C.G.A. CC. - Dir. Amm.ne - del 15 novembre 2010 su D.P.R. 184/2010 aumenti contrattuali biennio 2008/2009.
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D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
ho contattato il collega di Messina tra un paio di giorni mi chiamerà, dopo aver controllato i suoi Statini paga, poi ti farò sapere .
ciao buonanotte
ciao buonanotte
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
La CdC respinge il ricorso del ricorrente
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- promozione conseguita alla qualifica superiore
- Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012
1) - In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
La CdC scrive:
2) - Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 94 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13970 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
R. C. , nato il omissis ad omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. R. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
Lamenta al riguardo che, viceversa, l’INPS ha determinato l’importo della pensione spettantegli assumendo come parametro la qualifica di Dirigente superiore. In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
Rispetto alla summenzionata disposizione il ricorrente richiama a sostegno delle proprie ragioni una recente pronuncia di questa Corte (Sez. giur. Sicilia n. 652/2016), nella quale si è affermato che i vincoli da essa posti sul piano retributivo non concernono, invece, il trattamento pensionistico per il quale dunque deve dispiegare i propri effetti la promozione conseguita alla qualifica superiore.
Chiamata la causa nella pubblica udienza del 13/06/2018, questo Giudice rilevava l’erroneità della notificazione del ricorso, non conforme alla previsione di cui all’art. 155 c.g.c. e disponeva, pertanto, con ordinanza a verbale il rinnovo della stessa, rinviando la trattazione del giudizio all’udienza del 17/10/2018.
Con memoria depositata in data 05/10/2018 si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo la reiezione del ricorso sulla base di un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, pone in rilievo come la promozione conseguita dal ricorrente alla vigilia del pensionamento sia stata certamente assoggettata alla previsione limitativa di cui all’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, producendo soltanto effetti giuridici, con la conseguenza che questi non ha mai concretamente percepito la maggior retribuzione prevista per la qualifica di Dirigente generale e, quindi, non ricorrono i presupposti di cui all’art. 53 del T.U. n. 1092/1973 per valorizzare il più alto grado in termini economici nel calcolo della pensione.
Secondariamente segnala che, a fronte del precedente di questa Corte citato dal ricorrente, si registrano decisioni più recenti di segno contrario sia in primo grado che in Appello: in particolare richiama la sentenza della Sezione II centrale d’Appello n. 409/2018, nella quale si è affermato appunto che la progressione di carriera in questione rientra in quelle sottoposte alla limitazione dell’efficacia ai soli fini giuridici.
In fine, l’Istituto previdenziale evidenzia come – sul piano strettamente economico – il riconoscimento della pretesa attorea comporterebbe l’attribuzione di un trattamento pensionistico superiore a quello di colleghi di pari grado, collocati in quiescenza con il sistema retributivo fino al 31/12/2011: per effetto della legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011), infatti, il sig. R. ha conseguito una terza quota di pensione, calcolata con il metodo contributivo, con riferimento al periodo gennaio-aprile 2012, la quale è altresì soggetta alla consistente rivalutazione prevista dall’art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997 (“Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione.
Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”).
Chiamata la causa nella pubblica udienza odierna, l’avv. Barca ha confermato le ragioni per l’accoglimento dell’impugnativa, a sostegno delle quali ha riportato due recenti pronunce favorevoli del Tribunale amministrativo del Lazio, che hanno riconosciuto la spettanza del trattamento retributivo commisurato alla qualifica di Direttore generale, giudicando esclusa la tipologia di promozione in discussione (di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005) dalla limitazione degli effetti ai soli fini giuridici, in quanto direttamente disposta dalla legge. L’avv. Iero, nell’interesse dell’INPS, pur prendendo atto di tali pronunce, ha ribadito la rilevanza nel caso in esame del diverso orientamento determinatosi presso il giudice contabile.
L’avv. Barca è stato autorizzato al deposito in udienza delle citate sentenze (TAR Lazio, sez. I ter, n. 02024/2017; TAR Lazio, sez. I quater, n. 09440/2018).
Considerato in
DIRITTO
Il ricorso non può essere accolto, alla luce della normativa applicabile al caso e della interpretazione della stessa offerta nella più recente giurisprudenza di questa Corte.
In primo luogo, giova richiamare il testo della previsione su cui si basa l’impugnativa, ovverosia l’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005, a norma del quale “In conseguenza di quanto previsto dal comma 259, a decorrere dal 1° gennaio 2006, sono attribuiti: a) ai dirigenti generali di pubblica sicurezza con almeno quattro anni nella qualifica al momento della cessazione dal servizio, il trattamento di quiescenza, normale e privilegiato, e l'indennità di buonuscita spettanti ai dirigenti generali di pubblica sicurezza di livello B, con analoga anzianità di servizio; b) ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio.”
Rispetto alla formulazione del testo può notarsi come, mentre nella lettera a) il legislatore ha stabilito espressamente un’equiparazione piena del trattamento di quiescenza e di fine servizio dei dirigenti generali di P.S. con almeno quattro di anzianità nella qualifica con quello dei dirigenti generali di livello B; invece, nella lettera b), per i dirigenti superiori con almeno cinque di anzianità, ha introdotto soltanto una progressione di qualifica alla vigilia del pensionamento.
Lo specifico tenore di tale seconda previsione va posto necessariamente in correlazione con le norme successivamente adottate dal legislatore medesimo per il contenimento della spesa pubblica e, in particolare, con l’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010 secondo cui “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”
Questa disposizione, infatti, si presenta chiaramente finalizzata ad impedire nel triennio 2011-2013 l’operatività economica dei principali strumenti di incremento delle retribuzioni del personale non contrattualizzato (art. 3, D.lgs. n. 165/2001): “meccanismi di adeguamento”, “progressioni automatiche degli stipendi”, “progressioni di carriera comunque denominate”. [detta ratio legis è esplicitata altresì nel precedente comma 1 della norma: “Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto previsto dal comma 17, secondo periodo, e dall'articolo 8, comma 14”.]
Con riguardo al caso in esame va posto l’accento sul carattere onnicomprensivo del riferimento alle progressioni di carriera, che non si reputa lasci spazio ad alcuna diversificazione di interpretazione in ragione della natura delle medesime: ciò in particolare nel senso che risultano assoggettate al limite di efficacia tutte le forme di progressione, siano esse disposte dalle amministrazioni secondo le rispettive procedure, ovvero discendano direttamente da previsioni di legge. L’espressione “comunque denominate”, infatti, ha un significato obiettivamente volto a riguardare ogni possibile meccanismo di avanzamento, al fine di sterilizzarne gli effetti economici.
Va ricordato, inoltre, che tale misura di contenimento della spesa è stata prorogata al 31/12/2014 con l’art. 1, lett. a) del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013 (“1. In attuazione a quanto previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111: a) le disposizioni recate dall'articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2014.”). Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Le osservazioni che precedono portano questo Giudice a ritenere che la previsione di cui ha beneficiato il ricorrente sia foriera esclusivamente di effetti giuridici ed in tal senso si è correttamente orientata l’amministrazione dell’interno, che non ha corrisposto al ricorrente alcun emolumento riconducibile alla qualifica di dirigente generale: da ciò consegue, altrettanto fisiologicamente, che nessuna valorizzazione di tale maggior qualifica può essere disposta a fini pensionistici, imponendosi il rispetto del principio generale posto nell’art. 53 del D.P.R. n. 1092/1973, per il quale “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, escluso quello indicato nell'articolo 54, penultimo comma, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento….”.
Nei descritti termini non può, dunque, essere condivisa la lettura della normativa offerta nel precedente di questa Corte del 2016, richiamato da parte attrice, secondo cui – viceversa - la limitazione ai soli effetti giuridici della progressione di carriera in esame non opererebbe sul piano pensionistico, poiché induce in via interpretativa una cesura, non ammissibile, tra emolumenti percepiti in servizio e base pensionabile, consentendo di valorizzare nella seconda un trattamento retributivo mai effettivamente conseguito. Sul punto deve piuttosto ribadirsi – riprendendo le affermazioni rese dalla Sezione II centrale d’Appello nella sentenza n. 409/2018 – come i commi 1 e 21 del citato art. 9 del D.L. n. 78/2010 <<..debbano essere letti ed interpretati in chiave sistematica, avuto riguardo alla ratio complessiva della norma quale esplicitata più volte dalla Corte Costituzionale, …. (v. sentt. C. Cost. 304 e 310/2013, 154/2014). Ed invero, il legislatore ha inteso conseguire un risparmio della spesa in materia di pubblico impiego, congelando “il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio” da erogarsi nel triennio 2011-2013 (poi esteso a tutto il 2014), nell’importo pari a quello “ordinariamente spettante per il 2010”, importo che non avrebbe potuto “in ogni caso” essere superato (v. art. 9 comma 1). La “cristallizzazione” così operata al 2010, è stata evidentemente concepita come omnicomprensiva, investendo il trattamento economico dei dipendenti pubblici complessivamente considerato, vale a dire nelle sue componenti principali ed accessorie.>> Da tale opzione ermeneutica consegue, invero, il riconoscimento che <<la promozione al grado superiore rientri, inequivocabilmente tra “le progressioni di carriera” che ai sensi del citato comma 21 “hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”. Ciò stante, il suddetto avanzamento di grado, riconosciuto a detti fini, non può produrre alcun effetto economico sicché il relativo parametro stipendiale non spetta perché espressamente vietato dalla citata disposizione normativa.>>
L’interpretazione prospettata dal Giudice di secondo grado (cfr. in termini, Sez. giur. Toscana, sent. n. 133/2018) va condivisa anche sotto il profilo della rispondenza ai principi reiteratamente declinati dalla Corte Costituzionali in tema di ammissibilità di trattamenti retributivi/previdenziali differenziati, laddove legati a non irrazionali scelte legislative di necessario contenimento della spesa pubblica. In particolare, sull’art. 1, commi 9 e 21, il Giudice delle leggi ha reso più di una pronuncia, sempre riconoscendo il non irragionevole esercizio della discrezionalità da parte del legislatore [cfr. sentenza n. 304/2013, in cui si è affermato che “la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”].
Peraltro, risulta di precipuo rilievo in relazione alla questione della disparità di trattamento dei dipendenti soggetti al blocco dei miglioramenti retributivi rispetto ai colleghi esenti, l’ultima pronuncia resa dalla Corte in questa materia (sent. n. 154/2014): ivi si afferma che “Con specifico riferimento alla disparità di trattamento con i colleghi che hanno raggiunto il grado superiore o maturato l’anzianità prima del 2011, viene in rilievo uno degli elementi cui è connessa la disciplina economica del rapporto. Infatti coloro che si sono visti riconoscere il migliore trattamento retributivo hanno raggiunto il grado superiore o maturato la maggiore anzianità di servizio prima rispetto ai ricorrenti nel giudizio a quo, per i quali tali condizioni si sono verificate a partire dal 1° gennaio 2011. Come già affermato da questa Corte, ciò costituisce un elemento che di per sé può giustificare un diverso trattamento retributivo (sentenza n. 304 del 2013). In particolare, si è ritenuto che non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013).”
Con riguardo alla fattispecie in esame risulta altrettanto significativa la statuizione del Giudice delle leggi con cui si è disattesa l’asserita violazione dell’art. 36 Cost., poiché si è ribadito che, rispetto a tale parametro costituzionale, il giudizio sulla norma scrutinata “non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n. 304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994)”.
Deve infatti notarsi, sul punto, che la difesa dell’INPS ha sottolineato come il ricorrente – cui si applica, per il periodo gennaio-aprile 2012 la legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011) e, contestualmente, il peculiare meccanismo di supervalutazione dei periodi di anzianità maturati secondo il sistema contributivo (art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997) - ove conseguisse anche la valorizzazione a fini pensionistici della promozione alla qualifica di dirigente generale, otterrebbe un trattamento di quiescenza superiore ai colleghi di pari grado collocati in pensione con il sistema retributivo entro il 31/12/2011. In ciò emergendo l’effetto distorsivo, che conseguirebbe alla “forzatura ermeneutica” del dato normativo, in tal modo portato “fuori” dal sistema ordinamentale in cui è inserito.
Quanto sin qui osservato, infine, conduce questo Giudice a ritenere non percorribile la diversa interpretazione dell’art. 9, comma 21 del D.L. n. 78/2010, prospettata dal Giudice amministrativo in recenti sentenze – allegate dal ricorrente - secondo cui la promozione alla qualifica di dirigente generale di P.S. di cui all’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005 non rientra nel novero delle progressioni di carriera sottoposte al limite di efficacia ivi previsto, poiché discende direttamente dalla legge e non dalle ordinarie procedure amministrative di avanzamento professionale. Né persuade, ancorché si presenti suggestivo, l’ulteriore assunto per il quale il blocco di ogni effetto economico della promozione si tradurrebbe a carico dei soggetti interessati in un vincolo, non transeunte, ma permanente sul versante pensionistico.
Il tenore assolutamente generale della norma limitativa (i cui effetti sono stati estesi al 31/12/2014), la successiva abrogazione della promozione in questione dall’1/01/2015, la lettura sistematica e costituzionalmente conforme del quadro normativo offerta dal Giudice delle leggi, nonché gli effetti sostanzialmente distorsivi nei rapporti tra dipendenti di pari grado che deriverebbero dall’accoglimento di tale tesi ricostruttiva suffragano pienamente, infatti, il consolidamento dell’indirizzo negativo espresso dalla Sezione centrale II d’appello di questa Corte.
