Quale futuro per gli italiani?
La CdC di Trento rigetta il ricorso.
1) - insegnante elementare supplente con incarichi annuali presso gli Istituti scolastici della Provincia Autonoma di Trento, rappresentando di essere stata collocata in quiescenza per raggiunti limiti di età il 13 settembre 2016, ha riferito di avere svolto attività lavorativa dal 26/10/1987 al 13/09/2016, maturando 17 anni 2 mesi e 22 giorni di servizio effettivo, e di avere inutilmente richiesto in via amministrativa all’INPS il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, a suo avviso ingiustamente negato per effetto della errata valutazione dei requisiti previsti dal d.lgs. 503/1992, art. 2, comma 3, lett c) “e per effetto della deliberata mancata applicazione da parte dell’ente resistente della normativa appena citata”.
Secondo l'INPS:
2) - la ricorrente, insegnante non di ruolo, ha percorso una carriera lavorativa caratterizzata dalla non stabilità e continuità del rapporto ma da incarichi temporanei anche di durata pari ad interi anni scolastici, ma pur sempre instaurati con contratti di lavoro a tempo determinato e conseguenti risoluzioni di diritto alla scadenza, con la conseguente non continuità nella costituzione della posizione assicurativa previdenziale, e non è quindi riuscita a raggiungere il requisito minimo pari a venti anni di contributi accreditabili nell’arco della vita lavorativa.
3) - La questione in esame verte sulla sussistenza del diritto della ricorrente a vedersi riconoscere il trattamento pensionistico di vecchiaia, in applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.Lgs. n. 503/1992, avendo la stessa maturato, alla data del collocamento in congedo per raggiunti limiti di età, una contribuzione utile di oltre 17 anni, dei quali quasi 2 alla data del 31 dicembre 1992.
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE TRENTINO ALTO ADIGE – TN Esito SENTENZA
Materia PENSIONISTICA Anno 2020 Numero 3 Pubblicazione 29/01/2020
REPUBBLICA ITALIANA
SENTENZA N. 3/2020
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL TRENTINO - ALTOADIGE/SÜDTIROL
SEDE DI TRENTO
Nella persona del Consigliere dott.ssa Grazia Bacchi, in funzione di giudice monocratico in materia di ricorsi pensionistici, ai sensi dell’art. 151 del codice della giustizia contabile di cui al decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 174.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
All’udienza del 15 gennaio 2020, con l’assistenza del Segretario dott. Bruno Mazzon, uditi l’avv. Cinzia Conta, in sostituzione dell’avv. Luca Battistella per la ricorrente, e l’avv. Carlo Costantino de Pompeis per l’INPS, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio in materia pensionistica, iscritto al n. 4384 del Registro di segreteria, instaurato dalla sig.ra R.M., nata a OMISSIS il OMISSIS , residente a OMISSIS , Via OMISSIS (c.f. OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato Luca Battistella (c.f. BTTLCU66D13H330T), presso il cui studio in Torino, Corso F. Ferrucci n. 105 è elettivamente domiciliata, con ricorso avverso l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Costantino De Pompeis ( c.f. DPMCLC58E12G482I ) e Marta Odorizzi (DRZMRT65B63C794A).
RITENUTO IN FATTO
Con il presente gravame, la signora D.M., già insegnante elementare supplente con incarichi annuali presso gli Istituti scolastici della Provincia Autonoma di Trento, rappresentando di essere stata collocata in quiescenza per raggiunti limiti di età il 13 settembre 2016, ha riferito di avere svolto attività lavorativa dal 26/10/1987 al 13/09/2016, maturando 17 anni 2 mesi e 22 giorni di servizio effettivo, e di avere inutilmente richiesto in via amministrativa all’INPS il riconoscimento del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia, a suo avviso ingiustamente negato per effetto della errata valutazione dei requisiti previsti dal d.lgs. 503/1992, art. 2, comma 3, lett c) “e per effetto della deliberata mancata applicazione da parte dell’ente resistente della normativa appena citata”.
