Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinaria
Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinaria
Secondo voi, allo stato odierno e in virtù delle recenti novità Europee e possibile contrarre un tale matrimonio.
Sapevate che in Spagna è possibile contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso dal 2006?
Cortesemente però moderate le critiche per non offendere gli altri, altrimenti sicuramente questo post verrà chiuso o eliminato.
L'argomento andrebbe approfondito per dare notizie agli interessati.
Siete liberi di partecipare ma senza offesa per gli altri.
Ormai, in tutto stiamo diventando cittadini europei e le norme vengono recepite anche in Italia anche se con ritardo.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Correva l'anno 2006 quando con una lettera, ad oggetto: matrimoni gay tra militari .......
c'era scritto (stiamo parlando cmq. del 2006)
Taluni militari ..... hanno richiesto l'autorizzazione per recarsi in Spagna allo scopo di contrarre matrimonio con persona dello stesso sesso, secondo la normativa di recente introdotta in quel paese.
Al riguardo, si sottolinea che, pur nel pieno rispetto delle ....... - dichiarata od altrimenti accertata - è motivo di riforma ai sensi dell'art. 7 R.D. 22 marzo 1934 n. 57.
........
..........
Dal 2006 ad oggi le cose sono molto cambiate, normative europee anche recepite.
Adesso è stata recepita in Italia anche la possibilità delle unioni civili tra i sessi, uomini con uomini e donne con donne.
Quindi penso che il Ministero della Difesa deve ora cambiare proprio anche negli arruolamenti per non andare contro la Legge.
c'era scritto (stiamo parlando cmq. del 2006)
Taluni militari ..... hanno richiesto l'autorizzazione per recarsi in Spagna allo scopo di contrarre matrimonio con persona dello stesso sesso, secondo la normativa di recente introdotta in quel paese.
Al riguardo, si sottolinea che, pur nel pieno rispetto delle ....... - dichiarata od altrimenti accertata - è motivo di riforma ai sensi dell'art. 7 R.D. 22 marzo 1934 n. 57.
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Dal 2006 ad oggi le cose sono molto cambiate, normative europee anche recepite.
Adesso è stata recepita in Italia anche la possibilità delle unioni civili tra i sessi, uomini con uomini e donne con donne.
Quindi penso che il Ministero della Difesa deve ora cambiare proprio anche negli arruolamenti per non andare contro la Legge.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da Filippogianni »
Personalmente mai avuti pregiudizi di alcun genere verso chi è diverso/ diversa , l'unico pregiudizio e che come cittadini europei non prendiamo stipendi e pensioni come in Germania quindi ritengo che siamo discriminatipanorama ha scritto:Secondo voi, allo stato odierno e in virtù delle recenti novità Europee e possibile contrarre un tale matrimonio.
Sapevate che in Spagna è possibile contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso dal 2006?
Cortesemente però moderate le critiche per non offendere gli altri, altrimenti sicuramente questo post verrà chiuso o eliminato.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da Sempreme064 »
In America si arruolano anche i transgender.. sono favorevole ai matrimoni tra i sessi uguali, sono 30 anni che se ne parla, uguali diritti per tutti.. mi piace la frase anche noi stiamo diventando Europei.. In Italia i problemi sono altri..questa legge doveva passare come bere un bicchiere d'acqua..sono un Po meno favorevole alle adozioni di bambini sino a una certa età che penso abbiamo bisogno di un padre e una madre
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da Sempreme064 »
P.s. ho fatto una proposta di matrimonio a Gino.. non mi ha risposto.. hehehehe
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da Sempreme064 »
sei sicuro? la prima cosa che fa Gino guarda la P.A.L. se non è alta non ti considera.. ma io adesso lavoro lo mantengo io. arrivo a 3400euro al mese.. vedremo quali sono le sue aspettative..panorama ha scritto:dagli tempo almeno di riflettere. Una cosa è l'amicizia una cosa è l'unione.
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da Sempreme064 »
Lavoro truffa : 3400 euro al mese un sogno.. Oggi vado o dalla G.D.F..O CC.. lavoro occasionale 800euro al mese più da 10 euro a 30 euro per pacco ricevuto..ero un vettore.. gli faccio vedere io il vettore..ma un lavoro serio si riesce a trovare? La pensione da 1350 non mi basta nemmeno per pagare il mutuo..
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
1) - La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».
2) - Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
Qui sotto la sentenza della Corte Costituzione.
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SENTENZA N. 174
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, nel procedimento vertente tra S.P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.
La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».
1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda di S.P., coniuge superstite di un titolare di pensione diretta, che ha chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la pensione di reversibilità, senza la decurtazione percentuale sancita dalla disposizione impugnata, e la conseguente condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a rideterminare l’importo della pensione, con interessi e rivalutazione monetaria.
In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia che la disposizione censurata si applica ratione temporis alla vicenda controversa e non si presta a un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale: la parte ricorrente nel giudizio principale ha sposato un uomo, che ha superato i settant’anni, il divario di età tra i coniugi è superiore a vent’anni e, pertanto, ricorrono i presupposti per procedere alla decurtazione di legge.
1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, il giudice a quo disattende, in primo luogo, gli argomenti della parte intervenuta, volti a equiparare il matrimonio alla convivenza more uxorio, che, nel caso di specie, aveva preceduto il matrimonio.
Il giudice rimettente assume che la disciplina impugnata contrasti con l’art. 29 Cost., in quanto le decurtazioni previste dalla legge pregiudicano la possibilità di condurre una vita dignitosa dopo la morte del coniuge e violano così la libertà di compiere scelte personali in àmbito familiare.
Inoltre, la misura restrittiva adottata dal legislatore si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo: le decurtazioni previste sarebbero innanzitutto irragionevoli, perché legate a fattori futuri, incerti, estranei alle regole dell’istituto della pensione di reversibilità (la durata del matrimonio, l’età del coniuge pensionato). In secondo luogo, esse sarebbero lesive dell’eguaglianza tra i coniugi, discriminando arbitrariamente – quanto alla garanzia di continuità del sostentamento – il coniuge superstite, «apoditticamente individuato nel più giovane».
Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina in esame, destinata a tradursi in una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, lederebbe anche i princìpi consacrati dagli artt. 36 e 38 della Carta fondamentale.
Essa, difatti, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, “retribuzione differita”, che, nel necessario bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie, deve essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un dignitoso sostentamento.
2.– Con memoria del 6 agosto 2014, si è costituito in giudizio l’INPS, limitandosi a chiedere di dichiarare inammissibile o, in subordine, infondata la questione di legittimità costituzionale e riservandosi di meglio articolare in séguito deduzioni e difese.
3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 16 settembre 2014, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.
La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile, per difetto di chiarezza e di univocità della prospettazione: la disposizione riguarderebbe tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati, e, pertanto, non sarebbe intelligibile la censura di violazione dell’art. 3 Cost., soprattutto in considerazione della peculiarità della fattispecie e della finalità di reprimere gli abusi ai danni delle persone anziane.
La questione sarebbe comunque infondata, poiché la libertà di sposarsi non può ritenersi condizionata dalla possibilità di beneficiare del trattamento di reversibilità.
Sarebbero prive di pregio anche le censure di violazione degli artt. 36 e 38 Cost.. Sarebbe conforme ai princìpi costituzionali una disciplina suscettibile di incidere su trattamenti pensionistici del tutto eventuali, come la pensione di reversibilità, in forza di una disciplina dell’ammontare di tali trattamenti, rispettosa del canone di ragionevolezza.
Peraltro, l’accoglimento della questione di costituzionalità produrrebbe effetti negativi per la finanza, secondo quanto si evince dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011.
4.– In prossimità dell’udienza, l’INPS ha depositato una memoria illustrativa e ha ribadito, con argomentazioni più approfondite, le conclusioni già svolte.
L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, addebitando al giudice rimettente di non avere adeguatamente chiarito se l’applicazione letterale della norma sia davvero in conflitto con i precetti costituzionali evocati e se una pronuncia di accoglimento sia effettivamente idonea a «ripristinare il bene della vita» richiesto dalla parte ricorrente.
La norma impugnata – argomenta l’INPS – è successiva al matrimonio della ricorrente, che, pertanto, non ha visto pregiudicata la sua libertà di autodeterminazione.
Ad avviso dell’INPS, il giudice rimettente non ha specificato come la riduzione del trattamento pensionistico, nel caso di specie, comprometta il diritto a condurre un’esistenza libera e dignitosa.
L’INPS sostiene che il giudice rimettente abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale «a tutela non tanto dell’interesse specifico presuntivamente leso dal provvedimento di liquidazione della pensione, ma con il fine di far valere un generale principio di intangibilità del quantum delle pensioni ai superstiti a beneficio della generalità dei potenziali percettori delle prestazioni».
La questione di legittimità costituzionale, inoltre, sarebbe manifestamente infondata: le censure si appunterebbero contro una disciplina adottata in una grave congiuntura di crisi finanziaria, al precipuo scopo di conseguire l’equilibrio di bilancio, costituzionalmente imposto (art. 81 Cost.).
Peraltro, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione dell’istituto della pensione di reversibilità, che ha perso la connotazione alimentare e assistenziale, per acquisire la valenza di trattamento integrativo del reddito da lavoro o da pensione del familiare superstite.
Contro la fondatezza della questione deporrebbe la diversità delle norme già dichiarate incostituzionali rispetto alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio della Corte, che non elimina in radice la pensione di reversibilità, ma riduce progressivamente l’aliquota e prevede taluni correttivi a fronte di situazioni meritevoli di tutela (la presenza di figli minori, studenti o inabili).
L’esigenza di considerare la durata del matrimonio, alla stregua di quel che avviene per la pensione di reversibilità attribuita al coniuge divorziato, non vanificherebbe la funzione solidaristica, insita nella pensione di reversibilità.
Quanto al trattamento deteriore del coniuge superstite più giovane rispetto al privilegio accordato al coniuge superstite più anziano, l’INPS nega che le due fattispecie possano essere poste a raffronto e osserva che, nell’ipotesi marginale di sopravvivenza del coniuge più anziano, questi non potrebbe giovarsi per lungo tempo di tale posizione di favore.
La disposizione impugnata, approvata allo scopo di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici e di razionalizzare l’assetto normativo delle pensioni di reversibilità, non limiterebbe in alcun modo la libertà di matrimonio, ma si prefiggerebbe di tutelarla da propositi venali e fraudolenti.
Pertanto, la disciplina in esame, espressione del principio di solidarietà coniugale, non istituirebbe arbitrarie disparità di trattamento e sarebbe immune dai vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente.
5.– All’udienza pubblica del 31 maggio 2016, le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– L’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale di tale normativa, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione.
Il giudice rimettente ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza.
La disciplina del trattamento di reversibilità, introdotta nel 2011, stabilirebbe decurtazioni «irrazionali e irragionevoli», «collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle regole proprie dell’istituto “pensione di reversibilità” quali la durata del matrimonio e l’età del coniuge pensionato, in assoluto e relativamente a quella dell’altro coniuge».
Inoltre, la disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi, «operando nei confronti del coniuge superstite (apoditticamente individuato nel più giovane) un palese “vulnus” del suo diritto a quella garanzia di continuità nel sostentamento ai superstiti, riconosciuta dalla Corte nella sentenza n. 286/1987».
Il giudice rimettente ritiene che la disposizione impugnata confligga con l’art. 29 Cost.: sarebbe limitata «la libertà dell’individuo ad operare le scelte più intime e personali della propria esistenza», in virtù dell’introduzione di «elementi esterni fortemente incidenti sulla sua capacità di determinazione familiare».
In particolare, l’individuo sarebbe posto di fronte all’alternativa «di formare un nucleo familiare secondo la più ampia accezione di libertà oppure non accedervi nella consapevolezza che a quel nucleo non potrà, di fronte all’evento morte, assicurare una vita dignitosa a causa delle decurtazioni volute dalla disciplina in esame».
Il giudice rimettente prospetta anche la violazione degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: la decurtazione imposta dalla legge, suscettibile di configurare una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, che si caratterizza come “retribuzione differita”, pur nell’indispensabile bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie.
La disposizione censurata contrasterebbe con i princìpi che sanciscono la proporzione del trattamento pensionistico alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e l’idoneità a garantire al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un altrettanto dignitoso sostentamento.
2.– La questione, posta dalla Corte dei conti, si sottrae alle eccezioni di inammissibilità, formulate in via preliminare dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dalla difesa dello Stato.
2.1.– Quanto al difetto di rilevanza, eccepito dall’INPS, è la stessa difesa dell’ente previdenziale a riconoscere che la disposizione impugnata si applica al caso di specie, in quanto riguarda pensioni di reversibilità che decorrono dal 1° gennaio 2012 e il diritto della ricorrente è sorto in data successiva.
L’applicabilità della disposizione al giudizio principale è sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato più incisivo sul concreto pregiudizio ai princìpi costituzionali coinvolti.
La questione di costituzionalità non può dirsi irrilevante, sul presupposto che, nella vicenda specifica, l’applicazione della disposizione impugnata non abbia messo a repentaglio la libertà matrimoniale, poiché il matrimonio è stato celebrato prima dell’entrata in vigore della legge del 2011, o non pregiudichi l’adeguatezza della tutela previdenziale accordata al coniuge superstite, già provvisto di mezzi sufficienti.
Tali valutazioni esulano dal sindacato sulla rilevanza richiesto a questa Corte.
2.2.– Anche le eccezioni mosse dall’Avvocatura generale dello Stato, relative alla carente illustrazione della non manifesta infondatezza, devono essere disattese.
Il giudice rimettente si sofferma, con argomentazioni esaustive, sulle ragioni del contrasto della disciplina censurata con il principio di eguaglianza e con il canone di ragionevolezza. È ininfluente che la disciplina riguardi tutti i trattamenti pensionistici e si riprometta di contrastare taluni abusi, in quanto il giudice a quo coglie la violazione del principio di eguaglianza e del canone di ragionevolezza sotto profili differenti.
3.– La questione è fondata.
3.1.– L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto).
In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.
3.2.– Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico.
Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto).
Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi princìpi costituzionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto).
Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
In un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza rivestono un ruolo cruciale nell’orientare l’intervento del legislatore. Quest’ultimo, vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale, per un verso non deve interferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazione della propria sfera affettiva e, per altro verso, è chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale globalmente inteso.
Nel contesto di tali fattori, alla direttrice già tracciata dalla disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che riduce percentualmente l’ammontare del trattamento di reversibilità nell’ipotesi di concorso di più beneficiari e di cumulo dei redditi, si potrebbe affiancare il complementare criterio selettivo dell’età del coniuge beneficiario, sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo di contenimento delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative sintetiche elaborate, nel corso del dibattito parlamentare, dall’Ufficio legislazione straniera del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.).
4.– Nonostante i temperamenti che il sistema previdenziale predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica rispetto ai princìpi costituzionali enunciati.