Da ultimo va sottolineato che anche presso il medesimo Giudice amministrativo sono state rese affermazioni di diverso segno, essendosi statuito che “una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore dei ricorrenti, i successivi effetti sulla quantificazione del trattamento pensionistico assumono carattere necessitato, costituendo la naturale conseguenza dell’applicazione delle particolari norme di favore di cui beneficia il personale diplomatico, per il quale la pensione e l’indennità di fine rapporto sono parametrate all’ultima retribuzione percepita al momento della cessazione dal servizio. Non viene in considerazione, in sostanza, l’introduzione di un blocco o di un prelievo su entrate previdenziali già percepite, rispetto alle quali si potrebbe astrattamente porre la questione della natura non transitoria del sacrificio imposto legislativamente al lavoratore in quiescenza, in termini simili a quelli paventati nelle difese formulate dai ricorrenti.” (TAR Lazio, sez. I, sent. n. 05672/2017).
Alla luce delle motivazioni esposte il ricorso va dunque respinto.
La complessità delle questioni trattate e l’evoluzione della pertinente giurisprudenza consentono di disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle pensioni, definitivamente pronunciando nei termini di cui in motivazione, respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Il Giudice
Cons. Giulia De Franciscis
f.to
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Trieste, 6 novembre 2018
Il Direttore della Segreteria
(Dott.ssa Anna De Angelis)
f.to
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- promozione conseguita alla qualifica superiore
- Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012
1) - In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
La CdC scrive:
2) - Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Cmq. leggete il tutto qui sotto.
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 94 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13970 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
R. C. , nato il omissis ad omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. R. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/05/2012 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
Lamenta al riguardo che, viceversa, l’INPS ha determinato l’importo della pensione spettantegli assumendo come parametro la qualifica di Dirigente superiore. In particolare, contesta che l’Amministrazione datrice di lavoro e, di conseguenza, l’ente previdenziale hanno riconosciuto al conseguimento della qualifica superiore esclusivamente effetti giuridici, asseritamente in applicazione della previsione dettata dall’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, secondo cui “….Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici” [norma i cui effetti sono stati prorogati al 31/12/2014 dall’art. 1 del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013].
Rispetto alla summenzionata disposizione il ricorrente richiama a sostegno delle proprie ragioni una recente pronuncia di questa Corte (Sez. giur. Sicilia n. 652/2016), nella quale si è affermato che i vincoli da essa posti sul piano retributivo non concernono, invece, il trattamento pensionistico per il quale dunque deve dispiegare i propri effetti la promozione conseguita alla qualifica superiore.
Chiamata la causa nella pubblica udienza del 13/06/2018, questo Giudice rilevava l’erroneità della notificazione del ricorso, non conforme alla previsione di cui all’art. 155 c.g.c. e disponeva, pertanto, con ordinanza a verbale il rinnovo della stessa, rinviando la trattazione del giudizio all’udienza del 17/10/2018.
Con memoria depositata in data 05/10/2018 si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo la reiezione del ricorso sulla base di un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo, pone in rilievo come la promozione conseguita dal ricorrente alla vigilia del pensionamento sia stata certamente assoggettata alla previsione limitativa di cui all’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010, producendo soltanto effetti giuridici, con la conseguenza che questi non ha mai concretamente percepito la maggior retribuzione prevista per la qualifica di Dirigente generale e, quindi, non ricorrono i presupposti di cui all’art. 53 del T.U. n. 1092/1973 per valorizzare il più alto grado in termini economici nel calcolo della pensione.
Secondariamente segnala che, a fronte del precedente di questa Corte citato dal ricorrente, si registrano decisioni più recenti di segno contrario sia in primo grado che in Appello: in particolare richiama la sentenza della Sezione II centrale d’Appello n. 409/2018, nella quale si è affermato appunto che la progressione di carriera in questione rientra in quelle sottoposte alla limitazione dell’efficacia ai soli fini giuridici.
In fine, l’Istituto previdenziale evidenzia come – sul piano strettamente economico – il riconoscimento della pretesa attorea comporterebbe l’attribuzione di un trattamento pensionistico superiore a quello di colleghi di pari grado, collocati in quiescenza con il sistema retributivo fino al 31/12/2011: per effetto della legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011), infatti, il sig. R. ha conseguito una terza quota di pensione, calcolata con il metodo contributivo, con riferimento al periodo gennaio-aprile 2012, la quale è altresì soggetta alla consistente rivalutazione prevista dall’art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997 (“Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell'ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l'incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione.
Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato.”).
Chiamata la causa nella pubblica udienza odierna, l’avv. Barca ha confermato le ragioni per l’accoglimento dell’impugnativa, a sostegno delle quali ha riportato due recenti pronunce favorevoli del Tribunale amministrativo del Lazio, che hanno riconosciuto la spettanza del trattamento retributivo commisurato alla qualifica di Direttore generale, giudicando esclusa la tipologia di promozione in discussione (di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005) dalla limitazione degli effetti ai soli fini giuridici, in quanto direttamente disposta dalla legge. L’avv. Iero, nell’interesse dell’INPS, pur prendendo atto di tali pronunce, ha ribadito la rilevanza nel caso in esame del diverso orientamento determinatosi presso il giudice contabile.
L’avv. Barca è stato autorizzato al deposito in udienza delle citate sentenze (TAR Lazio, sez. I ter, n. 02024/2017; TAR Lazio, sez. I quater, n. 09440/2018).
Considerato in
DIRITTO
Il ricorso non può essere accolto, alla luce della normativa applicabile al caso e della interpretazione della stessa offerta nella più recente giurisprudenza di questa Corte.
In primo luogo, giova richiamare il testo della previsione su cui si basa l’impugnativa, ovverosia l’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005, a norma del quale “In conseguenza di quanto previsto dal comma 259, a decorrere dal 1° gennaio 2006, sono attribuiti: a) ai dirigenti generali di pubblica sicurezza con almeno quattro anni nella qualifica al momento della cessazione dal servizio, il trattamento di quiescenza, normale e privilegiato, e l'indennità di buonuscita spettanti ai dirigenti generali di pubblica sicurezza di livello B, con analoga anzianità di servizio; b) ai dirigenti superiori della Polizia di Stato con almeno cinque anni di anzianità nella qualifica, la promozione alla qualifica di dirigente generale di pubblica sicurezza, a decorrere dal giorno precedente la cessazione dal servizio.”
Rispetto alla formulazione del testo può notarsi come, mentre nella lettera a) il legislatore ha stabilito espressamente un’equiparazione piena del trattamento di quiescenza e di fine servizio dei dirigenti generali di P.S. con almeno quattro di anzianità nella qualifica con quello dei dirigenti generali di livello B; invece, nella lettera b), per i dirigenti superiori con almeno cinque di anzianità, ha introdotto soltanto una progressione di qualifica alla vigilia del pensionamento.
Lo specifico tenore di tale seconda previsione va posto necessariamente in correlazione con le norme successivamente adottate dal legislatore medesimo per il contenimento della spesa pubblica e, in particolare, con l’art. 9, comma 21, D.L. n. 78/2010, conv. con L. n. 121/2010 secondo cui “I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi.. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici.”
Questa disposizione, infatti, si presenta chiaramente finalizzata ad impedire nel triennio 2011-2013 l’operatività economica dei principali strumenti di incremento delle retribuzioni del personale non contrattualizzato (art. 3, D.lgs. n. 165/2001): “meccanismi di adeguamento”, “progressioni automatiche degli stipendi”, “progressioni di carriera comunque denominate”. [detta ratio legis è esplicitata altresì nel precedente comma 1 della norma: “Per gli anni 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio, previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell'articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010, al netto degli effetti derivanti da eventi straordinari della dinamica retributiva, ivi incluse le variazioni dipendenti da eventuali arretrati, conseguimento di funzioni diverse in corso d'anno, fermo in ogni caso quanto previsto dal comma 21, terzo e quarto periodo, per le progressioni di carriera comunque denominate, maternità, malattia, missioni svolte all'estero, effettiva presenza in servizio, fatto salvo quanto previsto dal comma 17, secondo periodo, e dall'articolo 8, comma 14”.]
Con riguardo al caso in esame va posto l’accento sul carattere onnicomprensivo del riferimento alle progressioni di carriera, che non si reputa lasci spazio ad alcuna diversificazione di interpretazione in ragione della natura delle medesime: ciò in particolare nel senso che risultano assoggettate al limite di efficacia tutte le forme di progressione, siano esse disposte dalle amministrazioni secondo le rispettive procedure, ovvero discendano direttamente da previsioni di legge. L’espressione “comunque denominate”, infatti, ha un significato obiettivamente volto a riguardare ogni possibile meccanismo di avanzamento, al fine di sterilizzarne gli effetti economici.
Va ricordato, inoltre, che tale misura di contenimento della spesa è stata prorogata al 31/12/2014 con l’art. 1, lett. a) del D.P.R. n. 122 del 4/09/2013 (“1. In attuazione a quanto previsto dall'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111: a) le disposizioni recate dall'articolo 9, commi 1, 2 nella parte vigente, 2-bis e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, sono prorogate fino al 31 dicembre 2014.”). Va sottolineato, infine, che il beneficio in discussione della promozione alla vigilia del collocamento in quiescenza è stato definitivamente abrogato, a decorrere dall’1/01/2015, con l’art. 1, comma 258, della L. 23/12/2014 n. 190, (“Sono abrogati gli articoli 1076, 1077, 1082 e 1083 del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e successive modificazioni, e l'articolo 1, comma 260, della legge 23 dicembre 2005, n. 266”).
Le osservazioni che precedono portano questo Giudice a ritenere che la previsione di cui ha beneficiato il ricorrente sia foriera esclusivamente di effetti giuridici ed in tal senso si è correttamente orientata l’amministrazione dell’interno, che non ha corrisposto al ricorrente alcun emolumento riconducibile alla qualifica di dirigente generale: da ciò consegue, altrettanto fisiologicamente, che nessuna valorizzazione di tale maggior qualifica può essere disposta a fini pensionistici, imponendosi il rispetto del principio generale posto nell’art. 53 del D.P.R. n. 1092/1973, per il quale “Ai fini della determinazione della misura del trattamento di quiescenza del personale militare, escluso quello indicato nell'articolo 54, penultimo comma, la base pensionabile, costituita dall'ultimo stipendio o dall'ultima paga e dagli assegni o indennità pensionabili sottoindicati, integralmente percepiti, è aumentata del 18 per cento….”.
Nei descritti termini non può, dunque, essere condivisa la lettura della normativa offerta nel precedente di questa Corte del 2016, richiamato da parte attrice, secondo cui – viceversa - la limitazione ai soli effetti giuridici della progressione di carriera in esame non opererebbe sul piano pensionistico, poiché induce in via interpretativa una cesura, non ammissibile, tra emolumenti percepiti in servizio e base pensionabile, consentendo di valorizzare nella seconda un trattamento retributivo mai effettivamente conseguito. Sul punto deve piuttosto ribadirsi – riprendendo le affermazioni rese dalla Sezione II centrale d’Appello nella sentenza n. 409/2018 – come i commi 1 e 21 del citato art. 9 del D.L. n. 78/2010 <<..debbano essere letti ed interpretati in chiave sistematica, avuto riguardo alla ratio complessiva della norma quale esplicitata più volte dalla Corte Costituzionale, …. (v. sentt. C. Cost. 304 e 310/2013, 154/2014). Ed invero, il legislatore ha inteso conseguire un risparmio della spesa in materia di pubblico impiego, congelando “il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio” da erogarsi nel triennio 2011-2013 (poi esteso a tutto il 2014), nell’importo pari a quello “ordinariamente spettante per il 2010”, importo che non avrebbe potuto “in ogni caso” essere superato (v. art. 9 comma 1). La “cristallizzazione” così operata al 2010, è stata evidentemente concepita come omnicomprensiva, investendo il trattamento economico dei dipendenti pubblici complessivamente considerato, vale a dire nelle sue componenti principali ed accessorie.>> Da tale opzione ermeneutica consegue, invero, il riconoscimento che <<la promozione al grado superiore rientri, inequivocabilmente tra “le progressioni di carriera” che ai sensi del citato comma 21 “hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”. Ciò stante, il suddetto avanzamento di grado, riconosciuto a detti fini, non può produrre alcun effetto economico sicché il relativo parametro stipendiale non spetta perché espressamente vietato dalla citata disposizione normativa.>>
L’interpretazione prospettata dal Giudice di secondo grado (cfr. in termini, Sez. giur. Toscana, sent. n. 133/2018) va condivisa anche sotto il profilo della rispondenza ai principi reiteratamente declinati dalla Corte Costituzionali in tema di ammissibilità di trattamenti retributivi/previdenziali differenziati, laddove legati a non irrazionali scelte legislative di necessario contenimento della spesa pubblica. In particolare, sull’art. 1, commi 9 e 21, il Giudice delle leggi ha reso più di una pronuncia, sempre riconoscendo il non irragionevole esercizio della discrezionalità da parte del legislatore [cfr. sentenza n. 304/2013, in cui si è affermato che “la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)”].
