Il CdS con il presente Parere rigetta il ricorso del ricorrente. (c. 5 dell’art. 73 d.p.r, 309/90”).
1) - "senza l'autorizzazione e senza alcuna prescrizione medica, deteneva medicinali contenenti sostanze stupefacenti elencate nella tab. 11, sez. A (n. 10 fiale di nandrolone), in (…) presso l'abitazione (…)”.
2) - L’amministrazione ha rigettato l’istanza di revoca a motivo che "... un fatto non preveduto dalla legge come reato non esclude la possibilità che lo stesso fatto abbia rilevanza dal punto di vista sanzionatorio".
Il CdS precisa:
3) - La questione centrale da dirimere ruota intorno alla legittimità o meno del comportamento tenuto dall’amministrazione, da scrutinarsi alla luce dei rilievi articolati dal ricorrente a mezzo dei quali egli censura il mancato esercizio dei poteri di revoca della sanzione disciplinare a fronte della sopravvenuta sentenza con la quale il GIP ha revocato la precedente sentenza penale di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p..
4) - Il Collegio ritiene che la sopravvenuta revoca della sentenza penale non implichi, nella particolarità della fattispecie, un’automatica revisione del giudizio disciplinare ovvero un obbligo giuridico di provvedere al suo riesame in senso favorevole alle aspettative del ricorrente.
5) - La sentenza penale di condanna esplica efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con conseguente preclusione di ogni correlativo potere di differente valutazione della rilevanza penale del fatto in questione in sede disciplinare.
6) - Nel caso in esame, la sentenza di condanna viene in rilievo nel procedimento disciplinare come mero fatto storico e non come presupposto unico e indefettibile fondante l’esercizio del potere disciplinare, a guisa che senza la condanna penale non si sarebbe instaurato alcun procedimento disciplinare o sarebbero mancati addirittura i presupposti per l’esercizio in concreto del relativo potere.
- ) I due giudizi sono autonomi, seppur originati dal medesimo fatto-episodio.
7) - Secondo consolidato orientamento, l'Amministrazione è titolare di un'ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201802875 - Public 2018-12-17 -
Numero 02875/2018 e data 14/12/2018 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda
Adunanza di Sezione del 28 novembre 2018
NUMERO AFFARE 02326/2016
OGGETTO:
Ministero della difesa direzione generale per il personale militare.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto da -OMISSIS-, contro Ministero della difesa - direzione generale per il personale Militare, reparto comando e supporti tattici "-OMISSIS-", avverso il provvedimento prot. M_-OMISSIS-.
LA SEZIONE
-OMISSIS- con la quale il Ministero della difesa direzione generale per il personale militare ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giuseppe Rotondo;
Con il ricorso in esame, -OMISSIS-_-OMISSIS-, col quale il Ministero della difesa - direzione Generale per il personale militare – -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 1357 del Codice dell'Ordinamento Militare di cui al D.lgs. 66/2010) e degli atti correlati e conseguenti (quali il decreto di detrazione dell'anzianità di grado) per la seguente motivazione: “-OMISSIS- abolitio criminis -OMISSIS-; l'articolo 918 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, concernente "Codice dell'Ordinamento Militare" afferisce alla revoca di provvedimenti di sospensione precauzionale dall'impiego e non di sospensione disciplinare dall'impiego. Il richiamato comma 1, lett d) del menzionato articolo, peraltro, si riferisce alle ipotesi di assoluzione all'esito di giudizio penale di revisione -OMISSIS-, ai sensi dell'articolo 653 del Codice di procedura penale, l'effetto preclusivo dell'azione disciplinare, poiché la previsione in sentenza che un fatto non è preveduto dalla legge come reato non esclude la possibilità che lo stesso fatto abbia rilevanza dal punto di vista sanzionatorio”.
L’interessato espone in fatto che, -OMISSIS-.p.p. (così detto "patteggiamento") -OMISSIS- per il reato p.e p. dall'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990 "perché, senza l'autorizzazione e senza alcuna prescrizione medica, deteneva medicinali contenenti sostanze stupefacenti elencate nella tab. 11, sez. A (n. 10 fiale di nandrolone), in (…) presso l'abitazione (…)”.
Il Direttore Generale del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare emetteva a carico dell'odierno ricorrente -OMISSIS- "-OMISSIS-..." -OMISSIS-, ai sensi dell'art. 1357 del Codice dell'Ordinamento Militare di cui al Dlgs. 66/2010, -OMISSIS-”.