4.1.– L’art. 18, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 si inquadra in una manovra di stabilizzazione finanziaria che include svariati provvedimenti di contenimento della spesa previdenziale, come il progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, le modifiche del meccanismo di indicizzazione delle pensioni, il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici più cospicui, le misure di riduzione del contenzioso in materia di invalidità civile mediante forme di accertamento tecnico preventivo obbligatorio.
La disposizione, adottata sotto l’incalzare di una «particolare congiuntura economica internazionale», che ha precluso l’esame più approfondito delle «spesso assai delicate e complesse questioni poste dall’articolato» (parere espresso il 14 luglio 2011 dalla I Commissione permanente della Camera, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), mutua numerosi elementi da un disegno di legge già in discussione al Parlamento (XVI Legislatura, Atto Camera n. 4150, proposta di legge presentata l’8 marzo 2011).
Il disegno di legge escludeva il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di età avanzata di uno dei coniugi (settant’anni), di elevata differenza di età tra i coniugi, superiore a vent’anni, e di durata del matrimonio inferiore a tre anni. Nella relazione di accompagnamento, si stigmatizzava come “malcostume” l’attribuzione delle pensioni di reversibilità «a persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si poneva in risalto l’obiettivo di arginare il fenomeno dei matrimoni “di comodo”.
La disposizione censurata nell’odierno giudizio di costituzionalità tempera l’assolutezza della previsione di tale disegno di legge con alcuni correttivi: la pensione di reversibilità non è eliminata in radice, ma è ridotta in una misura modulata del «10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10». La riduzione non opera quando vi siano figli minori, studenti o inabili.
4.2.– La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili.
Si tratta di una presunzione di frode alla legge, connotata in termini assoluti, che preclude ogni prova contraria. La sua ampia valenza lascia trasparire l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata. Pur di accentuare la repressione di illeciti, già sanzionati dall’ordinamento con previsioni mirate (sentenze n. 245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 123 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.
Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrittive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988).
4.3.– Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.
La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto estranee «all’essenza e ai fini del vincolo coniugale», con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n. 110 del 1999, punto 2. del Considerato in diritto).
L’esclusione dell’operatività delle norme che, in presenza di figli, limitano l’erogazione della pensione di reversibilità, non attenua i profili di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza. Difatti, essa non è valsa a fugare i dubbi di legittimità costituzionale in altri casi già scrutinati da questa Corte, con riguardo alla disciplina delle pensioni erogate alle vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450 del 1991), che condizionava il diritto alla durata annuale del matrimonio o alla presenza di prole, ancorché postuma.
Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite appare ancor più evidente in una normativa che subordina tali diritti alla circostanza, del tutto accidentale ed eccentrica rispetto alla primaria finalità di protezione del coniuge, che vi siano figli minori, studenti o inabili all’epoca del sorgere del diritto del coniuge. Per i figli, peraltro, la disciplina delle pensioni di reversibilità appresta una tutela autonoma, che interagisce con la normativa indirizzata ai coniugi ai limitati effetti della già citata disciplina del “cumulo”. Questo dato serve a confermare l’equilibrato intento solidaristico che ha, già da qualche tempo, ispirato il legislatore.
Neppure la peculiarità del meccanismo congegnato nel 2011, che commisura l’ammontare della pensione di reversibilità alla durata del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di tale prestazione, rappresenta un significativo elemento di discontinuità tra la misura censurata e le disposizioni già dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di un’analisi puntuale della disparità di trattamento tra le diverse categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979) e, nell’evoluzione successiva, sul presupposto della «ingiustificata irrazionalità» di discipline restrittive ancorate a elementi di matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada di una giurisprudenza costante, rappresentata dalle sentenze n. 447 del 2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del 1994, n. 1 del 1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990).
Quando la durata del matrimonio sia inferiore all’anno, la correlazione tra l’ammontare della pensione di reversibilità e la durata del matrimonio azzera il trattamento previdenziale: il meccanismo di riduzione, concepito in termini graduali dal legislatore, si risolve in una esclusione pura e semplice del diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di questa Corte nelle pronunce appena ricordate.
L’antitesi con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza non è meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare il trattamento di reversibilità corrisposto al coniuge, e non a disconoscerlo del tutto. La pregnanza del vincolo di solidarietà coniugale, fondamento della pensione di reversibilità, è graduata in rapporto all’elemento, contingente ed estrinseco, della durata del matrimonio.
Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi.
Tale nesso, articolato nei termini singolari di un progressivo incremento dell’importo della pensione al protrarsi del matrimonio, riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni.
Il rilievo peculiare della durata del matrimonio, nella sola ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa – da altra e ugualmente pregnante angolazione – il contrasto già segnalato con l’art. 3 Cost.
Non può essere invocata, in chiave comparativa, la disciplina dell’attribuzione della pensione di reversibilità ai coniugi divorziati (art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e successive modificazioni).
In tale fattispecie, la durata non rileva in senso assoluto e astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare del diritto all’assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi superstiti. La durata del matrimonio, infatti, non si riverbera sull’ammontare della pensione di reversibilità, complessivamente attribuito, ma viene in rilievo soltanto nella ripartizione dell’intero tra una pluralità di aventi diritto.
5.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.
Sono assorbite le censure incentrate sulla violazione dell’art. 29 Cost. e, in particolare, sulla limitazione della libertà di contrarre matrimonio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016.
2) - Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
Qui sotto la sentenza della Corte Costituzione.
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SENTENZA N. 174
ANNO 2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Alessandro CRISCUOLO Giudice
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Giulio PROSPERETTI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, nel procedimento vertente tra S.P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi l’avvocato Filippo Mangiapane per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 24 marzo 2014, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2014, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.
La disposizione censurata prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».
1.1.– Il giudice rimettente espone di dover decidere sulla domanda di S.P., coniuge superstite di un titolare di pensione diretta, che ha chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la pensione di reversibilità, senza la decurtazione percentuale sancita dalla disposizione impugnata, e la conseguente condanna dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a rideterminare l’importo della pensione, con interessi e rivalutazione monetaria.
In punto di rilevanza, il giudice a quo evidenzia che la disposizione censurata si applica ratione temporis alla vicenda controversa e non si presta a un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale: la parte ricorrente nel giudizio principale ha sposato un uomo, che ha superato i settant’anni, il divario di età tra i coniugi è superiore a vent’anni e, pertanto, ricorrono i presupposti per procedere alla decurtazione di legge.
1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, il giudice a quo disattende, in primo luogo, gli argomenti della parte intervenuta, volti a equiparare il matrimonio alla convivenza more uxorio, che, nel caso di specie, aveva preceduto il matrimonio.
Il giudice rimettente assume che la disciplina impugnata contrasti con l’art. 29 Cost., in quanto le decurtazioni previste dalla legge pregiudicano la possibilità di condurre una vita dignitosa dopo la morte del coniuge e violano così la libertà di compiere scelte personali in àmbito familiare.
Inoltre, la misura restrittiva adottata dal legislatore si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto un duplice profilo: le decurtazioni previste sarebbero innanzitutto irragionevoli, perché legate a fattori futuri, incerti, estranei alle regole dell’istituto della pensione di reversibilità (la durata del matrimonio, l’età del coniuge pensionato). In secondo luogo, esse sarebbero lesive dell’eguaglianza tra i coniugi, discriminando arbitrariamente – quanto alla garanzia di continuità del sostentamento – il coniuge superstite, «apoditticamente individuato nel più giovane».
Ad avviso del giudice rimettente, la disciplina in esame, destinata a tradursi in una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, lederebbe anche i princìpi consacrati dagli artt. 36 e 38 della Carta fondamentale.
Essa, difatti, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, “retribuzione differita”, che, nel necessario bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie, deve essere proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e deve assicurare al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un dignitoso sostentamento.
2.– Con memoria del 6 agosto 2014, si è costituito in giudizio l’INPS, limitandosi a chiedere di dichiarare inammissibile o, in subordine, infondata la questione di legittimità costituzionale e riservandosi di meglio articolare in séguito deduzioni e difese.
3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con memoria depositata il 16 settembre 2014, e ha chiesto di dichiarare inammissibile o comunque infondata la questione di legittimità costituzionale.
La difesa dello Stato reputa la questione inammissibile, per difetto di chiarezza e di univocità della prospettazione: la disposizione riguarderebbe tutti i trattamenti pensionistici, pubblici e privati, e, pertanto, non sarebbe intelligibile la censura di violazione dell’art. 3 Cost., soprattutto in considerazione della peculiarità della fattispecie e della finalità di reprimere gli abusi ai danni delle persone anziane.
La questione sarebbe comunque infondata, poiché la libertà di sposarsi non può ritenersi condizionata dalla possibilità di beneficiare del trattamento di reversibilità.
Sarebbero prive di pregio anche le censure di violazione degli artt. 36 e 38 Cost.. Sarebbe conforme ai princìpi costituzionali una disciplina suscettibile di incidere su trattamenti pensionistici del tutto eventuali, come la pensione di reversibilità, in forza di una disciplina dell’ammontare di tali trattamenti, rispettosa del canone di ragionevolezza.
Peraltro, l’accoglimento della questione di costituzionalità produrrebbe effetti negativi per la finanza, secondo quanto si evince dalla relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione del d.l. n. 98 del 2011.
4.– In prossimità dell’udienza, l’INPS ha depositato una memoria illustrativa e ha ribadito, con argomentazioni più approfondite, le conclusioni già svolte.
L’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, addebitando al giudice rimettente di non avere adeguatamente chiarito se l’applicazione letterale della norma sia davvero in conflitto con i precetti costituzionali evocati e se una pronuncia di accoglimento sia effettivamente idonea a «ripristinare il bene della vita» richiesto dalla parte ricorrente.
La norma impugnata – argomenta l’INPS – è successiva al matrimonio della ricorrente, che, pertanto, non ha visto pregiudicata la sua libertà di autodeterminazione.
Ad avviso dell’INPS, il giudice rimettente non ha specificato come la riduzione del trattamento pensionistico, nel caso di specie, comprometta il diritto a condurre un’esistenza libera e dignitosa.
L’INPS sostiene che il giudice rimettente abbia sollevato la questione di legittimità costituzionale «a tutela non tanto dell’interesse specifico presuntivamente leso dal provvedimento di liquidazione della pensione, ma con il fine di far valere un generale principio di intangibilità del quantum delle pensioni ai superstiti a beneficio della generalità dei potenziali percettori delle prestazioni».
La questione di legittimità costituzionale, inoltre, sarebbe manifestamente infondata: le censure si appunterebbero contro una disciplina adottata in una grave congiuntura di crisi finanziaria, al precipuo scopo di conseguire l’equilibrio di bilancio, costituzionalmente imposto (art. 81 Cost.).
Peraltro, il giudice a quo non avrebbe tenuto conto dell’evoluzione dell’istituto della pensione di reversibilità, che ha perso la connotazione alimentare e assistenziale, per acquisire la valenza di trattamento integrativo del reddito da lavoro o da pensione del familiare superstite.
Contro la fondatezza della questione deporrebbe la diversità delle norme già dichiarate incostituzionali rispetto alla disciplina sottoposta all’odierno vaglio della Corte, che non elimina in radice la pensione di reversibilità, ma riduce progressivamente l’aliquota e prevede taluni correttivi a fronte di situazioni meritevoli di tutela (la presenza di figli minori, studenti o inabili).
L’esigenza di considerare la durata del matrimonio, alla stregua di quel che avviene per la pensione di reversibilità attribuita al coniuge divorziato, non vanificherebbe la funzione solidaristica, insita nella pensione di reversibilità.
Quanto al trattamento deteriore del coniuge superstite più giovane rispetto al privilegio accordato al coniuge superstite più anziano, l’INPS nega che le due fattispecie possano essere poste a raffronto e osserva che, nell’ipotesi marginale di sopravvivenza del coniuge più anziano, questi non potrebbe giovarsi per lungo tempo di tale posizione di favore.
La disposizione impugnata, approvata allo scopo di salvaguardare la tenuta dei conti pubblici e di razionalizzare l’assetto normativo delle pensioni di reversibilità, non limiterebbe in alcun modo la libertà di matrimonio, ma si prefiggerebbe di tutelarla da propositi venali e fraudolenti.
Pertanto, la disciplina in esame, espressione del principio di solidarietà coniugale, non istituirebbe arbitrarie disparità di trattamento e sarebbe immune dai vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente.
5.– All’udienza pubblica del 31 maggio 2016, le parti hanno ribadito le conclusioni già rassegnate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.– L’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che «Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995».
La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, giudice unico delle pensioni, dubita della legittimità costituzionale di tale normativa, in riferimento agli artt. 3, 29, 36 e 38 della Costituzione.
Il giudice rimettente ravvisa un contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della violazione del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza.
La disciplina del trattamento di reversibilità, introdotta nel 2011, stabilirebbe decurtazioni «irrazionali e irragionevoli», «collegate a meri fattori futuri, incerti e sicuramente estranei alle regole proprie dell’istituto “pensione di reversibilità” quali la durata del matrimonio e l’età del coniuge pensionato, in assoluto e relativamente a quella dell’altro coniuge».
Inoltre, la disciplina sottoposta al vaglio di questa Corte sarebbe lesiva del principio di eguaglianza tra i coniugi, «operando nei confronti del coniuge superstite (apoditticamente individuato nel più giovane) un palese “vulnus” del suo diritto a quella garanzia di continuità nel sostentamento ai superstiti, riconosciuta dalla Corte nella sentenza n. 286/1987».
Il giudice rimettente ritiene che la disposizione impugnata confligga con l’art. 29 Cost.: sarebbe limitata «la libertà dell’individuo ad operare le scelte più intime e personali della propria esistenza», in virtù dell’introduzione di «elementi esterni fortemente incidenti sulla sua capacità di determinazione familiare».
In particolare, l’individuo sarebbe posto di fronte all’alternativa «di formare un nucleo familiare secondo la più ampia accezione di libertà oppure non accedervi nella consapevolezza che a quel nucleo non potrà, di fronte all’evento morte, assicurare una vita dignitosa a causa delle decurtazioni volute dalla disciplina in esame».
Il giudice rimettente prospetta anche la violazione degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost.: la decurtazione imposta dalla legge, suscettibile di configurare una misura sprovvista di ogni limite temporale e di ogni legame con le contingenti esigenze di natura finanziaria, determinerebbe un’irragionevole e definitiva riduzione della pensione, che si caratterizza come “retribuzione differita”, pur nell’indispensabile bilanciamento con le concrete e attuali disponibilità delle risorse finanziarie.
La disposizione censurata contrasterebbe con i princìpi che sanciscono la proporzione del trattamento pensionistico alla qualità e alla quantità del lavoro prestato e l’idoneità a garantire al lavoratore e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa e una vecchiaia nella quale non manchino i mezzi adeguati a un altrettanto dignitoso sostentamento.
2.– La questione, posta dalla Corte dei conti, si sottrae alle eccezioni di inammissibilità, formulate in via preliminare dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e dalla difesa dello Stato.