Peraltro, risulta di precipuo rilievo in relazione alla questione della disparità di trattamento dei dipendenti soggetti al blocco dei miglioramenti retributivi rispetto ai colleghi esenti, l’ultima pronuncia resa dalla Corte in questa materia (sent. n. 154/2014): ivi si afferma che “Con specifico riferimento alla disparità di trattamento con i colleghi che hanno raggiunto il grado superiore o maturato l’anzianità prima del 2011, viene in rilievo uno degli elementi cui è connessa la disciplina economica del rapporto. Infatti coloro che si sono visti riconoscere il migliore trattamento retributivo hanno raggiunto il grado superiore o maturato la maggiore anzianità di servizio prima rispetto ai ricorrenti nel giudizio a quo, per i quali tali condizioni si sono verificate a partire dal 1° gennaio 2011. Come già affermato da questa Corte, ciò costituisce un elemento che di per sé può giustificare un diverso trattamento retributivo (sentenza n. 304 del 2013). In particolare, si è ritenuto che non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013).”
Con riguardo alla fattispecie in esame risulta altrettanto significativa la statuizione del Giudice delle leggi con cui si è disattesa l’asserita violazione dell’art. 36 Cost., poiché si è ribadito che, rispetto a tale parametro costituzionale, il giudizio sulla norma scrutinata “non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n. 304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994)”.
Deve infatti notarsi, sul punto, che la difesa dell’INPS ha sottolineato come il ricorrente – cui si applica, per il periodo gennaio-aprile 2012 la legge Fornero (art. 24, comma 2, D.L. n. 201/2011, convertito con L. n. 214/2011) e, contestualmente, il peculiare meccanismo di supervalutazione dei periodi di anzianità maturati secondo il sistema contributivo (art. 3, comma 7, D.lgs. n. 165/1997) - ove conseguisse anche la valorizzazione a fini pensionistici della promozione alla qualifica di dirigente generale, otterrebbe un trattamento di quiescenza superiore ai colleghi di pari grado collocati in pensione con il sistema retributivo entro il 31/12/2011. In ciò emergendo l’effetto distorsivo, che conseguirebbe alla “forzatura ermeneutica” del dato normativo, in tal modo portato “fuori” dal sistema ordinamentale in cui è inserito.
Quanto sin qui osservato, infine, conduce questo Giudice a ritenere non percorribile la diversa interpretazione dell’art. 9, comma 21 del D.L. n. 78/2010, prospettata dal Giudice amministrativo in recenti sentenze – allegate dal ricorrente - secondo cui la promozione alla qualifica di dirigente generale di P.S. di cui all’art. 1, comma 260 della L. n. 266/2005 non rientra nel novero delle progressioni di carriera sottoposte al limite di efficacia ivi previsto, poiché discende direttamente dalla legge e non dalle ordinarie procedure amministrative di avanzamento professionale. Né persuade, ancorché si presenti suggestivo, l’ulteriore assunto per il quale il blocco di ogni effetto economico della promozione si tradurrebbe a carico dei soggetti interessati in un vincolo, non transeunte, ma permanente sul versante pensionistico.
Il tenore assolutamente generale della norma limitativa (i cui effetti sono stati estesi al 31/12/2014), la successiva abrogazione della promozione in questione dall’1/01/2015, la lettura sistematica e costituzionalmente conforme del quadro normativo offerta dal Giudice delle leggi, nonché gli effetti sostanzialmente distorsivi nei rapporti tra dipendenti di pari grado che deriverebbero dall’accoglimento di tale tesi ricostruttiva suffragano pienamente, infatti, il consolidamento dell’indirizzo negativo espresso dalla Sezione centrale II d’appello di questa Corte.
Da ultimo va sottolineato che anche presso il medesimo Giudice amministrativo sono state rese affermazioni di diverso segno, essendosi statuito che “una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore dei ricorrenti, i successivi effetti sulla quantificazione del trattamento pensionistico assumono carattere necessitato, costituendo la naturale conseguenza dell’applicazione delle particolari norme di favore di cui beneficia il personale diplomatico, per il quale la pensione e l’indennità di fine rapporto sono parametrate all’ultima retribuzione percepita al momento della cessazione dal servizio. Non viene in considerazione, in sostanza, l’introduzione di un blocco o di un prelievo su entrate previdenziali già percepite, rispetto alle quali si potrebbe astrattamente porre la questione della natura non transitoria del sacrificio imposto legislativamente al lavoratore in quiescenza, in termini simili a quelli paventati nelle difese formulate dai ricorrenti.” (TAR Lazio, sez. I, sent. n. 05672/2017).
Alla luce delle motivazioni esposte il ricorso va dunque respinto.
La complessità delle questioni trattate e l’evoluzione della pertinente giurisprudenza consentono di disporre l’integrale compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, in composizione monocratica di Giudice Unico delle pensioni, definitivamente pronunciando nei termini di cui in motivazione, respinge il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Il Giudice
Cons. Giulia De Franciscis
f.to
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Trieste, 6 novembre 2018
Il Direttore della Segreteria
(Dott.ssa Anna De Angelis)
f.to
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
Anche le qui sotto indicate sentenze sono NEGATIVE come sopra
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 93 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13969 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
D. B., nato l’omissis a omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. D. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/06/2012 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
OMISSIS come la precedente sentenza
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 92 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13967 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
T. A., nato il omissis a omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. T. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/11/2014 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
OMISSIS come la precedente sentenza
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 93 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13969 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
D. B., nato l’omissis a omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. D. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/06/2012 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
OMISSIS come la precedente sentenza
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Sezione FRIULI VENEZIA GIULIA Esito SENTENZA Materia PENSIONI Anno 2018 Numero 92 Pubblicazione 06/11/2018
REPUBBLICA ITALIANA
La Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia
Il Giudice Unico delle Pensioni
Cons. Giulia De Franciscis
SENTENZA
sul ricorso in materia pensionistica, iscritto al n. 13967 del registro di segreteria e depositato in data 22/03/2018, promosso da
T. A., nato il omissis a omissis (C.F. omissis), rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Barca, presso il cui studio, in Roma, via Italo Panattoni n. 4, è elettivamente domiciliato (PEC: mauriziobarca@ordineavvocatiroma.org );
contro
INPS, gestione ex INPDAP sede di Roma, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato presso l’Ufficio legale della Direzione provinciale INPS di Trieste, in Via S. Anastasio, n. 5.
Esaminati gli atti e documenti del fascicolo processuale.
Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2018, l’avv. Maurizio Barca per il ricorrente e l’avv. Luca Iero in rappresentanza dell’INPS.
Ritenuto in
FATTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. T. – Dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza dall’1/11/2014 – chiede venga affermato il suo diritto alla riliquidazione della pensione mediante riconoscimento dei benefici connessi all’avvenuto conseguimento della qualifica superiore nel giorno antecedente la cessazione dal servizio, in ossequio alla previsione di cui all’art. 1, comma 260 della legge n. 266/2005. Ciò con attribuzione altresì dei pertinenti accessori di legge.
OMISSIS come la precedente sentenza
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
Ricorso al TAR perso
riguarda fatti durante il blocco stipendiale 2011 - 2014
-
1) - effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.
2) - a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;
3) - a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.
IL TAR scrive:
4) - Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA sede di REGGIO CALABRIA, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201900295 ,
Pubblicato il 29/04/2019
N. 00295/2019 REG. PROV. COLL.
N. 00634/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 634 del 2017, proposto da
Michele C.., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonella Lupis, con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via S. Anna, 49/G;
contro
il Comando Generale Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;
per il riconoscimento
degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato in data 19 ottobre 2017 e depositato il 6 novembre 2017 il ricorrente ha agito per il “riconoscimento e conseguimento degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione prot. N. 0165627/2016 del 24.5.2016, alla qualifica di Luogotenente con decorrenza 18.5.2014 emesso dal Comando Generale della Guardia di Finanza”.
1.1. Rappresenta, al riguardo:
- che a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;
- che con il decreto di promozione sopra richiamato, il Comando Generale lo ha promosso al grado di Luogotenente con decorrenza dal giorno precedente al suo collocamento a riposo;
- che, tuttavia, a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.
1.2. Ritenendo tale trattamento illegittimo e discriminatorio rispetto ai benefici economici riconosciuti al personale rimasto in servizio, il ricorrente ha formalmente chiesto al proprio Comando che gli venissero riconosciuti gli effetti economici della promozione con decorrenza dalla cessazione del c.d. “blocco stipendiale”.
1.3. Il Comando, tuttavia, con le note del 7 ottobre 2016 e del 14 luglio 2017 ha rigettato la sua richiesta, rilevando, nel contempo, la sussistenza di una incertezza interpretativa per il personale collocato in congedo nel periodo interessato dal “blocco stipendiale”.
1.4. Il ricorrente lamenta, pertanto, la illegittimità del mancato riconoscimento dei benefici economici connessi al decreto di promozione per violazione di legge e dei principi costituzionali.
Deduce che alla promozione di cui ha beneficiato per aver maturato il termine decennale di anzianità nel grado non può essere applicato il blocco stipendiale di cui all’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010 che, invece, fa riferimento alla “progressione in carriera” che, secondo la sua prospettazione, configurerebbe una ben diversa condizione.
L’art. 9 della citata normativa richiama il caso della progressione riconosciuta durante il servizio, mentre, nel caso di specie, la promozione gli sarebbe stata riconosciuta quando era già stato collocato in pensione e con effetto retroattivo risalente al giorno prima del congedo.
Rileva, altresì, che l’art. 9 d.l. n. 78/2010 non si applica ad alcune categorie espressamente menzionate, fra cui il personale militare e delle Forze di polizia di Stato a cui appartiene la Guardia di Finanza.
2. In data 5 dicembre 2017 si è costituito il Ministero dell'Economia e delle Finanze che, con memoria depositata il 30 gennaio 2019 ha eccepito l’irricevibilità del ricorso avente ad oggetto un provvedimento meramente confermativo del precedente diniego del 2016.
Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso rilevandone l’infondatezza ed osservando, a tal fine, come la ratio dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 consista nel raggiungimento di evidenti obiettivi di contenimento della spesa che, in quanto tali, sono derogabili solo in presenza di espressa previsione normativa, allo stato non emanata.
Difatti, il legislatore, nel sancire che le progressioni di carriera comunque denominate disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 (nonché nel 2014) hanno effetto, per i predetti anni, esclusivamente ai fini giuridici, non ha previsto espressamente alcuna eccezione.
3. Con successiva memoria depositata il 2 febbraio 2019 parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso e con memoria di replica depositata il 12 febbraio 2019 – dopo aver precisato che per mero errore nel ricorso introduttivo è stata richiamata la legge n. 266/2005 in luogo del D.lgs. n. 66/2010 ai sensi del quale ha ottenuto la promozione - ha contestato l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’Avvocatura rilevando che oggetto del giudizio è la tutela di diritti soggettivi e non di interessi legittimi connessi ad un atto amministrativo, con conseguente assoggettamento dell’azione ai termini di prescrizione e non di decadenza.
4. All’udienza pubblica del 6 marzo 2019 la causa è stata posta in decisione.
5. Il Collegio ritiene preliminarmente di dover disattendere l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente, atteso che la domanda di riconoscimento degli effetti economici del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente costituisce tipica azione di accertamento nell'ambito della giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, per cui la proposizione del relativo ricorso non è soggetta al termine decadenziale bensì al termine di prescrizione quinquennale.
Non rileva, pertanto, che la nota del 14 luglio 2017 con cui è stata rigettata l’istanza sia meramente reiterativa di una precedente nota del 7 ottobre 2016, atteso che il ricorso, notificato in data 19 ottobre 2017, risulta ritualmente proposto entro il suddetto termine di prescrizione, decorrente dalla adozione del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente (24 maggio 2016).
6. Passando, dunque, al merito del ricorso, appare utile ricostruire sinteticamente il quadro normativo sotteso alla pretesa avanzata dalla parte ricorrente.
6.1. Ai sensi dell’articolo 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010,
“I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.
Il richiamato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 prevede, a sua volta: “In deroga all'art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Il ricorrente ha, inoltre, rappresentato (pur non avendolo documentato, non risultando agli atti del giudizio – nonostante sia indicato nell’indice dei documenti prodotti - il decreto di promozione prot. n. 0165627/2016 del 24.5.2016) di aver ottenuto la superiore qualifica di Luogotenente ai sensi dell’art. 1077 del D.lgs. n. 66/2010 (abrogato dall’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014).
6.2. Dal dato letterale delle norme di riferimento emerge, dunque che:
6.2.1. Nel novero del personale cui il “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 è applicabile, sono espressamente ricompresi tanto il personale militare quanto il personale delle Forze di polizia di Stato al quale è certamente riconducibile, in quanto maresciallo della Guardia di Finanza, anche l’odierno ricorrente. Va osservato, altresì che, in virtù del richiamo contenuto nella seconda parte della norma in esame, anche per il personale contrattualizzato “le progressioni di carriera comunque denominate” hanno avuto effetto, nel quadriennio compreso tra il 2011 ed il 2014, solo ai fini giuridici.