La ricorrente ha rivendicato l’applicabilità, nella fattispecie, del disposto dell’articolo 2 comma 3 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, a suo avviso attualmente ancora operante nonostante l’entrata in vigore della legge n. 214 del 2011, come riconosciuto dallo stesso INPS con circolare n. 16 dell’01.02.2013, sostenendo che la sua situazione ricade nel campo di applicazione della lettera d) primo capoverso della medesima circolare, avendo ella maturato, all’atto del pensionamento, oltre 15 anni di anzianità contributiva nel regime c.d. “misto” e non avendo conseguito al 31 dicembre 1992 i requisiti contributivi previsti dalla nuova legge; ha, quindi, sostenuto l’erroneità del diniego opposto dall’Istituto previdenziale per la scorretta applicazione dell’articolo 2 comma 3 del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e per avere arbitrariamente interpretato detta norma sostenendo che “l’arco temporale che va dal 1993 in poi deve essere interamente lavorato pur avendo contribuzione utile al 1992”. Inoltre, la ricorrente ha contestato l’errore e la illogicità della motivazione del provvedimento di diniego di erogazione del richiesto trattamento pensionistico per avere “deliberatamente ignorato le peculiarità di computo afferenti ai lavoratori pubblici ex gestione INPDAP e più specificatamente dei lavoratori insegnanti della scuola pubblica”, poiché di fatto mai il legislatore della deroga avrebbe parlato di computo in settimane di calendario di contribuzione né avrebbe disposto che nella fattispecie dei lavoratori dipendenti insegnanti della scuola pubblica, la contribuzione debba intendersi riferita ad arco temporale successivo al 1993 interamente lavorato a settimane pur avendo contribuzione utile al 1992, in quanto per la generalità dei dipendenti iscritti all’AGO dell’INPS l’anzianità contributiva è effettivamente determinata in settimane (52 in un anno), mentre nei fondi esclusivi dei dipendenti pubblici ex INPDAP tra cui gli stessi docenti, essa è invece determinata sulla base degli anni, mesi e giorni di servizio con arrotondamento, come si verifica nel caso in esame; risulterebbe dunque del tutto impossibile applicare il concetto di periodo interamente lavorato in settimane annuali persino per il docente pubblico di ruolo ed, a maggior ragione, per il docente precario. Pertanto, sarebbe dirimente nel caso in esame esclusivamente “la certificazione PA04 formalmente rilasciata dall’amministrazione competente che la docente D.M.R. , in presenza dei requisiti anagrafici previsti dalla cd legge Fornero, al momento del collocamento a riposo per limiti di età avvenuto d’Ufficio ad opera della P.A.T ( che peraltro aveva verificato la sussistenza dei requisiti) abbia nel corso della propria attività lavorativa risalente al 1987 raggiunto una anzianità contributiva di 17 anni 6 mesi ed 1 giorno”, anzianità maturata dall’interessata, anche se in modo non continuativo, fino al termine della carriera lavorativa. Citando quindi giurisprudenza del Giudice ordinario e di questa stessa Corte dei conti a suffragio delle sue richieste, la ricorrente ha concluso chiedendo il riconoscimento del diritto alla corresponsione del trattamento di pensione diretta ordinaria, con condanna dell’amministrazione al risarcimento di ogni danno da lei subito o subendo, e con vittoria delle competenze professionali e delle spese sostenute.
L’INPS si è costituito in giudizio con il patrocinio dei difensori indicati in epigrafe, evidenziando che la ricorrente, insegnante non di ruolo, ha percorso una carriera lavorativa caratterizzata dalla non stabilità e continuità del rapporto ma da incarichi temporanei anche di durata pari ad interi anni scolastici, ma pur sempre instaurati con contratti di lavoro a tempo determinato e conseguenti risoluzioni di diritto alla scadenza, con la conseguente non continuità nella costituzione della posizione assicurativa previdenziale, e non è quindi riuscita a raggiungere il requisito minimo pari a venti anni di contributi accreditabili nell’arco della vita lavorativa. Le deroghe previste dall’art 2 del D.Lgs 503/92, tra cui quella indicata dalla lettera c) del suo terzo comma la cui applicazione è rivendicata dalla ricorrente, sarebbero poi assolutamente tassative; con detta norma è stato previsto che “continui ad applicarsi il requisito previgente dei 15 anni di contribuzione ai lavoratori dipendenti che dalla fine dell’anno 1992 (data di variazione del requisito) abbiano un’anzianità contributiva tale che, “anche se incrementata” da quella successiva per i periodi intercorrenti tra il primo gennaio 1993 e la fine del mese del compimento dell’età pensionabile, “non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2” (venti anni di assicurazione e contribuzione)”; nel caso in esame, la ricorrente aveva maturato, al 31 dicembre 1992, 1 anno, 10 mesi e 21 giorni di contribuzione per effetto della discontinuità del rapporto lavorativo, e le deroghe previste dal comma 3 del D.Lgs. n. 503/92 avevano la ratio di colmare i soli effetti di impossibilità di applicazione della nuova disciplina per i casi transitori. La ricorrente non rientrerebbe in nessuna delle tre ipotesi di deroga previste dalla normativa, in particolare in quella sub. c) di cui rivendica l’applicazione, poiché alla relativa entrata in vigore ella aveva solo 45 anni di età e quindi oltre un ventennio per incrementare la propria posizione ed eventualmente per colmare la carenza contributiva finale con versamenti volontari di contribuzione nei periodi di assenza di attività. Infatti, la norma che prevede i casi di deroga sarebbe stata “istituita e pensata per coloro che, con l’inasprimento non graduale dei requisiti, sarebbero rimasti senza alcuna possibilità alternativa di accedere alla pensione, o per l’età imminente al pensionamento o per aver già maturato il precedente requisito” e, non si potrebbe quindi estendere la deroga, prevista per il periodo transitorio, a “tutti coloro che potrebbero conseguire il requisito per l’ampio lasso di tempo a disposizione ma non ci riescono per sfortunate vicende di carriera”, per i quali sussisterebbe comunque l’alternativa della contribuzione volontaria. Pertanto, l’Istituto previdenziale ha concluso chiedendo il rigetto della domanda avversa, con “spese, diritti ed onorari di causa rimessi all’equo apprezzamento della Corte”.
