collegamento col post del 17 marzo 2018
Il CdS accoglie l'Appello del Ministero
diniego di rilascio della licenza di porto di pistola per difesa personale
N.B.: il CdS afferma:
1) - …… resta in vigore l’ultimo comma, secondo cui “Agli ufficiali in servizio attivo permanente delle forze armate dello Stato che ne facciano domanda può essere concessa licenza gratuita di porto, di rivoltella o pistola quando vestano l'abito civile. La domanda, su competente foglio bollato, deve essere corredata da un certificato del comandante del corpo o del capo dell'ufficio da cui il richiedente dipende, attestante che il richiedente stesso è in servizio attivo permanente” –
- non può essere interpretato nel senso di stabilire una disciplina avulsa dal contesto normativo generale che presiede al rilascio del titolo autorizzatorio di p.s.
2) - Pur di fronte a richieste riguardanti un ufficiale dell’Esercito Italiano, non poteva dunque applicarsi quella sorta di inversione dell’onere della prova affermata dal TAR, ma occorreva invece valutare se sussistesse un dimostrato bisogno dell’arma per difesa personale, anche se con aderenza alla specifica situazione del richiedente, connotata dalla particolare valenza e delicatezza delle funzioni istituzionali svolte.
P.S.: leggete tutte le motivazioni scritte dal CdS onde evitare dubbi.
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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201902359
Pubblicato il 10/04/2019
Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro
Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro
appello perso in quanto:
1) - …….., disposti solo sul presupposto delle parentele con soggetti colpiti da pregiudizi penali, con grave violazione dei fondamentali principi dello Stato di diritto in tema di libertà e responsabilità personale."
il CdS precisa:
2) - Ai fini della decisione di merito, il Collegio ritiene necessario richiamare l’univoco orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, secondo il quale la possibilità di detenzione ed impiego delle armi da fuoco e del relativo munizionamento non formano oggetto di un diritto assoluto ed incomprimibile del singolo, dovendo il suo esercizio essere conformato al preminente compito della Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) a iniziare dal diritto alla vita, alla incolumità ed alla libertà di ciascuno, che potrebbero essere pregiudicati da un utilizzo illegale o comunque inappropriato delle armi.
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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201908203
Pubblicato il 29/11/2019
N. 08203/2019 REG. PROV. COLL.
N. 04950/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4950 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Stracuzza, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Stracuzza e l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Signor -OMISSIS- propone appello avverso la sentenza del TAR per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. che ha respinto il suo ricorso contro la revoca della licenza di porto di fucile da caccia e il divieto di detenzione armi.
Con l’Appello si deduce l’erroneità della appellata sentenza, che non avrebbe adeguatamente valutato i plurimi profili di illegittimità degli avversati provvedimenti per violazione di legge ed eccesso di potere evidenziati dal ricorso di primo grado, essendo stati, la revoca della licenza di porto di fucile da caccia e il divieto di detenzione armi, disposti solo sul presupposto delle parentele con soggetti colpiti da pregiudizi penali, con grave violazione dei fondamentali principi dello Stato di diritto in tema di libertà e responsabilità personale.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio per argomentare la legittimità del proprio operato.
In sede di sommaria delibazione, questa Sezione ha respinto la domanda cautelare incidentale proposta dall’appellante.
Ai fini della decisione di merito, il Collegio ritiene necessario richiamare l’univoco orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, secondo il quale la possibilità di detenzione ed impiego delle armi da fuoco e del relativo munizionamento non formano oggetto di un diritto assoluto ed incomprimibile del singolo, dovendo il suo esercizio essere conformato al preminente compito della Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) a iniziare dal diritto alla vita, alla incolumità ed alla libertà di ciascuno, che potrebbero essere pregiudicati da un utilizzo illegale o comunque inappropriato delle armi.
Risulta quindi conforme al nostro sistema di garanzie giuridiche la subordinazione della facoltà di detenere ed utilizzare armi da fuoco ad un vaglio, preventivo e quindi necessariamente probabilistico ed indiziario, circa la potenziale pericolosità derivante da possibili usi inappropriati nelle specifiche circostanze considerate, vaglio che, così come evidenziato dall’appellata sentenza, l’Amministrazione risulta aver compiuto, nella fattispecie, in modo non irragionevole in presenza di una pluralità di congiunti e parenti dell’interessato sottoposti a pesanti condanne detentive ovvero sottoposti a misure di sicurezza, con l’accusa di appartenere tutti alla medesima cosca mafiosa.
