diritto del padre alla fruizione dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre fosse casalinga.
istituto dei permessi parentali
testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
Ricorso al TAR perso.
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06/02/2014 201400222 Sentenza 2
N. 00222/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00448/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 448 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall’avv. Emanuela Mazzola, domiciliato ex lege presso la segreteria del T.A.R. Liguria in Genova, via dei Mille, 9;
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Genova, viale Brigate Partigiane, 2;
per l'annullamento
del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza del ricorrente volta all’ottenimento dei riposi di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001, nonché di ogni atto presupposto, connesso, collegato e consequenziale a quello impugnato,
nonché per il riconoscimento, in capo all’odierno ricorrente, del diritto ad ottenere il beneficio di cui agli artt. 39 e 40, lett. c), del d.lgs. 151/2001 e dunque a fruire di ore due di riposo giornaliero, con la condanna dell’Amministrazione resistente al pagamento, in favore del ricorrente, delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il dott. Richard Goso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente è un assistente della polizia di Stato, in servizio presso ........
Con istanza del 16 novembre 2012, chiedeva che gli fossero concesse due ore di riposo giornaliero, ai sensi degli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151 del 2001, a decorrere dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio (cioè dal 28 gennaio 2013) e fino al compimento del primo anno di età.
Come riferito dall’istante, la moglie lavorava con contratti a termine ed era attualmente collocata in maternità obbligatoria, fino al compimento del terzo mese di vita del figlio, in attesa di occupazione dal giorno successivo.
A supporto della propria richiesta, il dipendente richiamava recenti pronunce giurisprudenziali e circolari interpretative che, modificando l’orientamento consolidato, avevano riconosciuto il diritto del padre alla fruizione dei riposi giornalieri anche nel caso in cui la madre fosse casalinga.
Il richiedente precisava, altresì, che la presenza paterna si sarebbe resa necessaria in quanto la moglie era impegnata nella cura del figlio primogenito, avente poco più di un anno di età, e che, comunque, egli avrebbe immediatamente interrotto la fruizione dei riposi nel caso di reperimento di un nuovo contratto di lavoro da parte della moglie.
La richiesta è stata respinta con provvedimento del 12 dicembre 2012, notificato all’interessato il 15 gennaio 2013, nel quale si afferma che la fruizione dei riposi da parte del padre sarebbe possibile nel solo caso in cui vi rinunci la madre lavoratrice, non qualora la madre sia nella condizione di “casalinga”.
Con ricorso giurisdizionale notificato il 20 marzo 2013 e depositato il 17 aprile 2013, l’interessato ha impugnato il diniego su indicato, chiedendo che venga anche accertato il suo diritto a fruire del beneficio previsto dall’art. 40, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 151/2001, e che l’amministrazione sia condannata al risarcimento dei danni cagionati dal diniego illegittimo, da quantificarsi in relazione alle ore di lavoro effettivamente prestato per mancata fruizione dei riposi.
Con l’unico motivo di ricorso, l’esponente contesta, sulla scorta di plurimi richiami giurisprudenziali, la motivazione del diniego, consistente nella mancata equiparazione della madre casalinga alla lavoratrice dipendente.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dell’intimata Amministrazione dell’interno.
La difesa erariale contrasta nel merito la fondatezza del ricorso e si oppone al suo accoglimento, sottolineando, in particolare, che il diritto ai riposi giornalieri andrebbe riconosciuto nel solo caso in cui sia dimostrato uno specifico impedimento dell’altro genitore ad accudire il minore.
Con ordinanza n. 187 del 22 maggio 2013, è stata respinta l’istanza cautelare proposta in via incidentale con il ricorso, poiché l’interpretazione ivi sostenuta “non pare, ad un primo esame, coerente con la lettera dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 e, soprattutto, con la ratio sottesa all’istituto dei permessi parentali, orientati a garantire la tutela del preminente interesse del minore, in relazione alle sue esigenze di carattere sia fisiologico sia relazionale, attraverso la presenza alternativa di uno dei due genitori”.
Il provvedimento cautelare è stato riformato in appello, con ordinanza della terza Sezione del Consiglio di Stato n. 3386 del 30 agosto 2013, così motivata: “Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla ‘madre che non sia lavoratrice dipendente’, si applichi non solo alla lavoratrice ‘autonoma’ ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice ‘casalinga’”.
In prossimità della pubblica udienza, le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive posizioni.
Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014 e, previa trattazione orale, è stato ritenuto in decisione.
DIRITTO
1) Forma oggetto della presente controversia l’accertamento del diritto del ricorrente, lavoratore dipendente, a fruire delle due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, fino al compimento del primo anno di vita, in alternativa alla madre casalinga.
2) La pretesa di parte ricorrente si fonda sull’applicazione degli artt. 39, comma 1, e 40, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151).
La prima disposizione, sotto la rubrica “riposi giornalieri della madre”, stabilisce che “il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore”.
Il successivo art. 40 prevede i casi in cui i periodi di riposo in questione sono riconosciuti al padre lavoratore: “a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
Rileva nel caso di specie la previsione dei cui alla lett. c) dell’art. 40, in forza della quale, nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, il padre lavoratore ha diritto a fruire di due permessi orari, anche cumulabili, nel corso della giornata lavorativa.
3) La lettera della legge pare consentire due opposte interpretazioni.
La prima opzione, fatta propria dall’Amministrazione resistente, identifica la madre lavoratrice “non dipendente” con la lavoratrice autonoma (quindi avente diritto ad un trattamento economico di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale).
Ne consegue la non riconoscibilità del diritto al padre lavoratore quando la moglie versi nella condizione di “casalinga”.
La seconda soluzione intende la condizione di “lavoratrice non dipendente” nel senso più ampio possibile, comprendendovi anche il lavoro casalingo, con il risultato sostanziale di configurare una sorta di diritto originario del padre lavoratore subordinato a beneficiare dei riposi giornalieri, indipendentemente dalla condizione lavorativa della madre.
4) La questione controversa ha ricevuto risposte non univoche dalla giurisprudenza amministrativa.
Per limitare l’analisi alle pronunce del giudice d’appello, va sottolineato come la posizione (per così dire) estensiva fosse stata fatta propria dal Consiglio di Stato, con la decisione della sesta Sezione n. 4293 del 9 settembre 2008, sulla base delle seguenti motivazioni:
“… la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
Seppur in sede consultiva, il Consiglio di Stato ha espresso una posizione diametralmente opposta con il parere della prima Sezione n. 6351 del 22 ottobre 2009, ove è stato enunciato, sulla base di un ampio supporto argomentativo, il principio di “alternatività nel godimento del beneficio”, poiché le ipotesi contemplate dall’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 hanno tutte per presupposto che “la madre non possa o non voglia, per ragioni giuridiche, fisiche o per scelta, provvedere, usufruendo dei riposi giornalieri nel primo anno di vita, alla cura del minore”.
E’ stata anche criticata l’equiparazione, ai fini in esame, della figura della casalinga a quella di tutte le lavoratrici non dipendenti, in quanto desunta da arresti del giudice civile unicamente tesi ad affermare che lo svolgimento di attività domestiche nell’ambito del nucleo familiare configura un’attività lavorativa la quale, pur non producendo un reddito monetizzato, è tuttavia suscettibile di valutazione economica.
Tali considerazioni, secondo il parere citato, non valgono ad inficiare il principio di alternatività posto a fondamento dell’istituto, né il dato di fatto che, nel caso della lavoratrice casalinga, implica un’autonomia di gestione delle proprie incombenze tale da consentire “evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
5) Le accennate incertezze interpretative e il carattere obiettivamente non perspicuo della disposizione in esame suggeriscono di premettere alcuni cenni relativi all’evoluzione dell’istituto dei riposi giornalieri (in passato definiti “permessi per allattamento”).
Esso è frutto di una stratificazione normativa che affonda le sue radici nella disciplina dettata dall’art. 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ove i riposi erano esclusivamente regolati come strumento finalizzato all’allattamento.
La disposizione richiamata attribuiva il relativo diritto soltanto alle madri che allattavano direttamente i propri figli, prevedendo le pause in funzione di tale necessità, tanto che, laddove fossero state predisposte le cosiddette camere di allattamento all’interno dell’azienda, le lavoratrici erano tenute ad allattare in sede, senza poter uscire dai locali aziendali.
In tale contesto normativo, i riposi giornalieri erano essenzialmente concepiti, quindi, come misure di protezione della maternità biologica, anche in funzione parzialmente sostitutiva dell’astensione post partum.
Un primo cambiamento di prospettiva si è registrato per effetto dell’art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, che, facendo venir meno l’obbligo della lavoratrice di utilizzare le camere di allattamento eventualmente predisposte dal datore di lavoro, svincolava la fruizione dei riposi dall’esigenza puramente fisiologica dell’allattamento, per porre in rilievo l’aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio.
Il successivo modellamento dell’istituto è stato frutto degli interventi della Corte costituzionale che, dapprima, ha esteso il diritto ai riposi giornalieri, a determinate condizioni, al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987), quindi lo ha ulteriormente esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l’assistenza al figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).
Tale processo evolutivo ha trovato la sua sintesi, infine, nel d.lgs. n. 151 del 2001, dove la disciplina dei diversi istituti posti a fondamento della tutela della maternità e della paternità (congedi, riposi, permessi) valorizza l’uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, al fine di apprestare la migliore tutela all’interesse preminente del bambino (Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285).
Nell’ordinamento attuale, essendosi spostato il centro dell’attenzione della tutela legislativa dalla donna al minore, i riposi giornalieri non hanno più come esclusiva funzione la protezione della salute della lavoratrice, ma sono principalmente diretti ad appagare i bisogni (fisiologici, ma soprattutto) affettivi e relazionali del bambino, al fine di realizzare il pieno sviluppo della sua personalità: essi svolgono, pertanto, una funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente, i congedi parentali (Corte cost., 1° aprile 2003, n. 104).
6) In tale contesto, l’estensione ai padri dei riposi giornalieri è importante per ridurre l’impatto negativo della maternità sulla vita lavorativa delle donne e si rivela necessaria, nell’interesse del minore, nel caso in cui manca la figura materna ovvero qualora la madre non possa accudire il bambino per grave infermità.
In una prospettiva evolutiva, basata su un’ottica di piena condivisione da parte di entrambi i genitori delle responsabilità parentali e del lavoro di cura dei bambini, si potrebbe anche configurare il diritto ai riposi giornalieri quale semplice declinazione della condizione genitoriale, da riconoscersi al padre lavoratore subordinato indipendentemente dalla posizione lavorativa della madre.
Un riconoscimento siffatto non si concilia, però, con l’attuale impianto normativo, frutto di un bilanciamento fra il diritto dei genitori di assistere i figli e le esigenze dei datori di lavoro.