Alla odierna udienza la difesa della ricorrente ha contestato l’interpretazione dell’INPS sull’applicabilità della normativa invocata, in quanto essa non pone limiti temporali, mentre l’Istituto previdenziale ha sostenuto che gli appartenenti alla gestione ex INPDAP, che avrebbero potuto raggiungere i requisiti minimi previsti dalla normativa sopravvenuta, esulano dall’ambito di applicabilità della stessa lett. c) dell’art. 2, comma 3 del D. Lgs n. 503/92.
Detta applicazione, ad avviso della difesa, sarebbe contraria alla stessa circolare INPS del 2013 che ha sostenuto l’applicabilità della deroga a tutti coloro che avessero prestato servizio prima del 01/01/1993, ed al proposito ha richiamato il certificato P04 agli atti, evidenziando i requisiti posseduti dalla ricorrente all’atto della cessazione dal servizio; la stessa difesa ha, inoltre, richiamato la circolare del Ministero dell’Istruzione n. 23/2012, che ha confermato la sopravvivenza dell’invocato disposto normativo anche dopo l’entrata in vigore della legge c. d. “Fornero”.
Il difensore dell’INPS ha indicato di ritenere che la deroga recata dal d.lgs n. 503/92 abbia perso efficacia nel tempo, poiché essa era stata pensata per i casi transitori nel momento di passaggio al nuovo regime. In particolare, la deroga di cui alla lett. c) invocata dalla ricorrente disciplina i casi di coloro che si trovassero nell’impossibilità di raggiungere i requisiti di anzianità previsti dalla nuova normativa pur continuando a lavorare fino all’età pensionabile. Quindi, detta norma, usando il condizionale, disciplinava i soli casi in cui mancasse, all’atto dell’entrata in vigore della riforma, il periodo di tempo utile per accedere al pensionamento; ha, inoltre, ribadito che la ricorrente per ovviare al problema della discontinuità e quindi insufficienza della situazione previdenziale avrebbe potuto provvedere alla contribuzione volontaria.
Le parti hanno infine confermato i contenuti degli scritti difensivi e delle relative conclusioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione in esame verte sulla sussistenza del diritto della ricorrente a vedersi riconoscere il trattamento pensionistico di vecchiaia, in applicazione dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.Lgs. n. 503/1992, avendo la stessa maturato, alla data del collocamento in congedo per raggiunti limiti di età, una contribuzione utile di oltre 17 anni, dei quali quasi 2 alla data del 31 dicembre 1992.
Al proposito, l’art. 2 (Requisiti assicurativi e contributivi per il pensionamento di vecchiaia) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 dispone che: “1. Nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti ed i lavoratori autonomi il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno venti anni dall'inizio dell'assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell'assicurato almeno venti anni di contribuzione, fermi restando i requisiti previsti dalla previgente normativa per le pensioni ai superstiti.
