione di privilegio.
- Ultima cosa a questo punto quando vado in pensione?
All'età massima prevsta per i civili.
E' normale che dopo la destituzione non ho avuto diritto a niente tipo disoccupazione . naspi etc, e che in questi periodi con le difficoltà di salute non si trova nessun impiego cosa mi consigliate ?
Con una condanna penale per un agente/uff.di pg/ps è praticamente impossibile,, poi per appropriazione indebita.
- mi sono dimenticato , ma il giudice istruttore che ha dato parere favorevole ad una pena minore alla destituzione , non conta niente???
Si, te lo avevo già detto. Ma non lo hai elevato in primo grado e ormai è defunto.
grazie mille
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Re: destituzione
Messaggio da naturopata »
Naturale epilogo. Faccio notare l'enorme sensibilità del collegio che pubblica la sentenza al 31 dicembre per il nuovo anno.
Pubblicato il 31/12/2020
N. 08556/2020REG.PROV.COLL.
N. 00497/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 497 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco La Gattuta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero della giustizia, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Cons. Alessandro Verrico;
nessuno presente per le parti;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana (r.g.n. -OMISSIS-), l’odierno appellante - già assistente capo del Corpo della Polizia Penitenziaria – ha impugnato il decreto del Ministero della giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, n. 87630-2018/35183/DS14 del 2 luglio 2018, recante la destituzione dal servizio con decorrenza 6 luglio 2017, data di notifica del decreto di sospensione obbligatoria dal servizio del 26 giugno 2017.
1.1. La sanzione disciplinare era stata inflitta a conclusione di un giudizio disciplinare instaurato all’esito di sentenza irrevocabile di applicazione della pena per il reato di -OMISSIS-.
1.2. Il giudizio penale si era a sua volta concluso con sentenza di applicazione della pena - n. 4935/17 emessa dal GIP del Tribunale di Firenze in data 8 giugno 2017 - pari ad anni 1, mesi 6 di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 323-bis c.p., con l’aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, pena sospesa ex art. 163 c.p.
1.3. Il citato ricorso al T.a.r. per la Toscana era affidato a due motivi, in cui si lamentava, nella sostanza, la omessa considerazione dei buoni precedenti di servizio, delle peculiari condizioni familiari, dei benefici penali concessi in sede di patteggiamento nonché la violazione del principio proporzionalità.
2. Il T.a.r. Toscana, Sezione I:
i) ha respinto l’istanza cautelare con l’ordinanza n. -OMISSIS-, poi confermata dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con l’ordinanza n. -OMISSIS-;
ii) con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
Secondo il Tribunale, in particolare:
a) atteso che la destituzione veniva irrogata perché le condotte accertate in sede penali integravano gli estremi della violazione del giuramento, non rileva la maggiore o minore gravità insita in tale comportamento, quanto la sua oggettiva incompatibilità con la divisa;
b) la valutazione effettuata dall’Amministrazione non può ritenersi abnorme, in quanto il disvalore delle condotte tenute non è attenuato dallo scarso valore patrimoniale dei beni sottratti né dallo stato di servizio asseritamente buono.
3. L’originario ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le censure riassumibili nei seguenti termini:
ii) “Omessa valutazione, nella sentenza di primo grado, della sussistenza del vizio di eccesso di potere del Decreto impugnato per violazione del principio di proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione disciplinare irrogata, nonché di adeguatezza e congruità della sanzione stessa”: ad avviso dell’appellante il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto che l’Amministrazione ha esercitato il proprio potere discrezionale senza un accurato esame fattuale del caso di specie, né del fatto che la sanzione disciplinare comminata è risultata eccessiva rispetto alla condotta del ricorrente, alla luce del principio di proporzionalità;
ii) “Omessa valutazione, nella sentenza impugnata, della sussistenza del vizio di violazione di legge ex art. 3 L.241/1990, per carenza e/o genericità della motivazione del decreto impugnato, in ordine alla mancata valutazione dei precedenti di servizio e di carriera del ricorrente, nonché dei benefici riconosciuti dalla sentenza penale, nonché del vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria”: ad avviso dell’appellante, il primo giudice avrebbe omesso di valutare che l’impugnato decreto non aveva considerato i precedenti di servizio e di carriera del ricorrente, i benefici di legge riconosciuti nella stessa sentenza penale di condanna, il beneficio della sospensione condizionale della pena, l’attenuante ex art. 323-bis c.p. del fatto di lieve entità, le circostanze emerse dalle dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di procedimento disciplinare, così come il tipo di attività espletata dal ricorrente.