2.1.– Quanto al difetto di rilevanza, eccepito dall’INPS, è la stessa difesa dell’ente previdenziale a riconoscere che la disposizione impugnata si applica al caso di specie, in quanto riguarda pensioni di reversibilità che decorrono dal 1° gennaio 2012 e il diritto della ricorrente è sorto in data successiva.
L’applicabilità della disposizione al giudizio principale è sufficiente a radicare la rilevanza della questione, che non postula un sindacato più incisivo sul concreto pregiudizio ai princìpi costituzionali coinvolti.
La questione di costituzionalità non può dirsi irrilevante, sul presupposto che, nella vicenda specifica, l’applicazione della disposizione impugnata non abbia messo a repentaglio la libertà matrimoniale, poiché il matrimonio è stato celebrato prima dell’entrata in vigore della legge del 2011, o non pregiudichi l’adeguatezza della tutela previdenziale accordata al coniuge superstite, già provvisto di mezzi sufficienti.
Tali valutazioni esulano dal sindacato sulla rilevanza richiesto a questa Corte.
2.2.– Anche le eccezioni mosse dall’Avvocatura generale dello Stato, relative alla carente illustrazione della non manifesta infondatezza, devono essere disattese.
Il giudice rimettente si sofferma, con argomentazioni esaustive, sulle ragioni del contrasto della disciplina censurata con il principio di eguaglianza e con il canone di ragionevolezza. È ininfluente che la disciplina riguardi tutti i trattamenti pensionistici e si riprometta di contrastare taluni abusi, in quanto il giudice a quo coglie la violazione del principio di eguaglianza e del canone di ragionevolezza sotto profili differenti.
3.– La questione è fondata.
3.1.– L’ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto).
In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.
3.2.– Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico.
Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto).
Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi princìpi costituzionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto).
Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
In un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza rivestono un ruolo cruciale nell’orientare l’intervento del legislatore. Quest’ultimo, vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale, per un verso non deve interferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazione della propria sfera affettiva e, per altro verso, è chiamato a realizzare un equilibrato contemperamento di molteplici fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale globalmente inteso.
Nel contesto di tali fattori, alla direttrice già tracciata dalla disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), che riduce percentualmente l’ammontare del trattamento di reversibilità nell’ipotesi di concorso di più beneficiari e di cumulo dei redditi, si potrebbe affiancare il complementare criterio selettivo dell’età del coniuge beneficiario, sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo di contenimento delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative sintetiche elaborate, nel corso del dibattito parlamentare, dall’Ufficio legislazione straniera del Servizio Biblioteca della Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.).
4.– Nonostante i temperamenti che il sistema previdenziale predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica rispetto ai princìpi costituzionali enunciati.
4.1.– L’art. 18, comma 5, del d.l. n. 98 del 2011 si inquadra in una manovra di stabilizzazione finanziaria che include svariati provvedimenti di contenimento della spesa previdenziale, come il progressivo innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato, le modifiche del meccanismo di indicizzazione delle pensioni, il contributo di perequazione sui trattamenti pensionistici più cospicui, le misure di riduzione del contenzioso in materia di invalidità civile mediante forme di accertamento tecnico preventivo obbligatorio.
La disposizione, adottata sotto l’incalzare di una «particolare congiuntura economica internazionale», che ha precluso l’esame più approfondito delle «spesso assai delicate e complesse questioni poste dall’articolato» (parere espresso il 14 luglio 2011 dalla I Commissione permanente della Camera, Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni), mutua numerosi elementi da un disegno di legge già in discussione al Parlamento (XVI Legislatura, Atto Camera n. 4150, proposta di legge presentata l’8 marzo 2011).
Il disegno di legge escludeva il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di età avanzata di uno dei coniugi (settant’anni), di elevata differenza di età tra i coniugi, superiore a vent’anni, e di durata del matrimonio inferiore a tre anni. Nella relazione di accompagnamento, si stigmatizzava come “malcostume” l’attribuzione delle pensioni di reversibilità «a persone che non ne avrebbero, sul piano morale, diritto» e si poneva in risalto l’obiettivo di arginare il fenomeno dei matrimoni “di comodo”.
La disposizione censurata nell’odierno giudizio di costituzionalità tempera l’assolutezza della previsione di tale disegno di legge con alcuni correttivi: la pensione di reversibilità non è eliminata in radice, ma è ridotta in una misura modulata del «10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10». La riduzione non opera quando vi siano figli minori, studenti o inabili.
4.2.– La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili.
Si tratta di una presunzione di frode alla legge, connotata in termini assoluti, che preclude ogni prova contraria. La sua ampia valenza lascia trasparire l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata. Pur di accentuare la repressione di illeciti, già sanzionati dall’ordinamento con previsioni mirate (sentenze n. 245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 123 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immancabilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.
Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrittive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cambiamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988).
4.3.– Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamentazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.
La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto estranee «all’essenza e ai fini del vincolo coniugale», con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n. 110 del 1999, punto 2. del Considerato in diritto).
L’esclusione dell’operatività delle norme che, in presenza di figli, limitano l’erogazione della pensione di reversibilità, non attenua i profili di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza. Difatti, essa non è valsa a fugare i dubbi di legittimità costituzionale in altri casi già scrutinati da questa Corte, con riguardo alla disciplina delle pensioni erogate alle vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450 del 1991), che condizionava il diritto alla durata annuale del matrimonio o alla presenza di prole, ancorché postuma.
Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite appare ancor più evidente in una normativa che subordina tali diritti alla circostanza, del tutto accidentale ed eccentrica rispetto alla primaria finalità di protezione del coniuge, che vi siano figli minori, studenti o inabili all’epoca del sorgere del diritto del coniuge. Per i figli, peraltro, la disciplina delle pensioni di reversibilità appresta una tutela autonoma, che interagisce con la normativa indirizzata ai coniugi ai limitati effetti della già citata disciplina del “cumulo”. Questo dato serve a confermare l’equilibrato intento solidaristico che ha, già da qualche tempo, ispirato il legislatore.
Neppure la peculiarità del meccanismo congegnato nel 2011, che commisura l’ammontare della pensione di reversibilità alla durata del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di tale prestazione, rappresenta un significativo elemento di discontinuità tra la misura censurata e le disposizioni già dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di un’analisi puntuale della disparità di trattamento tra le diverse categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979) e, nell’evoluzione successiva, sul presupposto della «ingiustificata irrazionalità» di discipline restrittive ancorate a elementi di matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada di una giurisprudenza costante, rappresentata dalle sentenze n. 447 del 2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del 1994, n. 1 del 1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990).
Quando la durata del matrimonio sia inferiore all’anno, la correlazione tra l’ammontare della pensione di reversibilità e la durata del matrimonio azzera il trattamento previdenziale: il meccanismo di riduzione, concepito in termini graduali dal legislatore, si risolve in una esclusione pura e semplice del diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di questa Corte nelle pronunce appena ricordate.
L’antitesi con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza non è meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare il trattamento di reversibilità corrisposto al coniuge, e non a disconoscerlo del tutto. La pregnanza del vincolo di solidarietà coniugale, fondamento della pensione di reversibilità, è graduata in rapporto all’elemento, contingente ed estrinseco, della durata del matrimonio.
Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi.
Tale nesso, articolato nei termini singolari di un progressivo incremento dell’importo della pensione al protrarsi del matrimonio, riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni.
Il rilievo peculiare della durata del matrimonio, nella sola ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa – da altra e ugualmente pregnante angolazione – il contrasto già segnalato con l’art. 3 Cost.
Non può essere invocata, in chiave comparativa, la disciplina dell’attribuzione della pensione di reversibilità ai coniugi divorziati (art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e successive modificazioni).
In tale fattispecie, la durata non rileva in senso assoluto e astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare del diritto all’assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi superstiti. La durata del matrimonio, infatti, non si riverbera sull’ammontare della pensione di reversibilità, complessivamente attribuito, ma viene in rilievo soltanto nella ripartizione dell’intero tra una pluralità di aventi diritto.
5.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.
Sono assorbite le censure incentrate sulla violazione dell’art. 29 Cost. e, in particolare, sulla limitazione della libertà di contrarre matrimonio.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.
Paolo GROSSI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Carmelinda MORANO, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 luglio 2016.
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE C ,numero provv.: 201601695 - Public 2016-07-21 -
Numero 01695/2016 e data 21/07/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 15 luglio 2016
NUMERO AFFARE 01352/2016
OGGETTO:
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “Disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76.”.
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione, prot. n. 7105, in data 8 luglio 2016, con la quale il Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti;
PREMESSO:
1.) Con nota, prot. n. 7105, dell’8 luglio 2016, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DAGL) ha trasmesso a questo Consiglio lo schema di decreto in oggetto. Con tale decreto è data attuazione al comma 34 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (d’ora in poi anche: legge), là dove si prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 5 luglio 2016, siano stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nel citato comma 28, lettera a).
2.) Insieme al testo dell’articolato il DAGL ha successivamente inviato anche la relazione ministeriale, la relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e la relazione tecnico-normativa (ATN).
3.) Lo schema si compone di 10 articoli, il cui contenuto è di seguito illustrato.
L'articolo 1 (Richiesta di costituzione dell’unione civile) disciplina la fase della presentazione delle richieste delle parti all'ufficiale dello stato civile.
Il comma 1 stabilisce che, al fine di costituire un'unione civile ai sensi della legge, due persone maggiorenni dello stesso sesso fanno congiuntamente richiesta all'ufficiale dello stato civile.
Il comma 2 specifica che nella richiesta, per ciascuna parte, devono essere dichiarati: il nome e il cognome, la data e il luogo di nascita, la cittadinanza, il luogo di residenza e l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.
Il comma 3 stabilisce che l'ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti di cui al comma 1, redige immediatamente processo verbale della richiesta, e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone conto nel verbale, a comparire di fronte a sé in una data, indicata dalle parti, immediatamente successiva al termine di cui all'articolo 2, per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell'unione.
Il comma 4 prevede che se una delle parti, per infermità o altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce nel luogo in cui si trova la parte impedita e riceve la richiesta, ivi presentata congiuntamente da entrambe le parti.
L'articolo 2 (Verifiche) disciplina le verifiche che l'ufficio dello stato civile deve compiere a seguito del ricevimento della richiesta disciplinata nell'articolo 1.
Il comma 1 prescrive che, entro quindici giorni dalla presentazione della richiesta, l'ufficiale verifichi l'esattezza delle dichiarazioni rese nella stessa e possa acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza delle cause impeditive.
Il comma 2 stabilisce che, ai fini di cui al comma 1, l'ufficiale adotti ogni misura per il sollecito svolgimento dell'istruttoria e che possa chiedere la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete nonché l'esibizione di documenti.
Il comma 3 dispone che, se sia accertata l'insussistenza dei presupposti o la sussistenza di una causa impeditiva, l'ufficiale ne dia a ciascuna delle parti immediata comunicazione.
L'articolo 3 (Costituzione dell’unione e registrazione degli atti nell’archivio dello stato civile) disciplina la costituzione dell'unione e la registrazione dei relativi atti nell'archivio dello stato civile, adempimento cui l'ufficiale è chiamato a provvedere in virtù dell'articolo 1, comma 3, della legge.
Il comma 1 stabilisce che le parti, nel giorno indicato nell'invito, rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, avanti all'ufficiale dello stato civile del comune ove è stata presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire un'unione civile, confermando l'assenza di cause impeditive della costituzione dell'unione.
Il comma 2 prescrive che l'ufficiale, ricevuta tale dichiarazione, fatta menzione del contenuto dei commi 11 e 12 dell'articolo 1 della legge, relativi ai diritti e ai doveri che le parti assumono con la costituzione dell'unione civile rediga apposito processo verbale, sottoscritto unitamente alle parti e ai testimoni, allegando il verbale della richiesta.
Il comma 3 prevede che la registrazione degli atti dell'unione civile, costituita ai sensi del comma precedente, sia eseguita mediante iscrizione nel registro provvisorio delle unioni civili di cui all'art. 9, ferme restando le successive annotazioni negli atti di nascita. Nel comma in esame è altresì prescritto che, al fine dell'annotazione, l'ufficiale che ha redatto il verbale lo trasmetta immediatamente al comune di nascita di ciascuna delle parti, conservandone l'originale nei propri archivi, unitamente al verbale della richiesta.
Il comma 4 prevede che nella dichiarazione costitutiva dell'unione le parti possano rendere la dichiarazione di scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni ai sensi dell'articolo 1, comma 13, della legge.
Il comma 5 equipara a rinuncia la mancata comparizione, senza giustificato motivo, di una o di entrambe le parti nel giorno indicato nell'invito, e stabilisce che di tale mancanza l'ufficiale rediga processo verbale, sottoscritto anche dalla parte e dai testimoni ove presenti, archiviandolo unitamente al verbale nel registro provvisorio.
Il comma 6 dispone che se una delle parti, per infermità o per altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale debba trasferirsi nel luogo in cui si trovi la parte impedita e, alla presenza di quattro testimoni, ivi riceva la dichiarazione costitutiva dell’unione.
Il comma 7, infine, prevede che nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, l'ufficiale dello stato civile riceva la dichiarazione costitutiva anche in assenza di richiesta, previo giuramento delle parti stesse sulla sussistenza dei presupposti per la costituzione dell'unione e sull'assenza di cause impeditive di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.
L'articolo 4 (Scelta del cognome comune) disciplina la scelta del cognome comune, prevista dall'articolo 1, comma 10, della legge.
Il comma 1 prevede che le parti, nella dichiarazione costitutiva dell'unione, possano indicare il cognome comune che abbiano stabilito di assumere per l'intera durata dell'unione ai sensi del summenzionato comma 10, lasciando alla parte il cui cognome non sia stato assunto come cognome comune di anteporre o posporre a quest'ultimo il proprio cognome.
Il comma 2 dispone che a seguito di tale dichiarazione i competenti uffici procedano all'annotazione nell'atto di nascita ed all'aggiornamento della scheda anagrafica.
L'articolo 5 (Unione costituita a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi) disciplina l'unione civile che, ai sensi dell'articolo 1, comma 27, della legge, si costituisce automaticamente tra i coniugi i quali, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili.
Il comma 1 prevede che i coniugi che, a seguito della predetta rettificazione di sesso, non intendano sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, rendano personalmente apposita dichiarazione congiunta all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l'atto di matrimonio.
Il comma 2 fa espresso rinvio all'applicazione della procedura per l'eventuale scelta del cognome comune introdotta nell'articolo 4.
Il comma 3 stabilisce che gli atti dell'unione civile siano annotati nell'atto di matrimonio delle parti e nei relativi atti di nascita.
L'articolo 6 (Scioglimento dell’unione civile per accordo tra le parti) disciplina lo scioglimento dell'unione civile per accordo delle parti ai sensi dell'articolo 1, comma 24, della legge.
Il comma 1 stabilisce che per l'accordo di scioglimento è competente l'ufficiale del comune di residenza di una delle parti o del comune presso cui è iscritta o trascritta la dichiarazione costitutiva dell'unione civile.