Durante il periodo di sospensione, veniva riconosciuta, all'odierno, ai sensi dell'art. 920, comma 1, del citato decreto legislativo, solo la metà degli assegni a carattere fisso e continuativo e, agli effetti della pensione, il computo per la sola metà del tempo trascorso in sospensione dal servizio.
Inoltre, con il conseguente decreto dirigenziale DGPM/11/6^/082/-OMISSIS-.
-OMISSIS- ex art. 673 c.p.p. evidenziando che trattavasi di pronunzia oggettivamente contra legem in quanto relativa a fatto privo di caratteristiche di antigiuridicità e, in ogni caso, avente assoluta irrilevanza penale con conseguente non punibilità, come affermato dalle SS.UU. della Suprema Corte nella sent. 12 -OMISSIS-.
-OMISSIS-
Venuti meno gli effetti pregiudizievoli che la sentenza penale aveva provocato, -OMISSIS-.
Con il provvedimento prot. M_D -OMISSIS-.
Nel gravarsi avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente deduce:
1. Violazione di legge per mancata comunicazione di avvio del procedimento.
1.1. L’amministrazione non avrebbe ottemperato all'obbligo di comunicare al soggetto interessato l'avvio del procedimento disciplinare con ciò precludendogli di poter svolgere in maniera adeguata le proprie difese sin dal principio della vicenda. E’ solo dal D.M. n. 508/I-3/2014 -OMISSIS-.
2. Eccesso di potere - Violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'errata applicazione dell'art. 918 c.o.m.
2.1 L'art. 918 del D.Lgs n. 66 del 2010 ha portata generale e non delimita, né esclude, il tipo di sospensione a cui si riferisce (precauzionale o disciplinare). Tanto tanto trova ulteriore conferma dal contenuto del comma 1, lett. d) del summenzionato articolo che• dispone che la sospensione è revocata se il militare è stato assolto all'esito di giudizio penale di revisione". L'art. 918 del Codice dell'Ordinamento Militare non può riferirsi (come sostiene l’amministrazione) solo alle sospensioni di tipo precauzionale che ineriscono esclusivamente ai casi nei quali il procedimento penale è in itinere e non è ancora concluso, ma ad ogni sospensione disciplinare, anche a quelle irrogate in via definitiva a seguito di procedimenti già conclusi (e successivamente oggetto di un giudizio assolutorio), proprio come la sanzione in esame.
2.2 La sentenza di revoca ha determinato non solo il completo annullamento della sentenza di condanna, ma anche che l'intero procedimento penale a suo tempo attivato avverso l'odierno ricorrente deve considerarsi come nemmeno mai avviato stante l'intervenuta cancellazione retroattiva ab origine della norma incriminatrice. Si tratterebbe, infatti, di un proscioglimento nel merito, tale da non poter produrre delle conseguenze negative e/o punitive.
2.3 L'obiezione restrittiva sollevata dall'Ente secondo la quale il provvedimento di revoca non rientrerebbe nella fattispecie di cui all'art. 918, comma 1, lett. d) deve ritenersi priva di qualsivoglia logica e contraria alla ratio legis della norma, dato che la revoca e l’assoluzione del militare postulano i medesimi effetti favorevoli della revisione e dell'assoluzione indicate nel citato articolo del Codice dell'Ordinamento Militare.
3. Violazione di legge per carenza di motivazione
3.1 L’amministrazione ha rigettato l’istanza di revoca a motivo che "... un fatto non preveduto dalla legge come reato non esclude la possibilità che lo stesso fatto abbia rilevanza dal punto di vista sanzionatorio".
La motivazione peccherebbe di genericità e vaghezza assolute poiché non spiega per quali motivi e sulla base di quale iter logico - giuridico, non un'ipotesi generica, bensì quel determinato fatto concreto, specificatamente contestato, continui ad essere valutato meritevole di una sanzione estremamente grave nonostante sia intervenuto un rovesciamento totale dei termini della vicenda e sia stato accertato che egli non ha compiuto alcun atto illegittimo e/o avente rilevanza giuridica.
4. Eccesso di potere per illogicità contraddittorietà, irragionevolezza della motivazione, disparità di trattamento.
4.1 La sanzione, irrogata dal D.M. n. -OMISSIS- e confermata dal provvedimento di cui si discute, sarebbe del tutto sproporzionata ed illogica rispetto al fatto in discussione; neppure indica quale vaglio sarebbe stato compiuto dall’amministrazione per giungere alla determinazione della congruità e la proporzionalità della sanzione irrogata.
