Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinaria
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
la nuova legge non fa distinzione alcuna.
Cmq. le Amm.ni delle FF.AA. e FF.PP. sicuramente faranno pressione con "minacce" di congedamento e solo allora, inizieranno tanti ricorsi ai Tar e CdS. per far riconoscere l'unione.
Cmq. le Amm.ni delle FF.AA. e FF.PP. sicuramente faranno pressione con "minacce" di congedamento e solo allora, inizieranno tanti ricorsi ai Tar e CdS. per far riconoscere l'unione.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
Non capisco su cosa le minacce di congedamento... Perché non sei bravo sul lavoro? Se ti presenti con il foglio del comune devono prenderne atto ....
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
L omosessualità è stata debellata dalle malattie mentali dall oms nel 1993 detto questo è palese che in qualunque caserma ci siano gay dichiarati e non dichiarati. Non credo possano congedarti in quanto omosessuale in quanto sarebbero denunciati di certo se chi non era dichiarato prima e poi porta il certificato nel suo ambiente lavorativo verrà isolato poi dipende dai casi voi che ne pensate? Anche nella mia caserma ci sono gay dichiarati e non subiscono pressioni ... Non vedo perché dovrebbero esser congedati
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Il C.G.A. CC. con il foglio n. 57632/1-2 del 10 dicembre 2006 dell'ufficio Servizi Sociali al punto 2 precisa quanto segue:
" Al riguardo, si sottolinea che, pur nel pieno rispetto delle inclinazioni individuali in campo sessuale, l'omosessualità del militare - dichiarata od altrimenti accertata - è motivo di riforma ai sensi dell'art. 7 R.D. 22 marzo 1934 n. 57".
A quanto pare è l'unica su tale problematica anche se è del 2006 e sconosco se ci sono altre disposizioni nuove e come potrai vedere parla in generale del "militare", quindi, vale per i Corpi militari italiani.
Ho provato a cercare su internet per vedere questa legge citata ma, non ho trovato nessuna legge, presumo che non esista più, oppure, visto che è molto vecchia non c'è traccia su internet.
Forse qualche legale potrebbe tirarla fuori con i propri abbonamenti alle leggi italiane.
" Al riguardo, si sottolinea che, pur nel pieno rispetto delle inclinazioni individuali in campo sessuale, l'omosessualità del militare - dichiarata od altrimenti accertata - è motivo di riforma ai sensi dell'art. 7 R.D. 22 marzo 1934 n. 57".
A quanto pare è l'unica su tale problematica anche se è del 2006 e sconosco se ci sono altre disposizioni nuove e come potrai vedere parla in generale del "militare", quindi, vale per i Corpi militari italiani.
Ho provato a cercare su internet per vedere questa legge citata ma, non ho trovato nessuna legge, presumo che non esista più, oppure, visto che è molto vecchia non c'è traccia su internet.
Forse qualche legale potrebbe tirarla fuori con i propri abbonamenti alle leggi italiane.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
L'omosessualità rientra tra le cause di non idoneità al servizio militare incondizionato in base al DPR 15 marzo 2010, n. 90 art. 582 comma 1 lettera R punto 4: "parafilie e disturbi dell'identità di genere". Da Yahoo answer ma non viene applicata comunque
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
L'omosessualità rientra tra le cause di non idoneità al servizio militare incondizionato in base al DPR 15 marzo 2010, n. 90 art. 582 comma 1 lettera R punto 4: "parafilie e disturbi dell'identità di genere".
Secondo le direttive per l'accertamento dell'idoneità psicofisica, il comportamento omosessuale rientra nel precedente citato solo quando determina una condizione di disagio soggettivo o di disfunzionamento relazionale o sociale (disadattamento, disturbi d'ansia, distimici, etc.)
Nei casi in cui il comportamento omosessuale sia espressione sintomatica di disturbi psichiatrici primari, si applica il comma relativo al disturbo accertato (in ogni caso genera una non idoneità).
L'omosessualità è stata più volte oggetto di controversie psichiatriche riguardo l'inclusione o no nella lista delle parafilie, e solo nella terza versione delle DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), negli anni '80, è stata esclusa dall'essere concepita come malattia.
A tal proposito c'è da notare che l'articolo del DPR succitato non lascia dubbio alcuno sull'omosessualità come causa di non idoneità, ciò poiché integrato con la locuzione "disturbi dell'identità di genere"... ovvero includendo anche l'omosessualità.
Sebbene ci siano correnti diverse che scorrono nel Parlamento italiano, riguardo questo argomento, non sarà possibile reclutare omosessuali accertati sino a quando la legge non verrà modificata in tal senso.
Il fatto di non dichiarare la propria omosessualità è legittimo e personalmente conosco molti militari gay (uomini e donne) che lavorano nelle forze armate senza problemi di discriminazione... certo è che se dovesse essere accertata l'omosessualità da commissioni mediche, anche in futuro, potresti trovarti in situazioni di difficile previsione fino anche l'inidoneità permanente anche se postuma.