È previsto inoltre che l'accordo sia iscritto nel registro provvisorio delle unioni civili e annotato negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.
Secondo il comma 2, l'accordo seguito alla convenzione di negoziazione assistita, conclusa ai sensi dell'art. 6 decreto-legge n. 132/2014, viene annotato nel registro provvisorio delle unioni civili, oltre che negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.
Il comma 3 prevede che, ove lo scioglimento abbia ad oggetto l'unione costituita con le modalità di cui al precedente articolo 5 (per rettificazione di sesso di uno dei coniugi), lo scioglimento sia annotato anche nell'atto di matrimonio delle parti.
Infine, il comma 4 stabilisce che, per l'istituto dello scioglimento previsto dall'articolo 1, comma 24, della legge, si applicano le disposizioni, contenute nello stesso articolo, che individuano l'ufficiale di stato civile competente a ricevere le dichiarazioni e gli adempimenti a cui esso è conseguentemente tenuto.
L'articolo 7 (Documento attestante la costituzione dell’unione) riguarda il documento attestante la costituzione dell'unione, atto "certificativo" dell'unione, disciplinato nell'articolo 1, comma 9, della legge che ne indica anche il contenuto: dati anagrafici delle parti, regime patrimoniale, residenza, dati anagrafici e residenza dei testimoni.
Il comma 2 prevede che, a richiesta dell'interessato, negli atti e nei documenti riportanti l'indicazione dello stato civile, sia indicata la dicitura "unito civilmente" o "unita civilmente". Il rilascio del documento spetta all'ufficiale dello stato civile.
L'articolo 8 (Trascrizioni e nulla osta) disciplina le trascrizioni e il nulla osta all'unione civile presentato dallo straniero.
Il comma 1 stabilisce che sono trascritte negli archivi dello stato civile le unioni civili costituite all'estero secondo la legge italiana davanti al capo dell'ufficio consolare, competente in base alla residenza di una delle due parti.
Il comma 2 prevede che lo straniero che vuole costituire in Italia un'unione civile deve presentare all'ufficiale dello stato civile, nella richiesta di cui all'articolo 1, anche una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che, giusta le leggi cui è sottoposto, nulla osta all'unione civile.
Con riferimento alla trascrivibilità nel registro provvisorio di cui all'articolo 9 degli atti di matrimonio e di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all'estero davanti alle competenti autorità straniere, il comma 3 fissa il principio secondo cui, nelle more dell’adozione dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 28, lettera a), della legge, l'autorità consolare trasmetta, ai fini della trascrizione, tali atti secondo quanto già previsto dall'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127).
L'articolo 9 (Registro provvisorio delle unioni civili e formule) riguarda le formule e l'istituzione del registro provvisorio delle unioni civili.
Il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune il registro provvisorio delle unioni civili.
Il comma 2 prevede che i fogli che costituiscono il registro siano redatti secondo le apposite formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, da adottare entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.
L'articolo 10 (Disposizioni finali) al comma 1 stabilisce che le disposizioni del provvedimento si applichino fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nell'articolo 1, comma 28, della legge n. 76 del 2016.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
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FINE PARTE PRIMA
Numero 01695/2016 e data 21/07/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 15 luglio 2016
NUMERO AFFARE 01352/2016
OGGETTO:
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi.
Schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante “Disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76.”.
LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione, prot. n. 7105, in data 8 luglio 2016, con la quale il Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Gabriele Carlotti;
PREMESSO:
1.) Con nota, prot. n. 7105, dell’8 luglio 2016, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri (DAGL) ha trasmesso a questo Consiglio lo schema di decreto in oggetto. Con tale decreto è data attuazione al comma 34 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (d’ora in poi anche: legge), là dove si prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge, ossia entro il 5 luglio 2016, siano stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nel citato comma 28, lettera a).
2.) Insieme al testo dell’articolato il DAGL ha successivamente inviato anche la relazione ministeriale, la relazione sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e la relazione tecnico-normativa (ATN).
3.) Lo schema si compone di 10 articoli, il cui contenuto è di seguito illustrato.
L'articolo 1 (Richiesta di costituzione dell’unione civile) disciplina la fase della presentazione delle richieste delle parti all'ufficiale dello stato civile.
Il comma 1 stabilisce che, al fine di costituire un'unione civile ai sensi della legge, due persone maggiorenni dello stesso sesso fanno congiuntamente richiesta all'ufficiale dello stato civile.
Il comma 2 specifica che nella richiesta, per ciascuna parte, devono essere dichiarati: il nome e il cognome, la data e il luogo di nascita, la cittadinanza, il luogo di residenza e l'insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell'unione di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.
Il comma 3 stabilisce che l'ufficiale dello stato civile, verificati i presupposti di cui al comma 1, redige immediatamente processo verbale della richiesta, e lo sottoscrive unitamente alle parti, che invita, dandone conto nel verbale, a comparire di fronte a sé in una data, indicata dalle parti, immediatamente successiva al termine di cui all'articolo 2, per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell'unione.
Il comma 4 prevede che se una delle parti, per infermità o altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale si trasferisce nel luogo in cui si trova la parte impedita e riceve la richiesta, ivi presentata congiuntamente da entrambe le parti.
L'articolo 2 (Verifiche) disciplina le verifiche che l'ufficio dello stato civile deve compiere a seguito del ricevimento della richiesta disciplinata nell'articolo 1.
Il comma 1 prescrive che, entro quindici giorni dalla presentazione della richiesta, l'ufficiale verifichi l'esattezza delle dichiarazioni rese nella stessa e possa acquisire d'ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l'inesistenza delle cause impeditive.
Il comma 2 stabilisce che, ai fini di cui al comma 1, l'ufficiale adotti ogni misura per il sollecito svolgimento dell'istruttoria e che possa chiedere la rettifica di dichiarazioni erronee o incomplete nonché l'esibizione di documenti.
Il comma 3 dispone che, se sia accertata l'insussistenza dei presupposti o la sussistenza di una causa impeditiva, l'ufficiale ne dia a ciascuna delle parti immediata comunicazione.
L'articolo 3 (Costituzione dell’unione e registrazione degli atti nell’archivio dello stato civile) disciplina la costituzione dell'unione e la registrazione dei relativi atti nell'archivio dello stato civile, adempimento cui l'ufficiale è chiamato a provvedere in virtù dell'articolo 1, comma 3, della legge.
Il comma 1 stabilisce che le parti, nel giorno indicato nell'invito, rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, avanti all'ufficiale dello stato civile del comune ove è stata presentata la richiesta, la dichiarazione di voler costituire un'unione civile, confermando l'assenza di cause impeditive della costituzione dell'unione.
Il comma 2 prescrive che l'ufficiale, ricevuta tale dichiarazione, fatta menzione del contenuto dei commi 11 e 12 dell'articolo 1 della legge, relativi ai diritti e ai doveri che le parti assumono con la costituzione dell'unione civile rediga apposito processo verbale, sottoscritto unitamente alle parti e ai testimoni, allegando il verbale della richiesta.
Il comma 3 prevede che la registrazione degli atti dell'unione civile, costituita ai sensi del comma precedente, sia eseguita mediante iscrizione nel registro provvisorio delle unioni civili di cui all'art. 9, ferme restando le successive annotazioni negli atti di nascita. Nel comma in esame è altresì prescritto che, al fine dell'annotazione, l'ufficiale che ha redatto il verbale lo trasmetta immediatamente al comune di nascita di ciascuna delle parti, conservandone l'originale nei propri archivi, unitamente al verbale della richiesta.
Il comma 4 prevede che nella dichiarazione costitutiva dell'unione le parti possano rendere la dichiarazione di scelta del regime patrimoniale della separazione dei beni ai sensi dell'articolo 1, comma 13, della legge.
Il comma 5 equipara a rinuncia la mancata comparizione, senza giustificato motivo, di una o di entrambe le parti nel giorno indicato nell'invito, e stabilisce che di tale mancanza l'ufficiale rediga processo verbale, sottoscritto anche dalla parte e dai testimoni ove presenti, archiviandolo unitamente al verbale nel registro provvisorio.
Il comma 6 dispone che se una delle parti, per infermità o per altro comprovato impedimento, sia nell'impossibilità di recarsi alla casa comunale, l'ufficiale debba trasferirsi nel luogo in cui si trovi la parte impedita e, alla presenza di quattro testimoni, ivi riceva la dichiarazione costitutiva dell’unione.
Il comma 7, infine, prevede che nel caso di imminente pericolo di vita di una delle parti, l'ufficiale dello stato civile riceva la dichiarazione costitutiva anche in assenza di richiesta, previo giuramento delle parti stesse sulla sussistenza dei presupposti per la costituzione dell'unione e sull'assenza di cause impeditive di cui all'articolo 1, comma 4, della legge.
L'articolo 4 (Scelta del cognome comune) disciplina la scelta del cognome comune, prevista dall'articolo 1, comma 10, della legge.
Il comma 1 prevede che le parti, nella dichiarazione costitutiva dell'unione, possano indicare il cognome comune che abbiano stabilito di assumere per l'intera durata dell'unione ai sensi del summenzionato comma 10, lasciando alla parte il cui cognome non sia stato assunto come cognome comune di anteporre o posporre a quest'ultimo il proprio cognome.
Il comma 2 dispone che a seguito di tale dichiarazione i competenti uffici procedano all'annotazione nell'atto di nascita ed all'aggiornamento della scheda anagrafica.
L'articolo 5 (Unione costituita a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi) disciplina l'unione civile che, ai sensi dell'articolo 1, comma 27, della legge, si costituisce automaticamente tra i coniugi i quali, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili.
Il comma 1 prevede che i coniugi che, a seguito della predetta rettificazione di sesso, non intendano sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, rendano personalmente apposita dichiarazione congiunta all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l'atto di matrimonio.
Il comma 2 fa espresso rinvio all'applicazione della procedura per l'eventuale scelta del cognome comune introdotta nell'articolo 4.
Il comma 3 stabilisce che gli atti dell'unione civile siano annotati nell'atto di matrimonio delle parti e nei relativi atti di nascita.
L'articolo 6 (Scioglimento dell’unione civile per accordo tra le parti) disciplina lo scioglimento dell'unione civile per accordo delle parti ai sensi dell'articolo 1, comma 24, della legge.
Il comma 1 stabilisce che per l'accordo di scioglimento è competente l'ufficiale del comune di residenza di una delle parti o del comune presso cui è iscritta o trascritta la dichiarazione costitutiva dell'unione civile.
È previsto inoltre che l'accordo sia iscritto nel registro provvisorio delle unioni civili e annotato negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.
Secondo il comma 2, l'accordo seguito alla convenzione di negoziazione assistita, conclusa ai sensi dell'art. 6 decreto-legge n. 132/2014, viene annotato nel registro provvisorio delle unioni civili, oltre che negli atti di nascita di ciascuna delle parti, a cura dei competenti uffici.
Il comma 3 prevede che, ove lo scioglimento abbia ad oggetto l'unione costituita con le modalità di cui al precedente articolo 5 (per rettificazione di sesso di uno dei coniugi), lo scioglimento sia annotato anche nell'atto di matrimonio delle parti.
Infine, il comma 4 stabilisce che, per l'istituto dello scioglimento previsto dall'articolo 1, comma 24, della legge, si applicano le disposizioni, contenute nello stesso articolo, che individuano l'ufficiale di stato civile competente a ricevere le dichiarazioni e gli adempimenti a cui esso è conseguentemente tenuto.
L'articolo 7 (Documento attestante la costituzione dell’unione) riguarda il documento attestante la costituzione dell'unione, atto "certificativo" dell'unione, disciplinato nell'articolo 1, comma 9, della legge che ne indica anche il contenuto: dati anagrafici delle parti, regime patrimoniale, residenza, dati anagrafici e residenza dei testimoni.
Il comma 2 prevede che, a richiesta dell'interessato, negli atti e nei documenti riportanti l'indicazione dello stato civile, sia indicata la dicitura "unito civilmente" o "unita civilmente". Il rilascio del documento spetta all'ufficiale dello stato civile.
L'articolo 8 (Trascrizioni e nulla osta) disciplina le trascrizioni e il nulla osta all'unione civile presentato dallo straniero.
Il comma 1 stabilisce che sono trascritte negli archivi dello stato civile le unioni civili costituite all'estero secondo la legge italiana davanti al capo dell'ufficio consolare, competente in base alla residenza di una delle due parti.
Il comma 2 prevede che lo straniero che vuole costituire in Italia un'unione civile deve presentare all'ufficiale dello stato civile, nella richiesta di cui all'articolo 1, anche una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che, giusta le leggi cui è sottoposto, nulla osta all'unione civile.
Con riferimento alla trascrivibilità nel registro provvisorio di cui all'articolo 9 degli atti di matrimonio e di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all'estero davanti alle competenti autorità straniere, il comma 3 fissa il principio secondo cui, nelle more dell’adozione dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 28, lettera a), della legge, l'autorità consolare trasmetta, ai fini della trascrizione, tali atti secondo quanto già previsto dall'articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127).
L'articolo 9 (Registro provvisorio delle unioni civili e formule) riguarda le formule e l'istituzione del registro provvisorio delle unioni civili.
Il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune il registro provvisorio delle unioni civili.
Il comma 2 prevede che i fogli che costituiscono il registro siano redatti secondo le apposite formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, da adottare entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.
L'articolo 10 (Disposizioni finali) al comma 1 stabilisce che le disposizioni del provvedimento si applichino fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nell'articolo 1, comma 28, della legge n. 76 del 2016.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria.
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FINE PARTE PRIMA
Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
segue SECONDA PARTE
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CONSIDERATO:
A) Il fondamento costituzionale del nuovo istituto. La questione dell’”obiezione di coscienza”. La natura transitoria della disciplina recata dal decreto di cui allo schema in oggetto.
4.) Con la legge 11 maggio 2016 n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il Parlamento ha regolato l’unione tra persone dello stesso sesso e ha a tal fine delineato elementi e principi di un nuovo istituto giuridico, appunto l’“unione civile”.
Il Legislatore ha individuato espressamente il fondamento costituzionale della legge (articolo 1, comma 1) nel riconoscimento, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, del carattere di “specifica formazione sociale” delle unioni civili di persone omosessuali.
La fonte primaria coerentemente ha disciplinato l’istituto come distinto, anche nei presupposti costituzionali, dal matrimonio, pur applicandosi alla coppia omosessuale molti dei diritti e dei doveri che riguardano i coniugi.
In attesa che, entro la fine del 2016, la decretazione attuativa, “a regime”, della legge n. 76/2016 sia adottata dal Governo, è stata prevista l’emanazione, su iniziativa del Ministro dell’interno, di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – sul quale è richiesto il prescritto parere di questo Consiglio – con cui, nella fase attuale di prima applicazione della legge, sono dettate alcune disposizioni attuative con il circoscritto fine di consentire l’immediata operatività dei registri delle unioni civili, onde così corrispondere alle richieste presentate ai Comuni dalle coppie omosessuali per l’applicazione ad esse del nuovo istituto.