Il precipuo interesse del minore ad essere seguito da uno dei genitori, peraltro, risulta sufficientemente garantito nel caso in cui uno di essi (normalmente la madre) svolga solamente attività domestica, in virtù della vicinanza fisica consentita dalla natura di tale impegno lavorativo e della possibilità di organizzare il tempo dedicato al lavoro in modo da riservare uno spazio adeguato per le esigenze di cura del bambino nel primo anno di vita, condizioni che sono naturalmente precluse alle lavoratrici subordinate e autonome.
Non rileva, pertanto, l’incontestabile pari dignità del lavoro domestico rispetto a quello retribuito né l’equiparazione affermata dal giudice civile a fini giuridici del tutto diversi, bensì l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico.
Deve conclusivamente ritenersi, pertanto, che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente.
7) A conferma di tale interpretazione, depongono ulteriori argomenti di carattere letterale e sistematico.
Laddove ha inteso riconoscere al singolo genitore un autonomo diritto all’applicazione di specifici istituti di tutela, infatti, il legislatore lo ha previsto in modo esplicito, con la formula “il congedo spetta al genitore richiedente anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto” (cfr. art. 32, comma 4, e art. 47, comma 6, del d.lgs. n. 151/2001, rispettivamente in tema di congedi parentali e di congedi per malattia del figlio di età non superiore agli otto anni).
La diversa formulazione letterale dell’art. 40 del d.lgs. n. 151/2001 rende evidente come il legislatore abbia inteso fondare la disciplina dei riposi giornalieri sull’opposta regola dell’alternatività, subordinando la concessione del beneficio alla condizione che l’altro genitore non sia posto in condizioni di accudire il minore.
Tale soluzione si impone, infine, anche alla luce dell’ingiustificata difformità di trattamento che si verifica nella contraria prospettiva, atteso che il dipendente coniugato con una lavoratrice casalinga avrebbe sempre e comunque la possibilità di fruire dei riposi giornalieri, mentre il dipendente coniugato con una lavoratrice dipendente potrebbe fruirne solo a condizione che vi rinunci il coniuge.
8) Quanto sopra precisato non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga.
Ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari).
Deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’Amministrazione di appartenenza.
9) Per tali ragioni, il ricorso è infondato e deve essere respinto, anche per quanto concerne, ovviamente, l’istanza risarcitoria fondata sulla pretesa illegittimità del provvedimento impugnato.
E’ appena il caso di soggiungere, a quest’ultimo riguardo, che le riferite oscillazioni giurisprudenziali varrebbero ad escludere, in ogni caso, la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito.
10) La controvertibilità della questione dedotta in giudizio giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Caruso, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Richard Goso, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/02/2014
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Questa qui sotto è l'Ordinanza del CdS richiata dal Tar in sentenza.
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30/08/2013 201303386 Ordinaria 3
N. 03386/2013 REG.PROV.CAU.
N. 05604/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 5604 del 2013, proposto da:
D. S., rappresentato e difeso dall'avv. Emanuela Mazzola, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via Tacito n. 50;
contro
Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
dell' ordinanza cautelare del T.A.R. LIGURIA – GENOVA - SEZIONE II n. 00187/2013, resa tra le parti, concernente diniego riconoscimento riposi giornalieri di cui agli artt. 39 e 40 d.lgs 151/2011
Visto l'art. 62 cod. proc. amm;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero Dell'Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza e Questura di Genova;
Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;
Viste le memorie difensive;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti l’avvocato Mazzola e l’avvocato dello Stato Barbieri;
Ritenuto che, pur nella diversità degli orientamenti giurisprudenziali peraltro rammentati anche dal T.A.R., debba preferirsi la prevalente interpretazione, anch’essa accennata dal giudice di prime cure, secondo cui la lettera c) dell’art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla “madre che non sia lavoratrice dipendente”, si applichi non solo alla lavoratrice “autonoma” ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice “casalinga”;
ritenuto di conseguenza di disporre la compensazione delle spese del grado;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello (Ricorso numero: 5604/2013) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza impugnata, accoglie l'istanza cautelare in primo grado.
Spese compensate.
Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al TAR per la sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 agosto 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/08/2013
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N.B.:- Speriamo che in "eventuale" appello il CdS chiarisca le cose e venga anche chiesto contestualmente all'appello, - la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale - per dichiarare l'incostituzionalità del provvedimento, altrimenti saremo sempre allo stesso punto, ossia con giudizi quasi sempre positivi e negativi.
Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Attenzione, la cosa è importantissima: il Consiglio di Stato il 10 settembre 2014 con la sentenza sul ricorso nr. 3752 del 2014 ha confutato e buttato agli stracci il parere della Prima Sezione del Consiglio di Stato 2732 del 22 ottobre 2009 (quello in base al quale ci negavano i permessi orari per intenderci). Divulgate e fatte sapere a tutti!
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
N.B.: già il 19 settembre u.s. ho provveduto ha dare ampia notizia in diverse sezioni di GrNet:
ecco il testo.
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Congratulazioni al collega e alla difesa legale.
Adesso possiamo avere qualche speranza in più.
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diniego riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001
1) - Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente”
IL CONSIGLIO DI STATO ha Accolto l'Appello del collega della PolStato.
2) - Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
3) - La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
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10/09/2014 201404618 Sentenza 3
N. 04618/2014REG.PROV.COLL.
N. 03752/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3752 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall’avv.to Emanuela Mazzola ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, in Roma, via Tacito, 50,
contro
- il MINISTERO dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza,
in persona del Ministro p.t.;
- la QUESTURA di Genova,
in persona del Questore p.t.,
costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00222/2014, resa tra le parti, concernente diniego concessione riposi.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa camera di consiglio, l’avv. Emanuela Mazzola per l’appellante e l’avv. Attilio Barbieri dello Stato per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. - Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ed ivi rubricato al n. R.G. 448/2013, l’odierno appellante, assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Genova, ha chiesto:
- il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, previo annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza volta al godimento dei riposi stessi;
- il pagamento delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate per mancata fruizione di detti riposi.
Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente” ( pag. 12 sent. ).
La sentenza è appellata dall’originario ricorrente, che ne contesta puntualmente le argomentazioni.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, limitando la sua attività difensiva al deposito di documenti.
La causa, chiamata alla camera di consiglio del 19 giugno 2014 per la trattazione della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, è stata ivi trattenuta per la decisione in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., previa audizione delle parti sul punto.
Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
Le norme di riferimento, ossia gli artt. 39 e 40 del citato T.U., così dispongono:
« Art.39. Riposi giornalieri della madre: 1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2 - I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3 - I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
« Art. 40. Riposi giornalieri del padre: 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre».
Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza del C.d.S. n. 4293 del 9.9.2008 ( che, esaminando la medesima problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente ), l’opposto diniego si riveli illegittimo.
Ha rilevato infatti tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività ( nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.
A sostegno della condivibisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principii di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.
E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non. lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).
Ritiene tuttavia il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.
Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
Del resto, proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, coma ha fatto il Giudice di primo grado, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico” ( pag. 12 sent. ); laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in àmbito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni ( collaboratore/rice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’art. 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente.
Ancora, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.
Proprio, in conclusione, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).
Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore ( ed in tal senso è da intendersi il principio dell'alternatività richiamato dal T.A.R. ), ma, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.
2. – Il ricorso va dunque accolto nel suo petitum di riconoscimento del diritto e di annullamento dell’atto in primo grado impugnato.
Non può invece accogliersi la domanda risarcitoria, atteso che, in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini della ammissibilità della relativa domanda, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.
Secondo la giurisprudenza, la colpa dell'Amministrazione è configurabile quando l'esecuzione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza ( Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; da ultimo, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1644 ).
Nella fattispecie, i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma e l’adesione dell’Amministrazione all’indirizzo scaturito dal parere del Consiglio di Stato del 22 ottobre 2009 dimostrano sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.
3. – L’appello va dunque accolto nei limiti di cui sopra.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado quanto al riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio ed all’annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013.
Condanna l’Amministrazione dell’Interno alla rifusione di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, liquidandoli in complessivi euro 4.000,00=, oltre agli accessori dovuti per legge, fra i quali il rimborso del contributo unificato, se versato.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Così deciso in Roma, addì 19 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2014
ecco il testo.
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Congratulazioni al collega e alla difesa legale.
Adesso possiamo avere qualche speranza in più.
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diniego riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001
1) - Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente”
IL CONSIGLIO DI STATO ha Accolto l'Appello del collega della PolStato.
2) - Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
3) - La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
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10/09/2014 201404618 Sentenza 3
N. 04618/2014REG.PROV.COLL.
N. 03752/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3752 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-,
rappresentato e difeso dall’avv.to Emanuela Mazzola ed elettivamente domiciliato presso lo studio della stessa, in Roma, via Tacito, 50,
contro
- il MINISTERO dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza,
in persona del Ministro p.t.;
- la QUESTURA di Genova,
in persona del Questore p.t.,
costituitisi in giudizio, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli uffici della stessa, in Roma, via dei Portoghesi, 12,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LIGURIA - SEZIONE II n. 00222/2014, resa tra le parti, concernente diniego concessione riposi.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l'art. 52 del D. Lgs. 30.06.2003, n. 196, commi 1 e 2;
Data per letta, alla camera di consiglio del 19 giugno 2014, la relazione del Consigliere Salvatore Cacace;
Uditi, alla stessa camera di consiglio, l’avv. Emanuela Mazzola per l’appellante e l’avv. Attilio Barbieri dello Stato per gli appellati;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. - Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria ed ivi rubricato al n. R.G. 448/2013, l’odierno appellante, assistente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Genova, ha chiesto:
- il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, previo annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013, con il quale l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza volta al godimento dei riposi stessi;
- il pagamento delle somme corrispondenti alle ore di lavoro effettivamente prestate per mancata fruizione di detti riposi.
Il T.A.R., premesso che il diniego censurato è stato motivato dall’Amministrazione con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D. Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice, ha respinto il ricorso, ritenendo “che, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non sia giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio al padre lavoratore dipendente” ( pag. 12 sent. ).
La sentenza è appellata dall’originario ricorrente, che ne contesta puntualmente le argomentazioni.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno, limitando la sua attività difensiva al deposito di documenti.
La causa, chiamata alla camera di consiglio del 19 giugno 2014 per la trattazione della domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, è stata ivi trattenuta per la decisione in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., previa audizione delle parti sul punto.
Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
La controversia riguarda la mancata concessione all’odierno appellante, dipendente del Ministero dell’Interno presso la Questura di Genova con mansioni di assistente di polizia, del diritto a fruire dei riposi giornalieri, di cui all’art. 40 del T.U. 151/2001.