3.1. Non si è costituito in giudizio l’appellato Ministero della giustizia.
4. All’udienza del 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
Tutte le censure, che in quanto strettamente connesse devono essere trattate unitariamente, non sono meritevoli di accoglimento.
5.1. Il Collegio precisa in primo luogo che per costante giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869; sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381):
a) “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858; conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791; sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1968; sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537);
b) in sede disciplinare, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392);
c) ciò, peraltro, può valere anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che “uno stesso comportamento del militare mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall'Amministrazione competente come illecito disciplinare” (Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367).
5.2. Ciò premesso in termini generali, il Collegio, in relazione alla fattispecie in esame, rileva che l’Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto all’irrogazione dell’impugnata sanzione provvedeva a valutare congruamente i fatti addebitabili all’assistente capo del Corpo della Polizia Penitenziaria, non limitandosi a richiamare le motivazioni del procedimento penale.
Non si configurano, pertanto, vizi di motivazione ed istruttoria nell’operato amministrativo: il provvedimento, infatti, è stato preceduto da approfondita istruttoria e corredato da congrua, logica e coerente motivazione, come è dimostrato dal fatto che:
a) è stata accertata la condotta denotata da rilevante gravità (furto continuato e aggravato dai mezzi fraudolenti), come peraltro constatata dalla sentenza penale di condanna;
b) sono state esaminate le giustificazioni addotte dall’assistente in sede di Consiglio centrale di disciplina, ritenendole tuttavia non in grado di sminuire le gravi responsabilità, così come sono stati presi in considerazione il decoroso stato di servizio e la sostanziale assenza di precedenti disciplinari, tuttavia non valutandoli tali da poter prevalere sulla gravità delle condotte contestate;
c) è stata apprezzata la particolare gravità della condotta, perché contraria ai doveri di correttezza, fedeltà, lealtà e rettitudine assunti con il giuramento prestato, perché ha arrecato disdoro all’immagine e al prestigio del Corpo.
5.3. In conclusione, l’Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza in tale diversa prospettiva, ha analizzato la complessiva condotta tenuta dall’assistente capo nell’episodio contestato e ne ha apprezzato il disvalore anche alla luce delle giustificazioni addotte e dei precedenti di carriera.
5.4. Risulta assente inoltre il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto la natura e la gravità dei fatti addebitabili all’appellante denotano l’assoluta mancanza dell’etica professionale del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d’istituto.
Le condotte addebitate all’appellante si pongono invero in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento e sono tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione, dovendo al riguardo essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall’Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore. Del resto, a fronte della gravità dei fatti addebitati non assumono particolare rilievo dirimente i precedenti di carriera dell’interessato, che non inducono a considerare manifestamente sproporzionata o irragionevole la sanzione irrogata, né, tanto meno, rilevano a tal fine i benefici di legge, la circostanza attenuante e la sospensione condizionale della pena riconosciuti nella sentenza penale di condanna.
Peraltro, occorre evidenziare che la giurisprudenza consolidata (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1086 del 2017) ha più volte affermato che in tema di sanzioni disciplinari nei confronti degli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia, la pubblica amministrazione dispone di un’ampia sfera di discrezionalità nell’apprezzamento della gravità dei fatti e nella graduazione della sanzione, fermo restando che l’applicazione della misura afflittiva deve conformarsi a parametri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla rilevanza dell’illecito ascritto; di conseguenza il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella della competente autorità amministrativa, salvi i limiti della manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2020, n. 1580; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381).
Nel caso di specie, la valutazione effettuata dall’amministrazione secondo cui i fatti commessi hanno irrimediabilmente incrinato il necessario rapporto di fiducia indispensabile in un contesto operativo in cui agli agenti di polizia penitenziaria compete oltre la funzione custodiale anche la partecipazione attiva al recupero dei detenuti, risulta certamente conforme al canone della proporzionalità.
6. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
7. Nulla deve essere disposto in ordine alle spese del presente grado di giudizio, attesa la mancata costituzione in giudizio del Ministero appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello R.G. n. 497/2020, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Verrico Vito Poli
Pubblicato il 31/12/2020
N. 08556/2020REG.PROV.COLL.
N. 00497/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 497 del 2020, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Francesco La Gattuta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero della giustizia, in persona del Ministro in carica, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Cons. Alessandro Verrico;
nessuno presente per le parti;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Toscana (r.g.n. -OMISSIS-), l’odierno appellante - già assistente capo del Corpo della Polizia Penitenziaria – ha impugnato il decreto del Ministero della giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, n. 87630-2018/35183/DS14 del 2 luglio 2018, recante la destituzione dal servizio con decorrenza 6 luglio 2017, data di notifica del decreto di sospensione obbligatoria dal servizio del 26 giugno 2017.
1.1. La sanzione disciplinare era stata inflitta a conclusione di un giudizio disciplinare instaurato all’esito di sentenza irrevocabile di applicazione della pena per il reato di -OMISSIS-.
1.2. Il giudizio penale si era a sua volta concluso con sentenza di applicazione della pena - n. 4935/17 emessa dal GIP del Tribunale di Firenze in data 8 giugno 2017 - pari ad anni 1, mesi 6 di reclusione, concesse le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 323-bis c.p., con l’aumento per la continuazione e la riduzione per il rito, pena sospesa ex art. 163 c.p.
1.3. Il citato ricorso al T.a.r. per la Toscana era affidato a due motivi, in cui si lamentava, nella sostanza, la omessa considerazione dei buoni precedenti di servizio, delle peculiari condizioni familiari, dei benefici penali concessi in sede di patteggiamento nonché la violazione del principio proporzionalità.
2. Il T.a.r. Toscana, Sezione I:
i) ha respinto l’istanza cautelare con l’ordinanza n. -OMISSIS-, poi confermata dal Consiglio di Stato, Sezione IV, con l’ordinanza n. -OMISSIS-;
ii) con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.
Secondo il Tribunale, in particolare:
a) atteso che la destituzione veniva irrogata perché le condotte accertate in sede penali integravano gli estremi della violazione del giuramento, non rileva la maggiore o minore gravità insita in tale comportamento, quanto la sua oggettiva incompatibilità con la divisa;
b) la valutazione effettuata dall’Amministrazione non può ritenersi abnorme, in quanto il disvalore delle condotte tenute non è attenuato dallo scarso valore patrimoniale dei beni sottratti né dallo stato di servizio asseritamente buono.
3. L’originario ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le censure riassumibili nei seguenti termini:
ii) “Omessa valutazione, nella sentenza di primo grado, della sussistenza del vizio di eccesso di potere del Decreto impugnato per violazione del principio di proporzionalità tra il fatto commesso e la sanzione disciplinare irrogata, nonché di adeguatezza e congruità della sanzione stessa”: ad avviso dell’appellante il Giudice di prime cure non avrebbe tenuto conto che l’Amministrazione ha esercitato il proprio potere discrezionale senza un accurato esame fattuale del caso di specie, né del fatto che la sanzione disciplinare comminata è risultata eccessiva rispetto alla condotta del ricorrente, alla luce del principio di proporzionalità;
ii) “Omessa valutazione, nella sentenza impugnata, della sussistenza del vizio di violazione di legge ex art. 3 L.241/1990, per carenza e/o genericità della motivazione del decreto impugnato, in ordine alla mancata valutazione dei precedenti di servizio e di carriera del ricorrente, nonché dei benefici riconosciuti dalla sentenza penale, nonché del vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria”: ad avviso dell’appellante, il primo giudice avrebbe omesso di valutare che l’impugnato decreto non aveva considerato i precedenti di servizio e di carriera del ricorrente, i benefici di legge riconosciuti nella stessa sentenza penale di condanna, il beneficio della sospensione condizionale della pena, l’attenuante ex art. 323-bis c.p. del fatto di lieve entità, le circostanze emerse dalle dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di procedimento disciplinare, così come il tipo di attività espletata dal ricorrente.
3.1. Non si è costituito in giudizio l’appellato Ministero della giustizia.
4. All’udienza del 26 novembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
Tutte le censure, che in quanto strettamente connesse devono essere trattate unitariamente, non sono meritevoli di accoglimento.