2. In fase di prima applicazione i requisiti di cui al comma 1 sono stabiliti in base alla tabella B allegata.
3. In deroga ai commi 1 e 2:
a) continuano a trovare applicazione i requisiti di assicurazione e contribuzione previsti dalla previgente normativa nei confronti dei soggetti che li abbiano maturati alla data del 31 dicembre 1992, ovvero che anteriormente a tale data siano stati ammessi alla prosecuzione volontaria di cui al D.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1432, e successive modificazioni ed integrazioni;
b) per i lavoratori subordinati che possono far valere un'anzianità assicurativa di almeno venticinque anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare, è fatto salvo il requisito contributivo per il pensionamento di vecchiaia previsto dalla previgente normativa;
c) nei casi di lavoratori dipendenti che hanno maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all'età per il pensionamento di vecchiaia, non consentirebbe loro di conseguire i requisiti di cui ai commi 1 e 2, questi ultimi sono corrispondentemente ridotti fino al limite minimo previsto dalla previgente normativa”.
Non si dubita della sopravvivenza di detta norma alle riforme successivamente intervenute, ivi compresa quella recata dal D.L. n. 201/2011 convertito nella legge n. 2014 del 2011, dalla quale non è stata abrogata; tuttavia, le ipotesi di deroga al nuovo sistema previdenziale introdotto, fin dall’inizio, dallo stesso decreto legislativo n. 503/92, che elevava in linea generale il requisito minimo di contribuzione per l’accesso alla pensione di vecchiaia a 20 anni, a fronte di quello previgente di 15 anni di cui all’art. 42 del D.P.R. n. 1092/1973, sono da considerarsi tassative ed assoggettate a rigorosa interpretazione.
Alla stregua della giurisprudenza di questa Corte dei conti (per tutte, (sul punto, Sezione Appello Sicilia, n 189 del 19 dicembre 2017; Sezione giurisdizionale Regionale per l’Abruzzo, n. 37 del 7 maggio 2018; Sezione Prima Centrale d’Appello, n. 5 del 7 gennaio 2019) si rivela corretta quella prospettata dall’INPS: infatti, l’ipotesi di cui alla lettera c), la cui applicazione è richiesta in questa sede dalla ricorrente, peraltro non contemplata dalla legge delega n. 421 del 23 ottobre 1992, è assoggettata “ad un'interpretazione letterale e restrittiva, non potendo spingersi, l'interprete, ad estendere ulteriormente l'alveo applicativo di una previsione che, oltre a costituire una deroga al regime generale, costituisce già il frutto di un correttivo operato dal legislatore delegato, in considerazione della particolare situazione in cui si sarebbero venuti a trovare i "lavoratori dipendenti" che, assoggettati al contestuale innalzamento del requisito anagrafico (solo per costoro avvenuto) e di quello contributivo - assicurativo (riguardante, invece, sia i lavoratori dipendenti sia quelli autonomi), pur continuando ad incrementare la propria anzianità assicurativa e contributiva dal 31 dicembre 1992, non avrebbero comunque potuto raggiungere, alla nuova soglia di età prevista per la pensione di vecchiaia, il più rigoroso requisito prescritto per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia” (Sezione Prima Centrale d’Appello, n. 5 del 7 gennaio 2019, citata).
Detta norma riguarda quindi, innanzitutto, i "lavoratori dipendenti", in quanto interessati da entrambe le modifiche di cui all'art. 1 (nuova età pensionabile) e all'art. 2 (innalzamento del requisito assicurativo - contributivo), e non esclude dal proprio ambito applicativo i lavoratori del settore pubblico già iscritti all’INPDAP, ed in particolare i docenti, siano essi di ruolo o non di ruolo, non recando alcuna distinzione a seconda delle tipologie di lavoro (stabile o precario); tuttavia, essa risulta congegnata per salvaguardare i lavoratori i quali “già iscritti alla data di entrata in vigore della riforma, non avrebbero avuto modo, matematicamente, di maturare la pensione di vecchiaia con il nuovo requisito ventennale, in quanto impossibilitati, nei fatti, a raggiungerlo entro l’età prevista per il pensionamento di vecchiaia. Si è inteso così evitare di fissare un requisito impossibile da raggiungere per i lavoratori che, invece, potevano raggiungerlo in base alle regole fino ad allora vigenti” (Sezione giurisdizionale Regionale per l’Abruzzo, n. 37 del 7 maggio 2018, citata, e confermata dalla Sezione I Centrale d’Appello).
Dunque, come ritenuto dalla citata giurisprudenza della Sezione Giurisdizionale Regionale per l’Abruzzo, che ha analizzato la casistica giurisprudenziale citata anche dalla ricorrente nella proposizione del presente gravame, la deroga di cui alla citata lettera c), era espressamente riservata a coloro i quali, alla data del 31 dicembre 1992, non avevano davanti a sé il tempo sufficiente a raggiungere il nuovo requisito entro la data prevista per il pensionamento di vecchiaia “(ma avevano solo il tempo sufficiente a raggiungere il vecchio requisito: cfr. Cass., Sez. Lav., sent. 20229 del 24.09.2010, C. conti, Sez. Toscana, sent. 1404 del 13.12.2001, citate dalla stessa ricorrente)”.