In merito a tale aspetto, la Corte Costituzionale ha chiarito che “non vi è dubbio che la norma censurata trovi applicazione in tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina” (Corte Cost. 12 dicembre 2013, n. 304).
Con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018, la Corte ha ulteriormente precisato che “il successivo quarto periodo del censurato comma 21 dell'art. 9 citato pone la stessa regola limitativa anche per le medesime «progressioni di carriera comunque denominate» conseguite in tale periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione di carriera.
La normativa del blocco stipendiale riguarda quindi, all'evidenza, tutto il pubblico impiego, sia quello non contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla Corte dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perché la regola limitativa che il giudice rimettente censura è la stessa”.
Il rilievo secondo il quale il blocco stipendiale di cui al d.l. 78/2010 non si applicherebbe alla Guardia di Finanza è, pertanto, infondato.
6.2.2. Il blocco stipendiale per gli anni 2011, 2012 e 2013 (e, in virtù della proroga disposta con la legge n. 190/2014, anche per il 2014) riguarda “le progressioni di carriera comunque denominate” che, ove disposte nei suddetti anni, hanno effetto “ai fini esclusivamente giuridici”.
La Corte Costituzionale ha rilevato che “l'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate», fa riferimento a tutti i tipi di avanzamento di carriera, ricomprendendo anche quelli che presuppongono l'esercizio di una elevata discrezionalità nella scelta tra i candidati provenienti dai gradi inferiori, che, però, non può estendersi fino a comprendere funzionari che abbiano un'anzianità nel grado di provenienza inferiore ai minimi legislativamente previsti o a persone estranee alla carriera stessa” (sentenza n. 304/2013).
Alla luce del sopra riportato quadro normativo, così come interpretato dalla Corte Costituzionale, è, pertanto, parimenti infondato e deve essere disatteso, il rilievo secondo il quale la promozione di cui ha beneficiato il ricorrente non rientrerebbe tra le “progressioni di carriera comunque denominate” cui fa riferimento l’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010.
6.3. Né ad una diversa lettura della disposizione può addivenirsi considerando che per il ricorrente, collocato a riposo il 19 maggio 2014 e promosso, con provvedimento del 24 maggio 2016, alla qualifica di luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014, gli effetti del blocco stipendiale finirebbero per essere definitivi.
6.3.1. In merito a tale aspetto e, in particolare, all’incidenza del blocco stipendiale sulla condizione dei dipendenti collocati a riposo proprio negli anni cui fa riferimento la norma (2011-2014), è da ultimo intervenuta la Corte Costituzionale che, con la citata sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma 1, lett. b), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell'arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso, poiché, una volta sterilizzati ex lege gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.”
6.3.2. La Corte Costituzionale ha così chiarito:
“Il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo.
Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quadriennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia dal comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» (e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012)” (sentenza n. 200/2018).
6.3.3. Ciò comporta che una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore del ricorrente, i successivi effetti sulla quantificazione del TFS assumono carattere necessitato.
6.4. In merito alla definitività degli effetti del blocco stipendiale nei confronti dei dipendenti pubblici, come il ricorrente, promossi e collocati a riposo nel quadriennio di riferimento, la Corte Costituzionale ha, altresì, chiarito “che il "fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile - calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento.
Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.
Parimenti, una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera - senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo” (sentenza n. 200/2018).
6.5. La Corte ha ancora precisato come il rilievo circa l’eccessivo rigore della norma a carico del dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio, che finirebbe per subirne gli effetti a tempo indeterminato, “avrebbe una sua plausibilità solo se la regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera” (sentenza n. 200/2018).
La natura tributaria della disposizione è stata, tuttavia, ripetutamente esclusa dai giudici costituzionali (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013) che hanno puntualizzato come “La regola dell'iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione di carriera (o di passaggio a un'area superiore) - ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente "promosso", privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita - vale a definire la retribuzione d'ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già a una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della "promozione"; regola questa che è sì di rigore, ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto di impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente "promosso", la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo” (sentenza n. 200/2018).
7. Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
Tali conclusioni, peraltro, non appaiono in linea con l’interpretazione del d.l. n. 78/2010 fatta propria dalla Corte Costituzionale che, come rilevato al § 6.2.2., ha ribadito (da ultimo con sentenza n. 200/2018), l’applicabilità a tutti i tipi di avanzamento di carriera della locuzione «progressioni di carriera comunque denominate».
8. Alla luce di quanto complessivamente suesposto, il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere respinto.
9. Le spese di lite, attesa la particolare natura della vicenda contenziosa e gli interessi ad essa sottostanti, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Agata Gabriella Caudullo, Referendario, Estensore
Andrea De Col, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Agata Gabriella Caudullo Caterina Criscenti
IL SEGRETARIO
riguarda fatti durante il blocco stipendiale 2011 - 2014
-
1) - effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.
2) - a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;
3) - a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.
IL TAR scrive:
4) - Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA sede di REGGIO CALABRIA, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201900295 ,
Pubblicato il 29/04/2019
N. 00295/2019 REG. PROV. COLL.
N. 00634/2017 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 634 del 2017, proposto da
Michele C.., rappresentato e difeso dall'avvocato Antonella Lupis, con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via S. Anna, 49/G;
contro
il Comando Generale Guardia di Finanza, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito in giudizio;
il Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Reggio Calabria, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;
per il riconoscimento
degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2019 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato in data 19 ottobre 2017 e depositato il 6 novembre 2017 il ricorrente ha agito per il “riconoscimento e conseguimento degli effetti giuridici ed economici derivanti dal decreto di promozione prot. N. 0165627/2016 del 24.5.2016, alla qualifica di Luogotenente con decorrenza 18.5.2014 emesso dal Comando Generale della Guardia di Finanza”.
1.1. Rappresenta, al riguardo:
- che a causa di inabilità assoluta, in data 19.5.2014, è stato collocato a riposo ai sensi della legge 335/95;
- che con il decreto di promozione sopra richiamato, il Comando Generale lo ha promosso al grado di Luogotenente con decorrenza dal giorno precedente al suo collocamento a riposo;
- che, tuttavia, a causa del c.d. “blocco stipendiale” previsto dal d.l. n. 78/2010, non gli è stato riconosciuto l’effetto economico della promozione ed ha, pertanto, percepito il TFS non con il grado di Luogotenente, bensì con il grado inferiore.
1.2. Ritenendo tale trattamento illegittimo e discriminatorio rispetto ai benefici economici riconosciuti al personale rimasto in servizio, il ricorrente ha formalmente chiesto al proprio Comando che gli venissero riconosciuti gli effetti economici della promozione con decorrenza dalla cessazione del c.d. “blocco stipendiale”.
1.3. Il Comando, tuttavia, con le note del 7 ottobre 2016 e del 14 luglio 2017 ha rigettato la sua richiesta, rilevando, nel contempo, la sussistenza di una incertezza interpretativa per il personale collocato in congedo nel periodo interessato dal “blocco stipendiale”.
1.4. Il ricorrente lamenta, pertanto, la illegittimità del mancato riconoscimento dei benefici economici connessi al decreto di promozione per violazione di legge e dei principi costituzionali.
Deduce che alla promozione di cui ha beneficiato per aver maturato il termine decennale di anzianità nel grado non può essere applicato il blocco stipendiale di cui all’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010 che, invece, fa riferimento alla “progressione in carriera” che, secondo la sua prospettazione, configurerebbe una ben diversa condizione.
L’art. 9 della citata normativa richiama il caso della progressione riconosciuta durante il servizio, mentre, nel caso di specie, la promozione gli sarebbe stata riconosciuta quando era già stato collocato in pensione e con effetto retroattivo risalente al giorno prima del congedo.
Rileva, altresì, che l’art. 9 d.l. n. 78/2010 non si applica ad alcune categorie espressamente menzionate, fra cui il personale militare e delle Forze di polizia di Stato a cui appartiene la Guardia di Finanza.
2. In data 5 dicembre 2017 si è costituito il Ministero dell'Economia e delle Finanze che, con memoria depositata il 30 gennaio 2019 ha eccepito l’irricevibilità del ricorso avente ad oggetto un provvedimento meramente confermativo del precedente diniego del 2016.
Nel merito ha chiesto il rigetto del ricorso rilevandone l’infondatezza ed osservando, a tal fine, come la ratio dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 consista nel raggiungimento di evidenti obiettivi di contenimento della spesa che, in quanto tali, sono derogabili solo in presenza di espressa previsione normativa, allo stato non emanata.
Difatti, il legislatore, nel sancire che le progressioni di carriera comunque denominate disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 (nonché nel 2014) hanno effetto, per i predetti anni, esclusivamente ai fini giuridici, non ha previsto espressamente alcuna eccezione.
3. Con successiva memoria depositata il 2 febbraio 2019 parte ricorrente ha insistito per l’accoglimento del ricorso e con memoria di replica depositata il 12 febbraio 2019 – dopo aver precisato che per mero errore nel ricorso introduttivo è stata richiamata la legge n. 266/2005 in luogo del D.lgs. n. 66/2010 ai sensi del quale ha ottenuto la promozione - ha contestato l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’Avvocatura rilevando che oggetto del giudizio è la tutela di diritti soggettivi e non di interessi legittimi connessi ad un atto amministrativo, con conseguente assoggettamento dell’azione ai termini di prescrizione e non di decadenza.
4. All’udienza pubblica del 6 marzo 2019 la causa è stata posta in decisione.
5. Il Collegio ritiene preliminarmente di dover disattendere l’eccezione di irricevibilità del ricorso sollevata dall’Amministrazione resistente, atteso che la domanda di riconoscimento degli effetti economici del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente costituisce tipica azione di accertamento nell'ambito della giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, per cui la proposizione del relativo ricorso non è soggetta al termine decadenziale bensì al termine di prescrizione quinquennale.
Non rileva, pertanto, che la nota del 14 luglio 2017 con cui è stata rigettata l’istanza sia meramente reiterativa di una precedente nota del 7 ottobre 2016, atteso che il ricorso, notificato in data 19 ottobre 2017, risulta ritualmente proposto entro il suddetto termine di prescrizione, decorrente dalla adozione del decreto di promozione alla qualifica di Luogotenente (24 maggio 2016).
6. Passando, dunque, al merito del ricorso, appare utile ricostruire sinteticamente il quadro normativo sotteso alla pretesa avanzata dalla parte ricorrente.
6.1. Ai sensi dell’articolo 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010,
“I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate ed i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”.
Il richiamato art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 prevede, a sua volta: “In deroga all'art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall'articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287”.
Il ricorrente ha, inoltre, rappresentato (pur non avendolo documentato, non risultando agli atti del giudizio – nonostante sia indicato nell’indice dei documenti prodotti - il decreto di promozione prot. n. 0165627/2016 del 24.5.2016) di aver ottenuto la superiore qualifica di Luogotenente ai sensi dell’art. 1077 del D.lgs. n. 66/2010 (abrogato dall’art. 1, comma 258, della legge n. 190/2014).
6.2. Dal dato letterale delle norme di riferimento emerge, dunque che:
6.2.1. Nel novero del personale cui il “blocco stipendiale” di cui all’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010 è applicabile, sono espressamente ricompresi tanto il personale militare quanto il personale delle Forze di polizia di Stato al quale è certamente riconducibile, in quanto maresciallo della Guardia di Finanza, anche l’odierno ricorrente. Va osservato, altresì che, in virtù del richiamo contenuto nella seconda parte della norma in esame, anche per il personale contrattualizzato “le progressioni di carriera comunque denominate” hanno avuto effetto, nel quadriennio compreso tra il 2011 ed il 2014, solo ai fini giuridici.
In merito a tale aspetto, la Corte Costituzionale ha chiarito che “non vi è dubbio che la norma censurata trovi applicazione in tutti i rapporti d'impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina” (Corte Cost. 12 dicembre 2013, n. 304).
Con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018, la Corte ha ulteriormente precisato che “il successivo quarto periodo del censurato comma 21 dell'art. 9 citato pone la stessa regola limitativa anche per le medesime «progressioni di carriera comunque denominate» conseguite in tale periodo dal personale contrattualizzato, a esse, inoltre, parificando i «passaggi tra le aree» che costituiscono parimenti una progressione di carriera.
La normativa del blocco stipendiale riguarda quindi, all'evidenza, tutto il pubblico impiego, sia quello non contrattualizzato preso specificamente in considerazione dalla Corte dei conti rimettente, sia quello contrattualizzato, perché la regola limitativa che il giudice rimettente censura è la stessa”.
Il rilievo secondo il quale il blocco stipendiale di cui al d.l. 78/2010 non si applicherebbe alla Guardia di Finanza è, pertanto, infondato.
6.2.2. Il blocco stipendiale per gli anni 2011, 2012 e 2013 (e, in virtù della proroga disposta con la legge n. 190/2014, anche per il 2014) riguarda “le progressioni di carriera comunque denominate” che, ove disposte nei suddetti anni, hanno effetto “ai fini esclusivamente giuridici”.
La Corte Costituzionale ha rilevato che “l'art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, con la locuzione «progressioni di carriera comunque denominate», fa riferimento a tutti i tipi di avanzamento di carriera, ricomprendendo anche quelli che presuppongono l'esercizio di una elevata discrezionalità nella scelta tra i candidati provenienti dai gradi inferiori, che, però, non può estendersi fino a comprendere funzionari che abbiano un'anzianità nel grado di provenienza inferiore ai minimi legislativamente previsti o a persone estranee alla carriera stessa” (sentenza n. 304/2013).