Le norme di riferimento, ossia gli artt. 39 e 40 del citato T.U., così dispongono:
« Art.39. Riposi giornalieri della madre: 1 - Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2 - I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda. 3 - I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell'unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.
« Art. 40. Riposi giornalieri del padre: 1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre».
Ritiene il Collegio che, alla stregua di detto apparato normativo ed alla luce del principio espresso nella sentenza del C.d.S. n. 4293 del 9.9.2008 ( che, esaminando la medesima problematica oggetto di causa, di sostituzione del padre nella fruizione dei permessi qualora la madre sia non lavoratrice autonoma bensì casalinga, si è pronunciato nel senso della piena assimilazione della lavoratrice casalinga alla lavoratrice non dipendente ), l’opposto diniego si riveli illegittimo.
Ha rilevato infatti tale pronuncia che, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività ( nella fattispecie, quella di “casalinga” ), che la distolgano dalla cura del neonato.
A sostegno della condivibisibilità di tale interpretazione va richiamata Cass. n. 20324 del 20.10.2005, che, esaminando la questione della risarcibilità del danno da perdita della capacità di lavoro, assimila l'attività domestica ad attività lavorativa, richiamando i principii di cui agli artt. 4, 36 e 37 della Costituzione.
E’ pur vero che in senso diametralmente opposto si è espresso il Consiglio di Stato in sede consultiva: "In merito all'interpretazione dell'art. 40 D.Lg.vo. n. 151 del 2001, nella parte in cui (comma 1, lett. c) riconosce al padre lavoratore il diritto di fruire, nel primo anno di vita del figlio, del riposo giornaliero di due ore nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, deve smentirsi l'interpretazione fornita dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. VI n. 4293 del 2008), secondo cui con l'espressione non. lavoratrice dipendente il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le donne comunque svolgenti una attività lavorativa e, quindi, anche alle madri casalinghe, in ragione della ormai riconosciuta equiparazione della attività domestica ad una vera e propria attività lavorativa; ciò perché la madre casalinga non può farsi rientrare nella menzionata ipotesi che ha riguardo ai casi in cui la donna, esplicando una attività lavorativa non dipendente (e non potendo, di conseguenza, avvalersi del periodo di riposo giornaliero, riservato ai soli lavoratori subordinati), sia ugualmente ostacolata nel suo compito di assistenza al figlio" (C.d.S, Sez. I, 22.10.2009, n. 2732).
Ritiene tuttavia il Collegio di dovere aderire al primo orientamento, perché aderente alla non equivoca formulazione letterale della norma, secondo la quale il beneficio spetta al padre, “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”. Tale formulazione, secondo il significato proprio delle parole, include tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula “nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente”. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa.
Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31.
Né può condividersi l'assunto secondo cui "la considerazione dell'attività domestica, come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare, non esclude, ma al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali"(così il citato parere del C.d.S., Sez. I, 22.10.2009, n. 2732), poiché esso oblitera l'innegabile circostanza, che costituisce il fondamento dell'istituto dei permessi giornalieri, della estrema difficoltà di cura della prole da parte anche della madre casalinga, specie laddove si ponga mente alle complesse esigenze di accudimento dei figli nel primo anno di vita (nel corso del quale spettano i permessi de quibus).
Del resto, proprio perché i compiti esercitati dalla casalinga risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d'opera dipendente (Cass. civ., Sez. 3, n. 17977 del 24 agosto 2007; idem, 20 luglio 2010 n. 16896; da ultimo, Cass. civ., III, 13 dicembre 2012, n. 22909) è del tutto incongruo dedurne, coma ha fatto il Giudice di primo grado, “l’oggettiva possibilità, nel caso della lavoratrice casalinga, di conciliare la delicate e impegnative attività di cura del figlio con le mansioni del lavoro domestico” ( pag. 12 sent. ); laddove, invece, è dato di comune esperienza che l’attività dalla stessa esercitata in àmbito familiare spesso necessita, alla nascita di un figlio, di aiuti esterni ( collaboratore/rice familiare e/o baby-sitter ), utilmente surrogabili, nel caso delle famiglie mono-reddito, proprio mediante ricorso al godimento dei permessi di cui all’art. 40 cit. da parte dell’altro genitore lavoratore dipendente.
Ancora, i riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e sereno sviluppo della sua personalità ( Corte cost., 1 aprile 2003, n. 104 ); ed in tale prospettiva sarebbe del tutto irragionevole ritenere che l’ònere di soddisfacimento degli stessi debba ricadere sul solo genitore che viva la già peculiare situazione di lavoro casalingo.
Proprio, in conclusione, lo spostamento dell'asse della ratio normativa sulla tutela del minore impone, invero, di ritenere che il beneficio, di cui uno dei due genitori può fruire, costituisca il punto di bilanciamento tra gli obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro (con riferimento al rispetto dell'orario di servizio) e gli obblighi discendenti dal diritto di famiglia paritario, che gli impone comunque la cura del minore pure in presenza dell'altro genitore eventualmente non lavoratore ( T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 10 maggio 2012, n. 332 ).
Tale beneficio sostanzialmente grava sul datore di lavoro dell'uno o dell'altro genitore ( ed in tal senso è da intendersi il principio dell'alternatività richiamato dal T.A.R. ), ma, allorché uno dei due genitori per una ragione qualsiasi non se ne avvalga (perché “non lavoratore dipendente” e dunque anche non lavoratore “tout court” ), ben può essere richiesto e fruito dall'altro.
2. – Il ricorso va dunque accolto nel suo petitum di riconoscimento del diritto e di annullamento dell’atto in primo grado impugnato.
Non può invece accogliersi la domanda risarcitoria, atteso che, in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini della ammissibilità della relativa domanda, non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.
Secondo la giurisprudenza, la colpa dell'Amministrazione è configurabile quando l'esecuzione dell'atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza ( Consiglio Stato, sez. V, 18 novembre 2010, n. 8091; da ultimo, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1644 ).
Nella fattispecie, i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma e l’adesione dell’Amministrazione all’indirizzo scaturito dal parere del Consiglio di Stato del 22 ottobre 2009 dimostrano sufficientemente la scusabilità della perpetrata violazione delle regole dell’azione amministrativa.
3. – L’appello va dunque accolto nei limiti di cui sopra.
Le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono, come di regola, la soccombenza.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado quanto al riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del T.U. n. 151/2001 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio ed all’annullamento del provvedimento del Ministero dell’interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, Questura di Genova, Cat. 2.12/4117/AA.GG. del 12.12.2012, notificato il 15.1.2013.
Condanna l’Amministrazione dell’Interno alla rifusione di spese ed onorarii del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, liquidandoli in complessivi euro 4.000,00=, oltre agli accessori dovuti per legge, fra i quali il rimborso del contributo unificato, se versato.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini ivi indicati.
Così deciso in Roma, addì 19 giugno 2014, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Carlo Deodato, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/09/2014
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Ho richiamato anche l'attenzione di tutti scrivendo:
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premetto che la sentenza di cui sopra fa riferimento anche:
- sentenza del C.d.S. sez. VI n. 4293 del 9.9.2008
- Parere del C.d.S, sez. I, 22.10.2009, n. 2732
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premetto che la sentenza di cui sopra fa riferimento anche:
- sentenza del C.d.S. sez. VI n. 4293 del 9.9.2008
- Parere del C.d.S, sez. I, 22.10.2009, n. 2732
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
La lista delle vittorie si allunga.
Ricorso ACCOLTO
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25/09/2014 201402427 Sentenza Breve 2
N. 02427/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01884/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1884 del 2014, proposto da:
Consigliera di Parità della Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Fina, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero dell'Interno, Questura di Lecce, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Lecce, via Rubichi;
per l'annullamento
della nota 22.5.2014 , notificata al sig. -OMISSIS- in data 29.5.2014, con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la richiesta di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dal sig. -OMISSIS-;
nonchè, ove occorra, della nota 24.6.2014 con cui la Questura di Lecce ha respinto la diffida avanzata dalla Consigliera di Parità della Provincia di Lecce nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, ivi comprese la nota 8.11.2013 prot. n. 333_A/9807.F.6.2/7471-201;
nonchè per l'accertamento del sig. -OMISSIS- a fruire dei riposi richiesti e il risarcimento del danno dallo stesso patito a causa del diniego impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 il dott. Marco Rinaldi e uditi nei preliminari l’avv. F.sco Fina per la ricorrente e l’avv. dello Stato G. Pedone;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. La Consigliera di Parità della Provincia di Lecce ha chiesto l’annullamento degli atti con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la domanda di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dall’Assistente Capo della Polizia di Stato, sig. -OMISSIS-, padre di un neonato e coniugato con una casalinga: ha, altresì, richiesto il risarcimento del danno.
2. L’Amministrazione ha contrastato le avverse pretese.
3. Il ricorso merita parziale accoglimento.
3.1. La più recente giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la lettera c) dell'art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla "madre che non sia lavoratrice dipendente", si applica non solo alla lavoratrice "autonoma" ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice "casalinga" (cfr: Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10 settembre 2014 n. 4618; Consiglio di Stato, Sez. III, Ordinanza 30/08/13 n. 3386: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4293/08).
Tale conclusione appare in sintonia con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (Cass., sez. III, n. 20324 del 20 ottobre 2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.
La prospettata interpretazione estensiva della lettera c) dell'art. 40 citato è stata ritenuta maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall'assolvimento di tale compito (per Consiglio di Stato, Sez. III– sentenza 10 settembre 2014 n. 4618 “E’ illegittimo il provvedimento con il quale la P.A. ha respinto la domanda di un dipendente (nella specie si trattava di un assistente della Polizia di Stato) volta ad ottenere il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del D.L.vo 26 marzo 2001 n. 151 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, motivato con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice. Infatti, poiché l’art. 40 del T.U. 151/2001 costituisce una norma volta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall’art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato”).
Alla luce delle suesposte considerazioni va annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha negato al sig. -OMISSIS- la fruizione dei permessi giornalieri ex art. 40 lett c) Dlgs 151/2001.
3.2. Non spetta, invece, l’invocato risarcimento del danno, difettando nella specie la colpa della P.A.: l’oscurità del dato normativo, che non disciplina espressamente l’ipotesi all’esame, e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia (es. T.A.R. Liguria, Sez. II, n. 222/2014, TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 21 luglio 2014, n. 395 e, in sede consultiva, Cons. Stato, Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 2732 hanno negato i permessi in oggetto al padre lavoratore con moglie casalinga) inducono, infatti, a ritenere che l’Amministrazione sia incorsa in un errore scusabile.