---
Mi spiace ma l'omosessualità rientra tra i "disturbi di genere", dove per "genere" é inteso il sesso biologico (locuzione apposta usata per non far rientrare l'omosessualità tra le parafilie, che come già detto non é considerata tale)... non per forza bisogna sentirsi una donna per avere un "disturbo di genere", ovvero non per forza si deve agognare la transessualità poichè la legge non specifica il livello del disturbo ma solo il disturbo in se stesso.
Quel che ha dichiarato l'ex ministro della difesa non é supportato di fatto dalla legge, quindi é una cosa detta per ignoranza come molte cose dette da quell'individuo.
Sia ben chiaro che ciò che la scienza cataloga come "disturbo" non per forza é legato ad un particolare negativo, ma ad una caratteristica non comune o non canonica.
I dislessici hanno un "disturbo dell'apprendimento" ma sono mediamente più intelligenti della media...eppure anche la dislessia, in determinati casi, é considerata non compatibile col servizio militare incondizionato.
Il divieto di discriminazione, in sede di reclutamento delle forze armate, è sancito dall'art. 637 del D.lgs 66/2010 ma "fatto salvo il possesso dei requisiti generali", ovvero quelli già citati precedentemente: DPR 15 marzo 2010, n. 90 art. 582 comma 1 lettera R punto 4: "parafilie e disturbi dell'identità di genere".
Per quanto riguarda l'impiego (postumo al reclutamento) le discriminazioni sono vietate dall'art. 1468 del D.lgs 66/2010 (Discriminazioni e molestie), ovvero: "in sede di attribuzione di incarico, di assegnazione o di trasferimento a comandi, a enti, a reparti, ad armi o a specializzazioni, sono vietate le discriminazioni per motivi politici, ideologici, religiosi, razziali, etnici, per l'orientamento sessuale o per la differenza di genere".
Sempre il suddetto articolo cita che nei confronti dei militari, ogni forma di discriminazione diretta o indiretta, di molestia anche sessuale, è vietata secondo quanto disposto dai decreti legislativi 9 luglio 2003, n. 215, 9 luglio 2003, n. 216 e 11 aprile 2006, n. 198.
Ovvero:
-D.Lgs 9 luglio 2003, n. 215 ("Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica"):
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/de.." onclick="window.open(this.href);return false;.
NB: Non riguarda l'orientamento sessuale.
Secondo le direttive per l'accertamento dell'idoneità psicofisica, il comportamento omosessuale rientra nel precedente citato solo quando determina una condizione di disagio soggettivo o di disfunzionamento relazionale o sociale (disadattamento, disturbi d'ansia, distimici, etc.)
Nei casi in cui il comportamento omosessuale sia espressione sintomatica di disturbi psichiatrici primari, si applica il comma relativo al disturbo accertato (in ogni caso genera una non idoneità).
L'omosessualità è stata più volte oggetto di controversie psichiatriche riguardo l'inclusione o no nella lista delle parafilie, e solo nella terza versione delle DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), negli anni '80, è stata esclusa dall'essere concepita come malattia.
A tal proposito c'è da notare che l'articolo del DPR succitato non lascia dubbio alcuno sull'omosessualità come causa di non idoneità, ciò poiché integrato con la locuzione "disturbi dell'identità di genere"... ovvero includendo anche l'omosessualità.
Sebbene ci siano correnti diverse che scorrono nel Parlamento italiano, riguardo questo argomento, non sarà possibile reclutare omosessuali accertati sino a quando la legge non verrà modificata in tal senso.
Il fatto di non dichiarare la propria omosessualità è legittimo e personalmente conosco molti militari gay (uomini e donne) che lavorano nelle forze armate senza problemi di discriminazione... certo è che se dovesse essere accertata l'omosessualità da commissioni mediche, anche in futuro, potresti trovarti in situazioni di difficile previsione fino anche l'inidoneità permanente anche se postuma.
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Mi spiace ma l'omosessualità rientra tra i "disturbi di genere", dove per "genere" é inteso il sesso biologico (locuzione apposta usata per non far rientrare l'omosessualità tra le parafilie, che come già detto non é considerata tale)... non per forza bisogna sentirsi una donna per avere un "disturbo di genere", ovvero non per forza si deve agognare la transessualità poichè la legge non specifica il livello del disturbo ma solo il disturbo in se stesso.
Quel che ha dichiarato l'ex ministro della difesa non é supportato di fatto dalla legge, quindi é una cosa detta per ignoranza come molte cose dette da quell'individuo.
Sia ben chiaro che ciò che la scienza cataloga come "disturbo" non per forza é legato ad un particolare negativo, ma ad una caratteristica non comune o non canonica.
I dislessici hanno un "disturbo dell'apprendimento" ma sono mediamente più intelligenti della media...eppure anche la dislessia, in determinati casi, é considerata non compatibile col servizio militare incondizionato.
Il divieto di discriminazione, in sede di reclutamento delle forze armate, è sancito dall'art. 637 del D.lgs 66/2010 ma "fatto salvo il possesso dei requisiti generali", ovvero quelli già citati precedentemente: DPR 15 marzo 2010, n. 90 art. 582 comma 1 lettera R punto 4: "parafilie e disturbi dell'identità di genere".
