Sentenza corte costituzionale n.70/2015

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eagles
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Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da eagles »

Buonasera. Sono un Luogotenente dei CC in pensione dal 01 agosto 2014. Poichè con la sentenza n.70/2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo, volevo sapere se bisogna far capo ad un legale e presentare ricorso o meno, forse qualcuno di voi si è già interessato alla cosa. Grazie anticipatamente.


gino59
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da gino59 »

eagles ha scritto:Buonasera. Sono un Luogotenente dei CC in pensione dal 01 agosto 2014. Poichè con la sentenza n.70/2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo, volevo sapere se bisogna far capo ad un legale e presentare ricorso o meno, forse qualcuno di voi si è già interessato alla cosa. Grazie anticipatamente.
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Altro che,se con un po di pazienza azioni il motore di ricerca,troverai il tutto.-
eagles
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

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...trovato, grazie mille
panorama
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

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Sent. Corte Costituzionale n. 70/2015 ricostituzione del trattamento pensionistico.
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA SENTENZA 46 2016 PENSIONI 21/03/2016


n.28423

Sent.46/2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Prof.Vito Tenore,

nella camera di consiglio del 15.3.2016 ha pronunciato
SENTENZA

nel giudizio pensionistico iscritto al n. n.28423 del registro di segreteria, sul ricorso proposto da:
L. D., nt. a Omissis il 15.12.1935, residente in Omissis, Omissis, cf. Omissis

contro

INPS e Guardia di Finanza

OGGETTO: ricostituzione del trattamento pensionistico per gli anni 2012-2015 in applicazione della intervenuta Sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015

VISTI: il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038; il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19 e la legge 14 gennaio 1994, n. 20; la legge 21 luglio 2000, n. 205, ed in particolare gli artt. 5 e 9;

VISTO il ricorso e tutti gli altri documenti di causa;

VISTI: il regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038; il decreto legge 15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19; la legge 21 luglio 2000, n. 205 e, in particolare, gli artt. 5, 9 e 10; il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, artt. 60 e 74.

Udite le parti presenti all’udienza del 15.3.2016: l’attore di persona e l’avv. Giulio Peco per l’Inps, il Ten. Col. Gianfranco Frisani per la Guardia di Finanza.

FATTO

1. Con ricorso dep.to il 5.1.2016 ritualmente notificato parte attrice, Finanziere (maresciallo magg. aiut.) in quiescenza dal 5.11.1985, chiedeva, anche in sede cautelare, la ricostituzione del proprio trattamento pensionistico (secondo la rivalutazione statuita ex art.,34, l. n.448/1998) per gli anni 2012-2015 in applicazione della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 24, co.25, d.l. n.201 del 2011 conv.to in legge 214/2011 (che statuiva la non per equabilità nel 2012 e 2013 dei trattamenti pensionistici superiore a tre volte il minimo Inps) a seguito della intervenuta Sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, negatagli in via amministrativa dall’Inps.

Il ricorrente chiedeva altresì, sulla base degli enunciati della sentenza della Consulta n.277 del 1991, la riliquidazione del trattamento pensionistico in base alle provvidenze economiche statuite dal dPR n.69 del 1984 ed alla l. n.121 del 1981 fruendo della equiparazione retributiva con i parigrado o qualifica della Polizia di Stato, ovvero al 7° bis livello retributivo.

Infine l’attore censurava l’omesso computo nel proprio trattamento pensionistico sia degli aumenti sul proprio pregresso trattamento stipendiale da calcolare ai sensi degli art.2, co.3, e art.4 del d.P.R. n.69 del 1984, sia dell’indennità pensionabile a decorrere dall’1.1.1984 ai sensi dell’art.5, dPR n.69 cit.

Alla luce delle tre suddette doglianze, chiedeva dunque, anche in sede cautelare, l’accertamento al corretto computo del proprio trattamento di quiescenza, con restituzione da parte dell’Inps di quanto indebitamente non erogato, oltre accessori.