4. Spese compensate in ragione della controvertibilità delle questioni trattate e dell’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi del sig. -OMISSIS- manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Manca, Presidente FF
Carlo Dibello, Consigliere
Marco Rinaldi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2014
Ricorso ACCOLTO
------------------------------------------------------------------------
25/09/2014 201402427 Sentenza Breve 2
N. 02427/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01884/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1884 del 2014, proposto da:
Consigliera di Parità della Provincia di Lecce, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Fina, con domicilio eletto presso Segreteria Tar in Lecce, via F. Rubichi 23;
contro
Ministero dell'Interno, Questura di Lecce, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata in Lecce, via Rubichi;
per l'annullamento
della nota 22.5.2014 , notificata al sig. -OMISSIS- in data 29.5.2014, con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la richiesta di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dal sig. -OMISSIS-;
nonchè, ove occorra, della nota 24.6.2014 con cui la Questura di Lecce ha respinto la diffida avanzata dalla Consigliera di Parità della Provincia di Lecce nonchè di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale, ivi comprese la nota 8.11.2013 prot. n. 333_A/9807.F.6.2/7471-201;
nonchè per l'accertamento del sig. -OMISSIS- a fruire dei riposi richiesti e il risarcimento del danno dallo stesso patito a causa del diniego impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura di Lecce;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 il dott. Marco Rinaldi e uditi nei preliminari l’avv. F.sco Fina per la ricorrente e l’avv. dello Stato G. Pedone;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1. La Consigliera di Parità della Provincia di Lecce ha chiesto l’annullamento degli atti con cui la Questura di Lecce, Ufficio del Personale, ha rigettato la domanda di fruizione dei riposi giornalieri avanzata dall’Assistente Capo della Polizia di Stato, sig. -OMISSIS-, padre di un neonato e coniugato con una casalinga: ha, altresì, richiesto il risarcimento del danno.
2. L’Amministrazione ha contrastato le avverse pretese.
3. Il ricorso merita parziale accoglimento.
3.1. La più recente giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la lettera c) dell'art. 40 del D.Lgs. n. 151/2001, riferendosi alla "madre che non sia lavoratrice dipendente", si applica non solo alla lavoratrice "autonoma" ma, per la sua lata accezione letterale e in mancanza di esplicita esclusione, anche alla lavoratrice "casalinga" (cfr: Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 10 settembre 2014 n. 4618; Consiglio di Stato, Sez. III, Ordinanza 30/08/13 n. 3386: Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4293/08).
Tale conclusione appare in sintonia con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che aveva precedentemente sottolineato come in numerosi ambiti ordinamentali la casalinga sia considerata come lavoratrice (Cass., sez. III, n. 20324 del 20 ottobre 2005), in quanto impegnata in attività che comunque la distolgono dalla cura del neonato.
La prospettata interpretazione estensiva della lettera c) dell'art. 40 citato è stata ritenuta maggiormente aderente alla ratio legis, volta a garantire al lavoratore padre la cura del bambino in tutte le ipotesi in cui l'altro genitore sia impegnato in attività lavorative che lo distolgano dall'assolvimento di tale compito (per Consiglio di Stato, Sez. III– sentenza 10 settembre 2014 n. 4618 “E’ illegittimo il provvedimento con il quale la P.A. ha respinto la domanda di un dipendente (nella specie si trattava di un assistente della Polizia di Stato) volta ad ottenere il riconoscimento del diritto a fruire dei riposi giornalieri di cui all’art. 40 del D.L.vo 26 marzo 2001 n. 151 con decorrenza dal giorno successivo al compimento del terzo mese di vita del figlio, motivato con il fatto che la moglie dell’istante è nella condizione di casalinga laddove le ipotesi contemplate dall’art. 40 del D.Lgs. 151/2001 prevedono la fruizione dei riposi in argomento da parte del padre nel caso di rinuncia della madre lavoratrice. Infatti, poiché l’art. 40 del T.U. 151/2001 costituisce una norma volta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall’art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di “casalinga”), che la distolgano dalla cura del neonato”).
Alla luce delle suesposte considerazioni va annullato il provvedimento impugnato nella parte in cui ha negato al sig. -OMISSIS- la fruizione dei permessi giornalieri ex art. 40 lett c) Dlgs 151/2001.
3.2. Non spetta, invece, l’invocato risarcimento del danno, difettando nella specie la colpa della P.A.: l’oscurità del dato normativo, che non disciplina espressamente l’ipotesi all’esame, e l’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia (es. T.A.R. Liguria, Sez. II, n. 222/2014, TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 21 luglio 2014, n. 395 e, in sede consultiva, Cons. Stato, Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 2732 hanno negato i permessi in oggetto al padre lavoratore con moglie casalinga) inducono, infatti, a ritenere che l’Amministrazione sia incorsa in un errore scusabile.
4. Spese compensate in ragione della controvertibilità delle questioni trattate e dell’esistenza di contrasti giurisprudenziali in materia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Seconda definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi del sig. -OMISSIS- manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 11 settembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Ettore Manca, Presidente FF
Carlo Dibello, Consigliere
Marco Rinaldi, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/09/2014
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Ricorso in parte ACCOLTO e in parte respinto.
------------------------------------------------------------------
SENTENZA BREVE ,sede di CAGLIARI ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501078, - Public 2015-10-21 -
N. 01078/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00727/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 727 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Trullu, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, Via Cugia N. 43;
contro
Ministero dell'Interno, Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Cagliari, Via Dante N.23;
per l'annullamento
1) del provvedimento Div. I Cat OMISSIS di prot. ris. Del 14.8.2015, con il quale si denegavano le istanze presentate al Dirigente del R.P.C. Sardegna, da parte dell’Agente Scelto di Polizia di Stato, OMISSIS, in data 03 e 13 luglio 2015 (quest’ultima ad integrazione della precedente), per poter ottenere il beneficio dell’esonero dall’invio in missione fuori sede e dai turni cd. “notturni”;
2) del provvedimento Div. I Cat. OMISSIS di prot. Ris. Sempre del 14.8.2015 dello stesso Dirigente (Commissario Capo) della Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, con il quale si negava l’istanza presentata dall’agente OMISSIS, ai sensi degli artt. 39 e 40 L.gs 23.3.2001 n. 151, come modificato ed integrato dall’art. 18 del D.P.R. 16.4.2009 n. 51, tendente ad ottenere il beneficio dei riposi giornalieri per il cd. “allattamento”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 il dott. Francesco Scano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato:
che il diritto ai riposi giornalieri, previsto dall’articolo 39 del D.lgs. n. 151 del 2001 è stato riconosciuto, dalla giurisprudenza assolutamente prevalente, al padre del bambino anche nell’ipotesi in cui la madre sia casalinga;
che la contraria pronuncia del Consiglio di Stato, parere n. 2732/2009, richiamata dalla difesa Erariale, è stata superata dalla sentenza del Consiglio di Stato n.4618/2014 che ha preso puntuale posizione sul contrario avviso espresso nel 2009 dalla Sezione consultiva;
che la difesa Erariale non ha proposto alcuna argomentazione per contrastare le argomentazione della citata sentenza del 2014;
che il Collegio, condividendo le argomentazione della sentenza 4618/2014, ritiene di accoglie la domanda di annullamento del provvedimento, sub 2 dell’epigrafe, relativo al diniego dei riposi giornalieri di cui al citato articolo 39, per violazione dell’articolo 40 del D.lgs. prima indicato;
che la domanda di annullamento del provvedimento sub 1 dell’epigrafe, relativo al diniego del beneficio dell’esonero dei turni notturni e dell’esonero dall’invio in missione fuori sede, va invece respinta perché: con riferimento al primo beneficio, previsto dall’art. 53, lo stesso è concedibile al padre solo in “alternativa” alla madre lavoratrice (mentre la madre del bambino è casalinga); riguardo al secondo beneficio il ricorrente non propone alcuna specifica censura alla motivazione del provvedimento impugnato e, comunque, esso è collegato all’esonero dai turni notturni, fruibile alternativamente nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano lavoratori;
che, in conclusione, il ricorso deve essere in parte accolto ed in parte respinto, con parziale compensazione delle spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
Respinge la domanda di annullamento del provvedimento indicato al n. 1 dell’epigrafe, mentre accoglie la domanda di annullamento di quello indicato al n. 2 e per l'effetto:
a) annulla il provvedimento OMISSIS del 14 agosto 2015.
Compensa per metà le spese del giudizio, mentre l’altra metà le pone a carico del Ministero dell’Interno e lo condanna al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di € 1000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente, Estensore
Antonio Plaisant, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2015
------------------------------------------------------------------
SENTENZA BREVE ,sede di CAGLIARI ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201501078, - Public 2015-10-21 -
N. 01078/2015 REG.PROV.COLL.
N. 00727/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 727 del 2015, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Trullu, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, Via Cugia N. 43;
contro
Ministero dell'Interno, Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Cagliari, Via Dante N.23;
per l'annullamento
1) del provvedimento Div. I Cat OMISSIS di prot. ris. Del 14.8.2015, con il quale si denegavano le istanze presentate al Dirigente del R.P.C. Sardegna, da parte dell’Agente Scelto di Polizia di Stato, OMISSIS, in data 03 e 13 luglio 2015 (quest’ultima ad integrazione della precedente), per poter ottenere il beneficio dell’esonero dall’invio in missione fuori sede e dai turni cd. “notturni”;
2) del provvedimento Div. I Cat. OMISSIS di prot. Ris. Sempre del 14.8.2015 dello stesso Dirigente (Commissario Capo) della Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna, con il quale si negava l’istanza presentata dall’agente OMISSIS, ai sensi degli artt. 39 e 40 L.gs 23.3.2001 n. 151, come modificato ed integrato dall’art. 18 del D.P.R. 16.4.2009 n. 51, tendente ad ottenere il beneficio dei riposi giornalieri per il cd. “allattamento”.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Polizia di Stato Reparto Prevenzione Crimine Sardegna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 il dott. Francesco Scano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato:
che il diritto ai riposi giornalieri, previsto dall’articolo 39 del D.lgs. n. 151 del 2001 è stato riconosciuto, dalla giurisprudenza assolutamente prevalente, al padre del bambino anche nell’ipotesi in cui la madre sia casalinga;
che la contraria pronuncia del Consiglio di Stato, parere n. 2732/2009, richiamata dalla difesa Erariale, è stata superata dalla sentenza del Consiglio di Stato n.4618/2014 che ha preso puntuale posizione sul contrario avviso espresso nel 2009 dalla Sezione consultiva;
che la difesa Erariale non ha proposto alcuna argomentazione per contrastare le argomentazione della citata sentenza del 2014;
che il Collegio, condividendo le argomentazione della sentenza 4618/2014, ritiene di accoglie la domanda di annullamento del provvedimento, sub 2 dell’epigrafe, relativo al diniego dei riposi giornalieri di cui al citato articolo 39, per violazione dell’articolo 40 del D.lgs. prima indicato;
che la domanda di annullamento del provvedimento sub 1 dell’epigrafe, relativo al diniego del beneficio dell’esonero dei turni notturni e dell’esonero dall’invio in missione fuori sede, va invece respinta perché: con riferimento al primo beneficio, previsto dall’art. 53, lo stesso è concedibile al padre solo in “alternativa” alla madre lavoratrice (mentre la madre del bambino è casalinga); riguardo al secondo beneficio il ricorrente non propone alcuna specifica censura alla motivazione del provvedimento impugnato e, comunque, esso è collegato all’esonero dai turni notturni, fruibile alternativamente nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano lavoratori;
che, in conclusione, il ricorso deve essere in parte accolto ed in parte respinto, con parziale compensazione delle spese ed onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda)
Respinge la domanda di annullamento del provvedimento indicato al n. 1 dell’epigrafe, mentre accoglie la domanda di annullamento di quello indicato al n. 2 e per l'effetto:
a) annulla il provvedimento OMISSIS del 14 agosto 2015.