Per quanto riguarda l'impiego (postumo al reclutamento) le discriminazioni sono vietate dall'art. 1468 del D.lgs 66/2010 (Discriminazioni e molestie), ovvero: "in sede di attribuzione di incarico, di assegnazione o di trasferimento a comandi, a enti, a reparti, ad armi o a specializzazioni, sono vietate le discriminazioni per motivi politici, ideologici, religiosi, razziali, etnici, per l'orientamento sessuale o per la differenza di genere".
Sempre il suddetto articolo cita che nei confronti dei militari, ogni forma di discriminazione diretta o indiretta, di molestia anche sessuale, è vietata secondo quanto disposto dai decreti legislativi 9 luglio 2003, n. 215, 9 luglio 2003, n. 216 e 11 aprile 2006, n. 198.
Ovvero:
-D.Lgs 9 luglio 2003, n. 215 ("Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica"):
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/de.." onclick="window.open(this.href);return false;.
NB: Non riguarda l'orientamento sessuale.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
Comunque la legge sulle unioni civili parla di coppie dello stesso sesso e non di coppie omosessuali piccola differenza che però escludendo la parola omosessualità fa significare per assurdo che una coppia di amici possono accedere a questo istituto e come fai a dichiarare omosessualità accertata se la legge parla di coppie dello stesso sesso (giuridicamente)
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
Si riporta il testo degli articoli 5 e 7 del citato
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.
223:
«Art. 5 (Convivenza anagrafica). - 1. Agli effetti
anagrafici per convivenza s'intende un insieme di persone
normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di
assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora
abituale nello stesso comune.
decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.
223:
«Art. 5 (Convivenza anagrafica). - 1. Agli effetti
anagrafici per convivenza s'intende un insieme di persone
normalmente coabitanti per motivi religiosi, di cura, di
assistenza, militari, di pena e simili, aventi dimora
abituale nello stesso comune.
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
1) - ricorso a metodiche procreative “artificiali”
2) - unione (anche omosessuale)
3) - per ottenere « – nell’interesse superiore dei minori S. e M. – un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due bambini, figli della ex compagna G. D. con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, durata otto anni, nel corso della quale la G. D. aveva avviato – con il sostegno morale ed economico della P. G. – un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita dei due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne»
4) - i figli nati all’interno di una unione eterosessuale e quelli nati nell’ambito di una relazione omosessuale;
---------------------------------------------------------------------------------------------
SENTENZA N. 225
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile, aggiunto dall’art. 55, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), promosso dalla Corte d’appello di Palermo nel procedimento vertente tra G. D. e P. G., con ordinanza del 31 agosto 2015, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di G. D. e P. G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Alberto Figone per G. D., Giancarlo Pizzoli per P. G. e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, promosso, ex art. 737 del codice di procedura civile, dalla ricorrente P.G., per ottenere « – nell’interesse superiore dei minori S. e M. – un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due bambini, figli della ex compagna G. D. con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, durata otto anni, nel corso della quale la G. D. aveva avviato – con il sostegno morale ed economico della P. G. – un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita dei due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne», la Corte d’appello di Palermo, adita in sede di reclamo proposto dalla madre biologica avverso il decreto del Tribunale di Palermo (con il quale, esclusa la legittimazione attiva della P. G., erano state comunque accolte le istanze della medesima, fatte proprie dal pubblico ministero intervenuto in causa), ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata ed ha perciò sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, «questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter codice civile, introdotto dall’art. 55 D.lgs. n. 154/2013, nella parte in cui – in violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma primo (sub specie in violazione dell’art. 8 CEDU, quale norma interposta), della Costituzione – non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico».
1.1.– In motivazione della suddetta ordinanza, la Corte palermitana ha preliminarmente ritenuto che correttamente il primo giudice aveva respinto le eccezioni pregiudiziali della resistente relative alla dedotta incompetenza per materia, ovvero per territorio, di esso Tribunale ordinario ed alla asserita improcedibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem rispetto ad altra – in realtà né soggettivamente né oggettivamente identica – controversia (un precedente, non accolto, ricorso congiunto delle due conviventi volto ad ottenere il riconoscimento in capo alla P. G. di una potestà analoga a quella genitoriale).
Ha considerato, a sua volta, provate, in punto di fatto, le circostanze esposte nell’atto introduttivo del giudizio ed ha condiviso le risultanze della consulenza peritale, espletata in primo grado, secondo la quale i bambini riconoscevano la P. G. «in una posizione di seconda mamma».
Ha poi affermato di «condivide[re] pienamente l’individuazione dei parametri costituzionali e convenzionali – operata dal primo giudice – che sanciscono il principio del c.d. best interest del minore (quali la Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959, gli artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea o c.d. Carta di Nizza, e l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione loro attribuita dalla Corte EDU, quali “norme interposte” ai fini della verifica del rispetto dell’art. 117, primo comma, Cost.)».
