2-5-2018 Supplemento ordinario n. 21/L alla GAZZETTA UFFICIALE Serie generale - n. 1002
(FF.PP. a Ordinamento Militare - CC. e GdiF.)
Art. 33.
Assegno funzionale
1. A decorrere dal 1° gennaio 2018, le misure annue dell’assegno funzionale pensionabile di cui all’articolo 31, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2009, n. 51, riferite al personale del ruolo Appuntati e Carabinieri/Finanzieri con 17 anni di servizio, sono incrementate di euro 10,00.
Assegno di Funzione
Re: Assegno di Funzione
La CdC Piemonte, RIGETTA il ricorso circa l'Assegno Funzionale dei 32 anni durante il blocco contrattuale.
1) - chiede la rideterminazione della pensione ....., con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale-
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONE GIURISDIZIONALE PIEMONTE Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 24 Pubblicazione 04/03/2019
SENT. N. 24/19
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico Primo Referendario dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio in materia di pensioni civili iscritto al n. 20677 del Registro di Segreteria, promosso dal signor G. E.., nato ad omissis, il omissis, residente in omissis. In giudizio personalmente;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore;
avverso
“la determinazione assunta in data 17 giugno 2015, n. GDAP-0214772-2015, emessa dal Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione”.
All’udienza in data 20 dicembre 2018 nessuno è comparso per il ricorrente né per il Ministero della Giustizia.
Rilevato che
Con ricorso depositato presso la Sezione in data 12 ottobre 2018 il signor E.. chiede la rideterminazione della pensione n. 17640981, con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale- in quanto maturata durante il cosiddetto blocco relativo agli incrementi previsti dagli automatismi di progressione stipendiale e di carriera intervenuti nell’arco temporale 1.1.2011-31.12.2014, in attuazione di quanto disposto ai sensi dell’art. 9, commi 1 e 21 del decreto legge 31 maggio 2010, 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e dal d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122.
Il ricorrente, già dipendente a tempo indeterminato del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con il grado di vice Sovraintendente, ora in quiescenza (dal 17.7.2013), invoca un’interpretazione della disposizione menzionata in senso costituzionalmente orientato, di talchè dalla stessa possa farsi discendere la mera sospensione delle progressioni di carriera, senza produrre effetti economici sul trattamento previdenziale.
A supporto di tale prospettazione richiama precedenti della giurisprudenza costituzionale che deporrebbero nel senso di dover ritenere irrilevante, ai fini previdenziali, la cristallizzazione esposta, determinandosi, in caso contrario, una protrazione all’infinito del blocco retributivo, in contrasto con i principi enunciati dalla stessa Consulta (sent. n. 310/2013), che individuerebbero nel carattere “eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione”;
Con autonoma istanza in data 12 ottobre 2018 il ricorrente ha richiesto, in ragione delle condizioni di salute precarie certificate, l’anticipazione della trattazione dell’udienza.
Con decreto in data 25 ottobre 2018 questo Giudice ha fissato l’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 155, c. 2 e art. 89 c.g.c., il 22 novembre 2018, con termine per la notificazione del ricorso alla parte convenuta al 5 novembre 2018. In limine dell’udienza il Giudice ha rilevato che la notificazione del ricorso al Ministero della Giustizia si è perfezionato in data 7.11.2018.
Ha quindi disposto il rinvio dell’udienza di discussione del giudizio al 20 dicembre 2018, al fine di garantire alla parte resistente i termini a comparire di cui all’art. 155, comma 6 c.g.c. (dimezzati in applicazione dell’art. 89, c. 1 c.g.c.). All’udienza di discussione in 20 dicembre 2018 nessuno è comparso.
Rilevato in
DIRITTO
La domanda del ricorrente è volta ad ottenere l’adeguamento del trattamento economico di pensione posto che, in ragion del c.d. “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, commi 1 e 21 del d.l. n. 78/2010, lo stesso avrebbe subito il congelamento dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo annuale e del riconoscimento della progressione stipendiale per classi e scatti al maturare dell’anzianità di servizio, i quali si sarebbero ripercossi sul trattamento di pensione.