Compensa per metà le spese del giudizio, mentre l’altra metà le pone a carico del Ministero dell’Interno e lo condanna al pagamento in favore del ricorrente della somma complessiva di € 1000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Scano, Presidente, Estensore
Antonio Plaisant, Consigliere
Giorgio Manca, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/10/2015
Re: Riposo giornaliero, artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001
Il Ministero dell'interno vince l'Appello.
Il CdS ci ripensa su tutta la norma circa la moglie casalinga e sulle sentenze precedenti, sia per Militari che per le FF.OO..
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Il CdS scrive:
1) - Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
N.B.: i punti cruciali sono indicati al n. 11.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201704993 - Public 2017-10-30 -
Pubblicato il 30/10/2017
N. 04993/2017REG.PROV.COLL.
N. 00140/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 140 del 2017, proposto da Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Friuli – Venezia Giulia n. 323 del 24 giugno 2016, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di fruizione di periodi di riposo ex art. 40, lett. c), d.lgs. n. 151/2001.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato, ha proposto ricorso di fronte al T.a.r., competente ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento del Questore di Gorizia prot. n. ... del 26 giugno 2012, con cui è stata rigettata la sua istanza di fruizione dei periodi di riposo previsti dall’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 del 2001 (ai sensi del quale “I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore … c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”).
1.1. Il sig. -OMISSIS- ha chiesto, sul presupposto della spettanza del diritto alla fruizione dei periodi in parola, l’annullamento del provvedimento e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale subito, di importo “pari al numero dei permessi negati”.
1.2. Il ricorrente, in particolare, ha censurato l’esegesi della disposizione operata dall’Amministrazione ed ha, di contro, sostenuto di avere diritto a fruire dei periodi di riposo, giacché la sua compagna, in quanto casalinga, non sarebbe per definizione una “lavoratrice dipendente”.
2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto all’istanza demolitoria, mentre ha rigettato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, la conseguente richiesta risarcitoria.
2.1. Il Tribunale ha in particolare sostenuto, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151, che, “trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di "casalinga" ), che la distolgano dalla cura del neonato”.
3. Il Ministero dell’interno ha interposto appello, interamente incentrato sulla critica dell’esegesi dell’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 sostenuta in prima cure.
4. Il sig. -OMISSIS-, nonostante la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio.
5. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 28 settembre 2017, merita accoglimento.
6. Il Collegio, preliminarmente, affronta la problematica dell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, della normativa dettata dal d.lgs. n. 151.
7. Per esigenze sistematiche, lo scrutinio di siffatta questione viene effettuato nell’ambito della più ampia disamina circa l’applicabilità della disciplina in questione anche alle Forze Armate (ed alle Forze di Polizia ad ordinamento militare).
7.1. Inizialmente la giurisprudenza, chiamata ad occuparsi dell’istituto della “assegnazione temporanea” contemplato dall’art. 42-bis (come noto introdotto nel corpo del d.lgs. n. 151 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), escluse, con valutazioni per vero potenzialmente estensibili a tutte le misure di ausilio alla genitorialità introdotte da detto decreto, che l’istituto in questione potesse essere applicato al personale appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia tutte, in relazione al particolare status rivestito e agli speciali compiti istituzionali svolti da tali organizzazioni (ex multis Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2010, n. 3278, tutte peraltro relative ad appartenenti alla Polizia di Stato).
7.2. La successiva giurisprudenza, tuttavia, ha mutato indirizzo.
7.2.1. In particolare questa Sezione, proseguendo una traiettoria esegetica anticipata dalle sentenze della Sesta Sezione 21 maggio 2013, n. 2730 e della stessa Quarta Sezione 10 luglio 2013, n. 3683, ha da ultimo ribadito, con la pronuncia 23 maggio 2016, n. 2113, relativa ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri, che “in linea generale deve osservarsi che il t.u. n. 151 del 2001 (in particolare gli artt. 1 e 2), non contiene alcuna limitazione soggettiva capace di escludere dal suo ambito applicativo gli appartenenti alle Forze armate e di Polizia, anzi, dall’esame degli artt. 9 e 10 si desume che esso potesse trovare integrale applicazione a tali categorie di personale; si tenga poi presente che l’art. 10 cit. è stato riassettato all’interno del codice (sub art. 1494), con sua contestuale abrogazione, per cui risulta ancor più evidente l’applicazione della specifica normativa al personale militare”.
7.2.2. La pronuncia, peraltro, aggiunge che il primario valore degli interessi pubblici perseguiti dalle Forze Armate e di Polizia rende non automatico e meccanicistico l’accoglimento degli istituti plasmati per l’impiego civile e, in particolare, di quelli individuati dal decreto n. 151; di contro, molteplici spunti normativi inducono a ritenere che l’introduzione di tali istituti nella disciplina ordinamentale delle Forze Armate e di Polizia incontri il limite della concreta compatibilità con le peculiarità del relativo impiego.
8. Invero, questo spunto pretorio trova una solida base normativa in alcuni articoli del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).
8.1. Giova richiamare, in particolare:
- l’articolo 625, che stabilisce espressamente il principio, di generale valenza (anche ermeneutica, ai sensi dell’art. 12, primo comma, delle preleggi), della specificità ed autosufficienza dell’ordinamento del personale militare;
- l’art. 1465, secondo cui, premesso che “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, “per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali”;
- l’art. 1493, di rilevante interesse nella presente vicenda, che subordina l’applicazione della normativa vigente per il personale delle Pubbliche Amministrazioni in materia di maternità e paternità alle condizioni proprie del “particolare stato rivestito” dal militare.
8.2. La disciplina dettata dal codice dell’ordinamento militare - coerentemente con la propria natura codicistica ed in applicazione della Costituzione, che all’art. 52, si riferisce espressamente ad un vero e proprio “ordinamento” delle Forze Armate - è, ove apprezzata con un approccio ermeneutico di ampio respiro, con ogni evidenza atta a connotare l’impiego militare di un carattere certamente separato dalle altre forme di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e connotato da forti elementi di specialità (in questo senso, ex plurimis e da ultimo, Corte cost., n. 268 del 2016; Cons. stato, sez. IV, ord. 4 maggio 2017, n. 2043).
8.3. In particolare, l’osmosi con gli istituti dettati per gli impieghi civili alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è mediata, filtrata e conformata da un principio generale di preservazione delle specificità settoriali delle Forze Armate e di tutti i Corpi di Polizia, traguardate non come valore finale in sé, bensì come ineludibile esigenza strumentale, necessaria per consentire l’ottimale perseguimento delle peculiari e delicate funzioni loro proprie (ossia la difesa militare dello Stato per terra, mare ed aria e la prevenzione e repressione, anche con l’uso della forza, dei reati).
8.4. Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la trasposizione in ambiente militare (ivi incluse le Forze di Polizia ad ordinamento militare), fra l’altro, degli istituti a tutela della paternità e maternità dettati dall’ordinaria disciplina privatistica del rapporto di lavoro (e, dunque, applicabili anche all’impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, come noto retto da stilemi privatistici – cfr., del resto, gli artt. 2, comma 1, lett. e] del d.lgs. n. 151 del 2001 e 2, commi 2 e 3, t.u. n. 165 del 2001), sebbene sia in linea generale possibile giacché i militari sono pur sempre lavoratori dipendenti, è comunque in concreto limitata dalle eventuali “ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (così la richiamata sentenza n. 2113, cui si opera integrale riferimento).
8.5. Questa specificità strutturale dell’impiego militare è, per vero, propria anche del rapporto d’impiego alle dipendenze della Polizia di Stato, benché retta da un ordinamento civile.
8.5.1. Pur se estranee all’ambito ordinamentale propriamente militare, infatti, le Forze di Polizia ad ordinamento civile (la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria) sono state escluse dalla generale riconduzione a stilemi privatistici della disciplina del pubblico impiego (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001): evidentemente, la specificità dei relativi compiti è tale che, pur se con un ordinamento di carattere non militare, comunque le Forze di Polizia partecipano di quella stretta connessione con il nucleo vivo del pubblico potere da non tollerare l’assoggettamento all’ordinaria regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.
8.5.2. D’altronde, mentre la natura giuridica degli elementi portanti ordinamentali ha rilievo per così dire “interno” al Corpo, quale connotato della sua struttura, l’esclusione dalla generale privatizzazione del pubblico impiego riveste, ai fini della presente disamina, un significato ben maggiore, in quanto dimostra per tabulas la ontologica specificità del lavoro prestato da un poliziotto rispetto a quello prestato da un dipendente civile dello Stato.
8.5.3. La pregnanza del vincolo di dipendenza funzionale dai superiori, l’esercizio di poteri afferenti alla libertà personale dei cittadini, la strutturale dotazione di strumenti, quali le armi, di norma non disponibili per l’ordinario civis, la previsione di una normativa speciale di carattere sia ampliativo (art. 53 c.p.) sia riduttivo (art. 195, comma 4, c.p.p.) rispetto alle normali facoltà del cittadino costituiscono elementi oggettivi di rottura della continuità tipologica rispetto alle ordinarie forme di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione che, come hanno determinato sul piano legislativo l’esclusione dalla privatizzazione, così impongono, sul crinale interpretativo, di ritenere che l’applicazione degli istituti dettati con riferimento generale al lavoro dipendente (di diritto privato) debba avvenire nei limiti e con le modulazioni necessarie a preservare le peculiari connotazioni strutturali del Corpo.
8.6. In linea, del resto, con l’opinione di un’applicazione non automatica degli istituti del d.lgs. n. 151 all’impiego militare e di polizia (sia civile sia militare) è il vigente disposto dell’art. 32 del d.lgs. n. 151, novellato nel 2015: infatti, a tenore del comma 1-bis del menzionato articolo: “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo” parentale.