Alla luce del sopra riportato quadro normativo, così come interpretato dalla Corte Costituzionale, è, pertanto, parimenti infondato e deve essere disatteso, il rilievo secondo il quale la promozione di cui ha beneficiato il ricorrente non rientrerebbe tra le “progressioni di carriera comunque denominate” cui fa riferimento l’articolo 9, comma 21, del d.l. 78/2010.
6.3. Né ad una diversa lettura della disposizione può addivenirsi considerando che per il ricorrente, collocato a riposo il 19 maggio 2014 e promosso, con provvedimento del 24 maggio 2016, alla qualifica di luogotenente con decorrenza dal 18 maggio 2014, gli effetti del blocco stipendiale finirebbero per essere definitivi.
6.3.1. In merito a tale aspetto e, in particolare, all’incidenza del blocco stipendiale sulla condizione dei dipendenti collocati a riposo proprio negli anni cui fa riferimento la norma (2011-2014), è da ultimo intervenuta la Corte Costituzionale che, con la citata sentenza n. 200/2018, ha dichiarato non fondata “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma 21, terzo periodo, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, in L. 30 luglio 2010, n. 122, e dell'art. 16, comma 1, lett. b), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in L. 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lett. a), primo periodo, del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, per violazione dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non è prevista, in favore dei dipendenti pubblici, cessati dal servizio nell'arco temporale della cristallizzazione degli incrementi retributivi, la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso, poiché, una volta sterilizzati ex lege gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.”
6.3.2. La Corte Costituzionale ha così chiarito:
“Il contenimento della retribuzione nel quadriennio suddetto ha comportato, come conseguenza, che la retribuzione calcolata con il criterio limitativo in questione è stata anche la base di calcolo della contribuzione previdenziale ed è quella rilevante al fine della quantificazione del trattamento pensionistico, sia nel generalizzato sistema contributivo, sia in quello residuale ancora retributivo.
Il differenziale tra la retribuzione percepita (perché "spettante" in ragione del criterio limitativo suddetto) e quella che altrimenti sarebbe stata percepita dal pubblico dipendente, ove tale criterio non fosse stato applicabile, rappresenta una quota di retribuzione virtuale non rilevante ai fini pensionistici, perché non spettante né percepita. Manca una disposizione che deroghi a tale effetto naturale della limitazione legale della retribuzione spettante nel quadriennio in questione, a differenza di quanto è invece previsto - come eccezione alla regola - da altre disposizioni dello stesso censurato art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, sia al comma 1 (secondo cui la riduzione percentuale delle retribuzioni superiori a una determinata soglia «non opera ai fini previdenziali»), sia dal comma 22, quanto alle soppressioni di acconti e conguagli per il personale magistratuale, che parimenti «non opera ai fini previdenziali» (e che, comunque, è stata ritenuta costituzionalmente illegittima, perché «eccede i limiti del raffreddamento delle dinamiche retributive»: sentenza n. 223 del 2012)” (sentenza n. 200/2018).
6.3.3. Ciò comporta che una volta accertata, sulla base del giudizio espresso dalla Consulta e sopra sintetizzato, la non irragionevolezza della norma che ha introdotto limitazioni alla progressione del trattamento retributivo in favore del ricorrente, i successivi effetti sulla quantificazione del TFS assumono carattere necessitato.
6.4. In merito alla definitività degli effetti del blocco stipendiale nei confronti dei dipendenti pubblici, come il ricorrente, promossi e collocati a riposo nel quadriennio di riferimento, la Corte Costituzionale ha, altresì, chiarito “che il "fluire del tempo" differenzia il regime pensionistico prima e dopo la scadenza del quadriennio e giustifica il fatto che per i dipendenti collocati in quiescenza nel quadriennio la retribuzione pensionabile - calcolata vuoi con il sistema contributivo, vuoi ancora residualmente con il sistema retributivo - debba tener conto della retribuzione "spettante" secondo la disciplina applicabile ratione temporis, mentre per i dipendenti collocati dopo la scadenza del quadriennio il parametro di riferimento è la retribuzione spettante fino alla data del loro pensionamento.
Una volta sterilizzati ex lege, per effetto della disposizione censurata, gli automatismi retributivi nel quadriennio in questione, la retribuzione utile ai fini previdenziali è quella risultante dall'applicazione di tale regola limitativa, senza che a tal fine rilevi il momento del collocamento in quiescenza, se nel corso del quadriennio o successivamente alla sua scadenza.
Parimenti, una volta posta la regola dell'invarianza della retribuzione dei pubblici dipendenti in caso di progressione di carriera - senza che si dubiti della legittimità costituzionale di tale regola di iniziale immodificabilità in melius della retribuzione, vuoi perché non ne dubita la Corte dei conti rimettente, vuoi perché questa Corte ha già ritenuto non fondate questioni di costituzionalità riguardanti la retribuzione e non già la pensione (per tutte, sentenza n. 310 del 2013) - la ricaduta sul piano del rapporto previdenziale è generalizzata e non consente di porre utilmente a raffronto il trattamento pensionistico, spettante ai dipendenti collocati in quiescenza nel corso del quadriennio in questione, con quello riconosciuto ai dipendenti collocati in quiescenza dopo la scadenza di tale periodo” (sentenza n. 200/2018).
6.5. La Corte ha ancora precisato come il rilievo circa l’eccessivo rigore della norma a carico del dipendente collocato in quiescenza nel corso del quadriennio, che finirebbe per subirne gli effetti a tempo indeterminato, “avrebbe una sua plausibilità solo se la regola posta dalla disposizione censurata fosse quella di un prelievo straordinario sulle retribuzioni in caso di progressione di carriera” (sentenza n. 200/2018).
La natura tributaria della disposizione è stata, tuttavia, ripetutamente esclusa dai giudici costituzionali (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013) che hanno puntualizzato come “La regola dell'iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione di carriera (o di passaggio a un'area superiore) - ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente "promosso", privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita - vale a definire la retribuzione d'ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già a una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della "promozione"; regola questa che è sì di rigore, ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto di impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell'adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente "promosso", la stessa varrà anche sul piano (contributivo e) previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo o ancora residualmente retributivo” (sentenza n. 200/2018).
7. Non si adattano, infine, alla vicenda in esame le conclusioni cui è giunto il TAR Lazio con le sentenze n. 2024/2017 e n. 9441/2018, richiamate da parte ricorrente, riguardando le stesse la diversa fattispecie della promozione disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 260, della legge 266/2005 il cui “carattere speciale e peculiare” ha giustificato la “non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del d.l. n. 78/2010” in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
Tali conclusioni, peraltro, non appaiono in linea con l’interpretazione del d.l. n. 78/2010 fatta propria dalla Corte Costituzionale che, come rilevato al § 6.2.2., ha ribadito (da ultimo con sentenza n. 200/2018), l’applicabilità a tutti i tipi di avanzamento di carriera della locuzione «progressioni di carriera comunque denominate».
8. Alla luce di quanto complessivamente suesposto, il ricorso è, pertanto, infondato e deve essere respinto.
9. Le spese di lite, attesa la particolare natura della vicenda contenziosa e gli interessi ad essa sottostanti, possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2019 con l'intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Agata Gabriella Caudullo, Referendario, Estensore
Andrea De Col, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Agata Gabriella Caudullo Caterina Criscenti
IL SEGRETARIO
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Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
Messaggio da naturopata »
Ricorso Accolto, con una più attenta valutazione delle norme e della sentenza della corte costituzionale anno 2018:
Pubblicato il 02/05/2019
N. 05495/2019 REG.PROV.COLL.
N. 05997/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5997 del 2014, proposto da Dante Consiglio, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Barca, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio, 12;
contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
PER L'ANNULLAMENTO
del provvedimento del 24 gennaio 2014 conosciuto in data 19 febbraio 2014 disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74, con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.
E PER L’ACCERTAMENTO
del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il dr. Dante Consiglio, dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha chiesto l’annullamento, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, del provvedimento in epigrafe con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale, a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.
In particolare, parte ricorrente con un articolato motivo di censura ha dedotto violazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 266 del 2005 ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 21 del d.l. n.78 del 2010, conv. dalla L.n. 122/2010, argomentando come nel caso in esame il richiamo al d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella L.30 luglio 2010, n. 122, ad avviso di parte ricorrente illegittimamente inserito e contenuto nel preambolo del provvedimento oggetto dell'odierno gravame, abbia l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica progressione di carriera del dirigente superiore della Polizia di Stato, prevista invece ex lege con i relativi effetti pensionistici e previdenziali.
In tal modo, si verrebbe a determinare una macroscopica disparità di trattamento da una parte rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1° gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005 (quindi con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico); dall'altra, rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1° gennaio 2014.
Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe lesivo del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della L. n. 266/2005 oltre che viziato da travisamento dei fatti posti a fondamento della sua adozione e da illogicità manifesta, che si evincerebbe anche in ordine al contestuale richiamo, nel preambolo del provvedimento impugnato, della fonte normativa di cui alla legge 266/2005, mai abrogata dalla L. di conversione del d.l. 78/2010 n. 122/2010, con evidente contrasto di principi e conseguente adozione di un decreto non supportato da una logica, razionale ed esaustiva motivazione.
In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della L. n.122/2010 nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla L. n.266/2005.
L’amministrazione si è costituita con articolata memoria per avversare il ricorso, depositando precedenti di reiezione (Tar Lazio, n.6702/2014).
Nell’odierna udienza, viste le ulteriori memorie delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
In particolare, il Collegio non rinviene nella richiamata decisione alcun elemento per supportare la tesi sostenuta dall’amministrazione, secondo cui i principi ivi affermati essendo validi - secondo la Consulta - per tutti i dipendenti pubblici (promossi e cessati durante il blocco) che abbiano non solo conseguito la promozione alla qualifica superiore, ma anche svolto per un certo periodo le relative funzioni, varrebbero a maggior ragione per quei lavoratori pubblici che, come l’odierno ricorrente, abbiano beneficiato (sempre durante il blocco) della promozione “alla vigilia”, a decorrere dal giorno precedente a quello della cessazione dal servizio, senza quindi mai assumere gli incarichi ed i compiti connessi a tale progressione di carriera.
Nella fattispecie presa in esame dalla Consulta, infatti, il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo - promozione conseguita il 30 agosto 2012, in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate- nonché degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera maturate in data precedente al proprio collocamento a riposo ma durante il periodo del blocco (concluso al 31 dicembre 2014), e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.
Si tratta, quindi, di questione inerente all’applicazione dell’art.9 del D.L. n.78/2018 alla progressione di carriera maturata dal dipendente pubblico in costanza del blocco.
Nel presente ricorso invece, come già evidenziato in precedenti della Sezione riguardanti casi del tutto analoghi, il provvedimento impugnato costituisce, al contrario, effetto di una erronea applicazione dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo del D.L. n. 78/2010 – che riguarda esclusivamente le promozioni conseguite a seguito di una valutazione e strumentali a vere e proprie progressioni in carriera, con correlato esercizio di funzioni in mansioni superiori nell’ambito del rapporto di lavoro in atto disposte negli anni interessati - anche all’ipotesi di promozione attribuita il giorno prima del pensionamento di cui all’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005 che, come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, riguarda una fattispecie ben diversa, trattandosi di promozione che discende direttamente dalla legge, senza alcuna valutazione né tanto meno alcun confronto comparativo tra concorrenti, con attribuzione automatica il giorno antecedente il collocamento a riposo in quiescenza del dirigente superiore, in possesso della necessaria anzianità nella qualifica prevista ex lege.
A tale beneficio il legislatore stesso ha voluto, con una norma speciale, collegare peculiari effetti, sotto l’aspetto giuridico del conseguimento della effettiva qualifica superiore di dirigente generale e, sotto l’aspetto economico, della attribuzione dello stipendio di dirigente generale (sia pure limitatamente all’ultimo giorno di servizio, alla vigilia del collocamento a riposo, anticipato), quale esigenza perequativa e ristoro economico per essere rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso (dal d.lgs. n. 165 del 2001 per tutta la Pubblica Amministrazione), con incidenza diretta sul trattamento pensionistico, che si giustifica proprio in ragione di tali effetti, in quanto altrimenti sarebbe del tutto svuotato di significato.
Il congelamento di che trattasi, riferito soltanto agli anni specificamente individuati - 2011, 2012 e 2013 - non può, perciò, che riguardare unicamente gli effetti economici di tali ultime promozioni, come anche evidenziato dalla stessa Amministrazione riguardo tale blocco intervenuto e giustificato nel suo complesso dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica e non anche fattispecie regolate da una disciplina speciale, quale è quella delle c.d. “promozioni alla vigilia”.
Peraltro, proprio in ragione di tale limitazione temporale della mancata esplicazione degli effetti economici, la norma in questione era stata già in passato ritenuta costituzionalmente legittima e giustificata dalla finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici interessati per le predette esigenze (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 154/2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del D.L. n. 78/2010 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost., sul presupposto delle caratteristiche della norma e del “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti” ai dipendenti in attività di servizio), laddove il mantenimento degli effetti economici della promozione attribuita al ricorrente conseguente alla non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 si giustifica in ragione del carattere speciale e peculiare della norma di cui al citato art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.