L’ambito applicativo della invocata norma non riguarda, quindi, la ricorrente; ella infatti, al 31 dicembre 1992, aveva una età anagrafica (45 anni) ed una anzianità contributiva di quasi due anni, presupposti tali da consentirle di raggiungere la pensione di vecchiaia anche con il nuovo requisito ventennale, poiché essa era già in possesso di pregressa anzianità di servizio ed aveva ancora davanti a sé un periodo di tempo ampiamente sufficiente per conseguirlo, oltre che la possibilità di colmare anche volontariamente il vuoto contributivo ai fini dell’accesso al pensionamento di vecchiaia.
La deroga di cui alla lettera c) del 3° comma dell’art. 2 del D.lgs. n. 503/1992 , qui richiesta, non risulta dunque applicabile nel caso dell’interessata, (come peraltro inapplicabili risultano le altre deroghe previste dalle precedenti lettere a) e b), poiché ella all’atto dell’entrata in vigore della riforma, poteva far valere poco meno di due anni di contribuzione, come evidenziato dall’INPS): infatti, l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 2, comma 3, lett. c), del D.Lgs. n. 503/1992, consente di individuare l’ambito di applicabilità della deroga stessa, in modo oggettivo, attraverso un mero calcolo matematico, in quanto applicabile a tutti i lavoratori dipendenti per i quali fosse matematicamente impossibile raggiungere il nuovo requisito contributivo di venti anni, prima del compimento dell’età pensionabile, ed il relativo ambito di applicabilità “va individuato in relazione solo alla matematica impossibilità di raggiungere, al compimento dell’età pensionabile, il requisito della anzianità contributiva e assicurativa, a prescindere dalle soggettive vicende del rapporto lavorativo” (Sezione Prima Centrale d’Appello, n. 5 del 7 gennaio 2019, citata).
Pertanto, la signora R.D.M. , ad oggi, non è in possesso dei requisiti previsti dalla legge per l’accesso al trattamento pensionistico, ed il suo ricorso non merita dunque accoglimento.
In ragione della novità della questione trattata, si ritiene che sussistano i motivi per disporre la compensazione delle spese, ex art. 31 comma 3 del D.lgs. n. 174/2016.
A norma dell’art. 167, comma 1, del medesimo D.lgs. n. 174/2016, si fissa il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza.
PER QUESTI MOTIVI
Il Giudice Monocratico presso la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Trentino Alto Adige/Südtirol - Sede di Trento, definitivamente pronunciando, respinge, in quanto infondato, il ricorso iscritto al n. 4384 del Registro di Segreteria.
Spese compensate.
Dispone il deposito della sentenza nel termine di 60 giorni.
Così deciso in Trento, il giorno 15 gennaio 2020.
IL GIUDICE MONOCRATICO
Grazia BACCHI
Pubblicata mediante deposito in Segreteria il 29 gennaio 2020
Il Direttore della Segreteria
dott. Bruno Mazzon
DECRETO
Il Giudice Unico, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, dispone che a cura della Segreteria venga apposta l’annotazione di cui al comma 3 di detto articolo 52 nei riguardi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
IL GIUDICE MONOCRATICO
Grazia BACCHI
Depositato in Segreteria il 29 gennaio 2020
Il Direttore della Segreteria
Bruno Mazzon
In esecuzione di quanto disposto dal Giudice Unico, ai sensi dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Trento, 29 gennaio 2020
Il Direttore della Segreteria
dott. Bruno Mazzon
Lavorare e non avere diritto alla pensione con le riforme.
Re: Lavorare e non avere diritto alla pensione con le riforme.
Ricorso accolto
Riconoscimento pensione di vecchiaia.
1) - in possesso dei seguenti requisiti: 16 anni di contribuzione presso la citata Azienda Ospedaliera, essendo stata assunta il 15/5/2000; 70 anni di età
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE PUGLIA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2020 Numero 14 Pubblicazione 16/01/2020
Sentenza n.14/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, in persona del Cons. Marcello Iacubino,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di pensione, iscritto al n. 34099 del registro di segreteria, promosso
ad istanza di:
C.. Anna, nato a … il 2.05.1946 (C.F. OMISSIS), elettivamente domiciliata presso e nello studio dell’Avv. Isabella Vitale (fax n. 080/2059554; e-mail PEC vitale.isabella@avvocatibari.legalmail.it), alla via Skanderbeg n. 64, che la rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;
nei confronti di:
I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del suo legale rappresentante p.t con sede in Bari, al Lungomare N. Sauro 41, non costituitosi.