Il ricorso si appalesa infondato.
L’art. 9 comma 21 del decreto legge n. 78/2010 del 31 maggio 2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” stabilisce che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate, eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici…”.
Con il successivo d.l. n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, nonché con il d.p.r. n. 122/2013, le suddette misure di contenimento della spesa pubblica sono state prorogate a tutto il 31.12.2014.
Alla luce del tratteggiato quadro normativo, il trattamento di quiescenza del ricorrente risulta computato correttamente dall’Amministrazione, in coerenza al vigente quadro normativo in materia di “blocco stipendiale”.
Sulla base delle richiamate norme gli aumenti retributivi invocati dal ricorrente, non essendo entrati nella base retributiva e contributiva dello stesso, non possono essere computati nella corrispondente base pensionabile. Si richiama sul punto la pronuncia di questa Sezione in caso analogo (n. 110/2018), alla quale questo Giudice presta adesione, per cui “questa Corte (cfr. Sez. II App. n. 393/2013 e la giurisprudenza ivi richiamata) ha ribadito il principio secondo il quale non è sufficiente la pensionabilità di un assegno o di un'indennità per il suo inserimento nella base pensionabile, in assenza di una specifica disposizione di legge che ciò espressamente preveda. Sennonché, nella specie, non risulta, prima di tutto, soddisfatto l’altro requisito stabilito dalla ridetta norma ovvero che l’ultimo stipendio, l'ultima paga, gli assegni o indennità pensionabili indicati siano stati integralmente percepiti. Il che non è avvenuto, come pacifico in giudizio, dal momento che l’erogazione e la percezione degli emolumenti di cui si discute sono state sospese ex lege”.
Del resto il d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), all’art. 43, come sostituito dall'art. 15 l. 29 aprile 1976 n. 177 (e analogamente l’art. 53 dello stesso d.p.r. per il personale militare) così dispone in ordine al calcolo della base pensionabile: “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento (…).”
Il suddetto principio -secondo cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (cfr. questa Sez. n. 195/2016) - ha altresì trovato piena conferma nella giurisprudenza successiva, poiché ritenuto “conforme ai principi generali ed immune da vizi logico-giuridici” (Corte dei conti, Sez. II, n. 269/2018).
Non appaiono condivisibili i dubbi di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 (e norme successive collegate), paventati nell’atto introduttivo del giudizio. Si richiama in proposito l’orientamento già espresso recentemente da questa Sezione (con la sentenza n. 110/2018), secondo cui “la Corte costituzionale ha già avuto occasione di scrutinare la legittimità delle norme in discorso, concernenti il c.d. blocco stipendiale di cui al D.L. n. 78/2010 cit., affermandone la compatibilità con la Costituzione (cfr. C. Cost. n. 178/2015, n. 96/2016). La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. In ogni caso la questione, così come prospettata nel ricorso, pare difettare anche di rilevanza, dal momento che il calcolo della base pensionabile del ricorrente non è direttamente regolato dalle norme da questi censurate, ma da quelle proprie della materia previdenziale di cui si è fatto cenno”.
Deve ritenersi altresì esclusa la fondatezza dell’eccepita “disparità di trattamento” asseritamente indotta dall’anzidetta normativa rispetto a coloro che sono cessati dal servizio dopo la scadenza del blocco, ritenuta dal ricorrente rilevante ai sensi degli artt. 3 Cost..
Si rammenta in proposito che la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla legittimità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 reputando infondate le denunciate violazioni dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 36, 97 (v. sentt. C. Cost. 304-310/2013). E’ stato affermato in proposito, tra l’altro, che “… la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”. In particolare, con la sentenza n.154/2014 la Corte costituzionale, in relazione alla più volte denunciata disparità di trattamento rispetto ai colleghi esenti dal blocco, ha affermato che “non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013) (in tal senso espressamente Corte dei conti, sez. II^ App., n. 269/2018).