Infatti, nella fattispecie esaminata nel presente ricorso, la disciplina della retribuzione spettante ratione temporis è, appunto, quella dettata dall’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005, successivamente abrogata, che anche per un solo giorno ha voluto riconoscere, con una norma ad hoc, ai dipendenti “promossi alla vigilia” allo status giuridico di dirigenti generali della Polizia di Stato anche il corrispondente trattamento economico.
Conseguentemente il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e obbligo per l’Amministrazione dell’Interno resistente di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale e per gli adempimenti conseguenti.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del Ministero dell’Interno resistente con liquidazione come in dispositivo e sono compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente da liquidare in euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre oneri e diritti come per legge.
Spese di giudizio compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Donatella Scala, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano Salvatore Mezzacapo
IL SEGRETARIO
Pubblicato il 02/05/2019
N. 05495/2019 REG.PROV.COLL.
N. 05997/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5997 del 2014, proposto da Dante Consiglio, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Barca, con domicilio fisico ex art.25 c.p.a. eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale Clodio, 12;
contro
Ministero dell'Interno, Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
PER L'ANNULLAMENTO
del provvedimento del 24 gennaio 2014 conosciuto in data 19 febbraio 2014 disposto, tra le altre fonti, ai sensi e per gli effetti della Legge 23 dicembre 2005 n. 266 art. 1, comma 260, lettera b) — del Decreto Legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella Legge 30 luglio 2010, n. 122 e del Decreto Legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito con modificazioni nella legge 23 maggio 2011, n. 74, con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico, agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.
E PER L’ACCERTAMENTO
del diritto del ricorrente al riconoscimento e percezione — sino al soddisfo - anche degli effetti economici derivanti ex lege dal decreto di promozione oggetto dell'odierno gravame, avente natura di provvedimento amministrativo con effetti economici di natura pensionistica e previdenziale, con corresponsione delle correlate somme dovute anche a titolo di trattamento di fine servizio.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 aprile 2019 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il dr. Dante Consiglio, dirigente generale della Polizia di Stato in quiescenza, ha chiesto l’annullamento, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, del provvedimento in epigrafe con cui è stata disposta ai soli fini giuridici la promozione alla qualifica di dirigente generale, a decorrere dal 19 febbraio 2014 (giorno precedente la cessazione dal servizio), senza alcuna determinazione riguardo al trattamento economico agli effetti pensionistici, previdenziale e di fine servizio derivanti dall’interruzione del rapporto di pubblico impiego.
In particolare, parte ricorrente con un articolato motivo di censura ha dedotto violazione dell'art. 1, comma 260 della legge n. 266 del 2005 ed erronea applicazione dell'art. 9, comma 21 del d.l. n.78 del 2010, conv. dalla L.n. 122/2010, argomentando come nel caso in esame il richiamo al d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni nella L.30 luglio 2010, n. 122, ad avviso di parte ricorrente illegittimamente inserito e contenuto nel preambolo del provvedimento oggetto dell'odierno gravame, abbia l'evidente finalità di attribuire illegittimamente i soli effetti giuridici all'atipica progressione di carriera del dirigente superiore della Polizia di Stato, prevista invece ex lege con i relativi effetti pensionistici e previdenziali.
In tal modo, si verrebbe a determinare una macroscopica disparità di trattamento da una parte rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale del ricorrente che hanno usufruito, antecedentemente al 1° gennaio 2011, del trattamento di quiescenza ex lege 266/2005 (quindi con promozione alla qualifica superiore il giorno precedente il collocamento in quiescenza, ma con l'attribuzione dei legittimi, connessi benefici di carattere sia giuridico che economico); dall'altra, rispetto ai colleghi di pari qualifica dirigenziale interessati, ex post, dal trattamento di quiescenza solo con decorrenza 1° gennaio 2014.
Inoltre, il provvedimento impugnato sarebbe lesivo del legittimo affidamento riposto dal ricorrente medesimo sui diritti acquisiti e consolidati, derivanti dall'applicazione della L. n. 266/2005 oltre che viziato da travisamento dei fatti posti a fondamento della sua adozione e da illogicità manifesta, che si evincerebbe anche in ordine al contestuale richiamo, nel preambolo del provvedimento impugnato, della fonte normativa di cui alla legge 266/2005, mai abrogata dalla L. di conversione del d.l. 78/2010 n. 122/2010, con evidente contrasto di principi e conseguente adozione di un decreto non supportato da una logica, razionale ed esaustiva motivazione.
In via subordinata, ha eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, della L. n.122/2010 nella parte in cui ha imposto il “congelamento” dei precedenti benefici economici previsti dalla L. n.266/2005.
L’amministrazione si è costituita con articolata memoria per avversare il ricorso, depositando precedenti di reiezione (Tar Lazio, n.6702/2014).
Nell’odierna udienza, viste le ulteriori memorie delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso merita accoglimento, come da analoghi precedenti della Sezione (cfr. TAR Lazio, sez. 1 quater N. 09442/2018) da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, anche dopo il recente intervento
della Corte Costituzionale che con sentenza n. 200 del 15 novembre 2018 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art.16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, come integrato dall'art. 1, comma 1, lettera a), primo periodo, del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei Conti con l’ordinanza del 13 gennaio 2017, nella parte in cui «dette norme non hanno previsto, nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio nell'arco temporale della "cristallizzazione", la valorizzazione in quiescenza, a decorrere dalla data di cessazione del blocco, degli emolumenti pensionabili derivanti dalle progressioni di carriera conseguite durante il blocco stesso».
In particolare, il Collegio non rinviene nella richiamata decisione alcun elemento per supportare la tesi sostenuta dall’amministrazione, secondo cui i principi ivi affermati essendo validi - secondo la Consulta - per tutti i dipendenti pubblici (promossi e cessati durante il blocco) che abbiano non solo conseguito la promozione alla qualifica superiore, ma anche svolto per un certo periodo le relative funzioni, varrebbero a maggior ragione per quei lavoratori pubblici che, come l’odierno ricorrente, abbiano beneficiato (sempre durante il blocco) della promozione “alla vigilia”, a decorrere dal giorno precedente a quello della cessazione dal servizio, senza quindi mai assumere gli incarichi ed i compiti connessi a tale progressione di carriera.
Nella fattispecie presa in esame dalla Consulta, infatti, il ricorrente ha lamentato di non aver avuto il trattamento economico del grado di ammiraglio ispettore capo - promozione conseguita il 30 agosto 2012, in vigenza del blocco del correlato incremento stipendiale disposto dalle norme censurate- nonché degli incrementi retributivi derivanti dalle progressioni di carriera maturate in data precedente al proprio collocamento a riposo ma durante il periodo del blocco (concluso al 31 dicembre 2014), e di aver avuto la pensione determinata in relazione alla base pensionabile correlata al trattamento economico inferiore al grado rivestito alla data di cessazione dal servizio.
Si tratta, quindi, di questione inerente all’applicazione dell’art.9 del D.L. n.78/2018 alla progressione di carriera maturata dal dipendente pubblico in costanza del blocco.
Nel presente ricorso invece, come già evidenziato in precedenti della Sezione riguardanti casi del tutto analoghi, il provvedimento impugnato costituisce, al contrario, effetto di una erronea applicazione dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo del D.L. n. 78/2010 – che riguarda esclusivamente le promozioni conseguite a seguito di una valutazione e strumentali a vere e proprie progressioni in carriera, con correlato esercizio di funzioni in mansioni superiori nell’ambito del rapporto di lavoro in atto disposte negli anni interessati - anche all’ipotesi di promozione attribuita il giorno prima del pensionamento di cui all’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005 che, come la Sezione ha già avuto modo di chiarire, riguarda una fattispecie ben diversa, trattandosi di promozione che discende direttamente dalla legge, senza alcuna valutazione né tanto meno alcun confronto comparativo tra concorrenti, con attribuzione automatica il giorno antecedente il collocamento a riposo in quiescenza del dirigente superiore, in possesso della necessaria anzianità nella qualifica prevista ex lege.
A tale beneficio il legislatore stesso ha voluto, con una norma speciale, collegare peculiari effetti, sotto l’aspetto giuridico del conseguimento della effettiva qualifica superiore di dirigente generale e, sotto l’aspetto economico, della attribuzione dello stipendio di dirigente generale (sia pure limitatamente all’ultimo giorno di servizio, alla vigilia del collocamento a riposo, anticipato), quale esigenza perequativa e ristoro economico per essere rimasti per il periodo di 5 anni in un grado soppresso (dal d.lgs. n. 165 del 2001 per tutta la Pubblica Amministrazione), con incidenza diretta sul trattamento pensionistico, che si giustifica proprio in ragione di tali effetti, in quanto altrimenti sarebbe del tutto svuotato di significato.
Il congelamento di che trattasi, riferito soltanto agli anni specificamente individuati - 2011, 2012 e 2013 - non può, perciò, che riguardare unicamente gli effetti economici di tali ultime promozioni, come anche evidenziato dalla stessa Amministrazione riguardo tale blocco intervenuto e giustificato nel suo complesso dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica e non anche fattispecie regolate da una disciplina speciale, quale è quella delle c.d. “promozioni alla vigilia”.
Peraltro, proprio in ragione di tale limitazione temporale della mancata esplicazione degli effetti economici, la norma in questione era stata già in passato ritenuta costituzionalmente legittima e giustificata dalla finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici interessati per le predette esigenze (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n. 154/2014, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del D.L. n. 78/2010 sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost., sul presupposto delle caratteristiche della norma e del “carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti” ai dipendenti in attività di servizio), laddove il mantenimento degli effetti economici della promozione attribuita al ricorrente conseguente alla non applicazione alla stessa del sopravvenuto art. 9, comma 21, del D.L. n. 78/2010 si giustifica in ragione del carattere speciale e peculiare della norma di cui al citato art. 1, comma 260, della legge n. 266/2005, in applicazione del principio “lex specialis derogat generali”.
Né può influire su tale ricostruzione - tenuto conto che ai sensi dell'art. 1866 del d.lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 53 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), la base pensionabile si determina con riferimento allo stipendio e agli emolumenti retributivi pensionabili integralmente percepiti in attività di servizio- il fatto che anche la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per il Friuli Venezia Giulia, con la recente sentenza n.112/2018 del 12.12.2018, proprio alla luce dell’interpretazione data dalla Corte Costituzionale all’art.9, co. 21, del D.L. n. 78/2010, abbia testualmente ritenuto che “…non è revocabile in dubbio che per i dipendenti pubblici collocati in quiescenza nel periodo di blocco degli incrementi retributivi, la liquidazione del trattamento di pensione debba essere commisurata alla retribuzione “spettante” secondo la disciplina applicabile ratione temporis…”.
Infatti, nella fattispecie esaminata nel presente ricorso, la disciplina della retribuzione spettante ratione temporis è, appunto, quella dettata dall’art.1, comma 260, lett.b), della legge n.266 del 2005, successivamente abrogata, che anche per un solo giorno ha voluto riconoscere, con una norma ad hoc, ai dipendenti “promossi alla vigilia” allo status giuridico di dirigenti generali della Polizia di Stato anche il corrispondente trattamento economico.
Conseguentemente il ricorso è fondato e deve essere accolto, con annullamento in parte qua dei provvedimenti impugnati e obbligo per l’Amministrazione dell’Interno resistente di attribuire al ricorrente gli effetti economici derivanti dalla sua promozione a dirigente generale e per gli adempimenti conseguenti.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico del Ministero dell’Interno resistente con liquidazione come in dispositivo e sono compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell’Interno resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente da liquidare in euro 1.500,00 (millecinquecento) oltre oneri e diritti come per legge.
Spese di giudizio compensate per il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 aprile 2019 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Donatella Scala, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ines Simona Immacolata Pisano Salvatore Mezzacapo
IL SEGRETARIO
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
Per loro che sono "calibri grossi", le norme sul blocco, non sono state mai applicate in virtù della legge, al contrario, per il restante personale la legge lo prevedeva eccome, perché per loro l'Italia non era in crisi ma lo era per noi dipendenti fino ad un certo livello/grado.
Da un lato, l'Italia l'abbiamo salvata noi ma da un altro lato ha risanare il debito ci hanno pensato i "calibri grossi", così siamo andati in pareggio 1 a 1. A noi ci hanno bloccato e a loro non è mai stato bloccato nulla.
Questa è l'Italia: a chi impongono sacrifici e a chi no.
L'Italia dell'uguaglianza sui diritti umani o disuguaglianza.
Da un lato, l'Italia l'abbiamo salvata noi ma da un altro lato ha risanare il debito ci hanno pensato i "calibri grossi", così siamo andati in pareggio 1 a 1. A noi ci hanno bloccato e a loro non è mai stato bloccato nulla.
Questa è l'Italia: a chi impongono sacrifici e a chi no.
L'Italia dell'uguaglianza sui diritti umani o disuguaglianza.