Il Ministero della difesa ha depositato documenti e relazione.
Parte ricorrente ha controdedotto con memoria di replica.
-OMISSIS-, il ricorso è stato trattenuto per la deliberazione sul parere.
Parte ricorrente impugna e contesta il provvedimento a mezzo del quale l’intimata Amministrazione ha respinto l’istanza di revoca della sanzione disciplinare della sospensione di sei mesi dall’impiego, e degli atti consequenziali, che l’interessato aveva avanzato a seguito della sopravvenuta -OMISSIS-.p.p., -OMISSIS- p.e p. dall'art. 73 d.p.r. 309 del 1990 "perché, senza l'autorizzazione e senza alcuna prescrizione medica, deteneva medicinali contenenti sostanze stupefacenti elencate nella tab. 11, sez. A (n. 10 fiale di nandrolone) … presso l'abitazione …”.
Il Ministero ha respinto l’istanza sul presupposto che la fattispecie non sarebbe riconducibile al paradigma dell’art. 918 Cod. ord. mil. e perché un fatto non preveduto dalla legge come reato non esclude la possibilità che lo stesso fatto abbia rilevanza dal punto di vista sanzionatorio.
Il ricorso è infondato.
La questione centrale da dirimere ruota intorno alla legittimità o meno del comportamento tenuto dall’amministrazione, da scrutinarsi alla luce dei rilievi articolati dal ricorrente a mezzo dei quali egli censura il mancato esercizio dei poteri di revoca della sanzione disciplinare a fronte della sopravvenuta sentenza con la quale il GIP ha revocato la precedente sentenza penale di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p..
In punto di fatto, occorre muovere dalla motivazione della sentenza penale del 19 dicembre 2013, in cui si legge che “Nel corso delle indagini preliminari, i procuratori speciali degli imputati hanno avanzato istanza ex art. 444 c.p.p. per l'applicazione della pena nei termini sopra riportati; il p.m. ha prestato il consenso. La penale responsabilità dell'imputato non è esclusa allo stato degli atti deponendo anzi, in senso contrario il contenuto della notizia di reato redatta dai Carabinieri dei NAS e degli atti allegati e seguenti, -OMISSIS-. Va rilevata, sulla base dell'esame degli atti processuali, l'esattezza della qualificazione giuridica dei fatti oggetto dì richiesta di applicazione pena con l'unificazione dei fatti per effetto della continuazione, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, -OMISSIS-, del fatto nell’ambito del c. 5 dell’art. 73 d.p.r, 309/90”.
Sulla scorta della suddetta sentenza, l’amministrazione ha avviato una inchiesta formale “tenuto conto che la condotta tenuta dal Graduato evidenzia gravi profili di responsabilità disciplinare contrari alle norme di comportamento, lesivi del prestigio dell'Istituzione, della categoria di appartenenza e della dignità del grado rivestito”.
Il comandante generale, “Considerato che la condotta tenuta dal Graduato evidenzia gravi profili di responsabilità disciplinare contrari alle norme di comportamento, lesivi del prestigio dell'Istituzione, della categoria di appartenenza e della dignità del grado rivestito”, ha proposto “di definire la posizione del C.le Magg. Sc. -OMISSIS- con l'adozione della sanzione di stato di mesi sei di sospensione dall'impiego”.
Il direttore generale ha, infine, inflitta la sanzione di stato dopo avere constatato “che la condotta disciplinarmente rilevante addebitata all’inquisito è risultata acclarata in sede di inchiesta formale”.
-OMISSIS-.
Questa, tuttavia, è stata revocata dal G.I.P. su istanza dello stesso ricorrente, per la seguente motivazione: “osservato che la Corte Costituzionale con sentenza 32/2014 dichiarava illegittime le modifiche apportate anche all'art. 73 dpr 309/90 dalla legge di conversione 49/2006 del D.L. 272/2005, tra le quali l'incriminazione della mera detenzione di medicinali contenenti sostanze stupefacenti di cui alla tabella IIA) … revoca la sentenza di patteggiamento per abolitio criminis”.
Il Collegio non reputa pertinente alla controversia entrare nel merito della decisione della Consulta, quanto ai problemi sollevati dalla pronuncia di incostituzionalità circa gli effetti e le modalità abrogative delle tabelle ministeriali descrittive di sostanze stupefacenti.