Da ultimo la stessa Corte costituzionale si è nuovamente espressa (con la sentenza n. 200 dell’11.11.2018) sulle questioni di legittimità costituzione del già citato art. 9, comma 21, terzo periodo del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, sollevate con ordinanza n. 71/2017 dalla Sezione Giurisdizionale per la regione Liguria, dichiarandole non fondate e giustificando l’intervento normativo in ragione dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Ha altresì specificato che “Spetterebbe al legislatore, nell’esercizio delle scelte di politica economica di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica prevedere…la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali”.
In considerazione della natura della questione dedotta si reputano sussistere i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione e deduzione rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Torino il 20 dicembre 2018.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Depositata in Segreteria il 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
Il Giudice Monocratico, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Su disposizione del Giudice, ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Torino, 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
1) - chiede la rideterminazione della pensione ....., con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale-
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONE GIURISDIZIONALE PIEMONTE Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 24 Pubblicazione 04/03/2019
SENT. N. 24/19
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico Primo Referendario dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio in materia di pensioni civili iscritto al n. 20677 del Registro di Segreteria, promosso dal signor G. E.., nato ad omissis, il omissis, residente in omissis. In giudizio personalmente;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore;
avverso
“la determinazione assunta in data 17 giugno 2015, n. GDAP-0214772-2015, emessa dal Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione”.
All’udienza in data 20 dicembre 2018 nessuno è comparso per il ricorrente né per il Ministero della Giustizia.
Rilevato che
Con ricorso depositato presso la Sezione in data 12 ottobre 2018 il signor E.. chiede la rideterminazione della pensione n. 17640981, con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale- in quanto maturata durante il cosiddetto blocco relativo agli incrementi previsti dagli automatismi di progressione stipendiale e di carriera intervenuti nell’arco temporale 1.1.2011-31.12.2014, in attuazione di quanto disposto ai sensi dell’art. 9, commi 1 e 21 del decreto legge 31 maggio 2010, 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e dal d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122.
Il ricorrente, già dipendente a tempo indeterminato del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con il grado di vice Sovraintendente, ora in quiescenza (dal 17.7.2013), invoca un’interpretazione della disposizione menzionata in senso costituzionalmente orientato, di talchè dalla stessa possa farsi discendere la mera sospensione delle progressioni di carriera, senza produrre effetti economici sul trattamento previdenziale.
A supporto di tale prospettazione richiama precedenti della giurisprudenza costituzionale che deporrebbero nel senso di dover ritenere irrilevante, ai fini previdenziali, la cristallizzazione esposta, determinandosi, in caso contrario, una protrazione all’infinito del blocco retributivo, in contrasto con i principi enunciati dalla stessa Consulta (sent. n. 310/2013), che individuerebbero nel carattere “eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione”;
Con autonoma istanza in data 12 ottobre 2018 il ricorrente ha richiesto, in ragione delle condizioni di salute precarie certificate, l’anticipazione della trattazione dell’udienza.
Con decreto in data 25 ottobre 2018 questo Giudice ha fissato l’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 155, c. 2 e art. 89 c.g.c., il 22 novembre 2018, con termine per la notificazione del ricorso alla parte convenuta al 5 novembre 2018. In limine dell’udienza il Giudice ha rilevato che la notificazione del ricorso al Ministero della Giustizia si è perfezionato in data 7.11.2018.
Ha quindi disposto il rinvio dell’udienza di discussione del giudizio al 20 dicembre 2018, al fine di garantire alla parte resistente i termini a comparire di cui all’art. 155, comma 6 c.g.c. (dimezzati in applicazione dell’art. 89, c. 1 c.g.c.). All’udienza di discussione in 20 dicembre 2018 nessuno è comparso.