Re: D.L. N. 78 del 31/05/2010 e legge 30//07/2010 N. 122
La CdC sez. 1^ d'Appello rigetta l'appello del ricorrente
1) - e posto in ausiliaria in pari data – con il quale egli lamentava che non gli era stato attribuito, dalla promozione alla cessazione dal servizio, il trattamento economico del grado rivestito, in quanto la sua pensione era stata calcolata su una base pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla data del 31.12.2010, inferiore, in quanto riferibile al grado di Contrammiraglio, rispetto a quello proprio del grado effettivamente rivestito, alla data di cessazione dal servizio per limiti d’età.
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Sezione PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 23 Pubblicazione 04/02/2019
23/2019
REPUBBLICA ITALIANA
CORTE DEI CONTI
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello
Composta dai sig.ri Magistrati:
dott. Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
dott.ssa Emma ROSATI Consigliere relatore
dott.ssa Adelisa CORSETTI Consigliere
dott.ssa Rossella CASSANETI Consigliere
dott.ssa Giuseppina MIGNEMI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello in materia pensionistica iscritto al n. 53290 del ruolo generale, promosso dal sig. XXXXXXX XXX, rappresentato e difeso dagli avvocati Alba GIORDANO e Umberto VERDACCHI, elettivamente domiciliato in Roma alla via Muzio Clementi, n. 58, CONTRO il Ministero della Difesa, Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, I REPARTO, I DIVISIONE-7^ sezione, con sede legale in Roma, Viale dell’Esercito, n. 186, rappresentato e difeso dal dirigente della medesima divisione, Marzia LETTIERI BARBATO,
AVVERSO
la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per il LAZIO, n. XXXXX, depositata il 19 gennaio 2017.
Visti tutti gli atti e documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 15 gennaio 2019, il relatore Consigliere dott.ssa Emma ROSATI nonché l’avv. Umberto VERDACCHI, per l’appellante. Assente il rappresentante del Ministero della DIFESA.
Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata, la sezione territoriale LAZIO ha respinto il ricorso del sig. XXXXXX – dirigente XXX, XXXXXX, XXXXXXXXXXXXX, cessato dal servizio a domanda dal XXXXXXXXXXXX e posto in ausiliaria in pari data – con il quale egli lamentava che non gli era stato attribuito, dalla promozione alla cessazione dal servizio, il trattamento economico del grado rivestito, in quanto la sua pensione era stata calcolata su una base pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla data del 31.12.2010, inferiore, in quanto riferibile al grado di Contrammiraglio, rispetto a quello proprio del grado effettivamente rivestito, alla data di cessazione dal servizio per limiti d’età. Ciò in quanto la promozione alla qualifica superiore era stata conseguita in regime di ‘blocco’ degli effetti economici delle promozioni attribuite dal 2011 al 2014, mentre il ripristino dell’efficacia economica degli incrementi retributivi, derivanti dalla promozione al grado, post blocco ed il relativo trattamento economico superiore hanno riguardato il solo personale in servizio all’1.1.2015 ex legge di stabilità per l’anno 2015 (L. 23 dicembre 2014, n. 190).
L’appellante, riportati i punti salienti del ricorso di prime cure, ha impugnato la sentenza per erronea, inconferente e contraddittoria motivazione e per vizio di presupposto, atteso che egli aveva chiesto in prime cure l’inclusione nel calcolo della pensione degli emolumenti propri del grado conseguito, per progressione di carriera, nel periodo di ‘cristallizzazione’. Difetto di motivazione nell’aver ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta. Ha chiesto l’accoglimento dell’appello. Con memoria di costituzione del 18.09.2018, l’amministrazione militare ha chiesto il rigetto dell’appello e in subordine la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale sollevata in caso analogo dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione LIGURIA, con Ordinanza n. XXXX. Con Ordinanza n. XXXXXX dell’8.10 2018 questa sezione prima d’appello ha rinviato il merito del giudizio alla odierna udienza, in attesa della pronuncia sul punto della Corte costituzionale. La Corte costituzionale è dunque intervenuta a dirimere la materia, con sent. n. 200 del 15.11.2018. Con ulteriore memoria integrativa del Ministero della Difesa in data 28.12.2018 sono state confermate le conclusioni già rassegnate precedentemente dall’amministrazione in data 18.9.2018 (già citate più sopra) e – sulla scorta dei principi affermati dalla Consulta nella sentenza succitata – è stato chiesto il rigetto dell’appello, con la conseguente conferma dell’impugnata sentenza. All’odierna pubblica udienza, l’avv. VERDACCHI ha insistito ancora su un rinvio della discussione di merito, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, attese altre questioni di legittimità costituzionali, sollevate prima dell’emissione della sentenza n. 200/2018. In particolare, l’avvocato VERDACCHI fa riferimento alle questioni di legittimità nn. 121, 122 e 124, discusse dal G.U. territoriale per il LAZIO alla p.u. del 22 gennaio 2018, depositate in data 20 agosto 2018, che – a suo dire – solleverebbero questione di legittimità costituzionale, con riferimento a diverso parametro dall’art. 3 della Costituzione. Risulta assente, benchè costituito, il Ministero della DIFESA. La causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Considerato in diritto
L’appello è infondato e non merita accoglimento. Questa sezione ha già avuto modo di sottolineare - in relazione ad analoghi processi pensionistici di dipendenti del Ministero dell’INTERNO, con i quali essi chiedevano che venisse dichiarato il loro diritto ad ottenere la riliquidazione del loro trattamento pensionistico (Cfr., sentenze di questa stessa sezione nn. 317, 319 e 320 del 2 agosto 2018) e sui quali era intervenuta una precedente sentenza della Consulta (=sentenza n. 250 depositata il 1° dicembre 2017), a seguito di sollevazione di questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25 e 25bis del DL 6 dicembre 2011, n. 201 e dell’art. 1, comma 483 della L. 27 dicembre 2013, n. 147, da parte – tra gli altri – della Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia Romagna, Giudice Unico per le Pensioni, che sollevava questione di costituzionalità, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 23, 36, 38, 53 e 117, 1° comma della Costituzione – il principio generale che discende dalle argomentazioni della Consulta, nella ricordata sentenza e cioè che le disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità realizzano un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica. Detto questo, da un punto di vista generale, occorre rammentare che, nella fattispecie, l’XXXXXXXX XXXXXX XXXXX, sig. XXXXXX XXXXXXX, è cessato dal servizio a domanda a decorrere dal 30/12/2014 ed in pari data è stato collocato in ausiliaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2229, comma 6, 886, comma 1 e 992, comma 1, del D.Lgs 15 marzo 2010 n. 66, che ha introdotto il Codice dell’Ordinamento Militare. La Direzione di Commissariato della Marina Militare di Roma, quale Ente competente ad amministrare la partita pensionistica del personale della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto, durante il periodo di ausiliaria, ha provveduto a determinare il trattamento pensionistico provvisorio con provvedimento prot. n. XXXXXXXX dell’XXXXXXX, successivamente modificato con provvedimento prot. n. XXXXXXXXXXXXXXX, in relazione ad una base pensionabile cristallizzata al trattamento economico spettante nel grado di Contrammiraglio alla data del 31/12/2010, in applicazione dell’art. 9, commi 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni nella legge 30 luglio 2010 n. 122, nonché del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122. Infatti, in considerazione del blocco delle progressioni di carriera, disposto a decorrere dall’1/1/2011, non è stato possibile prendere in considerazione il grado di XXXXXXXXX XXXXXXX, conseguito, ai soli fini giuridici, in data XXXXXXXX. Con ricorso in primo grado l’Ufficiale in congedo ha, quindi, impugnato il provvedimento pensionistico provvisorio, chiedendo la riliquidazione del trattamento in godimento. La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, con la sentenza n. XXXXXXX, qui impugnata, ha respinto il ricorso - ed esattamente - anche alla luce della delibera della Corte dei Conti - in sede di controllo - n. XXXXXXXX, ritenendo, altresì, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, per violazione degli artt. 2, 3 e 36, 38 e 53 della Costituzione. Ora, la sentenza impugnata – anche alla luce della recentissima pronuncia della Consulta, n. 200/2018 - appare congruamente motivata. Il Giudice di prime cure, in particolare, ha evidenziato la correttezza dell’operato dell’Amministrazione che ha valorizzato ai fini pensionistici il trattamento economico corrispondente al grado inferiore di Contrammiraglio, in conformità alla normativa che ha introdotto il blocco stipendiale, collegando la base pensionabile all’ultimo stipendio effettivamente percepito in servizio. Infatti, non è ammissibile la valorizzazione di voci stipendiali o retributive non concretamente percepite in servizio, al di fuori dei casi di legge in cui ciò sia espressamente consentito. A supporto dell’interpretazione adottata si può senz’altro citare anche la delibera della Corte dei Conti - in sede di controllo - n. XXXXXXXX, secondo la quale il comma 21 dell’art. 9 d.l. n. 78/2010 “….si inserisce in un complesso di norme, contenute nel medesimo articolo 9, volte a perseguire specifici obiettivi di contenimento della spesa pubblica mediante la razionalizzazione e la riduzione della spesa di personale delle pubbliche amministrazioni; riduzione che rappresenta ormai un obiettivo primario di finanza pubblica… disciplina vincolistica che non ammette deroghe…”. Né a conclusione diversa potrebbe giungersi sulla base di un’interpretazione “costituzionalmente orientata”, così come richiesto da parte appellante, anche nel corso dell’odierna pubblica udienza, che comporterebbe, altresì, un’estensione delle nuove previsioni di spesa ad un periodo per il quale la spesa non solo non avrebbe copertura, ma è stata espressamente “bloccata” dallo stesso legislatore con norme non abrogate. Inoltre, come riconosciuto dalla sentenza impugnata, nella fattispecie in esame si ha anche un pur limitato recupero degli incrementi retributivi derivanti dalla promozione al grado o alla qualifica superiore, a far data dall’1/01/2015, in sede di determinazione dell’indennità di ausiliaria, nella misura del 70% della differenza con il trattamento economico del pari grado in servizio. Occorre, infine, far presente che a seguito di ordinanza n. XXXXXXXX della Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria - la questione oggetto di contenzioso (mancata previsione della riliquidazione del trattamento di quiescenza del personale cessato in regime di blocco a decorrere dall’1/01/2015) è stata rimessa alla Corte Costituzionale e per questo motivo, alla precedente pubblica udienza del 25 settembre 2018 si emanò l’Ordinanza di rinvio, di cui si è detto. Per cui sulla questione della mancata riliquidazione del trattamento di quiescenza del personale cessato in regime di blocco a decorrere dal 1/1/2015, vi è un definitivo avviso della Consulta, con la recentissima sentenza n. 200, depositata in data 15/11/2018, resa in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 (secondo cui “per il personale di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e ss.mm. le progressioni in carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”) e dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, entrambe, dichiarate non fondate. Ha affermato, in particolare, la Corte Costituzionale che la regola dell’iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione in carriera (…) – ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente “promosso”, privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita – vale a definire la retribuzione d’ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già ad una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della “promozione”; regola questa che è sì di rigore ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto d’impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell’adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente “promosso”, la stessa varrà anche sul piano contributivo e previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo, o ancora residualmente retributivo”. (…) “La circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente ”promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa”.
Tanto rappresentato, l’appello all’esame va rigettato, per infondatezza. E’ solo appena il caso di precisare, per mero scrupolo, che inammissibile si rivela la richiesta di parte impugnante, intesa ad ottenere un ulteriore rinvio del merito del gravame, in attesa di altre pronunce della Consulta su ulteriori questioni di legittimità costituzionale, allegate (Ordinanze nn. XXXXXXXXX del G.U. presso la sezione giurisdizionale per il LAZIO), sia perché il caso che ne occupa è risolto dalla sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale e sia perché risulta infondato che dette nuove questioni di costituzionalità siano state avanzate con riferimento a parametri costituzionali diversi dall’art. 3 Costituzione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla per le spese di giustizia.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
RIGETTA l’appello epigrafato per infondatezza e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in favore del Ministero della DIFESA, nella somma complessiva di euro 500,00.
Nulla per le spese di giustizia.
Manda alla Segreteria per il seguito di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 gennaio 2019.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
(F.to dott.ssa Emma ROSATI) (F.to dott. A. CHIAPPINIELLO)
Depositato in data 4 febbraio 2019
Per IL DIRIGENTE
Dott.ssa Daniela D’Amaro
F.to Annalisa Zamparese
1) - e posto in ausiliaria in pari data – con il quale egli lamentava che non gli era stato attribuito, dalla promozione alla cessazione dal servizio, il trattamento economico del grado rivestito, in quanto la sua pensione era stata calcolata su una base pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla data del 31.12.2010, inferiore, in quanto riferibile al grado di Contrammiraglio, rispetto a quello proprio del grado effettivamente rivestito, alla data di cessazione dal servizio per limiti d’età.