8.7. E’, d’altronde, nota la teorica dei “diritti tiranni” elaborata dalla Corte costituzionale: la Corte, nella sentenza 9 maggio 2013 n. 85, ha statuito che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, tra cui vi è anche la difesa militare dello Stato (che l’art. 52 della Carta definisce “sacra”) e la prevenzione e repressione dei reati, condotte violative dell’ordine costituito che minacciano le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo, la cui pronta ed efficace tutela è condizione imprescindibile per la preservazione stessa dell’assetto costituzionale.
8.8. Tali affermazioni del Giudice delle leggi sono state, poi, riprese e consolidate in più recenti pronunce anche nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali dell’uomo (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24; 2 marzo 2016, n. 63).
8.9. Può, pertanto, concludersi questa necessaria premessa osservando che gli istituti introdotti dal decreto n. 151 trovano sì applicazione per le Forze Armate e di Polizia (sia civile sia militare), ma con i limiti ed i vincoli rivenienti dalle specificità ordinamentali, operative ed organizzative di tali Corpi.
8.10. Per quanto qui di interesse, dunque, le istanze volte ad ottenere permessi e riposi a tutela della genitorialità debbono essere preliminarmente vagliate dall’Amministrazione, titolare in proposito di un potere valutativo – da esercitare caso per caso in considerazione delle complessive esigenze degli uffici ed in base a criteri di rigorosa proporzionalità e di necessaria strumentalità – teso non a delibare l’an del diritto, per vero stabilito a monte dalla legge, bensì a conformarne il quomodo in relazione alla tutela di puntuali, oggettive ed ineludibili ragioni organizzative, operative o logistiche.
8.11. Peraltro, si aggiunge incidenter tantum, benché la tutela della genitorialità non sia contenuta nell’elenco delle materie oggetto di concertazione di cui agli articoli 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 195 del 1995, cionondimeno le disposizioni dei vari provvedimenti di concertazione susseguitisi nel tempo hanno normato in ordine, tra l’altro, ai riposi giornalieri, per vero con disposizioni che non consentono né giustificano approdi ermeneutici diversi da quelli appena divisati.
8.11.1. In particolare:
- il d.p.r. n. 164 del 2002, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003”, ha stabilito che per le Forze di Polizia ad ordinamento civile si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” e che, per le Forze di Polizia ad ordinamento militare, “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del testo unico a tutela della maternità non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità” (articoli 17, comma 1 e 58, comma 8);
- il d.p.r. n. 170 del 2007, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007” ha previsto, con riferimento a tutte le Forze di Polizia che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità” (articoli 15, comma 8 e 33, comma 8);
- il d.p.r. n. 51 del 2009, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”, ha statuito, con riferimento a tutte le Forze di Polizia, ad ordinamento tanto civile quanto militare, che si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” (articoli 18 e 41).
8.11.2. Di contenuto analogo i provvedimenti di concertazione relativi al personale delle Forze Armate: l’art 14, comma 9, del d.p.r. n. 163 del 2002 e l’art. 15, comma 8, del d.p.r. n. 171 del 2007 stabiliscono che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità”, mentre l’art. 17 del d.p.r. n. 52 del 2009 prevede che al personale delle Forze armate si applica “quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.
8.11.3. Viene, dunque, ribadita l’applicabilità settoriale delle disposizioni recate, in punto di riposi giornalieri, dal d.lgs. n. 151, senza, però, aggiungere (con previsione questa sì innovativa) che l’Amministrazione non ha, in proposito, quella discrezionalità in ordine al quomodo della relativa fruizione che, secondo l’impostazione esegetica qui accolta, è di contro intrinseca alle funzioni, all’assetto, alla struttura stessa delle Forze Armate e di Polizia e che può esplicarsi sia con provvedimenti di carattere generale, sia con (rigorosamente motivate) decisioni afferenti a singole istanze.
9. Tutto quanto sopra premesso, può ora passarsi alla specifica problematica oggetto del presente giudizio, ossia l’interpretazione da riconoscere al mentovato art. 40 del decreto in commento.
9.1. Giova, preliminarmente, rilevare che l’Amministrazione ha fondato la reiezione dell’istanza del sig. -OMISSIS- solo sull’esegesi dell’art. 40 e non (come pure in linea teorica avrebbe potuto) su specifici profili di concreta incompatibilità della fruizione dei riposi, così come richiesti, con le esigenze operative del Corpo.
9.2. Orbene, il d.lgs. n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, stabilisce, inter alia, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40) lavoratori dipendenti alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.
9.2.1. In particolare, l’art. 39 dispone che “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.
9.2.2. L’art. 40, similmente, prevede che “1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
10. L’orientamento esegetico della giurisprudenza di questo Consiglio è, per vero, ondivago in ordine all’interpretazione da riconoscere alla locuzione “lavoratrice dipendente” di cui alla riferita lett. c) dell’art. 40.
10.1. Inizialmente la Sez. VI, nella sentenza 9 settembre 2008 n. 4293, ha ritenuto che, “posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
10.2. Di lì a poco, tuttavia, la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta.
10.2.1. In tale arresto la Sezione, premesso un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha premesso che l’articolo 40 del d.lgs. n. 151 costituisce espressione del principio dell’alternatività della cura del minore, cui la legge vuole assicurare la presenza di almeno uno dei due genitori, stimati ambedue parimenti idonei a prestare la necessaria assistenza.
10.2.2. In tale ottica, ha argomentato la Sezione, la donna casalinga non può, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, essere parificata alla donna “non lavoratrice dipendente”, posto che “la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
10.2.3. In definitiva, ha concluso la Sezione, con la disposizione in commento “il legislatore ha inteso tutelare le esigenze” del minore “garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)”.
10.3. In seguito, tuttavia, la Sezione III, con la pronuncia 10 settembre 2014, n. 4618 è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali sia sistematici.
10.3.1. Sul crinale testuale, si è ivi sostenuto che il tenore letterale della disposizione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”) include, “secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula <<nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente>>. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.
10.3.2. Sul crinale sistematico-teleologico, poi, si è affermato che “Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.
10.4. Su una posizione intermedia si è collocato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la pronuncia 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che “il padre”, cui la legge non riconoscerebbe “un diritto «proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre” alla fruizione dei riposi giornalieri, “deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino”.
10.5. In direzione analoga si era orientata anche la giurisprudenza di merito.
10.5.1. In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222 (relativa ad un appartenente alla Polizia di Stato e poi, peraltro, riformata dalla menzionata sentenza di questo Consiglio n. 4618 del 2014) sosteneva, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, che, “con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre; ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza”.
11. Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.
11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.
11.3. Del resto, benché l’istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.
11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.
11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.
11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.
11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.
11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.
11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.
11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.
11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.
11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.
11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151.
11.14. Peraltro, se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.
11.15. In proposito il Collegio rileva che non risulta che il sig. -OMISSIS- abbia dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole: l’unico elemento addotto, per vero, è rappresentato dall’allegata mancanza, in capo alla signora, della patente di guida, profilo che, tuttavia, non è materialmente di ostacolo alla prestazione domestica di cure al neonato.
11.16. Più in generale, il Collegio osserva che il tenore testuale della disposizione, dettata nell’ambito della disciplina privatistica del rapporto di lavoro, lumeggia l’intenzione del Legislatore di raggiungere una soluzione bilanciata che consenta di tutelare il fondamentale interesse del bambino con il minimo sacrificio possibile per il datore di lavoro e, in generale, per le esigenze della produzione, cui pure è annesso (e dalla norma in questione implicitamente riconosciuto e qualificato) un rilievo sì recessivo e cedevole, ma non del tutto obliterabile (cfr. la richiamata teorica dei “diritti tiranni”).
11.17. A fortiori, in considerazione del rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.
12. In conclusione, l’appello merita accoglimento, con conseguente integrale rigetto del ricorso svolto in prime cure dal sig. -OMISSIS-.
13. La particolarità e novità della quaestio juris sottesa alla presente causa giustifica, a mente del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Il CdS ci ripensa su tutta la norma circa la moglie casalinga e sulle sentenze precedenti, sia per Militari che per le FF.OO..
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Il CdS scrive:
1) - Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
N.B.: i punti cruciali sono indicati al n. 11.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201704993 - Public 2017-10-30 -
Pubblicato il 30/10/2017
N. 04993/2017REG.PROV.COLL.
N. 00140/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 140 del 2017, proposto da Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Friuli – Venezia Giulia n. 323 del 24 giugno 2016, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di fruizione di periodi di riposo ex art. 40, lett. c), d.lgs. n. 151/2001.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2017 il consigliere Luca Lamberti e udito per la parte ricorrente l’avvocato dello Stato Urbani Neri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il sig. -OMISSIS-, sovrintendente della Polizia di Stato, ha proposto ricorso di fronte al T.a.r., competente ai sensi dell’art. 13, comma 2, c.p.a., avverso il provvedimento del Questore di Gorizia prot. n. ... del 26 giugno 2012, con cui è stata rigettata la sua istanza di fruizione dei periodi di riposo previsti dall’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 del 2001 (ai sensi del quale “I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore … c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”).
1.1. Il sig. -OMISSIS- ha chiesto, sul presupposto della spettanza del diritto alla fruizione dei periodi in parola, l’annullamento del provvedimento e la conseguente condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno patrimoniale subito, di importo “pari al numero dei permessi negati”.
1.2. Il ricorrente, in particolare, ha censurato l’esegesi della disposizione operata dall’Amministrazione ed ha, di contro, sostenuto di avere diritto a fruire dei periodi di riposo, giacché la sua compagna, in quanto casalinga, non sarebbe per definizione una “lavoratrice dipendente”.
2. Costituitasi l’Amministrazione, il T.a.r. ha accolto il ricorso quanto all’istanza demolitoria, mentre ha rigettato, per difetto dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’Amministrazione, la conseguente richiesta risarcitoria.
2.1. Il Tribunale ha in particolare sostenuto, con riferimento alla disposizione di cui all’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151, che, “trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità in attuazione delle finalità generali di tipo promozionale scolpite dall'art. 31 della Costituzione, non può che valorizzarsi, nella sua interpretazione, la ratio della stessa, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività (nella fattispecie, quella di "casalinga" ), che la distolgano dalla cura del neonato”.
3. Il Ministero dell’interno ha interposto appello, interamente incentrato sulla critica dell’esegesi dell’art. 40, lett. c), del d.lgs. n. 151 sostenuta in prima cure.