L’esame del Consiglio di Stato sul decreto inviato per il parere è volto, com’è evidente, a verificare se le disposizioni della norma primaria siano ben attuate, senza che, ovviamente, il precetto normativo regolamentare possa introdurre materie nuove o diversamente configurate rispetto a quanto la legge stabilisce.
Una seconda questione di carattere generale, che attiene ai doveri di adempimento da parte dei Comuni in ordine alle richieste formulate dalle coppie omosessuali aventi diritto, riguarda la possibilità stessa, evocata di recente da alcuni sindaci, di una “obiezione di coscienza” motivabile con il rifiuto, in base a convinzioni culturali, religiose o morali, di concorrere – appunto, nella qualità di sindaco – a rendere operativo l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso.
Ritiene il Consiglio di Stato che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” - affinché soggetti pubblici o privati si sottraggano legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti - può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma, sicché detto rilievo, che esime dall’adempimento di un dovere, non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento.
Il primato della “coscienza individuale” rispetto al dovere di osservanza di prescrizioni normative è stato affermato – pur in assenza di riconoscimento con legge – nei casi estremi di rifiuto di ottemperare a leggi manifestamente lesive di principi assoluti e non negoziabili (si pensi alla tragica esperienza delle leggi razziali). In un sistema costituzionale e democratico, tuttavia, è lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la “coscienza individuale” possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge.
Allorquando il Legislatore ha contemplato (si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto o di sperimentazione animale) l’apprezzamento della possibilità, caso per caso, di sottrarsi ad un compito cui si è tenuti (ad esempio, l’interruzione anticipata di gravidanza), tale apprezzamento è stato effettuato con previsione generale e astratta, di cui il soggetto “obiettore” chiede l’applicazione.
Nel caso della legge n. 76/2016 una previsione del genere non è stata introdotta; e, anzi, dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’”obiezione di coscienza” sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge.
Del resto, quanto al riferimento alla “coscienza individuale” adombrato per invocare la possibilità di “obiezione”, osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo oggi in esame, pone gli adempimenti a carico dell’“ufficiale di stato civile”, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco.
In tal modo il Legislatore ha affermato che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti – quella degli ufficiali di stato civile – proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un “impedimento di coscienza”, in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell’interesse della coppia richiedente.
Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione - il che la legge non consentirebbe in alcun caso – il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile.
5.) Altra questione di carattere generale attiene alla natura transitoria della fonte della disciplina in esame. Al riguardo osserva il Consiglio di Stato che l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’istituzione del registro dello stato civile può giustificarsi soltanto nella prospettiva, che il Legislatore ha considerato, di una immediata applicabilità di un nuovo istituto che tocca materia di estrema sensibilità e di rilevanza anche costituzionale.
In tale quadro, si comprende anche la scelta di rinviare le “apposite formule di rito” ad un decreto ministeriale, anziché inserirle come allegato allo schema di decreto in esame.
Il Governo dovrà con i decreti delegati di cui all’articolo 1, comma 28, della legge adottare scelte definitive e organiche, rivedendo, integrando e, ove necessario, correggendo le previsioni stabilite per la fase transitoria. Seppure, quindi, il futuro decreto disciplinerà – ma soltanto per garantire l’avvio del nuovo istituto dello stato civile – materie che il suddetto articolo 1, comma 28, lettera a), individua come oggetto di una legislazione delegata, nondimeno tale anticipazione in via transitoria si regge su un’autonoma giustificazione anche funzionale e non può pregiudicare l’assetto definitivo delle scelte da definirsi con i decreti delegati.
Dalle superiori considerazioni discende, al contempo, l’esigenza che il Legislatore delegato si adoperi per un tempestivo esercizio della delega contenuta nel comma 28 della legge, dal momento che dalla (scongiurata) mancata adozione di una disciplina a regime non potrebbe scaturire, per le ragioni sopra accennate, l’effetto di una sopravvivenza delle norme recate dal decreto di cui allo schema in esame; dette norme regolamentari infatti, come già precisato, sono, per volontà legislativa, connotate da un’intrinseca e insuperabile provvisorietà che preclude – almeno in assenza di altri eventuali, futuri interventi normativi di rango primario - la stessa concepibilità di una loro ultrattività dopo la data del 5 dicembre 2016 (termine ultimo, fissato dal comma 28 dell’articolo 1 della legge, per l’esercizio della delega). In altri termini, la fonte regolamentare, attualmente idonea in considerazione della sua provvisorietà, non potrebbe considerarsi più tale ove destinata a rimanere, in un prossimo futuro, l’unica disciplina dell’istituto.
B) Il quadro giuridico di riferimento.
6.) Muovendo da tali considerazioni di carattere generale, la Sezione ritiene che, per un corretto vaglio dello schema in oggetto, occorra, nei limiti di quanto rileva per il presente parere, dedicare ulteriori, brevi cenni alla legge 20 maggio 2016, n. 76, in vigore dal 5 giugno 2016.
7.) Dal punto di vista delle politiche normative, con l’istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, il Legislatore italiano ha dato risposta alle esigenze di realizzazione esistenziale e relazionale di molti cittadini, consentendo loro di ricondurre a un rapporto giuridicamente regolato dallo Stato il desiderio di vivere liberamente una condizione di coppia (Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138) nell’ambito di una comunione di vita, presidiata dal riconoscimento dei connessi, essenziali diritti in materia di regime patrimoniale, di alimenti e di successioni e dei correlati doveri di assistenza reciproca e di solidarietà.
8.) Sul piano più strettamente giuridico, va nuovamente ricordato che la legge, all'articolo 1, comma 28, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
I decreti legislativi dovranno essere emanati entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge (ovvero entro il 5 dicembre 2016), su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
C) Lo scopo dello schema di decreto.
9.) Sennonché, nell’evidente consapevolezza dell’esigenza di dare celere attuazione a una così rilevante modifica dell’ordinamento, il Legislatore, come sopra accennato, ha inserito nel corpo dell’articolo 1 anche un comma 34, dal seguente tenore: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nel citato comma 28, lettera a).”.
Tale comma ha acquistato efficacia, per effetto di quanto disposto dal successivo comma 35, il giorno stesso dell’entrata in vigore della legge, cioè dal 5 giugno 2016.
10.) Risulta chiara la ratio della previsione contenuta nel ridetto comma 34. Il decreto, il cui schema è ora sottoposto al vaglio di questo Consiglio, ha la finalità di introdurre - nelle more dell’approvazione e della futura entrata in vigore dei decreti legislativi contemplati dal comma 28 e destinati a disciplinare in modo completo le unioni civili tra persone dello stesso sesso - una normativa, di rango secondario, più circoscritta e di carattere transitorio, necessaria ad assicurare l’immediato adeguamento della disciplina degli archivi dello stato civile alla sopravvenienza normativa della quale si è dato conto. Diversamente, rimarrebbe priva di concreta effettività e di concreta fruibilità l’attuale vigenza del nuovo istituto.
Lo scopo del decreto è, dunque, quello di consentire lo svolgimento del procedimento di costituzione dell'unione e altresì di permettere la certificazione di quest’ultima, affinché i cittadini interessati possano da subito invocare la tutela dei diritti loro riconosciuti ed esser allo stesso tempo chiamati al rispetto dei correlati doveri.
In ogni caso le soluzioni normative contenute nel decreto, stante la descritta temporaneità della disciplina “ponte”, non debbono né possono essere considerate irreversibili, essendo le stesse suscettibili di ripensamento e di miglioramento in occasione dell’attuazione della delega e ciò anche grazie all’esperienza applicativa che seguirà all’entrata in vigore del decreto di cui allo schema in oggetto.
D) L’incompletezza dello schema di decreto. Ragioni e rimedi. Il ruolo dell’interpretazione ministeriale e dell’attività consultiva del Consiglio di Stato.
11.) La prospettiva della transitorietà dell’intervento regolamentare e l’esigenza di una rapida attuazione dell’istituto delle unioni civili, volute dallo stesso Legislatore, giustificano l’incompletezza di molte previsioni dello schema in esame, proiettato verso il fine dell’immediata operatività. Di tale aspetto regolatorio la Sezione deve necessariamente tener conto e condivide del pari, con riferimento all’individuazione del perimetro assegnato al provvedimento dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la scelta di focalizzare le nuove regole esclusivamente sulla disciplina della tenuta degli archivi, come peraltro stabilito, a livello primario, dal Legislatore.
Non ignora tuttavia la Sezione che siffatta incompletezza possa dar luogo a plurimi dubbi applicativi. A tali perplessità potrà, peraltro, porsi rimedio in prima battuta attraverso il ricorso a una attenta, approfondita ed equilibrata attività interpretativa delle Autorità amministrative statali, nonché di questo Consiglio in sede consultiva (ove sollecitato in tal senso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dagli altri Ministri interessati); in seconda battuta non può poi escludersi che, là dove non arrivi l’esegesi, il decreto in esame – pur nelle more dell’entrata in vigore dei decreti delegati (ma non oltre tale data) – possa essere modificato e integrato, sempre nel rispetto dell’alveo disciplinare delineato dal Legislatore, come sopra precisato.
E) L’individuazione della fonte di rango secondario.
12.) Nel preambolo del provvedimento è espressamente richiamato l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal modo la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha qualificato l’emanando decreto come regolamento ministeriale. La Sezione reputa corretta tale qualificazione, considerato che a) la legge ha espressamente attribuito alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il relativo potere, e b) lo schema di decreto contiene disposizioni innovative dell’ordinamento giuridico e provviste di rilevanza esterna.
Sebbene il comma 34 taccia sulla natura del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, non v’è dubbio, tuttavia, che detto decreto debba veicolare un regolamento, atteso che l’oggetto delle sue disposizioni è rappresentato dalla tenuta dei registri dello stato civile. Va difatti ricordato che la disciplina di tali registri, con la quale interferiscono le nuove disposizioni qui scrutinate, è attualmente contenuta nel succitato decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, ossia in un regolamento governativo riconducibile alla previsione di cui al sunnominato articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988. La circostanza non è priva di rilievo, dal momento che eventuali previsioni dello schema di decreto in oggetto, che non trovino una diretta copertura nei richiamati commi 28 e 34 della legge, dovranno essere sottoposte a una verifica di compatibilità con le norme regolamentari del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 e ciò perché l’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988 stabilisce che i regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Il profilo testé enunciato verrà approfondito infra con riferimento all’esame dell’articolo 9 dello schema di decreto.
F) Il parere del Garante per la protezione dei dati personali.
13.) Non risulta che sullo schema di decreto sia stato acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, come invece sarebbe stato necessario a norma dell’articolo 154, comma 4, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), in base al quale il Presidente del Consiglio dei ministri e ciascun ministro consultano il Garante all'atto della predisposizione delle norme regolamentari e degli atti amministrativi suscettibili di incidere sulle materie disciplinate dal presente codice. Non a caso tale parere fu richiesto in occasione della predisposizione del succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. Non è controvertibile, invero, che le attività disciplinate dallo schema di decreto implichino il trattamento di dati personali.
Non ritiene tuttavia la Sezione che tale omissione possa comportare alcuna futura illegittimità dell’emanando decreto. A tale conclusione si perviene in forza della considerazione della ricordata urgenza della introduzione di una disciplina transitoria, ben evidenziata dallo stesso Legislatore con la configurazione di un meccanismo di doppio intervento normativo, dapprima con un provvedimento “ponte” da adottare in tempi brevi e successivamente attraverso l’esercizio di una delega legislativa. I previsti, ristretti tempi di adozione del decreto sono infatti incompatibili con le scansioni procedimentali indicate dal comma 5 del sunnominato articolo 154 del Codice sulla privacy né l’articolo 1 della legge prescrive termini più brevi per la richiesta di parere. Deve, pertanto, ritenersi che il decreto, di cui allo schema in esame, possa essere emanato anche in assenza di parere preventivo, potendosi rinvenirsi nel comma 34 della legge una deroga implicita all’obbligo della richiesta del parere in questione. Nondimeno è opinione della Sezione che sia comunque opportuno richiedere il parere del Garante, se del caso, anche successivamente all’entrata in vigore dell’emanando decreto. Delle eventuali criticità segnalate dal Garante la Presidenza del Consiglio dei Ministri potrà tener conto in sede di esercizio della delega di cui al ridetto comma 28, stante la natura anche correttiva di detti decreti.
G) Lo schema del procedimento di costituzione delle unioni civili.
14.) Sotto il profilo strutturale il procedimento di costituzione delle unioni civili, per come delineato nello schema di decreto, si articola nelle seguenti fasi: a) presentazione delle richieste di costituzione dell'unione civile; b) verifiche dell'ufficio; c) dichiarazione costitutiva dell'unione civile; d) registrazione.
Alla disciplina di ognuna di queste fasi sono dedicate le previsioni degli articoli del regolamento.
H) L’esame dei singoli articoli.
15.) Sull’articolo 1 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare, fatta eccezione per la previsione al comma 1 della possibilità di presentare la richiesta, da parte delle persone intenzionate a unirsi civilmente, “all’ufficiale dello stato civile del comune di loro scelta”. Nei termini riferiti il tenore della disposizione legittima gli interessati a indirizzare la richiesta all’ufficiale dello stato civile di qualunque comune italiano. La previsione, così interpretata, non presenta alcun profilo di illegittimità e, anzi, si presenta ragionevole e opportuna e costituisce un coerente sviluppo di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, della legge; essa, tuttavia, richiederebbe di essere meglio precisata con riferimento agli adempimenti gravanti sugli ufficiali dello stato civile (nel caso in cui siano scelti comuni diversi da quelli di residenza di uno o di entrambi i dichiaranti) e posta in coordinamento con il decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. La Sezione si limita, pertanto, a richiamare l’attenzione sul punto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rimettendo alla stessa Presidenza la scelta regolatoria più opportuna.
16.) Sull’articolo 2 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
17.) Sull’articolo 3 dello schema di decreto si osserva che il comma 6 non è conforme al dettato legislativo nella parte in cui prescrive la presenza di quattro testimoni nell’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile debba ricevere la dichiarazione costitutiva dell’unione civile nel luogo ove si trovi la persona impedita a recarsi presso la casa comunale per infermità o per altro comprovato impedimento. Sebbene, infatti, si sia inteso in questo modo replicare in sede regolamentare quanto previsto dall’articolo 110 del codice civile, va nondimeno osservato che il numero dei testimoni che devono presenziare alla dichiarazione in questione è espressamente stabilito dal comma 2 dell’articolo 1 della legge; tale comma indica la necessità di soli due testimoni né la legge contiene rinvii al suddetto articolo 110 del codice civile e nemmeno contempla deroghe per casi particolari. La previsione della presenza di quattro testimoni, al ricorrere dell’ipotesi descritta nel comma in esame, si risolve dunque in un aggravamento per le parti (e per le amministrazioni comunali) che non poggia su un solido aggancio normativo e che, soprattutto, non trova un giustificato bilanciamento nell’esigenza di rafforzare la solennità delle dichiarazioni costitutive ricevute dall’ufficiale dello stato civile al di fuori della casa comunale.