5.1. Il Collegio precisa in primo luogo che per costante giurisprudenza (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869; sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381):
a) “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all'applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all'Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l'infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858; conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791; sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1968; sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537);
b) in sede disciplinare, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392);
c) ciò, peraltro, può valere anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che “uno stesso comportamento del militare mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall'Amministrazione competente come illecito disciplinare” (Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367).
5.2. Ciò premesso in termini generali, il Collegio, in relazione alla fattispecie in esame, rileva che l’Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto all’irrogazione dell’impugnata sanzione provvedeva a valutare congruamente i fatti addebitabili all’assistente capo del Corpo della Polizia Penitenziaria, non limitandosi a richiamare le motivazioni del procedimento penale.
Non si configurano, pertanto, vizi di motivazione ed istruttoria nell’operato amministrativo: il provvedimento, infatti, è stato preceduto da approfondita istruttoria e corredato da congrua, logica e coerente motivazione, come è dimostrato dal fatto che:
a) è stata accertata la condotta denotata da rilevante gravità (furto continuato e aggravato dai mezzi fraudolenti), come peraltro constatata dalla sentenza penale di condanna;
b) sono state esaminate le giustificazioni addotte dall’assistente in sede di Consiglio centrale di disciplina, ritenendole tuttavia non in grado di sminuire le gravi responsabilità, così come sono stati presi in considerazione il decoroso stato di servizio e la sostanziale assenza di precedenti disciplinari, tuttavia non valutandoli tali da poter prevalere sulla gravità delle condotte contestate;
c) è stata apprezzata la particolare gravità della condotta, perché contraria ai doveri di correttezza, fedeltà, lealtà e rettitudine assunti con il giuramento prestato, perché ha arrecato disdoro all’immagine e al prestigio del Corpo.
5.3. In conclusione, l’Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza in tale diversa prospettiva, ha analizzato la complessiva condotta tenuta dall’assistente capo nell’episodio contestato e ne ha apprezzato il disvalore anche alla luce delle giustificazioni addotte e dei precedenti di carriera.
5.4. Risulta assente inoltre il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto la natura e la gravità dei fatti addebitabili all’appellante denotano l’assoluta mancanza dell’etica professionale del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d’istituto.
Le condotte addebitate all’appellante si pongono invero in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento e sono tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione, dovendo al riguardo essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall’Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore. Del resto, a fronte della gravità dei fatti addebitati non assumono particolare rilievo dirimente i precedenti di carriera dell’interessato, che non inducono a considerare manifestamente sproporzionata o irragionevole la sanzione irrogata, né, tanto meno, rilevano a tal fine i benefici di legge, la circostanza attenuante e la sospensione condizionale della pena riconosciuti nella sentenza penale di condanna.
Peraltro, occorre evidenziare che la giurisprudenza consolidata (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1086 del 2017) ha più volte affermato che in tema di sanzioni disciplinari nei confronti degli appartenenti alle forze armate e alle forze di polizia, la pubblica amministrazione dispone di un’ampia sfera di discrezionalità nell’apprezzamento della gravità dei fatti e nella graduazione della sanzione, fermo restando che l’applicazione della misura afflittiva deve conformarsi a parametri di ragionevolezza e proporzionalità rispetto alla rilevanza dell’illecito ascritto; di conseguenza il giudice amministrativo non può sostituire la propria valutazione a quella della competente autorità amministrativa, salvi i limiti della manifesta irragionevolezza e/o arbitrarietà (cfr. da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2020, n. 1580; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381).
Nel caso di specie, la valutazione effettuata dall’amministrazione secondo cui i fatti commessi hanno irrimediabilmente incrinato il necessario rapporto di fiducia indispensabile in un contesto operativo in cui agli agenti di polizia penitenziaria compete oltre la funzione custodiale anche la partecipazione attiva al recupero dei detenuti, risulta certamente conforme al canone della proporzionalità.
6. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
7. Nulla deve essere disposto in ordine alle spese del presente grado di giudizio, attesa la mancata costituzione in giudizio del Ministero appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello R.G. n. 497/2020, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Alessandro Verrico, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
Emanuela Loria, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Verrico Vito Poli
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