4. Il sig. -OMISSIS-, nonostante la regolarità della notifica, non si è costituito in giudizio.
5. Il ricorso, discusso alla pubblica udienza del 28 settembre 2017, merita accoglimento.
6. Il Collegio, preliminarmente, affronta la problematica dell’applicazione, al personale della Polizia di Stato, della normativa dettata dal d.lgs. n. 151.
7. Per esigenze sistematiche, lo scrutinio di siffatta questione viene effettuato nell’ambito della più ampia disamina circa l’applicabilità della disciplina in questione anche alle Forze Armate (ed alle Forze di Polizia ad ordinamento militare).
7.1. Inizialmente la giurisprudenza, chiamata ad occuparsi dell’istituto della “assegnazione temporanea” contemplato dall’art. 42-bis (come noto introdotto nel corpo del d.lgs. n. 151 dalla legge 24 dicembre 2003, n. 350), escluse, con valutazioni per vero potenzialmente estensibili a tutte le misure di ausilio alla genitorialità introdotte da detto decreto, che l’istituto in questione potesse essere applicato al personale appartenente alle Forze armate e alle Forze di polizia tutte, in relazione al particolare status rivestito e agli speciali compiti istituzionali svolti da tali organizzazioni (ex multis Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730; Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2010, n. 3278, tutte peraltro relative ad appartenenti alla Polizia di Stato).
7.2. La successiva giurisprudenza, tuttavia, ha mutato indirizzo.
7.2.1. In particolare questa Sezione, proseguendo una traiettoria esegetica anticipata dalle sentenze della Sesta Sezione 21 maggio 2013, n. 2730 e della stessa Quarta Sezione 10 luglio 2013, n. 3683, ha da ultimo ribadito, con la pronuncia 23 maggio 2016, n. 2113, relativa ad un appartenente all’Arma dei Carabinieri, che “in linea generale deve osservarsi che il t.u. n. 151 del 2001 (in particolare gli artt. 1 e 2), non contiene alcuna limitazione soggettiva capace di escludere dal suo ambito applicativo gli appartenenti alle Forze armate e di Polizia, anzi, dall’esame degli artt. 9 e 10 si desume che esso potesse trovare integrale applicazione a tali categorie di personale; si tenga poi presente che l’art. 10 cit. è stato riassettato all’interno del codice (sub art. 1494), con sua contestuale abrogazione, per cui risulta ancor più evidente l’applicazione della specifica normativa al personale militare”.
7.2.2. La pronuncia, peraltro, aggiunge che il primario valore degli interessi pubblici perseguiti dalle Forze Armate e di Polizia rende non automatico e meccanicistico l’accoglimento degli istituti plasmati per l’impiego civile e, in particolare, di quelli individuati dal decreto n. 151; di contro, molteplici spunti normativi inducono a ritenere che l’introduzione di tali istituti nella disciplina ordinamentale delle Forze Armate e di Polizia incontri il limite della concreta compatibilità con le peculiarità del relativo impiego.
8. Invero, questo spunto pretorio trova una solida base normativa in alcuni articoli del codice dell’ordinamento militare (d.lgs. n. 66 del 2010).
8.1. Giova richiamare, in particolare:
- l’articolo 625, che stabilisce espressamente il principio, di generale valenza (anche ermeneutica, ai sensi dell’art. 12, primo comma, delle preleggi), della specificità ed autosufficienza dell’ordinamento del personale militare;
- l’art. 1465, secondo cui, premesso che “ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini”, “per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali”;
- l’art. 1493, di rilevante interesse nella presente vicenda, che subordina l’applicazione della normativa vigente per il personale delle Pubbliche Amministrazioni in materia di maternità e paternità alle condizioni proprie del “particolare stato rivestito” dal militare.
8.2. La disciplina dettata dal codice dell’ordinamento militare - coerentemente con la propria natura codicistica ed in applicazione della Costituzione, che all’art. 52, si riferisce espressamente ad un vero e proprio “ordinamento” delle Forze Armate - è, ove apprezzata con un approccio ermeneutico di ampio respiro, con ogni evidenza atta a connotare l’impiego militare di un carattere certamente separato dalle altre forme di impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni e connotato da forti elementi di specialità (in questo senso, ex plurimis e da ultimo, Corte cost., n. 268 del 2016; Cons. stato, sez. IV, ord. 4 maggio 2017, n. 2043).
8.3. In particolare, l’osmosi con gli istituti dettati per gli impieghi civili alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni è mediata, filtrata e conformata da un principio generale di preservazione delle specificità settoriali delle Forze Armate e di tutti i Corpi di Polizia, traguardate non come valore finale in sé, bensì come ineludibile esigenza strumentale, necessaria per consentire l’ottimale perseguimento delle peculiari e delicate funzioni loro proprie (ossia la difesa militare dello Stato per terra, mare ed aria e la prevenzione e repressione, anche con l’uso della forza, dei reati).
8.4. Ne consegue, per quanto qui di interesse, che la trasposizione in ambiente militare (ivi incluse le Forze di Polizia ad ordinamento militare), fra l’altro, degli istituti a tutela della paternità e maternità dettati dall’ordinaria disciplina privatistica del rapporto di lavoro (e, dunque, applicabili anche all’impiego alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, come noto retto da stilemi privatistici – cfr., del resto, gli artt. 2, comma 1, lett. e] del d.lgs. n. 151 del 2001 e 2, commi 2 e 3, t.u. n. 165 del 2001), sebbene sia in linea generale possibile giacché i militari sono pur sempre lavoratori dipendenti, è comunque in concreto limitata dalle eventuali “ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (così la richiamata sentenza n. 2113, cui si opera integrale riferimento).
8.5. Questa specificità strutturale dell’impiego militare è, per vero, propria anche del rapporto d’impiego alle dipendenze della Polizia di Stato, benché retta da un ordinamento civile.
8.5.1. Pur se estranee all’ambito ordinamentale propriamente militare, infatti, le Forze di Polizia ad ordinamento civile (la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria) sono state escluse dalla generale riconduzione a stilemi privatistici della disciplina del pubblico impiego (cfr. art. 2, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001): evidentemente, la specificità dei relativi compiti è tale che, pur se con un ordinamento di carattere non militare, comunque le Forze di Polizia partecipano di quella stretta connessione con il nucleo vivo del pubblico potere da non tollerare l’assoggettamento all’ordinaria regolamentazione privatistica del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni.
8.5.2. D’altronde, mentre la natura giuridica degli elementi portanti ordinamentali ha rilievo per così dire “interno” al Corpo, quale connotato della sua struttura, l’esclusione dalla generale privatizzazione del pubblico impiego riveste, ai fini della presente disamina, un significato ben maggiore, in quanto dimostra per tabulas la ontologica specificità del lavoro prestato da un poliziotto rispetto a quello prestato da un dipendente civile dello Stato.
8.5.3. La pregnanza del vincolo di dipendenza funzionale dai superiori, l’esercizio di poteri afferenti alla libertà personale dei cittadini, la strutturale dotazione di strumenti, quali le armi, di norma non disponibili per l’ordinario civis, la previsione di una normativa speciale di carattere sia ampliativo (art. 53 c.p.) sia riduttivo (art. 195, comma 4, c.p.p.) rispetto alle normali facoltà del cittadino costituiscono elementi oggettivi di rottura della continuità tipologica rispetto alle ordinarie forme di impiego alle dipendenze della Pubblica Amministrazione che, come hanno determinato sul piano legislativo l’esclusione dalla privatizzazione, così impongono, sul crinale interpretativo, di ritenere che l’applicazione degli istituti dettati con riferimento generale al lavoro dipendente (di diritto privato) debba avvenire nei limiti e con le modulazioni necessarie a preservare le peculiari connotazioni strutturali del Corpo.
8.6. In linea, del resto, con l’opinione di un’applicazione non automatica degli istituti del d.lgs. n. 151 all’impiego militare e di polizia (sia civile sia militare) è il vigente disposto dell’art. 32 del d.lgs. n. 151, novellato nel 2015: infatti, a tenore del comma 1-bis del menzionato articolo: “Per il personale del comparto sicurezza e difesa di quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, la disciplina collettiva prevede, altresì, al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all'espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo” parentale.
8.7. E’, d’altronde, nota la teorica dei “diritti tiranni” elaborata dalla Corte costituzionale: la Corte, nella sentenza 9 maggio 2013 n. 85, ha statuito che “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette”, tra cui vi è anche la difesa militare dello Stato (che l’art. 52 della Carta definisce “sacra”) e la prevenzione e repressione dei reati, condotte violative dell’ordine costituito che minacciano le libertà ed i diritti fondamentali dell’individuo, la cui pronta ed efficace tutela è condizione imprescindibile per la preservazione stessa dell’assetto costituzionale.
8.8. Tali affermazioni del Giudice delle leggi sono state, poi, riprese e consolidate in più recenti pronunce anche nell’ottica della tutela multilivello dei diritti fondamentali dell’uomo (Corte cost., 26 gennaio 2017, n. 24; 2 marzo 2016, n. 63).
8.9. Può, pertanto, concludersi questa necessaria premessa osservando che gli istituti introdotti dal decreto n. 151 trovano sì applicazione per le Forze Armate e di Polizia (sia civile sia militare), ma con i limiti ed i vincoli rivenienti dalle specificità ordinamentali, operative ed organizzative di tali Corpi.
8.10. Per quanto qui di interesse, dunque, le istanze volte ad ottenere permessi e riposi a tutela della genitorialità debbono essere preliminarmente vagliate dall’Amministrazione, titolare in proposito di un potere valutativo – da esercitare caso per caso in considerazione delle complessive esigenze degli uffici ed in base a criteri di rigorosa proporzionalità e di necessaria strumentalità – teso non a delibare l’an del diritto, per vero stabilito a monte dalla legge, bensì a conformarne il quomodo in relazione alla tutela di puntuali, oggettive ed ineludibili ragioni organizzative, operative o logistiche.
8.11. Peraltro, si aggiunge incidenter tantum, benché la tutela della genitorialità non sia contenuta nell’elenco delle materie oggetto di concertazione di cui agli articoli 3, 4 e 5 del d.lgs. n. 195 del 1995, cionondimeno le disposizioni dei vari provvedimenti di concertazione susseguitisi nel tempo hanno normato in ordine, tra l’altro, ai riposi giornalieri, per vero con disposizioni che non consentono né giustificano approdi ermeneutici diversi da quelli appena divisati.