Rilevato in
DIRITTO
La domanda del ricorrente è volta ad ottenere l’adeguamento del trattamento economico di pensione posto che, in ragion del c.d. “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, commi 1 e 21 del d.l. n. 78/2010, lo stesso avrebbe subito il congelamento dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo annuale e del riconoscimento della progressione stipendiale per classi e scatti al maturare dell’anzianità di servizio, i quali si sarebbero ripercossi sul trattamento di pensione.
Il ricorso si appalesa infondato.
L’art. 9 comma 21 del decreto legge n. 78/2010 del 31 maggio 2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” stabilisce che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate, eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici…”.
Con il successivo d.l. n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, nonché con il d.p.r. n. 122/2013, le suddette misure di contenimento della spesa pubblica sono state prorogate a tutto il 31.12.2014.
Alla luce del tratteggiato quadro normativo, il trattamento di quiescenza del ricorrente risulta computato correttamente dall’Amministrazione, in coerenza al vigente quadro normativo in materia di “blocco stipendiale”.
Sulla base delle richiamate norme gli aumenti retributivi invocati dal ricorrente, non essendo entrati nella base retributiva e contributiva dello stesso, non possono essere computati nella corrispondente base pensionabile. Si richiama sul punto la pronuncia di questa Sezione in caso analogo (n. 110/2018), alla quale questo Giudice presta adesione, per cui “questa Corte (cfr. Sez. II App. n. 393/2013 e la giurisprudenza ivi richiamata) ha ribadito il principio secondo il quale non è sufficiente la pensionabilità di un assegno o di un'indennità per il suo inserimento nella base pensionabile, in assenza di una specifica disposizione di legge che ciò espressamente preveda. Sennonché, nella specie, non risulta, prima di tutto, soddisfatto l’altro requisito stabilito dalla ridetta norma ovvero che l’ultimo stipendio, l'ultima paga, gli assegni o indennità pensionabili indicati siano stati integralmente percepiti. Il che non è avvenuto, come pacifico in giudizio, dal momento che l’erogazione e la percezione degli emolumenti di cui si discute sono state sospese ex lege”.
Del resto il d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), all’art. 43, come sostituito dall'art. 15 l. 29 aprile 1976 n. 177 (e analogamente l’art. 53 dello stesso d.p.r. per il personale militare) così dispone in ordine al calcolo della base pensionabile: “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento (…).”
Il suddetto principio -secondo cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (cfr. questa Sez. n. 195/2016) - ha altresì trovato piena conferma nella giurisprudenza successiva, poiché ritenuto “conforme ai principi generali ed immune da vizi logico-giuridici” (Corte dei conti, Sez. II, n. 269/2018).
Non appaiono condivisibili i dubbi di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 (e norme successive collegate), paventati nell’atto introduttivo del giudizio. Si richiama in proposito l’orientamento già espresso recentemente da questa Sezione (con la sentenza n. 110/2018), secondo cui “la Corte costituzionale ha già avuto occasione di scrutinare la legittimità delle norme in discorso, concernenti il c.d. blocco stipendiale di cui al D.L. n. 78/2010 cit., affermandone la compatibilità con la Costituzione (cfr. C. Cost. n. 178/2015, n. 96/2016). La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. In ogni caso la questione, così come prospettata nel ricorso, pare difettare anche di rilevanza, dal momento che il calcolo della base pensionabile del ricorrente non è direttamente regolato dalle norme da questi censurate, ma da quelle proprie della materia previdenziale di cui si è fatto cenno”.
Deve ritenersi altresì esclusa la fondatezza dell’eccepita “disparità di trattamento” asseritamente indotta dall’anzidetta normativa rispetto a coloro che sono cessati dal servizio dopo la scadenza del blocco, ritenuta dal ricorrente rilevante ai sensi degli artt. 3 Cost..
Si rammenta in proposito che la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla legittimità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 reputando infondate le denunciate violazioni dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 36, 97 (v. sentt. C. Cost. 304-310/2013). E’ stato affermato in proposito, tra l’altro, che “… la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”. In particolare, con la sentenza n.154/2014 la Corte costituzionale, in relazione alla più volte denunciata disparità di trattamento rispetto ai colleghi esenti dal blocco, ha affermato che “non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013) (in tal senso espressamente Corte dei conti, sez. II^ App., n. 269/2018).