18.) Sull’articolo 4 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
19.) Nelle more dell’adozione dei decreti delegati di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge, l’articolo 5 dello schema di decreto, nel dare attuazione al comma 27 del ridetto articolo 1, precisa gli aspetti operativi di una opportuna scelta legislativa di dare risposta ad esigenze di riconoscimento dei rapporti di coppia giuridicamente regolati allorquando uno dei due coniugi decida di cambiare sesso. Correttamente nella relazione si richiama la sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni processuali in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, a norma dell’articolo 31, comma 6, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 "… nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili ..., consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore". Sennonché, onde rendere la previsione normativa di rango secondario pienamente allineata al decisum del Giudice delle leggi e anche nella prospettiva di un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato positivo di rango primario, la Sezione suggerisce una riformulazione del comma 1 dell’articolo 5 nei seguenti termini: “I coniugi che, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, intendano avvalersi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 27, della legge, rendono personalmente apposita dichiarazione congiunta all’ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.”.
20.) L’articolo 6 disciplina, come riferito, i casi di scioglimento dell’unione civile per accordo delle parti.
La Sezione, al riguardo, osserva che la disposizione si presenta legittimata da una necessità logica, ancor prima che giuridica, discendente dalla considerazione che, anche nel breve arco temporale occorrente per l’adozione dei decreti delegati, potrebbero costituirsi e sciogliersi unioni civili; sicché sussiste l’esigenza - non foss’altro per l’esistenza della causa impeditiva di cui all’articolo 1, comma 4, della legge – di registrare anche gli scioglimenti delle unioni civili. Al contempo la Sezione non può non osservare che l’articolo in esame reca una previsione che rivela una intrinseca proiezione di durata e che si pone al limite della compatibilità con la natura transitoria della fonte regolamentare; ciò in ragione della previsione, nei commi 1 e 2, del richiamo di istituti, non strettamente riconducibili all’ambito dell’intervento normativo secondario perimetrato dal comma 34, se non per l’appunto in considerazione delle esigenze di una garanzia dell’immediata operatività delle unioni civili. La Sezione, nel valutare positivamente la disposizione, deve nondimeno tornare a ribadire l’importanza, tanto più in relazione ad articoli come quello in esame, di un tempestivo esercizio della delega.
21.) Sull’articolo 7 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
22.) In ordine all’articolo 8 dello schema di decreto va osservato che il comma 1, che impone la trascrivibilità negli archivi dello stato civile delle unioni civili costituite all’estero, consente di superare l’indirizzo giurisprudenziale contrario a tale possibilità, formatosi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76/2016 (tra le altre pronunce si ricordano Corte di cassazione, sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184 e Cons. Stato, sez. III, n. 4899 del 26 ottobre 2015).
La relazione ministeriale afferma poi che il comma 2 dell’articolo 8 è stato redatto sul modello dell'articolo 116, comma primo, del codice civile e che la disposizione – in attesa della riforma in parte qua del sistema italiano di diritto internazionale privato affidata ai decreti delegati di cui al più volte richiamato comma 28 dell’articolo 1 della legge – è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. L’affermazione è sicuramente condivisibile a condizione che la dichiarazione, resa dall’autorità competente dello Stato di appartenenza, di nulla osta all’unione civile, che lo straniero deve presentare all’ufficiale dello stato civile qualora intenda costituire in Italia un'unione civile, non venga interpretata nel senso di includere nelle “leggi cui è sottoposto” lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Difatti il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l’articolo 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri.
In ogni caso il comma 2 non travalica i limiti oggettivi fissati dal comma 34 dell’articolo 1 della legge, dal momento che esso reca una previsione meramente amministrativa che non modifica le regole vigenti in materia di diritto internazionale privato, regole la cui modifica - al fine del necessario adattamento delle stesse al nuovo istituto delle unioni civili – è riservata, come ricordato, ai decreti delegati, a norma della lettera b) del comma 28 dell’articolo 1 della legge.
Sarebbe, infine, opportuno un adeguamento della regola dettata dal comma 2 al caso degli apolidi.
Condivisibile e legittima è anche la previsione, contenuta nel comma 3, della trasmissione all’autorità consolare, ai fini della trascrizione nel registro provvisorio delle unioni civili, degli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso, onde soddisfare l'interesse pubblico ad acquisire nei registri italiani i suddetti atti di stato civile contratti all'estero e ciò anche allo scopo di rendere certo, di fronte alla legge italiana, lo stato civile delle persone interessate. Anche in questo caso non si tratta di un intervento modificativo delle norme di conflitto contenute nella citata legge n. 218/1995, ma dell’introduzione di un mero adempimento amministrativo, con finalità di rilevazione e di certificazione, allo scopo di accrescere la certezza del diritto sugli status personali. Si intende, ovviamente, come sembra doversi dedurre dal senso complessivo della previsione, che la trasmissione debba essere riferita agli atti di matrimoni o di unioni civili, formati all’estero, tra persone dello stesso sesso di cui almeno una sia cittadina italiana o comunque abbia un altro stabile collegamento amministrativo con la Repubblica Italiana.
23.) Presenta due specifiche criticità, segnalate anche nella relazione ministeriale, l’articolo 9 della legge.
Come sopra riferito, il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune del registro provvisorio dello stato civile e che i fogli costituenti il registro siano redatti secondo le formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, adottato entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.
La prima criticità concerne la stessa istituzione del registro delle unioni civili, espressamente definito “provvisorio” (atteso che la disciplina definitiva sarà dettata, in futuro, dai decreti delegati). Al riguardo nella relazione si osserva che gli attuali quattro registri dello stato civile (nascita, matrimonio, cittadinanza, morte) sono previsti da norme di rango primario (id est, il regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) e che, tuttavia, manca, nella legge, una disposizione espressa istitutiva del registro delle unioni civili (ancorché prevista nell'originario disegno di legge). La Presidenza del Consiglio dei Ministri osserva, però, che l’istituzione del registro risulta comunque coerente con la delegificazione dell'ordinamento dello stato civile avviata dalla legge 15 maggio 1997, n. 127.
La Sezione reputa che l’istituzione di un registro, sia pur provvisorio, delle unioni civili costituisca, sul piano amministrativo, un adempimento indispensabile per consentire l’operatività della riforma.
Sennonché non è convincente il mero richiamo alla delegificazione realizzata con la legge n. 127/1997 quale argomento idoneo a giustificare l’istituzione di un nuovo registro dello stato civile. La delegificazione attuata con il già ricordato decreto n. 396/2000 fu invero resa possibile dall’esistenza di una previsione normativa recata dall’articolo 2, comma 12, della legge n. 127/1997.
La rilevata debolezza dell’argomento spiegato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a sostegno della previsione del comma 1 dell’articolo 9 non conduce però alla conclusione dell’illegittimità del comma in parola. La Sezione ritiene infatti che tale istituzione trovi copertura normativa, sebbene implicita, in una fonte di rango primario, rappresentata dal comma 3 dell’articolo 1 della legge, là dove si stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”. Orbene la Sezione ritiene che non si compia alcuna forzatura dell’esegesi legislativa nell’interpretare il riferimento all’obbligo di registrazione (che si tratti di un obbligo è circostanza resa palese dall’uso del verbo “provvedere” all’indicativo presente), gravante sull’ufficiale dello stato civile, come un’implicita istituzione di un registro dello stato civile da parte della stessa previsione ora richiamata. Premesso infatti che ogni ermeneutica normativa deve primariamente rispondere a un criterio di ragionevolezza, è del tutto evidente che, diversamente opinando, risulterebbe impossibile per gli ufficiali dello stato civile prestare osservanza al dato positivo o, quanto meno, sarebbe impossibile l’adempimento fino all’entrata in vigore dei decreti delegati (che un registro delle unioni civili dovrebbero istituire). Un’interpretazione del genere però sarebbe in frontale contrasto con la illustrata ratio che sorregge il comma 34 dell’articolo 1 della legge, mirante, come già chiarito, a realizzare l’obiettivo di una subitanea operatività del nuovo istituto.
La seconda criticità dell’articolo 9 concerne la previsione dettata dal comma 2. Sul punto, nella relazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha osservato che, ai sensi dell’articolo 12 del decreto n. 396/2000, gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule stabilite con decreto del Ministro dell’interno e che, anche nel caso dello schema di decreto in esame, non si è inteso derogare a questa previsione, sebbene, per intuibili ragioni di completezza e contestualità del processo attuativo della legge nella fase transitoria e al fine di consentire il più rapido avvio delle attività degli uffici dello stato civile, si sia fissato per l’adozione del decreto ministeriale in questione un termine breve di cinque giorni decorrente dall'entrata in vigore dell’emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nella stessa relazione, però, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dato atto che, allo scopo di consentire con urgenza l'esercizio dei diritti fondamentali derivanti dalla legge n. 76/2016, si potrebbe addivenire, sulla base del disposto del comma 34 della medesima legge, alla diversa soluzione, sostenuta dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri, della adozione contestuale delle formule provvisorie per la redazione degli atti di stato civile nello stesso schema di decreto in oggetto.
In via preliminare la Sezione rileva che pure l’individuazione delle formule è un adempimento essenziale per la costituzione effettiva del registro provvisorio delle unioni civili.
Per quanto concerne le due soluzioni prospettate, la Sezione reputa che quella suggerita dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri presenti l’indubbio vantaggio di consentire la costituzione del registro contemporaneamente all’entrata in vigore del futuro decreto di cui allo schema in esame.
L’alternativa patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dà invece luogo a un pur breve differimento della effettiva istituzione del registro, posto che il termine di cinque giorni per l’adozione del decreto del Ministero dell’interno decorrerà dalla scadenza del termine di quindici giorni della vacatio legis. Invero, l’entrata in vigore del decreto si avrà soltanto dopo il decorso di quindici giorni dalla pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (sul punto, v. anche infra, sub §. 24). Nonostante ciò è indubbio che tale soluzione sia quella legittima, dovendosi rispettare le regole dettate dal regolamento governativo di cui all’articolo 12 del succitato decreto n. 396/2000.
Ovviamente l’esigenza di un urgente avvio operativo del nuovo istituto impegna la responsabilità del Ministero dell’interno alla rigorosa osservanza del termine di cinque giorni per l’adozione del decreto in parola, quantunque detto termine abbia obiettivamente natura ordinatoria. Risponderebbe, anzi, a criteri di correntezza amministrativa e di buona amministrazione, la soluzione di elaborare il decreto del Ministro dell’interno durante il periodo della vacatio in modo da renderlo efficace in coincidenza con l’entrata in vigore del decreto di cui allo schema in esame.
Sul versante redazionale va, infine, osservato che la parola “fogli” deve essere sostituita dalla parola “atti”, in conformità d’altronde a quanto previsto dal richiamato articolo 12 del decreto n. 396/2000.
24.) La Sezione non ha rilievi da formulare in ordine all’articolo 10 dello schema di decreto e si limita a prendere atto che, nonostante l’urgenza del provvedimento, si è mantenuto, come sopra osservato, l’ordinario termine della vacatio legis. Si ritiene, pertanto, che tale lasso temporale sia stato opportunamente mantenuto al fine di predisporre tutti gli adempimenti necessari al migliore avvio della nuova disciplina.
Con riferimento, infine, all’interpretazione applicativa del comma 1 va necessariamente ribadito quanto sopra osservato sub §. 5, in merito all’impossibilità giuridica di una sopravvivenza delle norme dettate dal decreto, di cui allo schema, nel caso di un mancato esercizio della delega di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge.
I) Le attività amministrative successive all’entrata in vigore del decreto.
25.) Così esaurito l’esame giuridico dello schema di decreto, la Sezione non può astenersi dal considerare che il successo di qualunque intervento normativo non dipende esclusivamente dalla qualità della regolazione, ma in parte ben più rilevante dall’attento monitoraggio sulla sua attuazione concreta. In altre parole qualunque riforma legislativa postula una indispensabile, successiva, accurata attività amministrativa di valutazione dell’impatto della regolazione.
Calati nel caso di specie, i precedenti rilievi conducono la Sezione a raccomandare alle Autorità centrali, preposte all’implementazione amministrativa delle norme del decreto di cui allo schema in esame, di assicurare - accanto ad iniziative di carattere informativo rivolte agli operatori - un controllo, di natura collaborativa, sulla corretta osservanza della nuova disciplina, mediante una continua vigilanza sull’esercizio delle funzioni di stato civile assegnate ai comuni e agli uffici della rete diplomatica e consolare (in tal senso è il condivisibile tenore della Sezione 1, lettera D, della relazione AIR), soprattutto nella fase di prima applicazione del futuro decreto, durante la quale potrebbero più facilmente manifestarsi incertezze applicative.
P.Q.M.
Con le osservazioni indicate nella suestesa motivazione è il parere favorevole della Sezione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gabriele Carlotti Franco Frattini
IL SEGRETARIO
Maria Luisa Salvini
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CONSIDERATO:
A) Il fondamento costituzionale del nuovo istituto. La questione dell’”obiezione di coscienza”. La natura transitoria della disciplina recata dal decreto di cui allo schema in oggetto.
4.) Con la legge 11 maggio 2016 n. 76, recante la “Regolamentazione delle unioni civili dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, il Parlamento ha regolato l’unione tra persone dello stesso sesso e ha a tal fine delineato elementi e principi di un nuovo istituto giuridico, appunto l’“unione civile”.
Il Legislatore ha individuato espressamente il fondamento costituzionale della legge (articolo 1, comma 1) nel riconoscimento, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, del carattere di “specifica formazione sociale” delle unioni civili di persone omosessuali.
La fonte primaria coerentemente ha disciplinato l’istituto come distinto, anche nei presupposti costituzionali, dal matrimonio, pur applicandosi alla coppia omosessuale molti dei diritti e dei doveri che riguardano i coniugi.
In attesa che, entro la fine del 2016, la decretazione attuativa, “a regime”, della legge n. 76/2016 sia adottata dal Governo, è stata prevista l’emanazione, su iniziativa del Ministro dell’interno, di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – sul quale è richiesto il prescritto parere di questo Consiglio – con cui, nella fase attuale di prima applicazione della legge, sono dettate alcune disposizioni attuative con il circoscritto fine di consentire l’immediata operatività dei registri delle unioni civili, onde così corrispondere alle richieste presentate ai Comuni dalle coppie omosessuali per l’applicazione ad esse del nuovo istituto.
L’esame del Consiglio di Stato sul decreto inviato per il parere è volto, com’è evidente, a verificare se le disposizioni della norma primaria siano ben attuate, senza che, ovviamente, il precetto normativo regolamentare possa introdurre materie nuove o diversamente configurate rispetto a quanto la legge stabilisce.