L’appello non può pertanto essere accolto.
Le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila) oltre ad IVA, CPA ed accessori. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Raffaello Sestini Franco Frattini
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
1) - …….., disposti solo sul presupposto delle parentele con soggetti colpiti da pregiudizi penali, con grave violazione dei fondamentali principi dello Stato di diritto in tema di libertà e responsabilità personale."
il CdS precisa:
2) - Ai fini della decisione di merito, il Collegio ritiene necessario richiamare l’univoco orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, secondo il quale la possibilità di detenzione ed impiego delle armi da fuoco e del relativo munizionamento non formano oggetto di un diritto assoluto ed incomprimibile del singolo, dovendo il suo esercizio essere conformato al preminente compito della Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) a iniziare dal diritto alla vita, alla incolumità ed alla libertà di ciascuno, che potrebbero essere pregiudicati da un utilizzo illegale o comunque inappropriato delle armi.
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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201908203
Pubblicato il 29/11/2019
N. 08203/2019 REG. PROV. COLL.
N. 04950/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4950 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Stracuzza, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 settembre 2019 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Giuseppe Stracuzza e l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il Signor -OMISSIS- propone appello avverso la sentenza del TAR per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. -OMISSIS-, resa tra le parti. che ha respinto il suo ricorso contro la revoca della licenza di porto di fucile da caccia e il divieto di detenzione armi.
Con l’Appello si deduce l’erroneità della appellata sentenza, che non avrebbe adeguatamente valutato i plurimi profili di illegittimità degli avversati provvedimenti per violazione di legge ed eccesso di potere evidenziati dal ricorso di primo grado, essendo stati, la revoca della licenza di porto di fucile da caccia e il divieto di detenzione armi, disposti solo sul presupposto delle parentele con soggetti colpiti da pregiudizi penali, con grave violazione dei fondamentali principi dello Stato di diritto in tema di libertà e responsabilità personale.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio per argomentare la legittimità del proprio operato.
In sede di sommaria delibazione, questa Sezione ha respinto la domanda cautelare incidentale proposta dall’appellante.
Ai fini della decisione di merito, il Collegio ritiene necessario richiamare l’univoco orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla Sezione, secondo il quale la possibilità di detenzione ed impiego delle armi da fuoco e del relativo munizionamento non formano oggetto di un diritto assoluto ed incomprimibile del singolo, dovendo il suo esercizio essere conformato al preminente compito della Repubblica di garantire i diritti inviolabili della persona (art. 2 Cost.) a iniziare dal diritto alla vita, alla incolumità ed alla libertà di ciascuno, che potrebbero essere pregiudicati da un utilizzo illegale o comunque inappropriato delle armi.
Risulta quindi conforme al nostro sistema di garanzie giuridiche la subordinazione della facoltà di detenere ed utilizzare armi da fuoco ad un vaglio, preventivo e quindi necessariamente probabilistico ed indiziario, circa la potenziale pericolosità derivante da possibili usi inappropriati nelle specifiche circostanze considerate, vaglio che, così come evidenziato dall’appellata sentenza, l’Amministrazione risulta aver compiuto, nella fattispecie, in modo non irragionevole in presenza di una pluralità di congiunti e parenti dell’interessato sottoposti a pesanti condanne detentive ovvero sottoposti a misure di sicurezza, con l’accusa di appartenere tutti alla medesima cosca mafiosa.
L’appello non può pertanto essere accolto.
Le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, liquidate in Euro 4.000,00 (quattromila) oltre ad IVA, CPA ed accessori. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 con l'intervento dei magistrati:
Franco Frattini, Presidente
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere
Giovanni Pescatore, Consigliere
Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Raffaello Sestini Franco Frattini
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Re: Porto delle ARMI x il personale Polizia Locale ed altro
ricorso perso in appello al CdS
- sottoposizione ad indagine dell’odierno appellante, in concorso con altri soggetti, per il delitto di lesione personale e violazione di domicilio.