Oggetto: Riconoscimento pensione di vecchiaia.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
vista la legge n. 205/2000 e il Codice di giustizia contabile (“c.g.c.”), approvato con d.lgs. 26 agosto 2016 n. 174.
Uditi, nella pubblica udienza del 15 gennaio 2020, l’avv. Rosa Pellegrini per delega dell’avv. Vitale per la ricorrente, come da verbale in atti.
Ritenuto in
FATTO
1. Con il ricorso in epigrafe la sig. C.. rappresenta di aver inoltrato, in data 8 marzo 2016 per il tramite del proprio datore di lavoro, Azienda Ospedaliera “Ospedale Consorziale” Policlinico di Bari, domanda di pensione per il raggiungimento dei limiti di età, essendo a tale data in possesso dei seguenti requisiti: 16 anni di contribuzione presso la citata Azienda Ospedaliera, essendo stata assunta il 15/5/2000; 70 anni di età.
Il rapporto con il Policlinico di Bari si è poi risolto il 31/5/2016.
Tuttavia, in data 6.5.2016 l’Inps rigettava la sopra indicata istanza per difetto dei requisiti per il diritto a pensione. Opponeva pertanto in data 25.5.2016 ricorso amministrativo alla Direzione Provinciale dell’Inps, il quale lo respingeva con comunicazione del 15.06.2016.
Deduce, pertanto, di avere diritto alla pensione di vecchiaia, avendo versato 5 anni di contributi effettivi (dal 1996) e raggiunto i 70 anni di età.
Dopo avere ripresentato in data 27/7/2016 la domanda di pensione senza ricevere alcuna risposta, adisce questa Corte per accertare e dichiarare il proprio diritto a percepire la pensione di vecchiaia; per l'effetto, condannare l’INPS a corrispondere alla stessa quanto maturato sin dal giorno del diritto, oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite da liquidare al procuratore antistatario.
2. L’INPS, non si è costituito in giudizio nonostante la rituale notifica del ricorso (avvenuta in data 11/9/19 presso la sede INPS di Bari, L.mare N. Sauro), donde ne va dichiarata la contumacia.
3. All’udienza del 27.11.2019, con ordinanza a verbale questo giudice, considerata la mancanza agli atti del provvedimento di risoluzione del rapporto di rapporto lavoro con il Policlinico a far data da 31/5/2016, ha assegnato al ricorrente il termine non superiore a trenta giorni per il deposito del documento sopra indicato, rinviando la causa all’odierna udienza.
In data 13.12.19 parte ricorrente ha depositato quanto testé indicato. Da detto provvedimento (determinazione dirigenziale dell’Azienda Policlinico di Bari n. 135 del 9.4.2013) emerge che la sig.ra C.. Anna sia stata collocata in quiescenza a far data dal 1° giugno 2016.
4. All’odierna udienza, il patrono del ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il giudizio è stato quindi definito con sentenza – provvedendosi in udienza a esporre le ragioni di fatto e di diritto e a dare lettura del dispositivo, di seguito trascritto – depositata nell’ordinario termine di legge.
Considerato in
DIRITTO
1. – Parte resistente non si è costituita nonostante la regolare notificazione del ricorso in uno con il decreto di fissazione dell’udienza (art. 155, commi 3, 8 e 9), donde ne va dichiarata la contumacia (ai sensi del precedente art. 93).
Nel merito, parte ricorrente lamenta il mancato accoglimento della domanda di pensione di vecchiaia da parte dell’Istituto di Previdenza. Il provvedimento negativo è motivato dall’assenza dei requisiti previsti.
Al riguardo, è il caso di premettere che con la riforma varata dal D.L. 6/12/2011, n. 201, art. 24, il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia, che in base alla legge 335/1995, era fissato in 57 anni di età (in presenza di 5 anni di contributi), è stato elevato a 67 anni per uomini e donne (soggetto ad adeguamento in relazione alla speranza di vita).
La pensione di vecchiaia si ottiene con il requisito contributivo di 20 anni e si prescinde da detto limite solo se in possesso di un’età anagrafica pari a 70 anni e di 5 anni di contribuzione effettiva (art. 24, comma 7 del citato D.L. 6/12/2011, n. 201).