Il punto da dirimere riguarda, infatti, più limitatamente e in concreto, il rapporto tra la revoca della sentenza di condanna (alla quale va parificato il c.d. patteggiamento) e il provvedimento amministrativo col quale, sulla base dei fatti accertati in sede penale e autonomamente valutati dall’ente, l’amministrazione ha inflitto la divisata sanzione disciplinare.
Il Collegio ritiene che la sopravvenuta revoca della sentenza penale non implichi, nella particolarità della fattispecie, un’automatica revisione del giudizio disciplinare ovvero un obbligo giuridico di provvedere al suo riesame in senso favorevole alle aspettative del ricorrente.
La sentenza penale di condanna esplica efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, con conseguente preclusione di ogni correlativo potere di differente valutazione della rilevanza penale del fatto in questione in sede disciplinare.
Resta, tuttavia, fermo che il medesimo fatto va apprezzato nel diverso contesto disciplinare e con margini ampi di autonomia da parte dell’amministrazione.
Nel caso in esame, la sentenza di condanna viene in rilievo nel procedimento disciplinare come mero fatto storico e non come presupposto unico e indefettibile fondante l’esercizio del potere disciplinare, a guisa che senza la condanna penale non si sarebbe instaurato alcun procedimento disciplinare o sarebbero mancati addirittura i presupposti per l’esercizio in concreto del relativo potere. I due giudizi sono autonomi, seppur originati dal medesimo fatto-episodio.
Più in particolare, rileva nella fattispecie in esame la circostanza che la sentenza di condanna (rectius, di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.) non ha escluso il fatto commesso dall’imputato nella sua entità storica e materiale; ragion per cui, la successiva sentenza di revoca, originata dall’intervento della Corte costituzionale, tenuto conto della specifica motivazione addotta dal G.I.P., ha solo inciso sulla sua rilevanza penale, escludendo l’incriminazione (penale) a cagione - non già della insussistenza del fatto o perché questo non commesso (id est, assoluzione piena) bensì - della mera detenzione di medicinali contenenti sostanze stupefacenti di cui alla tabella IIA) annessa al d.p.r. 309 del 1990.
La sopravvenuta abolitio criminis opera, dunque, sul piano esclusivamente penale e non intange l’esistenza del fatto storico costituito dalla detenzione delle sostanze in questione; neppure implica, di conseguenza, il venir meno, ora per allora, dei presupposti fattuali in base ai quali l’amministrazione aveva reso – ratione temporis - il proprio giudizio di disvalore su quel fatto.
Presupposti a suo tempo valutati autonomamente dall’amministrazione nella loro esistenza e consistenza materiale, a prescindere dai loro effetti penali, messi in relazione alla condotta tenuta dal militare e giudicati contrari alle norme di comportamento, lesivi del prestigio dell'Istituzione, della categoria di appartenenza e della dignità del grado rivestito.
Secondo consolidato orientamento, l'Amministrazione è titolare di un'ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, circa il convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da infliggere, in considerazione degli interessi pubblici che devono essere tutelati attraverso tale procedimento.
Consegue a ciò, che correttamente l’amministrazione ha denegato l’istanza di revoca sul presupposto della incoferenza normativa dell’art. 918 Cod. ord. mil. e perché il fatto commesso dal militare, seppure non più rilevante ai fini penali - ovvero non più previsto dalla legge come reato e tale da comportare la revoca della sentenza di condanna - non esclude la possibilità che lo stesso abbia avuto ab illo tempore, e possa tuttora averlo, rilevanza dal punto di vista disciplinare.
Sotto questo profilo, neppure s’appalesa fondata la censura relativa al deficit motivazionale poiché l’amministrazione ha opposto plausibili argomentazioni al diniego di riesame della sanzione disciplinare laddove ha motivatamente escluso - secondo una valutazione di merito insindacabile, in considerazione del ragionevole esercizio della discrezionalità sottesa al potere di autotutela - la sussistenza dei presupposti per avviare il procedimento di revoca.
Vanno, infine, dichiarati inammissibili, per tardività, il 1^ e 4^ motivo di gravame, coi quali il ricorrente muove solo oggi censure avverso il provvedimento disciplinare della sospensione dall’impiego; censure che avrebbero dovuto essere proposte, invece, nel termine decadenziale decorrente dalla notifica dell’atto sanzionatorio.
In conclusione, per quanto si qui argomentato, il ricorso s’appalesa infondato e va, pertanto, respinto.
P.Q.M.
La Sezione esprime il parere che il ricorso debba essere respinto.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche indicate in ricorso.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Rotondo Gabriele Carlotti
IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Beccato con sostanze stupefacenti
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