Da ultimo la stessa Corte costituzionale si è nuovamente espressa (con la sentenza n. 200 dell’11.11.2018) sulle questioni di legittimità costituzione del già citato art. 9, comma 21, terzo periodo del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, sollevate con ordinanza n. 71/2017 dalla Sezione Giurisdizionale per la regione Liguria, dichiarandole non fondate e giustificando l’intervento normativo in ragione dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Ha altresì specificato che “Spetterebbe al legislatore, nell’esercizio delle scelte di politica economica di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica prevedere…la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali”.
In considerazione della natura della questione dedotta si reputano sussistere i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione e deduzione rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Torino il 20 dicembre 2018.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Depositata in Segreteria il 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
Il Giudice Monocratico, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Su disposizione del Giudice, ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Torino, 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
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Re: Assegno di Funzione
Messaggio da naturopata »
Questa è la Sentenza dell'amico Angri62. Voglio far notare come la grandezza di questo giudice pur conoscendo la condizione di Giuseppe, ha rimandato l'udienza (dopo aver prima concesso l'abbreviazione dei termini), solo perché sapeva che stava per intervenire il solito cambio di rotta della Corte Costituzionale (citata in sentenza) per poter respingere il ricorso senza patemi. Glielo avevo preannunciato a fine anno dell'esito negativo, visto il rinvio e dopo che ne ha avuto conferma a Marzo, è stato un duro colpo (moralmente). Perché invece non accogliere senza rimandare e magari fare appellare? C'erano tutti i crismi, sarebbe costato tanto?
panorama ha scritto: ↑mer apr 24, 2019 3:03 pm La CdC Piemonte, RIGETTA il ricorso circa l'Assegno Funzionale dei 32 anni durante il blocco contrattuale.
1) - chiede la rideterminazione della pensione ....., con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale-
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SEZIONE GIURISDIZIONALE PIEMONTE Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 24 Pubblicazione 04/03/2019
SENT. N. 24/19
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica, nella persona del Giudice Unico Primo Referendario dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta, ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio in materia di pensioni civili iscritto al n. 20677 del Registro di Segreteria, promosso dal signor G. E.., nato ad omissis, il omissis, residente in omissis. In giudizio personalmente;
contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante pro tempore;
avverso
“la determinazione assunta in data 17 giugno 2015, n. GDAP-0214772-2015, emessa dal Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale del Personale e della Formazione”.
All’udienza in data 20 dicembre 2018 nessuno è comparso per il ricorrente né per il Ministero della Giustizia.
Rilevato che
Con ricorso depositato presso la Sezione in data 12 ottobre 2018 il signor E.. chiede la rideterminazione della pensione n. 17640981, con attribuzione delle variazioni dell’indennità di funzione pensionabile (d.p.r. n. 348 del 19 novembre 2003, art. 2), relativa al 32° anno di servizio, senza demeriti, a far data dalla cessazione - non riconosciuta in sede di liquidazione del trattamento previdenziale- in quanto maturata durante il cosiddetto blocco relativo agli incrementi previsti dagli automatismi di progressione stipendiale e di carriera intervenuti nell’arco temporale 1.1.2011-31.12.2014, in attuazione di quanto disposto ai sensi dell’art. 9, commi 1 e 21 del decreto legge 31 maggio 2010, 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e dal d.p.r. 4 settembre 2013, n. 122.
Il ricorrente, già dipendente a tempo indeterminato del dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, con il grado di vice Sovraintendente, ora in quiescenza (dal 17.7.2013), invoca un’interpretazione della disposizione menzionata in senso costituzionalmente orientato, di talchè dalla stessa possa farsi discendere la mera sospensione delle progressioni di carriera, senza produrre effetti economici sul trattamento previdenziale.