2. – Nella specie, dalla documentazione esaminata emerge che la sig.ra C.., alla data della risoluzione del rapporto con l’amministrazione datrice di lavoro (31/5/2016), fosse in possesso sia del suddetto requisito anagrafico (70 anni di età), che di quello contributivo (5 anni).
Il ricorso in esame deve, pertanto, essere accolto, e per l’effetto, va riconosciuto il diritto della parte ricorrente all'attribuzione alla pensione di vecchiaia a partire dal 1° giugno 2016.
Quanto agli accessori, accanto al riconoscimento delle somme spettanti, per i ratei arretrati, vanno riconosciuti gli interessi legali da corrispondere dalle singole scadenze debitorie fino al soddisfo nonché – ove eventualmente eccedente la misura degli interessi legali e per l'importo differenziale, calcolato anno per anno, rispetto all'ammontare degli interessi stessi – alla rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, maturati e maturandi sino al dì dell’effettivo soddisfo.
3. – La regolazione delle spese processuali segue la soccombenza ai sensi dell’art. 31, co. 1, CGC, e viene ordinata come in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra deduzione, eccezione e domanda:
- dichiara la contumacia dell’INPS;
- accoglie il ricorso e, per l’effetto, accerta il diritto della parte ricorrente alla pensione di vecchiaia, dal 1° giugno 2016;
- riconosce gli accessori nei sensi in motivazione;
- condanna l’INPS al pagamento delle spese di lite nei confronti del ricorrente che si liquidano nell’importo di € 1.085,00, oltre spese forfettarie e accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario.
Così deciso, in Bari, all’esito della pubblica udienza del 15 gennaio 2020.
IL GIUDICE
F.to (Marcello Iacubino)
Depositata in Segreteria il 16/01/2020
Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)
Riconoscimento pensione di vecchiaia.
1) - in possesso dei seguenti requisiti: 16 anni di contribuzione presso la citata Azienda Ospedaliera, essendo stata assunta il 15/5/2000; 70 anni di età
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Sezione SEZIONE GIURISDIZIONALE PUGLIA Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2020 Numero 14 Pubblicazione 16/01/2020
Sentenza n.14/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA PUGLIA
in composizione monocratica, in persona del Cons. Marcello Iacubino,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di pensione, iscritto al n. 34099 del registro di segreteria, promosso
ad istanza di:
C.. Anna, nato a … il 2.05.1946 (C.F. OMISSIS), elettivamente domiciliata presso e nello studio dell’Avv. Isabella Vitale (fax n. 080/2059554; e-mail PEC vitale.isabella@avvocatibari.legalmail.it), alla via Skanderbeg n. 64, che la rappresenta e difende, giusta mandato in calce al ricorso;
nei confronti di:
I.N.P.S. - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del suo legale rappresentante p.t con sede in Bari, al Lungomare N. Sauro 41, non costituitosi.
Oggetto: Riconoscimento pensione di vecchiaia.
Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa;
vista la legge n. 205/2000 e il Codice di giustizia contabile (“c.g.c.”), approvato con d.lgs. 26 agosto 2016 n. 174.
Uditi, nella pubblica udienza del 15 gennaio 2020, l’avv. Rosa Pellegrini per delega dell’avv. Vitale per la ricorrente, come da verbale in atti.
Ritenuto in
FATTO
1. Con il ricorso in epigrafe la sig. C.. rappresenta di aver inoltrato, in data 8 marzo 2016 per il tramite del proprio datore di lavoro, Azienda Ospedaliera “Ospedale Consorziale” Policlinico di Bari, domanda di pensione per il raggiungimento dei limiti di età, essendo a tale data in possesso dei seguenti requisiti: 16 anni di contribuzione presso la citata Azienda Ospedaliera, essendo stata assunta il 15/5/2000; 70 anni di età.
Il rapporto con il Policlinico di Bari si è poi risolto il 31/5/2016.
Tuttavia, in data 6.5.2016 l’Inps rigettava la sopra indicata istanza per difetto dei requisiti per il diritto a pensione. Opponeva pertanto in data 25.5.2016 ricorso amministrativo alla Direzione Provinciale dell’Inps, il quale lo respingeva con comunicazione del 15.06.2016.
Deduce, pertanto, di avere diritto alla pensione di vecchiaia, avendo versato 5 anni di contributi effettivi (dal 1996) e raggiunto i 70 anni di età.