Il CdS scrive:
1) - L’odierno appellante lamenta che la sentenza impugnata avrebbe applicato erroneamente gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. perché egli sarebbe semplicemente indagato e non condannato per alcuno dei reati ostativi al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi.
e ribalta la giustificazione del ricorrente:
2) - Questa censura, tuttavia, è destituita di fondamento perché l’appellante trascura il dato fondamentale che per ottenere il rilascio del porto d’armi non bisogna solo essere esenti da determinate condanne penali, ma anche godere del requisito della buona condotta, tale da giustificare una prognosi di affidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma.
3) - La rilevante permanenza del requisito della buona condotta si desume, d’altro canto, anche dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale, che ha inciso sulle due disposizioni sopra citate nella parte in cui si pone a carico dell’interessato l’onere di provare la sua buona condotta. (Corte cost., 16 dicembre 1993, n. 440).
4) - La circostanza, rappresentata dall’appellante, che successivamente all’emissione dei provvedimenti in questo giudizio impugnati sia stata richiesta dallo stesso p.m. l’archiviazione del procedimento penale non può influire sulla validità di detti provvedimenti, all’epoca adottati dalla Prefettura e dalla Questura di Brescia.
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201908368
Pubblicato il 06/12/2019
N. 08368/2019 REG. PROV. COLL.
N. 03721/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3721 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Vincenzo Bettinelli e dall’Avvocato Sebastiano Ribaudo, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Sebastiano Ribaudo in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, in persona del Prefetto pro tempore, Questura di Brescia, in persona del Questore pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Questore della Provincia di Brescia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza -OMISSIS- del 2016 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, sez. I, resa in forma semplificata tra le parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a., concernente il provvedimento del Prefetto di Brescia, recante il divieto di detenere armi, e il conseguente decreto del Questore di Brescia, che ha sospeso la licenza del porto d’armi ad uso caccia.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia e della Questura di Brescia;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierno appellante, -OMISSIS-, l’Avvocato Vincenzo Bettinelli e per le pubbliche amministrazioni appellate l’Avvocato dello Stato Marina Russo;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante, -OMISSIS-, ha adìto il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, per chiedere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento del Prefetto della Provincia di Brescia, prot. n. -OMISSIS-Area 1^bis -OMISSIS- luglio 2016, con il quale gli è stato fatto divieto di continuare a detenere qualsivoglia tipo di armi, munizioni e materiale esplodente, ingiungendo allo stesso di cederle o venderle a persona non convivente, nonché del conseguente provvedimento della Questura di Brescia, prot. n. -OMISSIS- del 22 luglio 2016, con cui è stata sospesa, con effetto immediato, la licenza del porto di armi.
1.1. Detti provvedimenti si fondano sulla sottoposizione ad indagine dell’odierno appellante, in concorso con altri soggetti, per il delitto di lesione personale e violazione di domicilio.
1.2. Il ricorrente, nel dedurre la violazione degli artt. 11 e 39 del T.U.L.P.S. e l’eccesso di potere per difetto di motivazione e insufficiente istruttoria circa la non affidabilità nell’utilizzo delle armi, ne ha chiesto al Tribunale adìto, previa sospensione, l’annullamento.
1.3. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Brescia e la Questura di Brescia per resistere al ricorso.
1.4. Con la sentenza -OMISSIS- del 14 novembre 2016, resa in forma semplificata tra le parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a., il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha respinto il ricorso.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’odierno interessato, deducendo un unico motivo che di seguito sarà esaminato, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente annullamento dei provvedimenti gravati in prime cure.
2.1. Si sono costituite le amministrazioni appellate per chiedere la reiezione del gravame.
2.2. Nella pubblica udienza del 5 dicembre 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello è infondato.
4. L’odierno appellante lamenta che la sentenza impugnata avrebbe applicato erroneamente gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. perché egli sarebbe semplicemente indagato e non condannato per alcuno dei reati ostativi al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi.
4.1. Questa censura, tuttavia, è destituita di fondamento perché l’appellante trascura il dato fondamentale che per ottenere il rilascio del porto d’armi non bisogna solo essere esenti da determinate condanne penali, ma anche godere del requisito della buona condotta, tale da giustificare una prognosi di affidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma.
4.2. Il rilascio del porto d’armi, come la costante giurisprudenza della Sezione ha avuto modo di chiarire (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1° luglio 2019, n. 4511), rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.).
4.3. Il potere di rilasciare le autorizzazioni di polizia in generale, anche in ragione dell’originaria natura intuitu personae che connotava tale tipologia di licenze, si caratterizza per l’ampia discrezionalità dell’autorità competente, e così pure il potere di revoca e sospensione, esercitabile in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata (art. 10).