A supporto di tale prospettazione richiama precedenti della giurisprudenza costituzionale che deporrebbero nel senso di dover ritenere irrilevante, ai fini previdenziali, la cristallizzazione esposta, determinandosi, in caso contrario, una protrazione all’infinito del blocco retributivo, in contrasto con i principi enunciati dalla stessa Consulta (sent. n. 310/2013), che individuerebbero nel carattere “eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, e nella sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica, le condizioni per escludere l’irragionevolezza delle misure in questione”;
Con autonoma istanza in data 12 ottobre 2018 il ricorrente ha richiesto, in ragione delle condizioni di salute precarie certificate, l’anticipazione della trattazione dell’udienza.
Con decreto in data 25 ottobre 2018 questo Giudice ha fissato l’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 155, c. 2 e art. 89 c.g.c., il 22 novembre 2018, con termine per la notificazione del ricorso alla parte convenuta al 5 novembre 2018. In limine dell’udienza il Giudice ha rilevato che la notificazione del ricorso al Ministero della Giustizia si è perfezionato in data 7.11.2018.
Ha quindi disposto il rinvio dell’udienza di discussione del giudizio al 20 dicembre 2018, al fine di garantire alla parte resistente i termini a comparire di cui all’art. 155, comma 6 c.g.c. (dimezzati in applicazione dell’art. 89, c. 1 c.g.c.). All’udienza di discussione in 20 dicembre 2018 nessuno è comparso.
Rilevato in
DIRITTO
La domanda del ricorrente è volta ad ottenere l’adeguamento del trattamento economico di pensione posto che, in ragion del c.d. “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, commi 1 e 21 del d.l. n. 78/2010, lo stesso avrebbe subito il congelamento dei meccanismi automatici di adeguamento retributivo annuale e del riconoscimento della progressione stipendiale per classi e scatti al maturare dell’anzianità di servizio, i quali si sarebbero ripercossi sul trattamento di pensione.
Il ricorso si appalesa infondato.
L’art. 9 comma 21 del decreto legge n. 78/2010 del 31 maggio 2010 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” stabilisce che “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall’articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorchè a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2011, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate, eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici…”.
Con il successivo d.l. n. 98/2011, convertito dalla legge n. 111/2011, nonché con il d.p.r. n. 122/2013, le suddette misure di contenimento della spesa pubblica sono state prorogate a tutto il 31.12.2014.
Alla luce del tratteggiato quadro normativo, il trattamento di quiescenza del ricorrente risulta computato correttamente dall’Amministrazione, in coerenza al vigente quadro normativo in materia di “blocco stipendiale”.
Sulla base delle richiamate norme gli aumenti retributivi invocati dal ricorrente, non essendo entrati nella base retributiva e contributiva dello stesso, non possono essere computati nella corrispondente base pensionabile. Si richiama sul punto la pronuncia di questa Sezione in caso analogo (n. 110/2018), alla quale questo Giudice presta adesione, per cui “questa Corte (cfr. Sez. II App. n. 393/2013 e la giurisprudenza ivi richiamata) ha ribadito il principio secondo il quale non è sufficiente la pensionabilità di un assegno o di un'indennità per il suo inserimento nella base pensionabile, in assenza di una specifica disposizione di legge che ciò espressamente preveda. Sennonché, nella specie, non risulta, prima di tutto, soddisfatto l’altro requisito stabilito dalla ridetta norma ovvero che l’ultimo stipendio, l'ultima paga, gli assegni o indennità pensionabili indicati siano stati integralmente percepiti. Il che non è avvenuto, come pacifico in giudizio, dal momento che l’erogazione e la percezione degli emolumenti di cui si discute sono state sospese ex lege”.
Del resto il d.p.r. 29 dicembre 1973 n. 1092 (recante il T.U. delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), all’art. 43, come sostituito dall'art. 15 l. 29 aprile 1976 n. 177 (e analogamente l’art. 53 dello stesso d.p.r. per il personale militare) così dispone in ordine al calcolo della base pensionabile: “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza dei dipendenti civili, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga o retribuzione e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento (…).”