Dopo avere ripresentato in data 27/7/2016 la domanda di pensione senza ricevere alcuna risposta, adisce questa Corte per accertare e dichiarare il proprio diritto a percepire la pensione di vecchiaia; per l'effetto, condannare l’INPS a corrispondere alla stessa quanto maturato sin dal giorno del diritto, oltre interessi e rivalutazione. Con vittoria di spese, competenze ed onorari di lite da liquidare al procuratore antistatario.
2. L’INPS, non si è costituito in giudizio nonostante la rituale notifica del ricorso (avvenuta in data 11/9/19 presso la sede INPS di Bari, L.mare N. Sauro), donde ne va dichiarata la contumacia.
3. All’udienza del 27.11.2019, con ordinanza a verbale questo giudice, considerata la mancanza agli atti del provvedimento di risoluzione del rapporto di rapporto lavoro con il Policlinico a far data da 31/5/2016, ha assegnato al ricorrente il termine non superiore a trenta giorni per il deposito del documento sopra indicato, rinviando la causa all’odierna udienza.
In data 13.12.19 parte ricorrente ha depositato quanto testé indicato. Da detto provvedimento (determinazione dirigenziale dell’Azienda Policlinico di Bari n. 135 del 9.4.2013) emerge che la sig.ra C.. Anna sia stata collocata in quiescenza a far data dal 1° giugno 2016.
4. All’odierna udienza, il patrono del ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Il giudizio è stato quindi definito con sentenza – provvedendosi in udienza a esporre le ragioni di fatto e di diritto e a dare lettura del dispositivo, di seguito trascritto – depositata nell’ordinario termine di legge.
Considerato in
DIRITTO
1. – Parte resistente non si è costituita nonostante la regolare notificazione del ricorso in uno con il decreto di fissazione dell’udienza (art. 155, commi 3, 8 e 9), donde ne va dichiarata la contumacia (ai sensi del precedente art. 93).
Nel merito, parte ricorrente lamenta il mancato accoglimento della domanda di pensione di vecchiaia da parte dell’Istituto di Previdenza. Il provvedimento negativo è motivato dall’assenza dei requisiti previsti.
Al riguardo, è il caso di premettere che con la riforma varata dal D.L. 6/12/2011, n. 201, art. 24, il requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia, che in base alla legge 335/1995, era fissato in 57 anni di età (in presenza di 5 anni di contributi), è stato elevato a 67 anni per uomini e donne (soggetto ad adeguamento in relazione alla speranza di vita).
La pensione di vecchiaia si ottiene con il requisito contributivo di 20 anni e si prescinde da detto limite solo se in possesso di un’età anagrafica pari a 70 anni e di 5 anni di contribuzione effettiva (art. 24, comma 7 del citato D.L. 6/12/2011, n. 201).
2. – Nella specie, dalla documentazione esaminata emerge che la sig.ra C.., alla data della risoluzione del rapporto con l’amministrazione datrice di lavoro (31/5/2016), fosse in possesso sia del suddetto requisito anagrafico (70 anni di età), che di quello contributivo (5 anni).
Il ricorso in esame deve, pertanto, essere accolto, e per l’effetto, va riconosciuto il diritto della parte ricorrente all'attribuzione alla pensione di vecchiaia a partire dal 1° giugno 2016.
Quanto agli accessori, accanto al riconoscimento delle somme spettanti, per i ratei arretrati, vanno riconosciuti gli interessi legali da corrispondere dalle singole scadenze debitorie fino al soddisfo nonché – ove eventualmente eccedente la misura degli interessi legali e per l'importo differenziale, calcolato anno per anno, rispetto all'ammontare degli interessi stessi – alla rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, maturati e maturandi sino al dì dell’effettivo soddisfo.
3. – La regolazione delle spese processuali segue la soccombenza ai sensi dell’art. 31, co. 1, CGC, e viene ordinata come in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra deduzione, eccezione e domanda:
- dichiara la contumacia dell’INPS;
- accoglie il ricorso e, per l’effetto, accerta il diritto della parte ricorrente alla pensione di vecchiaia, dal 1° giugno 2016;
- riconosce gli accessori nei sensi in motivazione;
- condanna l’INPS al pagamento delle spese di lite nei confronti del ricorrente che si liquidano nell’importo di € 1.085,00, oltre spese forfettarie e accessori di legge, da distrarsi in favore del difensore antistatario.
Così deciso, in Bari, all’esito della pubblica udienza del 15 gennaio 2020.
IL GIUDICE
F.to (Marcello Iacubino)
Depositata in Segreteria il 16/01/2020
Il Funzionario di Cancelleria
F.to (dott. Pasquale ARBORE)
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