Ha aggiunto, però, la stessa rimettente che l’univoco, e non superabile, tenore testuale dell’art. 337-ter del codice civile – che include nell’area di protezione le sole relazioni del minore con ascendenti e parenti – non ne consentirebbe, a suo avviso, l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente adeguata (a quei parametri) presupposta, invece, dal Tribunale per affermare il diritto dei minori a mantenere un tal rapporto anche con soggetto non parente, quale appunto l’ex compagna della loro madre biologica.
1.2.– L’ostacolo frapposto dal citato art. 337-ter, alla verifica e valutazione da parte del giudice della sussistenza in concreto di un interesse del minore a conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico «anche dopo la disgregazione della coppia», ne giustificherebbe, invece, sempre secondo la Corte di Palermo, lo scrutinio di legittimità costituzionale, appunto da essa richiesto.
L’art. 337-ter, in ragione di tal profilo denunciato, violerebbe, innanzitutto, «l’art. 2 Cost. – che ricomprende tra le “formazioni sociali” anche le famiglie di fatto, incluse quelle riguardanti coppie formate da persone dello stesso sesso»; risulterebbe, inoltre, incompatibile con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza (art. 3 Cost.) e «con il diritto del minore ad una famiglia (artt. 2, 30 e 31 Cost.), ed in particolare a mantenere rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico, compresi i casi di famiglie omogenitoriali»; contrasterebbe, infine, «con l’art. 117, comma I Cost., che obbliga il legislatore italiano a rispettare i vincoli giuridici impostigli dal diritto dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali (quali la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e ratificata in Italia con L. n. 176/1991, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con L. n. 77/2003, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di Nizza), nonché con l’art. 8 Cedu, quale norma interposta, come viene interpretata in modo costante dalla Corte EDU in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto, a mantenere stabili relazioni, anche nell’ipotesi di crisi della coppia, avuto riguardo sempre al preminente interesse del minore».
2.– Innanzi a questa Corte si sono costituite entrambe le parti del giudizio a quo.
2.1.– La G. D. (reclamante in via principale) ha eccepito pregiudizialmente la manifesta inammissibilità della sollevata questione, per asserita inconferenza del petitum, sul presupposto che – diversamente da quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione – il dubbio di incostituzionalità non avrebbe dovuto essere incentrato sull’ambito dei poteri decisori del giudice adito ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., bensì sulla legittimazione dell’ex partner del genitore biologico ad instaurare il procedimento previsto dalla denunciata norma.
Subordinatamente, nel merito, ha contestato la fondatezza della questione con riguardo ad ognuno dei profili prospettati.
In particolare, ha sostenuto che, pur non potendosi negare che, in seno ad una convivenza di fatto possano crearsi relazioni significative tra i figli minori ed il compagno del genitore (e ciò a prescindere dall’orientamento sessuale del partner), la tutela di tali relazioni, in caso di cessazione di quella convivenza, non potrebbe, comunque, essere perseguita mediante l’applicazione di una norma relativa alle modalità di esercizio della genitorialità sui figli comuni, approntando, al riguardo, l’ordinamento altri strumenti, anche nell’interesse del minore: tra questi, il rimedio – di derivazione giurisprudenziale – dell’adozione del minore “nel caso particolare” previsto dall’art. 44, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), e l’intervento del giudice, ex art. 333 del codice civile – a fronte di «condotta del genitore pregiudizievole ai figli» – attivabile, in questo caso, su ricorso del pubblico ministero su segnalazione dell’ex partner del genitore biologico.
2.2.– La P. G. (reclamante incidentale) ha viceversa aderito, con diffuse argomentazioni, alla prospettazione del Collegio rimettente, sottolineando, tra l’altro, come, sia a livello interno che nel panorama europeo, risulti «progressivamente superata la tendenziale unicità del parametro biologico nell’attribuzione della genitorialità, anche in ragione del ricorso a metodiche procreative “artificiali”, che aprono la via a livello normativo alla scelta di fondare il rapporto di filiazione a partire dalla assunzione volontaria e consapevole della responsabilità genitoriale».
3.– Si è costituito, con atto di intervento, anche il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione in esame.
Ciò sul rilievo che si tratti nella specie di una questione di politica e di tecnica legislativa, di competenza del conditor iuris, che porrebbe «un problema di scelte di opportunità», esclusivamente riservate al legislatore.
4.– Nell’imminenza dell’udienza, ciascuna delle parti private ha depositato successiva memoria:
la G. D. per eccepire l’inammissibilità della questione sotto l’ulteriore profilo, fattuale, della insussistenza della comunione di vita con la P. G., presupposta dalla Corte rimettente, e che assume essere, viceversa, smentita da successiva allegata documentazione, che comproverebbe che essa G. D. «abitava insieme ai bambini in una casa di proprietà della P. G., ma non perché convivente con quest’ultima, ma perché, dalla P. G., concessale in godimento a titolo di locazione»;
la P. G. per sottolineare come la tutela del minore, nell’ipotesi considerata, non possa realizzarsi attraverso «il ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d), legge 184 del 1983 nella modulazione che ne è stata data in sede applicativa [e che] opera nel perdurare della relazione affettiva tra l’adottante e il genitore», presupponendo ciò l’assenso del genitore biologico.