4.4. L’art. 11, concernente i cosiddetti requisiti morali, condiziona il rilascio delle autorizzazioni di polizia alla verifica della mancata sussistenza di alcuni requisiti necessariamente ostativi (la condanna per tipologie di reati tassativamente individuati), ovvero ne facoltizza il diniego sulla base di altri, tra i quali, oltre a meno gravi fattispecie penali, rientra ancora genericamente la cosiddetta buona condotta.
4.5. Analoga indicazione è contenuta all’art. 43, comma secondo, del T.U.L.P.S. in materia di porto d’armi, laddove al requisito della buona condotta si aggiunge anche la necessità di dare «affidamento di non abusare delle armi» stesse.
4.6. La rilevante permanenza del requisito della buona condotta si desume, d’altro canto, anche dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale, che ha inciso sulle due disposizioni sopra citate nella parte in cui si pone a carico dell’interessato l’onere di provare la sua buona condotta. (Corte cost., 16 dicembre 1993, n. 440).
4.7. L’art. 39, inoltre, dispone che «il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».
5. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente affermato che ai fini del giudizio di affidabilità e del giudizio circa la capacità di abusare dell’arma non è necessario che sia attribuibile all’interessato una responsabilità penale per fatti riconducibili all’uso delle armi, in quanto la valutazione ai fini amministrativi differisce da quella compiuta in sede penale ed ha finalità non punitiva, ma preventiva del rischio di abusi e del mero pericolo che la detenzione di armi da parte dei privati possa essere occasione di incauto uso, anche solo per disattenzione o distrazione, elementi psicologici questi riconducibili ad un grado di colpa afferente alla stessa attitudine a custodire l’arma, di per sé rilevante nella materia dell’interesse alla tutela della pubblica incolumità.
5.1. Il giudizio prognostico a fondamento del diniego di uso delle armi viene considerato più stringente del giudizio di pericolosità sociale o di responsabilità penale, atteso che il divieto può essere adottato anche in base a situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o a misure di pubblica sicurezza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1° luglio 2019, n. 4511; Cons. St., sez. III, 25 luglio 2019, n. 1972; Cons. St., sez. III, 1° aprile 2019, n. 2135).
5.2. Orbene, proprio tenendo a mente questi consolidati principi, evidente risulta l’infondatezza di tutte le censure qui proposte dall’appellante, proprio perché il primo giudice, nel fare corretta applicazione degli stessi, ha ritenuto condivisibilmente che l’episodio, per il quale l’odierno appellante risultava indagato, deponesse per una prognosi sfavorevole circa l’assenza della buona condotta e/o comunque circa l’affidabilità nell’utilizzo dell’arma.
5.3. La circostanza, rappresentata dall’appellante, che successivamente all’emissione dei provvedimenti in questo giudizio impugnati sia stata richiesta dallo stesso p.m. l’archiviazione del procedimento penale non può influire sulla validità di detti provvedimenti, all’epoca adottati dalla Prefettura e dalla Questura di Brescia.
5.4. La valutazione circa l’inaffidabilità nell’utilizzo dell’arma da parte della Prefettura era e rimane legittima, a tutt’oggi, non senza qui rilevare peraltro che anche nella richiesta di archiviazione, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, si legge che l’episodio in cui è rimasto coinvolto l’odierno appellante, a carico del quale sono stati ipotizzati in sede di indagine i reati di lesione e di violazione di domicilio in concorso, si colloca «in una situazione di forte tensione tra -OMISSIS-, che ogni qualvolta si incontrano assumono atteggiamenti di sfida, scambiandosi epiteti ingiuriosi e ponendo in essere comportamenti scorretti l’uno con l’altro».
5.4. Proprio il pericolo di atti violenti e aggressivi, nel contesto di simile situazione altamente conflittuale, giustifica la valutazione di pericolosità che ha indotto l’autorità amministrativa a vietare il porto d’armi, a tutela della sicurezza pubblica e nell’ottica preventiva sopra ricordata che presiede al rilascio delle autorizzazioni di polizia, perché, come bene ha ritenuto il primo giudice, la potenziale indole violenta dell’odierno appellante legittima pienamente l’adozione della misura prefettizia, intesa a vietare la detenzione delle armi e, consequenzialmente, anche quella questorile di sospendere il porto d’armi, peraltro, come ha notato correttamente il primo giudice, fino alla conclusione della vicenda penale.