Una seconda questione di carattere generale, che attiene ai doveri di adempimento da parte dei Comuni in ordine alle richieste formulate dalle coppie omosessuali aventi diritto, riguarda la possibilità stessa, evocata di recente da alcuni sindaci, di una “obiezione di coscienza” motivabile con il rifiuto, in base a convinzioni culturali, religiose o morali, di concorrere – appunto, nella qualità di sindaco – a rendere operativo l’istituto della unione civile tra persone dello stesso sesso.
Ritiene il Consiglio di Stato che il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” - affinché soggetti pubblici o privati si sottraggano legittimamente ad adempimenti cui per legge sono tenuti - può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma, sicché detto rilievo, che esime dall’adempimento di un dovere, non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, a un determinato comportamento.
Il primato della “coscienza individuale” rispetto al dovere di osservanza di prescrizioni normative è stato affermato – pur in assenza di riconoscimento con legge – nei casi estremi di rifiuto di ottemperare a leggi manifestamente lesive di principi assoluti e non negoziabili (si pensi alla tragica esperienza delle leggi razziali). In un sistema costituzionale e democratico, tuttavia, è lo stesso ordinamento che deve indicare come e in quali termini la “coscienza individuale” possa consentire di non rispettare un precetto vincolante per legge.
Allorquando il Legislatore ha contemplato (si pensi all’obiezione di coscienza in materia di aborto o di sperimentazione animale) l’apprezzamento della possibilità, caso per caso, di sottrarsi ad un compito cui si è tenuti (ad esempio, l’interruzione anticipata di gravidanza), tale apprezzamento è stato effettuato con previsione generale e astratta, di cui il soggetto “obiettore” chiede l’applicazione.
Nel caso della legge n. 76/2016 una previsione del genere non è stata introdotta; e, anzi, dai lavori parlamentari risulta che un emendamento volto ad introdurre per i sindaci l’”obiezione di coscienza” sulla costituzione di una unione civile è stato respinto dal Parlamento, che ha così fatto constare la sua volontà contraria, non aggirabile in alcun modo nella fase di attuazione della legge.
Del resto, quanto al riferimento alla “coscienza individuale” adombrato per invocare la possibilità di “obiezione”, osserva il Consiglio di Stato che la legge, e correttamente il decreto attuativo oggi in esame, pone gli adempimenti a carico dell’“ufficiale di stato civile”, e cioè di un pubblico ufficiale, che ben può essere diverso dalla persona del sindaco.
In tal modo il Legislatore ha affermato che detti adempimenti, trattandosi di disciplina dello stato civile, costituiscono un dovere civico e, al tempo stesso, ha posto tale dovere a carico di una ampia categoria di soggetti – quella degli ufficiali di stato civile – proprio per tener conto che, tra questi, vi possa essere chi affermi un “impedimento di coscienza”, in modo che altro ufficiale di stato civile possa compiere gli atti stabiliti nell’interesse della coppia richiedente.
Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione - il che la legge non consentirebbe in alcun caso – il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile.
5.) Altra questione di carattere generale attiene alla natura transitoria della fonte della disciplina in esame. Al riguardo osserva il Consiglio di Stato che l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per l’istituzione del registro dello stato civile può giustificarsi soltanto nella prospettiva, che il Legislatore ha considerato, di una immediata applicabilità di un nuovo istituto che tocca materia di estrema sensibilità e di rilevanza anche costituzionale.
In tale quadro, si comprende anche la scelta di rinviare le “apposite formule di rito” ad un decreto ministeriale, anziché inserirle come allegato allo schema di decreto in esame.
Il Governo dovrà con i decreti delegati di cui all’articolo 1, comma 28, della legge adottare scelte definitive e organiche, rivedendo, integrando e, ove necessario, correggendo le previsioni stabilite per la fase transitoria. Seppure, quindi, il futuro decreto disciplinerà – ma soltanto per garantire l’avvio del nuovo istituto dello stato civile – materie che il suddetto articolo 1, comma 28, lettera a), individua come oggetto di una legislazione delegata, nondimeno tale anticipazione in via transitoria si regge su un’autonoma giustificazione anche funzionale e non può pregiudicare l’assetto definitivo delle scelte da definirsi con i decreti delegati.
Dalle superiori considerazioni discende, al contempo, l’esigenza che il Legislatore delegato si adoperi per un tempestivo esercizio della delega contenuta nel comma 28 della legge, dal momento che dalla (scongiurata) mancata adozione di una disciplina a regime non potrebbe scaturire, per le ragioni sopra accennate, l’effetto di una sopravvivenza delle norme recate dal decreto di cui allo schema in esame; dette norme regolamentari infatti, come già precisato, sono, per volontà legislativa, connotate da un’intrinseca e insuperabile provvisorietà che preclude – almeno in assenza di altri eventuali, futuri interventi normativi di rango primario - la stessa concepibilità di una loro ultrattività dopo la data del 5 dicembre 2016 (termine ultimo, fissato dal comma 28 dell’articolo 1 della legge, per l’esercizio della delega). In altri termini, la fonte regolamentare, attualmente idonea in considerazione della sua provvisorietà, non potrebbe considerarsi più tale ove destinata a rimanere, in un prossimo futuro, l’unica disciplina dell’istituto.
B) Il quadro giuridico di riferimento.
6.) Muovendo da tali considerazioni di carattere generale, la Sezione ritiene che, per un corretto vaglio dello schema in oggetto, occorra, nei limiti di quanto rileva per il presente parere, dedicare ulteriori, brevi cenni alla legge 20 maggio 2016, n. 76, in vigore dal 5 giugno 2016.
7.) Dal punto di vista delle politiche normative, con l’istituzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, il Legislatore italiano ha dato risposta alle esigenze di realizzazione esistenziale e relazionale di molti cittadini, consentendo loro di ricondurre a un rapporto giuridicamente regolato dallo Stato il desiderio di vivere liberamente una condizione di coppia (Corte cost., 15 aprile 2010, n. 138) nell’ambito di una comunione di vita, presidiata dal riconoscimento dei connessi, essenziali diritti in materia di regime patrimoniale, di alimenti e di successioni e dei correlati doveri di assistenza reciproca e di solidarietà.
8.) Sul piano più strettamente giuridico, va nuovamente ricordato che la legge, all'articolo 1, comma 28, ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
I decreti legislativi dovranno essere emanati entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge (ovvero entro il 5 dicembre 2016), su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
C) Lo scopo dello schema di decreto.
9.) Sennonché, nell’evidente consapevolezza dell’esigenza di dare celere attuazione a una così rilevante modifica dell’ordinamento, il Legislatore, come sopra accennato, ha inserito nel corpo dell’articolo 1 anche un comma 34, dal seguente tenore: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da adottare entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi previsti nel citato comma 28, lettera a).”.
Tale comma ha acquistato efficacia, per effetto di quanto disposto dal successivo comma 35, il giorno stesso dell’entrata in vigore della legge, cioè dal 5 giugno 2016.
10.) Risulta chiara la ratio della previsione contenuta nel ridetto comma 34. Il decreto, il cui schema è ora sottoposto al vaglio di questo Consiglio, ha la finalità di introdurre - nelle more dell’approvazione e della futura entrata in vigore dei decreti legislativi contemplati dal comma 28 e destinati a disciplinare in modo completo le unioni civili tra persone dello stesso sesso - una normativa, di rango secondario, più circoscritta e di carattere transitorio, necessaria ad assicurare l’immediato adeguamento della disciplina degli archivi dello stato civile alla sopravvenienza normativa della quale si è dato conto. Diversamente, rimarrebbe priva di concreta effettività e di concreta fruibilità l’attuale vigenza del nuovo istituto.
Lo scopo del decreto è, dunque, quello di consentire lo svolgimento del procedimento di costituzione dell'unione e altresì di permettere la certificazione di quest’ultima, affinché i cittadini interessati possano da subito invocare la tutela dei diritti loro riconosciuti ed esser allo stesso tempo chiamati al rispetto dei correlati doveri.
In ogni caso le soluzioni normative contenute nel decreto, stante la descritta temporaneità della disciplina “ponte”, non debbono né possono essere considerate irreversibili, essendo le stesse suscettibili di ripensamento e di miglioramento in occasione dell’attuazione della delega e ciò anche grazie all’esperienza applicativa che seguirà all’entrata in vigore del decreto di cui allo schema in oggetto.
D) L’incompletezza dello schema di decreto. Ragioni e rimedi. Il ruolo dell’interpretazione ministeriale e dell’attività consultiva del Consiglio di Stato.
11.) La prospettiva della transitorietà dell’intervento regolamentare e l’esigenza di una rapida attuazione dell’istituto delle unioni civili, volute dallo stesso Legislatore, giustificano l’incompletezza di molte previsioni dello schema in esame, proiettato verso il fine dell’immediata operatività. Di tale aspetto regolatorio la Sezione deve necessariamente tener conto e condivide del pari, con riferimento all’individuazione del perimetro assegnato al provvedimento dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la scelta di focalizzare le nuove regole esclusivamente sulla disciplina della tenuta degli archivi, come peraltro stabilito, a livello primario, dal Legislatore.
Non ignora tuttavia la Sezione che siffatta incompletezza possa dar luogo a plurimi dubbi applicativi. A tali perplessità potrà, peraltro, porsi rimedio in prima battuta attraverso il ricorso a una attenta, approfondita ed equilibrata attività interpretativa delle Autorità amministrative statali, nonché di questo Consiglio in sede consultiva (ove sollecitato in tal senso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o dagli altri Ministri interessati); in seconda battuta non può poi escludersi che, là dove non arrivi l’esegesi, il decreto in esame – pur nelle more dell’entrata in vigore dei decreti delegati (ma non oltre tale data) – possa essere modificato e integrato, sempre nel rispetto dell’alveo disciplinare delineato dal Legislatore, come sopra precisato.
E) L’individuazione della fonte di rango secondario.
12.) Nel preambolo del provvedimento è espressamente richiamato l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal modo la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha qualificato l’emanando decreto come regolamento ministeriale. La Sezione reputa corretta tale qualificazione, considerato che a) la legge ha espressamente attribuito alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il relativo potere, e b) lo schema di decreto contiene disposizioni innovative dell’ordinamento giuridico e provviste di rilevanza esterna.
Sebbene il comma 34 taccia sulla natura del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, non v’è dubbio, tuttavia, che detto decreto debba veicolare un regolamento, atteso che l’oggetto delle sue disposizioni è rappresentato dalla tenuta dei registri dello stato civile. Va difatti ricordato che la disciplina di tali registri, con la quale interferiscono le nuove disposizioni qui scrutinate, è attualmente contenuta nel succitato decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, ossia in un regolamento governativo riconducibile alla previsione di cui al sunnominato articolo 17, comma 2, della legge n. 400/1988. La circostanza non è priva di rilievo, dal momento che eventuali previsioni dello schema di decreto in oggetto, che non trovino una diretta copertura nei richiamati commi 28 e 34 della legge, dovranno essere sottoposte a una verifica di compatibilità con le norme regolamentari del suddetto decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000 e ciò perché l’articolo 17, comma 3, della legge n. 400/1988 stabilisce che i regolamenti ministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Il profilo testé enunciato verrà approfondito infra con riferimento all’esame dell’articolo 9 dello schema di decreto.
F) Il parere del Garante per la protezione dei dati personali.
13.) Non risulta che sullo schema di decreto sia stato acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali, come invece sarebbe stato necessario a norma dell’articolo 154, comma 4, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), in base al quale il Presidente del Consiglio dei ministri e ciascun ministro consultano il Garante all'atto della predisposizione delle norme regolamentari e degli atti amministrativi suscettibili di incidere sulle materie disciplinate dal presente codice. Non a caso tale parere fu richiesto in occasione della predisposizione del succitato decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. Non è controvertibile, invero, che le attività disciplinate dallo schema di decreto implichino il trattamento di dati personali.
Non ritiene tuttavia la Sezione che tale omissione possa comportare alcuna futura illegittimità dell’emanando decreto. A tale conclusione si perviene in forza della considerazione della ricordata urgenza della introduzione di una disciplina transitoria, ben evidenziata dallo stesso Legislatore con la configurazione di un meccanismo di doppio intervento normativo, dapprima con un provvedimento “ponte” da adottare in tempi brevi e successivamente attraverso l’esercizio di una delega legislativa. I previsti, ristretti tempi di adozione del decreto sono infatti incompatibili con le scansioni procedimentali indicate dal comma 5 del sunnominato articolo 154 del Codice sulla privacy né l’articolo 1 della legge prescrive termini più brevi per la richiesta di parere. Deve, pertanto, ritenersi che il decreto, di cui allo schema in esame, possa essere emanato anche in assenza di parere preventivo, potendosi rinvenirsi nel comma 34 della legge una deroga implicita all’obbligo della richiesta del parere in questione. Nondimeno è opinione della Sezione che sia comunque opportuno richiedere il parere del Garante, se del caso, anche successivamente all’entrata in vigore dell’emanando decreto. Delle eventuali criticità segnalate dal Garante la Presidenza del Consiglio dei Ministri potrà tener conto in sede di esercizio della delega di cui al ridetto comma 28, stante la natura anche correttiva di detti decreti.
G) Lo schema del procedimento di costituzione delle unioni civili.
14.) Sotto il profilo strutturale il procedimento di costituzione delle unioni civili, per come delineato nello schema di decreto, si articola nelle seguenti fasi: a) presentazione delle richieste di costituzione dell'unione civile; b) verifiche dell'ufficio; c) dichiarazione costitutiva dell'unione civile; d) registrazione.
Alla disciplina di ognuna di queste fasi sono dedicate le previsioni degli articoli del regolamento.
H) L’esame dei singoli articoli.
15.) Sull’articolo 1 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare, fatta eccezione per la previsione al comma 1 della possibilità di presentare la richiesta, da parte delle persone intenzionate a unirsi civilmente, “all’ufficiale dello stato civile del comune di loro scelta”. Nei termini riferiti il tenore della disposizione legittima gli interessati a indirizzare la richiesta all’ufficiale dello stato civile di qualunque comune italiano. La previsione, così interpretata, non presenta alcun profilo di illegittimità e, anzi, si presenta ragionevole e opportuna e costituisce un coerente sviluppo di quanto disposto dall’articolo 1, comma 2, della legge; essa, tuttavia, richiederebbe di essere meglio precisata con riferimento agli adempimenti gravanti sugli ufficiali dello stato civile (nel caso in cui siano scelti comuni diversi da quelli di residenza di uno o di entrambi i dichiaranti) e posta in coordinamento con il decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000. La Sezione si limita, pertanto, a richiamare l’attenzione sul punto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rimettendo alla stessa Presidenza la scelta regolatoria più opportuna.