8.11.1. In particolare:
- il d.p.r. n. 164 del 2002, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e dello schema di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003”, ha stabilito che per le Forze di Polizia ad ordinamento civile si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” e che, per le Forze di Polizia ad ordinamento militare, “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del testo unico a tutela della maternità non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità” (articoli 17, comma 1 e 58, comma 8);
- il d.p.r. n. 170 del 2007, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare per il quadriennio normativo 2006-2009 ed il biennio economico 2006-2007” ha previsto, con riferimento a tutte le Forze di Polizia che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di congedo ordinario e sulla tredicesima mensilità” (articoli 15, comma 8 e 33, comma 8);
- il d.p.r. n. 51 del 2009, recante il “Recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”, ha statuito, con riferimento a tutte le Forze di Polizia, ad ordinamento tanto civile quanto militare, che si applica “quanto previsto dal testo unico a tutela della maternità” (articoli 18 e 41).
8.11.2. Di contenuto analogo i provvedimenti di concertazione relativi al personale delle Forze Armate: l’art 14, comma 9, del d.p.r. n. 163 del 2002 e l’art. 15, comma 8, del d.p.r. n. 171 del 2007 stabiliscono che “I riposi giornalieri di cui agli articoli 39 e seguenti del decreto legislativo 16 marzo 2001, n. 151, non incidono sul periodo di licenza ordinaria e sulla tredicesima mensilità”, mentre l’art. 17 del d.p.r. n. 52 del 2009 prevede che al personale delle Forze armate si applica “quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”.
8.11.3. Viene, dunque, ribadita l’applicabilità settoriale delle disposizioni recate, in punto di riposi giornalieri, dal d.lgs. n. 151, senza, però, aggiungere (con previsione questa sì innovativa) che l’Amministrazione non ha, in proposito, quella discrezionalità in ordine al quomodo della relativa fruizione che, secondo l’impostazione esegetica qui accolta, è di contro intrinseca alle funzioni, all’assetto, alla struttura stessa delle Forze Armate e di Polizia e che può esplicarsi sia con provvedimenti di carattere generale, sia con (rigorosamente motivate) decisioni afferenti a singole istanze.
9. Tutto quanto sopra premesso, può ora passarsi alla specifica problematica oggetto del presente giudizio, ossia l’interpretazione da riconoscere al mentovato art. 40 del decreto in commento.
9.1. Giova, preliminarmente, rilevare che l’Amministrazione ha fondato la reiezione dell’istanza del sig. -OMISSIS- solo sull’esegesi dell’art. 40 e non (come pure in linea teorica avrebbe potuto) su specifici profili di concreta incompatibilità della fruizione dei riposi, così come richiesti, con le esigenze operative del Corpo.
9.2. Orbene, il d.lgs. n. 151, recante il “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, stabilisce, inter alia, il diritto rispettivamente della madre (art. 39) e del padre (art. 40) lavoratori dipendenti alla fruizione di “riposi giornalieri” al fine di accudire il neonato nel corso del suo primo anno di vita.
9.2.1. In particolare, l’art. 39 dispone che “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore.
2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un'ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall'azienda.
3. I periodi di riposo sono di mezz'ora ciascuno quando la lavoratrice fruisca dell'asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa”.
9.2.2. L’art. 40, similmente, prevede che “1. I periodi di riposo di cui all'articolo 39 sono riconosciuti al padre lavoratore: a) nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre; b) in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; c) nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente; d) in caso di morte o di grave infermità della madre”.
10. L’orientamento esegetico della giurisprudenza di questo Consiglio è, per vero, ondivago in ordine all’interpretazione da riconoscere alla locuzione “lavoratrice dipendente” di cui alla riferita lett. c) dell’art. 40.
10.1. Inizialmente la Sez. VI, nella sentenza 9 settembre 2008 n. 4293, ha ritenuto che, “posto che la nozione di lavoratore assume diversi significati nell’ordinamento, ed in particolare nelle materie privatistiche ed in quelle pubblicistiche, è a quest’ultimo che occorre fare riferimento, trattandosi di una norma rivolta a dare sostegno alla famiglia ed alla maternità, in attuazione delle finalità generali, di tipo promozionale, scolpite dall’art. 31 della Costituzione.
In tale prospettiva, essendo noto che numerosi settori dell’ordinamento considerano la figura della casalinga come lavoratrice (sul punto un’interessante ricostruzione è fornita da Cass. 20324/05, al fine di risolvere il problema della risarcibilità del danno da perdita della relativa capacità di lavoro), non può che valorizzarsi la ratio della norma, volta a beneficiare il padre di permessi per la cura del figlio allorquando la madre non ne abbia diritto in quanto lavoratrice non dipendente e pur tuttavia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato”.
10.2. Di lì a poco, tuttavia, la Sez. I, con il parere del 22 ottobre 2009 relativo all’affare n. 2732/2009, ha sostenuto la tesi diametralmente opposta.
10.2.1. In tale arresto la Sezione, premesso un articolato excursus circa la materia del diritto di famiglia con particolare riferimento ai vari istituti normativi di ausilio alla genitorialità, ha premesso che l’articolo 40 del d.lgs. n. 151 costituisce espressione del principio dell’alternatività della cura del minore, cui la legge vuole assicurare la presenza di almeno uno dei due genitori, stimati ambedue parimenti idonei a prestare la necessaria assistenza.
10.2.2. In tale ottica, ha argomentato la Sezione, la donna casalinga non può, ai sensi e per gli effetti della disposizione in esame, essere parificata alla donna “non lavoratrice dipendente”, posto che “la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali”; d’altronde, “l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali”.
10.2.3. In definitiva, ha concluso la Sezione, con la disposizione in commento “il legislatore ha inteso tutelare le esigenze” del minore “garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale)”.
10.3. In seguito, tuttavia, la Sezione III, con la pronuncia 10 settembre 2014, n. 4618 è tornata all’iniziale orientamento, sulla base di rilievi sia testuali sia sistematici.
10.3.1. Sul crinale testuale, si è ivi sostenuto che il tenore letterale della disposizione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”) include, “secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente: dunque quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della casalinga). Altro si direbbe se il legislatore avesse usato la formula <<nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente>>. La tecnica di redazione dell’art. 40, con la sua meticolosa elencazione delle varie ipotesi nelle quali il beneficio è concesso al padre, lascia intendere che la formulazione di ciascuna di esse sia volutamente tassativa”.
10.3.2. Sul crinale sistematico-teleologico, poi, si è affermato che “Anche dal punto di vista della ratio, tale orientamento appare più rispettoso del principio della paritetica partecipazione di entrambi i coniugi alla cura ed all'educazione della prole, che affonda le sue radici nei precetti costituzionali contenuti negli artt. 3, 29, 30 e 31”.
10.4. Su una posizione intermedia si è collocato il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, con la pronuncia 20 dicembre 2012, n. 1241, sostenendo che “il padre”, cui la legge non riconoscerebbe “un diritto «proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre” alla fruizione dei riposi giornalieri, “deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie casalinga (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino”.
10.5. In direzione analoga si era orientata anche la giurisprudenza di merito.
10.5.1. In particolare, la sentenza del T.a.r. per la Liguria, sez. II, 6 febbraio 2014, n. 222 (relativa ad un appartenente alla Polizia di Stato e poi, peraltro, riformata dalla menzionata sentenza di questo Consiglio n. 4618 del 2014) sosteneva, nell’ambito di un articolato iter motivazionale, che, “con riguardo al diritto di fruire, ai sensi degli art. 39 e 40 d.leg. n. 151 del 2001, di due ore di riposo giornaliero per l’accudimento del figlio, essendo i riposi giornalieri concessi al fine essenziale di garantire al figlio, entro l’anno di vita, la presenza alternativa di uno dei genitori, non è giustificata, nel caso di madre casalinga, la concessione del beneficio in favore del padre; ciò non esclude che, in casi particolari, il padre lavoratore dipendente possa essere ammesso a fruire dei riposi giornalieri anche se coniugato con una lavoratrice casalinga; ciò si verifica in presenza di situazioni, debitamente documentate, che rendano temporaneamente impossibile per la madre prendersi cura del neonato (come, ad esempio, nel caso in cui essa debba sottoporsi a particolari cure mediche o accertamenti sanitari); deve trattarsi, peraltro, di circostanze atte a far venire oggettivamente meno la possibilità per i genitori di alternarsi nella cura del neonato, non riconoscibili nella situazione che l’odierno ricorrente aveva rappresentato all’amministrazione di appartenenza”.
11. Il Collegio ritiene che l’orientamento sinora prevalente nella giurisprudenza delle Sezioni III e VI di questo Consiglio circa l’esegesi dell’art. 40 non colga nel segno.
11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un’evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.
11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.
11.3. Del resto, benché l’istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell’allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l’interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.
11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l’interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.
11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l’inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all’art. 147 c.c., doverosa nell’an, è comunque rimessa, in concreto, all’articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.
11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un’attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.
11.7. L’attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l’attenzione ai bisogni del neonato.
11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.
11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l’istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l’interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.
11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l’istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.
11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell’altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell’affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.
11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell’esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l’altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un’inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.
11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 – 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151.
11.14. Peraltro, se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione: è vero, infatti, che la condizione di casalinga consente, in linea generale e di norma, di assicurare una presenza domestica, ma, laddove ciò nella concreta situazione non sia effettivamente possibile, si determina un vuoto di tutela del minore cui può sopperirsi con la concessione, al padre, del riposo giornaliero ex art. 40, in virtù di un’esegesi sistematica e teleologicamente orientata della norma.
11.15. In proposito il Collegio rileva che non risulta che il sig. -OMISSIS- abbia dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l’assistenza domestica alla prole: l’unico elemento addotto, per vero, è rappresentato dall’allegata mancanza, in capo alla signora, della patente di guida, profilo che, tuttavia, non è materialmente di ostacolo alla prestazione domestica di cure al neonato.
11.16. Più in generale, il Collegio osserva che il tenore testuale della disposizione, dettata nell’ambito della disciplina privatistica del rapporto di lavoro, lumeggia l’intenzione del Legislatore di raggiungere una soluzione bilanciata che consenta di tutelare il fondamentale interesse del bambino con il minimo sacrificio possibile per il datore di lavoro e, in generale, per le esigenze della produzione, cui pure è annesso (e dalla norma in questione implicitamente riconosciuto e qualificato) un rilievo sì recessivo e cedevole, ma non del tutto obliterabile (cfr. la richiamata teorica dei “diritti tiranni”).
11.17. A fortiori, in considerazione del rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all’Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell’ordine pubblico e l’efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall’altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall’ordinamento.
12. In conclusione, l’appello merita accoglimento, con conseguente integrale rigetto del ricorso svolto in prime cure dal sig. -OMISSIS-.
13. La particolarità e novità della quaestio juris sottesa alla presente causa giustifica, a mente del combinato disposto degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado dal sig. -OMISSIS-.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 settembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Nicola D'Angelo, Consigliere
Giuseppa Carluccio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Lamberti Vito Poli
IL SEGRETARIO
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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