5.5. Né la circostanza, meramente affermata e priva di qualsivoglia supporto probatorio, secondo cui l’odierno appellante, intervenuto a sedare una lite tra -OMISSIS-, da un lato, e -OMISSIS-, dell’altro, si sarebbe trovato coinvolto suo malgrado nella lite e avrebbe perciò subito la denuncia da parte di -OMISSIS- per soli fini ritorsivi, inficia la valutazione di inaffidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma, stante il venir meno di una irreprensibile buona condotta, almeno nell’attualità, in un contesto di continua e pericolosa conflittualità, fermo rimanendo che, come ha pure rilevato la sentenza impugnata, l’eventuale, positiva, conclusione della vicenda penale potrà indurre il Prefetto, nel proprio discrezionale apprezzamento, ad assumere diverse determinazioni, ove ne sussistano i presupposti di cui agli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., sopra visti.
6. Tanto basta a giustificare in questa sede, ad ogni modo, la legittimità dei provvedimenti impugnati, come ha correttamente ritenuto la sentenza impugnata, con la conseguente reiezione dell’appello.
7. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la costituzione solo formale delle amministrazioni intimate, possono essere interamente compensate tra le parti.
7.1. Rimane definitivamente a carico dell’odierno appellante per la soccombenza il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da -OMISSIS-, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di -OMISSIS-.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Massimiliano Noccelli Marco Lipari
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
- sottoposizione ad indagine dell’odierno appellante, in concorso con altri soggetti, per il delitto di lesione personale e violazione di domicilio.
Il CdS scrive:
1) - L’odierno appellante lamenta che la sentenza impugnata avrebbe applicato erroneamente gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. perché egli sarebbe semplicemente indagato e non condannato per alcuno dei reati ostativi al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi.
e ribalta la giustificazione del ricorrente:
2) - Questa censura, tuttavia, è destituita di fondamento perché l’appellante trascura il dato fondamentale che per ottenere il rilascio del porto d’armi non bisogna solo essere esenti da determinate condanne penali, ma anche godere del requisito della buona condotta, tale da giustificare una prognosi di affidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma.
3) - La rilevante permanenza del requisito della buona condotta si desume, d’altro canto, anche dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale, che ha inciso sulle due disposizioni sopra citate nella parte in cui si pone a carico dell’interessato l’onere di provare la sua buona condotta. (Corte cost., 16 dicembre 1993, n. 440).
4) - La circostanza, rappresentata dall’appellante, che successivamente all’emissione dei provvedimenti in questo giudizio impugnati sia stata richiesta dallo stesso p.m. l’archiviazione del procedimento penale non può influire sulla validità di detti provvedimenti, all’epoca adottati dalla Prefettura e dalla Questura di Brescia.
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 3, numero provv.: 201908368
Pubblicato il 06/12/2019
N. 08368/2019 REG. PROV. COLL.
N. 03721/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3721 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’Avvocato Vincenzo Bettinelli e dall’Avvocato Sebastiano Ribaudo, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso Avvocato Sebastiano Ribaudo in Roma, via Lucrezio Caro, n. 62;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, in persona del Prefetto pro tempore, Questura di Brescia, in persona del Questore pro tempore, tutti rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Questore della Provincia di Brescia, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza -OMISSIS- del 2016 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, sez. I, resa in forma semplificata tra le parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a., concernente il provvedimento del Prefetto di Brescia, recante il divieto di detenere armi, e il conseguente decreto del Questore di Brescia, che ha sospeso la licenza del porto d’armi ad uso caccia.
visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia e della Questura di Brescia;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Consigliere Massimiliano Noccelli e uditi per l’odierno appellante, -OMISSIS-, l’Avvocato Vincenzo Bettinelli e per le pubbliche amministrazioni appellate l’Avvocato dello Stato Marina Russo;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierno appellante, -OMISSIS-, ha adìto il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, per chiedere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento del Prefetto della Provincia di Brescia, prot. n. -OMISSIS-Area 1^bis -OMISSIS- luglio 2016, con il quale gli è stato fatto divieto di continuare a detenere qualsivoglia tipo di armi, munizioni e materiale esplodente, ingiungendo allo stesso di cederle o venderle a persona non convivente, nonché del conseguente provvedimento della Questura di Brescia, prot. n. -OMISSIS- del 22 luglio 2016, con cui è stata sospesa, con effetto immediato, la licenza del porto di armi.