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Sezione PRIMA SEZIONE CENTRALE DI APPELLO Esito SENTENZA Materia PENSIONISTICA
Anno 2019 Numero 23 Pubblicazione 04/02/2019
23/2019
REPUBBLICA ITALIANA
CORTE DEI CONTI
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello
Composta dai sig.ri Magistrati:
dott. Agostino CHIAPPINIELLO Presidente
dott.ssa Emma ROSATI Consigliere relatore
dott.ssa Adelisa CORSETTI Consigliere
dott.ssa Rossella CASSANETI Consigliere
dott.ssa Giuseppina MIGNEMI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello in materia pensionistica iscritto al n. 53290 del ruolo generale, promosso dal sig. XXXXXXX XXX, rappresentato e difeso dagli avvocati Alba GIORDANO e Umberto VERDACCHI, elettivamente domiciliato in Roma alla via Muzio Clementi, n. 58, CONTRO il Ministero della Difesa, Direzione Generale della Previdenza Militare e della Leva, I REPARTO, I DIVISIONE-7^ sezione, con sede legale in Roma, Viale dell’Esercito, n. 186, rappresentato e difeso dal dirigente della medesima divisione, Marzia LETTIERI BARBATO,
AVVERSO
la sentenza della Sezione giurisdizionale regionale per il LAZIO, n. XXXXX, depositata il 19 gennaio 2017.
Visti tutti gli atti e documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 15 gennaio 2019, il relatore Consigliere dott.ssa Emma ROSATI nonché l’avv. Umberto VERDACCHI, per l’appellante. Assente il rappresentante del Ministero della DIFESA.
Ritenuto in fatto
Con la sentenza impugnata, la sezione territoriale LAZIO ha respinto il ricorso del sig. XXXXXX – dirigente XXX, XXXXXX, XXXXXXXXXXXXX, cessato dal servizio a domanda dal XXXXXXXXXXXX e posto in ausiliaria in pari data – con il quale egli lamentava che non gli era stato attribuito, dalla promozione alla cessazione dal servizio, il trattamento economico del grado rivestito, in quanto la sua pensione era stata calcolata su una base pensionabile determinata sul trattamento economico spettante alla data del 31.12.2010, inferiore, in quanto riferibile al grado di Contrammiraglio, rispetto a quello proprio del grado effettivamente rivestito, alla data di cessazione dal servizio per limiti d’età. Ciò in quanto la promozione alla qualifica superiore era stata conseguita in regime di ‘blocco’ degli effetti economici delle promozioni attribuite dal 2011 al 2014, mentre il ripristino dell’efficacia economica degli incrementi retributivi, derivanti dalla promozione al grado, post blocco ed il relativo trattamento economico superiore hanno riguardato il solo personale in servizio all’1.1.2015 ex legge di stabilità per l’anno 2015 (L. 23 dicembre 2014, n. 190).
L’appellante, riportati i punti salienti del ricorso di prime cure, ha impugnato la sentenza per erronea, inconferente e contraddittoria motivazione e per vizio di presupposto, atteso che egli aveva chiesto in prime cure l’inclusione nel calcolo della pensione degli emolumenti propri del grado conseguito, per progressione di carriera, nel periodo di ‘cristallizzazione’. Difetto di motivazione nell’aver ritenuto la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta. Ha chiesto l’accoglimento dell’appello. Con memoria di costituzione del 18.09.2018, l’amministrazione militare ha chiesto il rigetto dell’appello e in subordine la sospensione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale sollevata in caso analogo dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione LIGURIA, con Ordinanza n. XXXX. Con Ordinanza n. XXXXXX dell’8.10 2018 questa sezione prima d’appello ha rinviato il merito del giudizio alla odierna udienza, in attesa della pronuncia sul punto della Corte costituzionale. La Corte costituzionale è dunque intervenuta a dirimere la materia, con sent. n. 200 del 15.11.2018. Con ulteriore memoria integrativa del Ministero della Difesa in data 28.12.2018 sono state confermate le conclusioni già rassegnate precedentemente dall’amministrazione in data 18.9.2018 (già citate più sopra) e – sulla scorta dei principi affermati dalla Consulta nella sentenza succitata – è stato chiesto il rigetto dell’appello, con la conseguente conferma dell’impugnata sentenza. All’odierna pubblica udienza, l’avv. VERDACCHI ha insistito ancora su un rinvio della discussione di merito, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, attese altre questioni di legittimità costituzionali, sollevate prima dell’emissione della sentenza n. 200/2018. In particolare, l’avvocato VERDACCHI fa riferimento alle questioni di legittimità nn. 121, 122 e 124, discusse dal G.U. territoriale per il LAZIO alla p.u. del 22 gennaio 2018, depositate in data 20 agosto 2018, che – a suo dire – solleverebbero questione di legittimità costituzionale, con riferimento a diverso parametro dall’art. 3 della Costituzione. Risulta assente, benchè costituito, il Ministero della DIFESA. La causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Considerato in diritto
L’appello è infondato e non merita accoglimento. Questa sezione ha già avuto modo di sottolineare - in relazione ad analoghi processi pensionistici di dipendenti del Ministero dell’INTERNO, con i quali essi chiedevano che venisse dichiarato il loro diritto ad ottenere la riliquidazione del loro trattamento pensionistico (Cfr., sentenze di questa stessa sezione nn. 317, 319 e 320 del 2 agosto 2018) e sui quali era intervenuta una precedente sentenza della Consulta (=sentenza n. 250 depositata il 1° dicembre 2017), a seguito di sollevazione di questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 25 e 25bis del DL 6 dicembre 2011, n. 201 e dell’art. 1, comma 483 della L. 27 dicembre 2013, n. 147, da parte – tra gli altri – della Sezione giurisdizionale regionale per l’Emilia Romagna, Giudice Unico per le Pensioni, che sollevava questione di costituzionalità, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 23, 36, 38, 53 e 117, 1° comma della Costituzione – il principio generale che discende dalle argomentazioni della Consulta, nella ricordata sentenza e cioè che le disposizioni sottoposte al vaglio di costituzionalità realizzano un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica. Detto questo, da un punto di vista generale, occorre rammentare che, nella fattispecie, l’XXXXXXXX XXXXXX XXXXX, sig. XXXXXX XXXXXXX, è cessato dal servizio a domanda a decorrere dal 30/12/2014 ed in pari data è stato collocato in ausiliaria, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2229, comma 6, 886, comma 1 e 992, comma 1, del D.Lgs 15 marzo 2010 n. 66, che ha introdotto il Codice dell’Ordinamento Militare. La Direzione di Commissariato della Marina Militare di Roma, quale Ente competente ad amministrare la partita pensionistica del personale della Marina Militare e delle Capitanerie di Porto, durante il periodo di ausiliaria, ha provveduto a determinare il trattamento pensionistico provvisorio con provvedimento prot. n. XXXXXXXX dell’XXXXXXX, successivamente modificato con provvedimento prot. n. XXXXXXXXXXXXXXX, in relazione ad una base pensionabile cristallizzata al trattamento economico spettante nel grado di Contrammiraglio alla data del 31/12/2010, in applicazione dell’art. 9, commi 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni nella legge 30 luglio 2010 n. 122, nonché del D.P.R. 4 settembre 2013, n. 122. Infatti, in considerazione del blocco delle progressioni di carriera, disposto a decorrere dall’1/1/2011, non è stato possibile prendere in considerazione il grado di XXXXXXXXX XXXXXXX, conseguito, ai soli fini giuridici, in data XXXXXXXX. Con ricorso in primo grado l’Ufficiale in congedo ha, quindi, impugnato il provvedimento pensionistico provvisorio, chiedendo la riliquidazione del trattamento in godimento. La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio, con la sentenza n. XXXXXXX, qui impugnata, ha respinto il ricorso - ed esattamente - anche alla luce della delibera della Corte dei Conti - in sede di controllo - n. XXXXXXXX, ritenendo, altresì, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 21, del decreto legge 31 maggio 2010 n. 78, per violazione degli artt. 2, 3 e 36, 38 e 53 della Costituzione. Ora, la sentenza impugnata – anche alla luce della recentissima pronuncia della Consulta, n. 200/2018 - appare congruamente motivata. Il Giudice di prime cure, in particolare, ha evidenziato la correttezza dell’operato dell’Amministrazione che ha valorizzato ai fini pensionistici il trattamento economico corrispondente al grado inferiore di Contrammiraglio, in conformità alla normativa che ha introdotto il blocco stipendiale, collegando la base pensionabile all’ultimo stipendio effettivamente percepito in servizio. Infatti, non è ammissibile la valorizzazione di voci stipendiali o retributive non concretamente percepite in servizio, al di fuori dei casi di legge in cui ciò sia espressamente consentito. A supporto dell’interpretazione adottata si può senz’altro citare anche la delibera della Corte dei Conti - in sede di controllo - n. XXXXXXXX, secondo la quale il comma 21 dell’art. 9 d.l. n. 78/2010 “….si inserisce in un complesso di norme, contenute nel medesimo articolo 9, volte a perseguire specifici obiettivi di contenimento della spesa pubblica mediante la razionalizzazione e la riduzione della spesa di personale delle pubbliche amministrazioni; riduzione che rappresenta ormai un obiettivo primario di finanza pubblica… disciplina vincolistica che non ammette deroghe…”. Né a conclusione diversa potrebbe giungersi sulla base di un’interpretazione “costituzionalmente orientata”, così come richiesto da parte appellante, anche nel corso dell’odierna pubblica udienza, che comporterebbe, altresì, un’estensione delle nuove previsioni di spesa ad un periodo per il quale la spesa non solo non avrebbe copertura, ma è stata espressamente “bloccata” dallo stesso legislatore con norme non abrogate. Inoltre, come riconosciuto dalla sentenza impugnata, nella fattispecie in esame si ha anche un pur limitato recupero degli incrementi retributivi derivanti dalla promozione al grado o alla qualifica superiore, a far data dall’1/01/2015, in sede di determinazione dell’indennità di ausiliaria, nella misura del 70% della differenza con il trattamento economico del pari grado in servizio. Occorre, infine, far presente che a seguito di ordinanza n. XXXXXXXX della Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per la Regione Liguria - la questione oggetto di contenzioso (mancata previsione della riliquidazione del trattamento di quiescenza del personale cessato in regime di blocco a decorrere dall’1/01/2015) è stata rimessa alla Corte Costituzionale e per questo motivo, alla precedente pubblica udienza del 25 settembre 2018 si emanò l’Ordinanza di rinvio, di cui si è detto. Per cui sulla questione della mancata riliquidazione del trattamento di quiescenza del personale cessato in regime di blocco a decorrere dal 1/1/2015, vi è un definitivo avviso della Consulta, con la recentissima sentenza n. 200, depositata in data 15/11/2018, resa in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’articolo dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122 (secondo cui “per il personale di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e ss.mm. le progressioni in carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici”) e dell’art. 16, comma 1, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, entrambe, dichiarate non fondate. Ha affermato, in particolare, la Corte Costituzionale che la regola dell’iniziale invarianza della retribuzione in caso di progressione in carriera (…) – ossia la regola che così fissa la retribuzione del pubblico dipendente “promosso”, privo inizialmente di anzianità di servizio nella più elevata posizione di lavoro conseguita – vale a definire la retribuzione d’ingresso ad esso spettante, in quanto il soggetto interessato ha diritto non già ad una retribuzione superiore su cui grava un prelievo forzoso, ma proprio a quella retribuzione che percepiva prima della “promozione”; regola questa che è sì di rigore ma la cui legittimità costituzionale, o no, va verificata sul piano del rapporto d’impiego in corso e della disciplina del trattamento retributivo. Ma una volta che non si dubita dell’adeguatezza della retribuzione spettante al pubblico dipendente “promosso”, la stessa varrà anche sul piano contributivo e previdenziale, al fine di quantificare il trattamento pensionistico al quale il dipendente stesso ha diritto, quale che sia il sistema di calcolo, se contributivo, o ancora residualmente retributivo”. (…) “La circostanza che, superato il quadriennio, al dipendente ”promosso” sia attribuita una retribuzione superiore, rilevante anche sul piano (contributivo e) previdenziale e del trattamento pensionistico, si giustifica - senza che perciò sia leso il principio di eguaglianza – per l’incidenza del “fluire del tempo” che costituisce elemento idoneo a differenziare situazioni non comparabili e a rendere applicabile alle stesse una disciplina diversa”.
Tanto rappresentato, l’appello all’esame va rigettato, per infondatezza. E’ solo appena il caso di precisare, per mero scrupolo, che inammissibile si rivela la richiesta di parte impugnante, intesa ad ottenere un ulteriore rinvio del merito del gravame, in attesa di altre pronunce della Consulta su ulteriori questioni di legittimità costituzionale, allegate (Ordinanze nn. XXXXXXXXX del G.U. presso la sezione giurisdizionale per il LAZIO), sia perché il caso che ne occupa è risolto dalla sentenza n. 200/2018 della Corte costituzionale e sia perché risulta infondato che dette nuove questioni di costituzionalità siano state avanzate con riferimento a parametri costituzionali diversi dall’art. 3 Costituzione.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla per le spese di giustizia.
PER QUESTI MOTIVI
la Corte dei conti, Sezione prima giurisdizionale centrale di appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette,
RIGETTA l’appello epigrafato per infondatezza e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in favore del Ministero della DIFESA, nella somma complessiva di euro 500,00.
Nulla per le spese di giustizia.
Manda alla Segreteria per il seguito di competenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 15 gennaio 2019.
IL CONSIGLIERE ESTENSORE IL PRESIDENTE
(F.to dott.ssa Emma ROSATI) (F.to dott. A. CHIAPPINIELLO)
Depositato in data 4 febbraio 2019
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