Il suddetto principio -secondo cui il trattamento di quiescenza va ragguagliato alla contribuzione versata durante il rapporto di impiego (cfr. questa Sez. n. 195/2016) - ha altresì trovato piena conferma nella giurisprudenza successiva, poiché ritenuto “conforme ai principi generali ed immune da vizi logico-giuridici” (Corte dei conti, Sez. II, n. 269/2018).
Non appaiono condivisibili i dubbi di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 (e norme successive collegate), paventati nell’atto introduttivo del giudizio. Si richiama in proposito l’orientamento già espresso recentemente da questa Sezione (con la sentenza n. 110/2018), secondo cui “la Corte costituzionale ha già avuto occasione di scrutinare la legittimità delle norme in discorso, concernenti il c.d. blocco stipendiale di cui al D.L. n. 78/2010 cit., affermandone la compatibilità con la Costituzione (cfr. C. Cost. n. 178/2015, n. 96/2016). La valorizzazione, a fini pensionistici, di periodi non coperti da contribuzione rientra nella discrezionalità del legislatore e la sua mancanza non appare irragionevole in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa e di salvaguardia degli equilibri di finanza pubblica evidenziate dalla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. In ogni caso la questione, così come prospettata nel ricorso, pare difettare anche di rilevanza, dal momento che il calcolo della base pensionabile del ricorrente non è direttamente regolato dalle norme da questi censurate, ma da quelle proprie della materia previdenziale di cui si è fatto cenno”.
Deve ritenersi altresì esclusa la fondatezza dell’eccepita “disparità di trattamento” asseritamente indotta dall’anzidetta normativa rispetto a coloro che sono cessati dal servizio dopo la scadenza del blocco, ritenuta dal ricorrente rilevante ai sensi degli artt. 3 Cost..
Si rammenta in proposito che la Corte Costituzionale si è pronunciata più volte sulla legittimità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 reputando infondate le denunciate violazioni dei parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 36, 97 (v. sentt. C. Cost. 304-310/2013). E’ stato affermato in proposito, tra l’altro, che “… la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”. In particolare, con la sentenza n.154/2014 la Corte costituzionale, in relazione alla più volte denunciata disparità di trattamento rispetto ai colleghi esenti dal blocco, ha affermato che “non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013) (in tal senso espressamente Corte dei conti, sez. II^ App., n. 269/2018).
Da ultimo la stessa Corte costituzionale si è nuovamente espressa (con la sentenza n. 200 dell’11.11.2018) sulle questioni di legittimità costituzione del già citato art. 9, comma 21, terzo periodo del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, sollevate con ordinanza n. 71/2017 dalla Sezione Giurisdizionale per la regione Liguria, dichiarandole non fondate e giustificando l’intervento normativo in ragione dell’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Ha altresì specificato che “Spetterebbe al legislatore, nell’esercizio delle scelte di politica economica di compatibilità con l’esigenza di equilibrio della finanza pubblica prevedere…la riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei pubblici dipendenti, collocati in quiescenza nel quadriennio del blocco degli incrementi stipendiali”.
In considerazione della natura della questione dedotta si reputano sussistere i presupposti per la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda, eccezione e deduzione rigetta il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Torino il 20 dicembre 2018.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Depositata in Segreteria il 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
Il Giudice Monocratico, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante il “Codice in materia di protezione dei dati personali”
DISPONE
che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Il Giudice
F.to Dott.ssa Ilaria Annamaria Chesta
Su disposizione del Giudice, ai sensi dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle persone fisiche indicate in sentenza.
Torino, 4 marzo 2019
Il Direttore della Segreteria
F.to Antonio Cinque
Re: Assegno di Funzione
La CdC Calabria rigetta anche sull'assegno funzionale durante il c.d. blocco
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Re: Assegno di Funzione
CdC Sicilia con sentenza n. 237/2020 pubblicata il 16/06/2020, rigetta il ricorso del collega CC. sul 2° assegno funzionale.
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