1.1. Detti provvedimenti si fondano sulla sottoposizione ad indagine dell’odierno appellante, in concorso con altri soggetti, per il delitto di lesione personale e violazione di domicilio.
1.2. Il ricorrente, nel dedurre la violazione degli artt. 11 e 39 del T.U.L.P.S. e l’eccesso di potere per difetto di motivazione e insufficiente istruttoria circa la non affidabilità nell’utilizzo delle armi, ne ha chiesto al Tribunale adìto, previa sospensione, l’annullamento.
1.3. Nel primo grado del giudizio si sono costituiti il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Brescia e la Questura di Brescia per resistere al ricorso.
1.4. Con la sentenza -OMISSIS- del 14 novembre 2016, resa in forma semplificata tra le parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a., il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha respinto il ricorso.
2. Avverso tale sentenza ha proposto appello l’odierno interessato, deducendo un unico motivo che di seguito sarà esaminato, e ne ha chiesto la riforma, con il conseguente annullamento dei provvedimenti gravati in prime cure.
2.1. Si sono costituite le amministrazioni appellate per chiedere la reiezione del gravame.
2.2. Nella pubblica udienza del 5 dicembre 2019 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.
3. L’appello è infondato.
4. L’odierno appellante lamenta che la sentenza impugnata avrebbe applicato erroneamente gli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. perché egli sarebbe semplicemente indagato e non condannato per alcuno dei reati ostativi al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi.
4.1. Questa censura, tuttavia, è destituita di fondamento perché l’appellante trascura il dato fondamentale che per ottenere il rilascio del porto d’armi non bisogna solo essere esenti da determinate condanne penali, ma anche godere del requisito della buona condotta, tale da giustificare una prognosi di affidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma.
4.2. Il rilascio del porto d’armi, come la costante giurisprudenza della Sezione ha avuto modo di chiarire (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1° luglio 2019, n. 4511), rientra tra le cosiddette autorizzazioni di polizia, disciplinate a livello generale dal Capo III del Titolo I del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.).
4.3. Il potere di rilasciare le autorizzazioni di polizia in generale, anche in ragione dell’originaria natura intuitu personae che connotava tale tipologia di licenze, si caratterizza per l’ampia discrezionalità dell’autorità competente, e così pure il potere di revoca e sospensione, esercitabile in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata (art. 10).
4.4. L’art. 11, concernente i cosiddetti requisiti morali, condiziona il rilascio delle autorizzazioni di polizia alla verifica della mancata sussistenza di alcuni requisiti necessariamente ostativi (la condanna per tipologie di reati tassativamente individuati), ovvero ne facoltizza il diniego sulla base di altri, tra i quali, oltre a meno gravi fattispecie penali, rientra ancora genericamente la cosiddetta buona condotta.
4.5. Analoga indicazione è contenuta all’art. 43, comma secondo, del T.U.L.P.S. in materia di porto d’armi, laddove al requisito della buona condotta si aggiunge anche la necessità di dare «affidamento di non abusare delle armi» stesse.
4.6. La rilevante permanenza del requisito della buona condotta si desume, d’altro canto, anche dalla lettura della sentenza della Corte costituzionale, che ha inciso sulle due disposizioni sopra citate nella parte in cui si pone a carico dell’interessato l’onere di provare la sua buona condotta. (Corte cost., 16 dicembre 1993, n. 440).
4.7. L’art. 39, inoltre, dispone che «il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».
5. La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha costantemente affermato che ai fini del giudizio di affidabilità e del giudizio circa la capacità di abusare dell’arma non è necessario che sia attribuibile all’interessato una responsabilità penale per fatti riconducibili all’uso delle armi, in quanto la valutazione ai fini amministrativi differisce da quella compiuta in sede penale ed ha finalità non punitiva, ma preventiva del rischio di abusi e del mero pericolo che la detenzione di armi da parte dei privati possa essere occasione di incauto uso, anche solo per disattenzione o distrazione, elementi psicologici questi riconducibili ad un grado di colpa afferente alla stessa attitudine a custodire l’arma, di per sé rilevante nella materia dell’interesse alla tutela della pubblica incolumità.