16.) Sull’articolo 2 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
17.) Sull’articolo 3 dello schema di decreto si osserva che il comma 6 non è conforme al dettato legislativo nella parte in cui prescrive la presenza di quattro testimoni nell’ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile debba ricevere la dichiarazione costitutiva dell’unione civile nel luogo ove si trovi la persona impedita a recarsi presso la casa comunale per infermità o per altro comprovato impedimento. Sebbene, infatti, si sia inteso in questo modo replicare in sede regolamentare quanto previsto dall’articolo 110 del codice civile, va nondimeno osservato che il numero dei testimoni che devono presenziare alla dichiarazione in questione è espressamente stabilito dal comma 2 dell’articolo 1 della legge; tale comma indica la necessità di soli due testimoni né la legge contiene rinvii al suddetto articolo 110 del codice civile e nemmeno contempla deroghe per casi particolari. La previsione della presenza di quattro testimoni, al ricorrere dell’ipotesi descritta nel comma in esame, si risolve dunque in un aggravamento per le parti (e per le amministrazioni comunali) che non poggia su un solido aggancio normativo e che, soprattutto, non trova un giustificato bilanciamento nell’esigenza di rafforzare la solennità delle dichiarazioni costitutive ricevute dall’ufficiale dello stato civile al di fuori della casa comunale.
18.) Sull’articolo 4 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
19.) Nelle more dell’adozione dei decreti delegati di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge, l’articolo 5 dello schema di decreto, nel dare attuazione al comma 27 del ridetto articolo 1, precisa gli aspetti operativi di una opportuna scelta legislativa di dare risposta ad esigenze di riconoscimento dei rapporti di coppia giuridicamente regolati allorquando uno dei due coniugi decida di cambiare sesso. Correttamente nella relazione si richiama la sentenza della Corte costituzionale 11 giugno 2014, n. 170, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale delle disposizioni processuali in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, a norma dell’articolo 31, comma 6, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 "… nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione dell'attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili ..., consenta, comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore". Sennonché, onde rendere la previsione normativa di rango secondario pienamente allineata al decisum del Giudice delle leggi e anche nella prospettiva di un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato positivo di rango primario, la Sezione suggerisce una riformulazione del comma 1 dell’articolo 5 nei seguenti termini: “I coniugi che, a seguito della rettificazione di sesso di uno di loro, intendano avvalersi di quanto disposto dall’articolo 1, comma 27, della legge, rendono personalmente apposita dichiarazione congiunta all’ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto o trascritto l’atto di matrimonio.”.
20.) L’articolo 6 disciplina, come riferito, i casi di scioglimento dell’unione civile per accordo delle parti.
La Sezione, al riguardo, osserva che la disposizione si presenta legittimata da una necessità logica, ancor prima che giuridica, discendente dalla considerazione che, anche nel breve arco temporale occorrente per l’adozione dei decreti delegati, potrebbero costituirsi e sciogliersi unioni civili; sicché sussiste l’esigenza - non foss’altro per l’esistenza della causa impeditiva di cui all’articolo 1, comma 4, della legge – di registrare anche gli scioglimenti delle unioni civili. Al contempo la Sezione non può non osservare che l’articolo in esame reca una previsione che rivela una intrinseca proiezione di durata e che si pone al limite della compatibilità con la natura transitoria della fonte regolamentare; ciò in ragione della previsione, nei commi 1 e 2, del richiamo di istituti, non strettamente riconducibili all’ambito dell’intervento normativo secondario perimetrato dal comma 34, se non per l’appunto in considerazione delle esigenze di una garanzia dell’immediata operatività delle unioni civili. La Sezione, nel valutare positivamente la disposizione, deve nondimeno tornare a ribadire l’importanza, tanto più in relazione ad articoli come quello in esame, di un tempestivo esercizio della delega.
21.) Sull’articolo 7 dello schema di decreto la Sezione non ha nulla da rilevare.
22.) In ordine all’articolo 8 dello schema di decreto va osservato che il comma 1, che impone la trascrivibilità negli archivi dello stato civile delle unioni civili costituite all’estero, consente di superare l’indirizzo giurisprudenziale contrario a tale possibilità, formatosi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76/2016 (tra le altre pronunce si ricordano Corte di cassazione, sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184 e Cons. Stato, sez. III, n. 4899 del 26 ottobre 2015).
La relazione ministeriale afferma poi che il comma 2 dell’articolo 8 è stato redatto sul modello dell'articolo 116, comma primo, del codice civile e che la disposizione – in attesa della riforma in parte qua del sistema italiano di diritto internazionale privato affidata ai decreti delegati di cui al più volte richiamato comma 28 dell’articolo 1 della legge – è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. L’affermazione è sicuramente condivisibile a condizione che la dichiarazione, resa dall’autorità competente dello Stato di appartenenza, di nulla osta all’unione civile, che lo straniero deve presentare all’ufficiale dello stato civile qualora intenda costituire in Italia un'unione civile, non venga interpretata nel senso di includere nelle “leggi cui è sottoposto” lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Difatti il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l’articolo 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri.
In ogni caso il comma 2 non travalica i limiti oggettivi fissati dal comma 34 dell’articolo 1 della legge, dal momento che esso reca una previsione meramente amministrativa che non modifica le regole vigenti in materia di diritto internazionale privato, regole la cui modifica - al fine del necessario adattamento delle stesse al nuovo istituto delle unioni civili – è riservata, come ricordato, ai decreti delegati, a norma della lettera b) del comma 28 dell’articolo 1 della legge.
Sarebbe, infine, opportuno un adeguamento della regola dettata dal comma 2 al caso degli apolidi.
Condivisibile e legittima è anche la previsione, contenuta nel comma 3, della trasmissione all’autorità consolare, ai fini della trascrizione nel registro provvisorio delle unioni civili, degli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso, onde soddisfare l'interesse pubblico ad acquisire nei registri italiani i suddetti atti di stato civile contratti all'estero e ciò anche allo scopo di rendere certo, di fronte alla legge italiana, lo stato civile delle persone interessate. Anche in questo caso non si tratta di un intervento modificativo delle norme di conflitto contenute nella citata legge n. 218/1995, ma dell’introduzione di un mero adempimento amministrativo, con finalità di rilevazione e di certificazione, allo scopo di accrescere la certezza del diritto sugli status personali. Si intende, ovviamente, come sembra doversi dedurre dal senso complessivo della previsione, che la trasmissione debba essere riferita agli atti di matrimoni o di unioni civili, formati all’estero, tra persone dello stesso sesso di cui almeno una sia cittadina italiana o comunque abbia un altro stabile collegamento amministrativo con la Repubblica Italiana.
23.) Presenta due specifiche criticità, segnalate anche nella relazione ministeriale, l’articolo 9 della legge.
Come sopra riferito, il comma 1 dispone l’istituzione presso ciascun comune del registro provvisorio dello stato civile e che i fogli costituenti il registro siano redatti secondo le formule da approvare con decreto del Ministro dell'interno, ai sensi dell'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396/2000, adottato entro il termine di cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, di cui allo schema in esame.
La prima criticità concerne la stessa istituzione del registro delle unioni civili, espressamente definito “provvisorio” (atteso che la disciplina definitiva sarà dettata, in futuro, dai decreti delegati). Al riguardo nella relazione si osserva che gli attuali quattro registri dello stato civile (nascita, matrimonio, cittadinanza, morte) sono previsti da norme di rango primario (id est, il regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238) e che, tuttavia, manca, nella legge, una disposizione espressa istitutiva del registro delle unioni civili (ancorché prevista nell'originario disegno di legge). La Presidenza del Consiglio dei Ministri osserva, però, che l’istituzione del registro risulta comunque coerente con la delegificazione dell'ordinamento dello stato civile avviata dalla legge 15 maggio 1997, n. 127.
La Sezione reputa che l’istituzione di un registro, sia pur provvisorio, delle unioni civili costituisca, sul piano amministrativo, un adempimento indispensabile per consentire l’operatività della riforma.
Sennonché non è convincente il mero richiamo alla delegificazione realizzata con la legge n. 127/1997 quale argomento idoneo a giustificare l’istituzione di un nuovo registro dello stato civile. La delegificazione attuata con il già ricordato decreto n. 396/2000 fu invero resa possibile dall’esistenza di una previsione normativa recata dall’articolo 2, comma 12, della legge n. 127/1997.
La rilevata debolezza dell’argomento spiegato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a sostegno della previsione del comma 1 dell’articolo 9 non conduce però alla conclusione dell’illegittimità del comma in parola. La Sezione ritiene infatti che tale istituzione trovi copertura normativa, sebbene implicita, in una fonte di rango primario, rappresentata dal comma 3 dell’articolo 1 della legge, là dove si stabilisce che l’ufficiale dello stato civile “provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”. Orbene la Sezione ritiene che non si compia alcuna forzatura dell’esegesi legislativa nell’interpretare il riferimento all’obbligo di registrazione (che si tratti di un obbligo è circostanza resa palese dall’uso del verbo “provvedere” all’indicativo presente), gravante sull’ufficiale dello stato civile, come un’implicita istituzione di un registro dello stato civile da parte della stessa previsione ora richiamata. Premesso infatti che ogni ermeneutica normativa deve primariamente rispondere a un criterio di ragionevolezza, è del tutto evidente che, diversamente opinando, risulterebbe impossibile per gli ufficiali dello stato civile prestare osservanza al dato positivo o, quanto meno, sarebbe impossibile l’adempimento fino all’entrata in vigore dei decreti delegati (che un registro delle unioni civili dovrebbero istituire). Un’interpretazione del genere però sarebbe in frontale contrasto con la illustrata ratio che sorregge il comma 34 dell’articolo 1 della legge, mirante, come già chiarito, a realizzare l’obiettivo di una subitanea operatività del nuovo istituto.
La seconda criticità dell’articolo 9 concerne la previsione dettata dal comma 2. Sul punto, nella relazione, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha osservato che, ai sensi dell’articolo 12 del decreto n. 396/2000, gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule stabilite con decreto del Ministro dell’interno e che, anche nel caso dello schema di decreto in esame, non si è inteso derogare a questa previsione, sebbene, per intuibili ragioni di completezza e contestualità del processo attuativo della legge nella fase transitoria e al fine di consentire il più rapido avvio delle attività degli uffici dello stato civile, si sia fissato per l’adozione del decreto ministeriale in questione un termine breve di cinque giorni decorrente dall'entrata in vigore dell’emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Nella stessa relazione, però, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dato atto che, allo scopo di consentire con urgenza l'esercizio dei diritti fondamentali derivanti dalla legge n. 76/2016, si potrebbe addivenire, sulla base del disposto del comma 34 della medesima legge, alla diversa soluzione, sostenuta dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri, della adozione contestuale delle formule provvisorie per la redazione degli atti di stato civile nello stesso schema di decreto in oggetto.
In via preliminare la Sezione rileva che pure l’individuazione delle formule è un adempimento essenziale per la costituzione effettiva del registro provvisorio delle unioni civili.
Per quanto concerne le due soluzioni prospettate, la Sezione reputa che quella suggerita dai Ministeri della giustizia e degli affari esteri presenti l’indubbio vantaggio di consentire la costituzione del registro contemporaneamente all’entrata in vigore del futuro decreto di cui allo schema in esame.
L’alternativa patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri dà invece luogo a un pur breve differimento della effettiva istituzione del registro, posto che il termine di cinque giorni per l’adozione del decreto del Ministero dell’interno decorrerà dalla scadenza del termine di quindici giorni della vacatio legis. Invero, l’entrata in vigore del decreto si avrà soltanto dopo il decorso di quindici giorni dalla pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (sul punto, v. anche infra, sub §. 24). Nonostante ciò è indubbio che tale soluzione sia quella legittima, dovendosi rispettare le regole dettate dal regolamento governativo di cui all’articolo 12 del succitato decreto n. 396/2000.
Ovviamente l’esigenza di un urgente avvio operativo del nuovo istituto impegna la responsabilità del Ministero dell’interno alla rigorosa osservanza del termine di cinque giorni per l’adozione del decreto in parola, quantunque detto termine abbia obiettivamente natura ordinatoria. Risponderebbe, anzi, a criteri di correntezza amministrativa e di buona amministrazione, la soluzione di elaborare il decreto del Ministro dell’interno durante il periodo della vacatio in modo da renderlo efficace in coincidenza con l’entrata in vigore del decreto di cui allo schema in esame.
Sul versante redazionale va, infine, osservato che la parola “fogli” deve essere sostituita dalla parola “atti”, in conformità d’altronde a quanto previsto dal richiamato articolo 12 del decreto n. 396/2000.
24.) La Sezione non ha rilievi da formulare in ordine all’articolo 10 dello schema di decreto e si limita a prendere atto che, nonostante l’urgenza del provvedimento, si è mantenuto, come sopra osservato, l’ordinario termine della vacatio legis. Si ritiene, pertanto, che tale lasso temporale sia stato opportunamente mantenuto al fine di predisporre tutti gli adempimenti necessari al migliore avvio della nuova disciplina.
Con riferimento, infine, all’interpretazione applicativa del comma 1 va necessariamente ribadito quanto sopra osservato sub §. 5, in merito all’impossibilità giuridica di una sopravvivenza delle norme dettate dal decreto, di cui allo schema, nel caso di un mancato esercizio della delega di cui al comma 28 dell’articolo 1 della legge.
I) Le attività amministrative successive all’entrata in vigore del decreto.
25.) Così esaurito l’esame giuridico dello schema di decreto, la Sezione non può astenersi dal considerare che il successo di qualunque intervento normativo non dipende esclusivamente dalla qualità della regolazione, ma in parte ben più rilevante dall’attento monitoraggio sulla sua attuazione concreta. In altre parole qualunque riforma legislativa postula una indispensabile, successiva, accurata attività amministrativa di valutazione dell’impatto della regolazione.
Calati nel caso di specie, i precedenti rilievi conducono la Sezione a raccomandare alle Autorità centrali, preposte all’implementazione amministrativa delle norme del decreto di cui allo schema in esame, di assicurare - accanto ad iniziative di carattere informativo rivolte agli operatori - un controllo, di natura collaborativa, sulla corretta osservanza della nuova disciplina, mediante una continua vigilanza sull’esercizio delle funzioni di stato civile assegnate ai comuni e agli uffici della rete diplomatica e consolare (in tal senso è il condivisibile tenore della Sezione 1, lettera D, della relazione AIR), soprattutto nella fase di prima applicazione del futuro decreto, durante la quale potrebbero più facilmente manifestarsi incertezze applicative.
P.Q.M.
Con le osservazioni indicate nella suestesa motivazione è il parere favorevole della Sezione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gabriele Carlotti Franco Frattini
IL SEGRETARIO
Maria Luisa Salvini
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
io credo che una volta fatta l unione civile gay e comunicata al comando entro i termini e tempi di legge il comando può solo annotare che un suo dipendente ha fatto l unione civile e a quel punto è costretta ad elargire la licenza straordinaria dei 15 gg in base alle regole dettate dalla cedu processo contro Francia se non erro che ha ribadito il concetto di ferie matrimoniali anche in caso di unioni civili. Comunque con l approvazione della legge i militari gay uniti civilmente vengono equiparati a quelli etero sposati. Forse l unico problema è trovare il coraggio di farlo con relative conseguenze sul posto di lavoro ( mobbing - omofobia)
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Re: Uso G.U.S., nozze gay tra militari e licenza straordinar
Messaggio da esercito123 »
Realmente non so se i militari ne sono esclusi da questa legge.
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