Considerato in diritto
1.– Nel corso del giudizio di cui si è detto nel Ritenuto in fatto, la Corte d’appello di Palermo ha sollevato, per sospetto contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile, aggiunto dall’art. 55 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), «nella parte in cui […] non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico».
1.1.– Il denunciato art. 337-ter cod. civ. (applicabile anche ai «procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio», di cui al precedente art. 337-bis) dispone, al suo primo comma, che «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale». Ed aggiunge, al secondo comma, che, per realizzare tale finalità, «il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa […]».
1.2.– L’intervento additivo, nel corpus di tale norma, che la rimettente chiede a questa Corte, non postula la parificazione dell’ex partner del genitore biologico alla figura del genitore (naturale od adottivo) nei cui confronti il minore ha «il diritto […] di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale», ma più propriamente auspica che il soggetto che – nell’ambito di una (poi interrotta) unione (anche omosessuale) con il genitore biologico di un minore – abbia instaurato un legame affettivo con il minore medesimo, sia equiparato ai “parenti” ai fini della garanzia di conservazione di quel “significativo” rapporto.
Una tale equiparazione – premette la Corte palermitana – è, infatti, allo stato, preclusa dall’insuperabile tenore letterale dell’art. 337-ter, univocamente riferito ad uno specifico ed esclusivo contesto di relazioni parentali.
Da ciò, quindi, il denunciato contrasto di tale norma con:
l’art. 2 Cost., che garantisce le «formazioni sociali», in esse comprese le famiglie di fatto, anche composte da persone dello stesso sesso, in ragione del “vuoto di tutela” del minore nell’ambito delle stesse, per il profilo in considerazione;
gli artt. 2, 30 e 31, Cost., per il vulnus al principio di ragionevolezza ed al precetto dell’uguaglianza, e per la disparità di trattamento, che ne deriverebbe, tra i figli nati all’interno di una unione eterosessuale e quelli nati nell’ambito di una relazione omosessuale;
l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU – oltre che agli obblighi internazionali, genericamente evocati in motivazione e non richiamati in dispositivo, discendenti dalla «Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989, e ratificata in Italia con L. n. 176/1991, [dal]la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con L. 77 del/ 2003, [nonché dal]la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di Nizza» – in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di ulteriori soggetti uniti da vincoli familiari di fatto, a mantenere stabili relazioni pur in caso di crisi della coppia (anche omosessuale), avuto sempre riguardo al preminente interesse del minore.
2.– L’eccezione di inammissibilità formulata dalla parte reclamante nel giudizio a quo – sul rilievo che la questione così sollevata sia non pertinentemente riferita all’art. 337-ter cod. civ. – non è fondata.
È proprio, infatti, all’interno della suddetta norma che è destinata, in tesi, ad incidere la pronuncia additiva, auspicata dal Collegio rimettente, a fini della sua reductio ad legitimitatem, nella indicata direzione ampliativa del potere di intervento del giudice a tutela dell’interesse del minore.
2.1.– Non pertinente, ed eccentrica rispetto al contesto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale – e, per ciò, inammissibile – è l’ulteriore eccezione, formulata (solo in memoria) dalla medesima parte privata, con cui si pretende di rimettere in discussione (sulla base, per di più, di elementi indiziari sopravvenuti rispetto all’ordinanza di rimessione) il dato fattuale della “convivenza” tra le due donne, oggetto di accertamento nella sede (propria) di merito, in ragione della quale è motivata la rilevanza della questione.
2.2.– Non suscettibile di accoglimento è, infine, anche l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, poiché, diversamente da quanto da essa dedotto, l’intervento additivo richiesto dalla Corte rimettente è, nella sua prospettazione, “a rima obbligata”.
3.– Nel merito la questione non è fondata.
3.1.– Muovendo dalla corretta premessa che l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a «conservare rapporti significativi» con persone diverse dai genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337-ter cod. civ., abbia esclusivo riguardo a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale – all’interno, quindi, di un contesto propriamente familiare – il giudice a quo perviene direttamente alla conclusione che esista un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti.
E conseguentemente ritiene che a ciò non possa altrimenti porsi rimedio che attraverso la chiesta pronuncia additiva, la quale – con specifico riguardo alla peculiare vicenda per cui è causa – includa, appunto, anche l’ex compagna della genitrice biologica nell’area dei soggetti le cui relazioni con il minore rientrano nel quadro di tutela apprestata dal denunciato art. 337-ter cod. civ.
3.2.– La Corte rimettente trascura, però, di considerare che l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione.
In questo senso, nella fase di primo grado del giudizio a quo, si era, del resto, già orientato il Tribunale di Palermo che – nel disporre la frequentazione delle due minori con l’ex compagna della madre biologica – aveva ritenuto a tal fine necessaria una richiesta del pubblico ministero.
3.3.– Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente. E ciò appunto comporta la non fondatezza della questione su tal presupposto sollevata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile sollevata – in riferimento agli articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione, ed all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – dalla Corte d’appello di Palermo, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2016.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 ottobre 2016.