5.1. Il giudizio prognostico a fondamento del diniego di uso delle armi viene considerato più stringente del giudizio di pericolosità sociale o di responsabilità penale, atteso che il divieto può essere adottato anche in base a situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o a misure di pubblica sicurezza (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 1° luglio 2019, n. 4511; Cons. St., sez. III, 25 luglio 2019, n. 1972; Cons. St., sez. III, 1° aprile 2019, n. 2135).
5.2. Orbene, proprio tenendo a mente questi consolidati principi, evidente risulta l’infondatezza di tutte le censure qui proposte dall’appellante, proprio perché il primo giudice, nel fare corretta applicazione degli stessi, ha ritenuto condivisibilmente che l’episodio, per il quale l’odierno appellante risultava indagato, deponesse per una prognosi sfavorevole circa l’assenza della buona condotta e/o comunque circa l’affidabilità nell’utilizzo dell’arma.
5.3. La circostanza, rappresentata dall’appellante, che successivamente all’emissione dei provvedimenti in questo giudizio impugnati sia stata richiesta dallo stesso p.m. l’archiviazione del procedimento penale non può influire sulla validità di detti provvedimenti, all’epoca adottati dalla Prefettura e dalla Questura di Brescia.
5.4. La valutazione circa l’inaffidabilità nell’utilizzo dell’arma da parte della Prefettura era e rimane legittima, a tutt’oggi, non senza qui rilevare peraltro che anche nella richiesta di archiviazione, da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, si legge che l’episodio in cui è rimasto coinvolto l’odierno appellante, a carico del quale sono stati ipotizzati in sede di indagine i reati di lesione e di violazione di domicilio in concorso, si colloca «in una situazione di forte tensione tra -OMISSIS-, che ogni qualvolta si incontrano assumono atteggiamenti di sfida, scambiandosi epiteti ingiuriosi e ponendo in essere comportamenti scorretti l’uno con l’altro».
5.4. Proprio il pericolo di atti violenti e aggressivi, nel contesto di simile situazione altamente conflittuale, giustifica la valutazione di pericolosità che ha indotto l’autorità amministrativa a vietare il porto d’armi, a tutela della sicurezza pubblica e nell’ottica preventiva sopra ricordata che presiede al rilascio delle autorizzazioni di polizia, perché, come bene ha ritenuto il primo giudice, la potenziale indole violenta dell’odierno appellante legittima pienamente l’adozione della misura prefettizia, intesa a vietare la detenzione delle armi e, consequenzialmente, anche quella questorile di sospendere il porto d’armi, peraltro, come ha notato correttamente il primo giudice, fino alla conclusione della vicenda penale.
5.5. Né la circostanza, meramente affermata e priva di qualsivoglia supporto probatorio, secondo cui l’odierno appellante, intervenuto a sedare una lite tra -OMISSIS-, da un lato, e -OMISSIS-, dell’altro, si sarebbe trovato coinvolto suo malgrado nella lite e avrebbe perciò subito la denuncia da parte di -OMISSIS- per soli fini ritorsivi, inficia la valutazione di inaffidabilità circa il corretto utilizzo dell’arma, stante il venir meno di una irreprensibile buona condotta, almeno nell’attualità, in un contesto di continua e pericolosa conflittualità, fermo rimanendo che, come ha pure rilevato la sentenza impugnata, l’eventuale, positiva, conclusione della vicenda penale potrà indurre il Prefetto, nel proprio discrezionale apprezzamento, ad assumere diverse determinazioni, ove ne sussistano i presupposti di cui agli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S., sopra visti.
6. Tanto basta a giustificare in questa sede, ad ogni modo, la legittimità dei provvedimenti impugnati, come ha correttamente ritenuto la sentenza impugnata, con la conseguente reiezione dell’appello.
7. Le spese del presente grado del giudizio, attesa la costituzione solo formale delle amministrazioni intimate, possono essere interamente compensate tra le parti.
7.1. Rimane definitivamente a carico dell’odierno appellante per la soccombenza il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, proposto da -OMISSIS-, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Pone definitivamente a carico di -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 196 del 2003 (e degli artt. 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità di -OMISSIS-.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari, Presidente
Giulio Veltri, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri, Consigliere
Ezio Fedullo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Massimiliano Noccelli Marco Lipari
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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