2) - unione (anche omosessuale)
3) - per ottenere « – nell’interesse superiore dei minori S. e M. – un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due bambini, figli della ex compagna G. D. con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, durata otto anni, nel corso della quale la G. D. aveva avviato – con il sostegno morale ed economico della P. G. – un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita dei due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne»
4) - i figli nati all’interno di una unione eterosessuale e quelli nati nell’ambito di una relazione omosessuale;
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SENTENZA N. 225
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile, aggiunto dall’art. 55, comma 1, del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), promosso dalla Corte d’appello di Palermo nel procedimento vertente tra G. D. e P. G., con ordinanza del 31 agosto 2015, iscritta al n. 338 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di G. D. e P. G., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Alberto Figone per G. D., Giancarlo Pizzoli per P. G. e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di un procedimento di volontaria giurisdizione, promosso, ex art. 737 del codice di procedura civile, dalla ricorrente P.G., per ottenere « – nell’interesse superiore dei minori S. e M. – un provvedimento volto a statuire tempi e modalità di frequentazione tra la stessa e i due bambini, figli della ex compagna G. D. con la quale aveva avuto una relazione sentimentale, durata otto anni, nel corso della quale la G. D. aveva avviato – con il sostegno morale ed economico della P. G. – un processo di procreazione assistita di tipo eterologo, conclusosi con la gravidanza e la nascita dei due gemelli, accuditi e cresciuti da entrambe le donne», la Corte d’appello di Palermo, adita in sede di reclamo proposto dalla madre biologica avverso il decreto del Tribunale di Palermo (con il quale, esclusa la legittimazione attiva della P. G., erano state comunque accolte le istanze della medesima, fatte proprie dal pubblico ministero intervenuto in causa), ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata ed ha perciò sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, «questione di legittimità costituzionale dell’art. 337 ter codice civile, introdotto dall’art. 55 D.lgs. n. 154/2013, nella parte in cui – in violazione degli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, comma primo (sub specie in violazione dell’art. 8 CEDU, quale norma interposta), della Costituzione – non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico».
1.1.– In motivazione della suddetta ordinanza, la Corte palermitana ha preliminarmente ritenuto che correttamente il primo giudice aveva respinto le eccezioni pregiudiziali della resistente relative alla dedotta incompetenza per materia, ovvero per territorio, di esso Tribunale ordinario ed alla asserita improcedibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem rispetto ad altra – in realtà né soggettivamente né oggettivamente identica – controversia (un precedente, non accolto, ricorso congiunto delle due conviventi volto ad ottenere il riconoscimento in capo alla P. G. di una potestà analoga a quella genitoriale).
Ha considerato, a sua volta, provate, in punto di fatto, le circostanze esposte nell’atto introduttivo del giudizio ed ha condiviso le risultanze della consulenza peritale, espletata in primo grado, secondo la quale i bambini riconoscevano la P. G. «in una posizione di seconda mamma».
Ha poi affermato di «condivide[re] pienamente l’individuazione dei parametri costituzionali e convenzionali – operata dal primo giudice – che sanciscono il principio del c.d. best interest del minore (quali la Dichiarazione Universale dei diritti del fanciullo del 1959, gli artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea o c.d. Carta di Nizza, e l’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione loro attribuita dalla Corte EDU, quali “norme interposte” ai fini della verifica del rispetto dell’art. 117, primo comma, Cost.)».
Ha aggiunto, però, la stessa rimettente che l’univoco, e non superabile, tenore testuale dell’art. 337-ter del codice civile – che include nell’area di protezione le sole relazioni del minore con ascendenti e parenti – non ne consentirebbe, a suo avviso, l’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente adeguata (a quei parametri) presupposta, invece, dal Tribunale per affermare il diritto dei minori a mantenere un tal rapporto anche con soggetto non parente, quale appunto l’ex compagna della loro madre biologica.
1.2.– L’ostacolo frapposto dal citato art. 337-ter, alla verifica e valutazione da parte del giudice della sussistenza in concreto di un interesse del minore a conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico «anche dopo la disgregazione della coppia», ne giustificherebbe, invece, sempre secondo la Corte di Palermo, lo scrutinio di legittimità costituzionale, appunto da essa richiesto.
L’art. 337-ter, in ragione di tal profilo denunciato, violerebbe, innanzitutto, «l’art. 2 Cost. – che ricomprende tra le “formazioni sociali” anche le famiglie di fatto, incluse quelle riguardanti coppie formate da persone dello stesso sesso»; risulterebbe, inoltre, incompatibile con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza (art. 3 Cost.) e «con il diritto del minore ad una famiglia (artt. 2, 30 e 31 Cost.), ed in particolare a mantenere rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico, compresi i casi di famiglie omogenitoriali»; contrasterebbe, infine, «con l’art. 117, comma I Cost., che obbliga il legislatore italiano a rispettare i vincoli giuridici impostigli dal diritto dell’Unione Europea e dagli obblighi internazionali (quali la Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e ratificata in Italia con L. n. 176/1991, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con L. n. 77/2003, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di Nizza), nonché con l’art. 8 Cedu, quale norma interposta, come viene interpretata in modo costante dalla Corte EDU in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di altri soggetti uniti da relazioni familiari di fatto, a mantenere stabili relazioni, anche nell’ipotesi di crisi della coppia, avuto riguardo sempre al preminente interesse del minore».
2.– Innanzi a questa Corte si sono costituite entrambe le parti del giudizio a quo.
2.1.– La G. D. (reclamante in via principale) ha eccepito pregiudizialmente la manifesta inammissibilità della sollevata questione, per asserita inconferenza del petitum, sul presupposto che – diversamente da quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione – il dubbio di incostituzionalità non avrebbe dovuto essere incentrato sull’ambito dei poteri decisori del giudice adito ai sensi dell’art. 337-ter cod. civ., bensì sulla legittimazione dell’ex partner del genitore biologico ad instaurare il procedimento previsto dalla denunciata norma.
Subordinatamente, nel merito, ha contestato la fondatezza della questione con riguardo ad ognuno dei profili prospettati.
In particolare, ha sostenuto che, pur non potendosi negare che, in seno ad una convivenza di fatto possano crearsi relazioni significative tra i figli minori ed il compagno del genitore (e ciò a prescindere dall’orientamento sessuale del partner), la tutela di tali relazioni, in caso di cessazione di quella convivenza, non potrebbe, comunque, essere perseguita mediante l’applicazione di una norma relativa alle modalità di esercizio della genitorialità sui figli comuni, approntando, al riguardo, l’ordinamento altri strumenti, anche nell’interesse del minore: tra questi, il rimedio – di derivazione giurisprudenziale – dell’adozione del minore “nel caso particolare” previsto dall’art. 44, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), e l’intervento del giudice, ex art. 333 del codice civile – a fronte di «condotta del genitore pregiudizievole ai figli» – attivabile, in questo caso, su ricorso del pubblico ministero su segnalazione dell’ex partner del genitore biologico.
2.2.– La P. G. (reclamante incidentale) ha viceversa aderito, con diffuse argomentazioni, alla prospettazione del Collegio rimettente, sottolineando, tra l’altro, come, sia a livello interno che nel panorama europeo, risulti «progressivamente superata la tendenziale unicità del parametro biologico nell’attribuzione della genitorialità, anche in ragione del ricorso a metodiche procreative “artificiali”, che aprono la via a livello normativo alla scelta di fondare il rapporto di filiazione a partire dalla assunzione volontaria e consapevole della responsabilità genitoriale».
3.– Si è costituito, con atto di intervento, anche il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità della questione in esame.
Ciò sul rilievo che si tratti nella specie di una questione di politica e di tecnica legislativa, di competenza del conditor iuris, che porrebbe «un problema di scelte di opportunità», esclusivamente riservate al legislatore.
4.– Nell’imminenza dell’udienza, ciascuna delle parti private ha depositato successiva memoria:
la G. D. per eccepire l’inammissibilità della questione sotto l’ulteriore profilo, fattuale, della insussistenza della comunione di vita con la P. G., presupposta dalla Corte rimettente, e che assume essere, viceversa, smentita da successiva allegata documentazione, che comproverebbe che essa G. D. «abitava insieme ai bambini in una casa di proprietà della P. G., ma non perché convivente con quest’ultima, ma perché, dalla P. G., concessale in godimento a titolo di locazione»;
la P. G. per sottolineare come la tutela del minore, nell’ipotesi considerata, non possa realizzarsi attraverso «il ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d), legge 184 del 1983 nella modulazione che ne è stata data in sede applicativa [e che] opera nel perdurare della relazione affettiva tra l’adottante e il genitore», presupponendo ciò l’assenso del genitore biologico.
Considerato in diritto
1.– Nel corso del giudizio di cui si è detto nel Ritenuto in fatto, la Corte d’appello di Palermo ha sollevato, per sospetto contrasto con gli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione e con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile, aggiunto dall’art. 55 del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), «nella parte in cui […] non consente al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore conservare rapporti significativi con l’ex partner del genitore biologico».
1.1.– Il denunciato art. 337-ter cod. civ. (applicabile anche ai «procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio», di cui al precedente art. 337-bis) dispone, al suo primo comma, che «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale». Ed aggiunge, al secondo comma, che, per realizzare tale finalità, «il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa […]».
1.2.– L’intervento additivo, nel corpus di tale norma, che la rimettente chiede a questa Corte, non postula la parificazione dell’ex partner del genitore biologico alla figura del genitore (naturale od adottivo) nei cui confronti il minore ha «il diritto […] di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale», ma più propriamente auspica che il soggetto che – nell’ambito di una (poi interrotta) unione (anche omosessuale) con il genitore biologico di un minore – abbia instaurato un legame affettivo con il minore medesimo, sia equiparato ai “parenti” ai fini della garanzia di conservazione di quel “significativo” rapporto.
Una tale equiparazione – premette la Corte palermitana – è, infatti, allo stato, preclusa dall’insuperabile tenore letterale dell’art. 337-ter, univocamente riferito ad uno specifico ed esclusivo contesto di relazioni parentali.
Da ciò, quindi, il denunciato contrasto di tale norma con:
l’art. 2 Cost., che garantisce le «formazioni sociali», in esse comprese le famiglie di fatto, anche composte da persone dello stesso sesso, in ragione del “vuoto di tutela” del minore nell’ambito delle stesse, per il profilo in considerazione;
gli artt. 2, 30 e 31, Cost., per il vulnus al principio di ragionevolezza ed al precetto dell’uguaglianza, e per la disparità di trattamento, che ne deriverebbe, tra i figli nati all’interno di una unione eterosessuale e quelli nati nell’ambito di una relazione omosessuale;
l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU – oltre che agli obblighi internazionali, genericamente evocati in motivazione e non richiamati in dispositivo, discendenti dalla «Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989, e ratificata in Italia con L. n. 176/1991, [dal]la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25.01.1996 e ratificata con L. 77 del/ 2003, [nonché dal]la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7.12.2000, adottata il 12.12.2007 a Strasburgo o c.d. Carta di Nizza» – in materia di riconoscimento del diritto dei genitori e dei figli, nonché di ulteriori soggetti uniti da vincoli familiari di fatto, a mantenere stabili relazioni pur in caso di crisi della coppia (anche omosessuale), avuto sempre riguardo al preminente interesse del minore.
2.– L’eccezione di inammissibilità formulata dalla parte reclamante nel giudizio a quo – sul rilievo che la questione così sollevata sia non pertinentemente riferita all’art. 337-ter cod. civ. – non è fondata.
È proprio, infatti, all’interno della suddetta norma che è destinata, in tesi, ad incidere la pronuncia additiva, auspicata dal Collegio rimettente, a fini della sua reductio ad legitimitatem, nella indicata direzione ampliativa del potere di intervento del giudice a tutela dell’interesse del minore.
2.1.– Non pertinente, ed eccentrica rispetto al contesto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale – e, per ciò, inammissibile – è l’ulteriore eccezione, formulata (solo in memoria) dalla medesima parte privata, con cui si pretende di rimettere in discussione (sulla base, per di più, di elementi indiziari sopravvenuti rispetto all’ordinanza di rimessione) il dato fattuale della “convivenza” tra le due donne, oggetto di accertamento nella sede (propria) di merito, in ragione della quale è motivata la rilevanza della questione.
2.2.– Non suscettibile di accoglimento è, infine, anche l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura dello Stato, poiché, diversamente da quanto da essa dedotto, l’intervento additivo richiesto dalla Corte rimettente è, nella sua prospettazione, “a rima obbligata”.
3.– Nel merito la questione non è fondata.
3.1.– Muovendo dalla corretta premessa che l’intervento del giudice a tutela del diritto del figlio minore a «conservare rapporti significativi» con persone diverse dai genitori, quale previsto e disciplinato dall’art. 337-ter cod. civ., abbia esclusivo riguardo a soggetti comunque legati al minore da un vincolo parentale – all’interno, quindi, di un contesto propriamente familiare – il giudice a quo perviene direttamente alla conclusione che esista un “vuoto di tutela” quanto all’interesse del minore a mantenere rapporti, non meno significativi, eventualmente intrattenuti con adulti di riferimento che non siano suoi parenti.
E conseguentemente ritiene che a ciò non possa altrimenti porsi rimedio che attraverso la chiesta pronuncia additiva, la quale – con specifico riguardo alla peculiare vicenda per cui è causa – includa, appunto, anche l’ex compagna della genitrice biologica nell’area dei soggetti le cui relazioni con il minore rientrano nel quadro di tutela apprestata dal denunciato art. 337-ter cod. civ.
3.2.– La Corte rimettente trascura, però, di considerare che l’interruzione ingiustificata, da parte di uno o di entrambi i genitori, in contrasto con l’interesse del minore, di un rapporto significativo, da quest’ultimo instaurato e intrattenuto con soggetti che non siano parenti, è riconducibile alla ipotesi di condotta del genitore “comunque pregiudizievole al figlio”, in relazione alla quale l’art. 333 dello stesso codice già consente al giudice di adottare “i provvedimenti convenienti” nel caso concreto. E ciò su ricorso del pubblico ministero (a tanto legittimato dall’art. 336 cod. civ.), anche su sollecitazione dell’adulto (non parente) coinvolto nel rapporto in questione.
In questo senso, nella fase di primo grado del giudizio a quo, si era, del resto, già orientato il Tribunale di Palermo che – nel disporre la frequentazione delle due minori con l’ex compagna della madre biologica – aveva ritenuto a tal fine necessaria una richiesta del pubblico ministero.
3.3.– Non sussiste, pertanto, il vuoto di tutela dell’interesse del minore presupposto dal giudice rimettente. E ciò appunto comporta la non fondatezza della questione su tal presupposto sollevata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 337-ter del codice civile sollevata – in riferimento agli articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione, ed all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – dalla Corte d’appello di Palermo, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2016.
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