2. Si costituiva la Guardia di Finanza con memoria 22.2.2016, nulla argomentando in ordine alla prima domanda attorea concernente il blocco della perequazione pensionistica venuto meno ex sentenza C.cost n.70/2015. Circa la terza domanda relativa alla riliquidazione del trattamento pensionistico in base alle provvidenze economiche statuite dal dPR n.69 del 1984, osservava la GdF che i dispositivi 16.12.1986 n.3337, 3338 e 3339 (depositati) avevano dato piena attuazione a tale normativa. In ordine infine alla seconda pretesa attorea, se ne riconosceva la fondatezza, con impegno a ricomputare il trattamento pensionistico prendendo atto degli indirizzi giurisprudenziali sui benefici derivanti dalla equiparazione ai pari grado della Polizia di Stato.

3. Si costituiva l’Inps con memoria 4.3.2016, evidenziando in ordine alla prima pretesa attorea (sulle restanti domande nulla deduceva se non il proprio difetto di legittimazione passiva) come, dopo la sentenza n.70/2015 suddetta, il legislatore aveva adottato il d.l.21.5.2015 n.65 conv.to in legge n.109 del 2015, apportando modifiche al suddetto art.24, co.25 segg., d.l. n.201 del 2011, statuenti:

a) un meccanismo di sospensione temporanea delle perequazioni pensionistiche non più di tipo fisso (come un tempo previsto dalla norma dichiarata incostituzionale), ma di tipo progressivo inversamente proporzionale all’entità delle pensioni, con conservazione dell’intera perequazione per le sole pensioni inferiori a tre volte in minimo inps e sospensione assoluta della perequazione per le pensioni superiori a sei volte il minimo inps;

b) il rimborso ai pensionati di crediti nascenti dal nuovo meccanismo di sospensione temporanea non immediato, ma in via differita.

Chiariva l’Inps che, godendo il convenuto di un trattamento pensionistico ad oggi superiore a quattro volte il minimo I.N.P.S. (che per il 2015 è pari a euro 501,89: v. doc. 3 difesa), lo stesso aveva diritto a deroga parziale alla sospensione temporanea della perequazione dei ratei pensionistici maturati nel 2012 e nel 2013 e conseguentemente al rimborso parziale di quanto trattenuto a titolo di sospensione, rimborso che l’I.N.P.S. aveva già ricalcolato e liquidato con rata agosto 2015 (doc. 4 difesa).

Aggiungeva altresi l’Inps che la norma sopravvenuta era da ritenere costituzionalmente legittima, in quanto calibrata, secondo criteri di progressività ed evitando automatismi valevoli indistintamente per tutti i pensionati, a bilanciare, in un momento di recessione, contrapposte esigenze costituzionali, di tutela delle finanze e dei conti pubblici e, specularmente, di protezione dei trattamenti pensionistici acquisiti. Difatti la novella normativa non ledeva il diritto ad una esistenza libera e dignitosa del pensionato e, per la temporaneità della mera sospensione perequativa ed il suo carattere limitato, rappresentava un mero contributo di solidarietà a carico di fruitori di migliori trattamenti pensionistici rispetto ad altri e rispetto alle future generazioni.

Chiariva infine l’Inps, sulla base di giurisprudenza di questa Sezione, che la presentazione dell’istanza di ricostituzione del trattamento pensionistico da parte del ricorrente subito dopo la pronuncia della Consulta 70/2015 e prima del sopravvenuto d.l. n.65/2015, non rendeva inapplicabile tale sopravvenienza normativa al rapporto pensionistico dell’istante, ben modificabile a seguito di mutamenti legislativi che, pur retroattivi, avevano ragionevolmente inteso far chiarezza proprio sulle pregresse sospensioni dei trattamenti perequativi per gli anni 2012 e 2013, con precetti adeguativi di norme dichiarate incostituzionali.

Concludeva l’Inps che la sopravvenuta normativa rispettava anche l’art.53 cost, stante la ragionevolezza, proporzionalità e progressività della statuita sospensione della perequazione nei confronti dei titolari dei migliori trattamenti previdenziali.

4. Nella camera di consiglio del 15.3.2016 fissata per la discussione dell’istanza cautelare, il Giudice rappresentava alle parti presenti che la causa era matura per la decisione e invitava le stesse a concludere anche sul merito del giudizio. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione e veniva letto il dispositivo in udienza.

DIRITTO

1. In via pregiudiziale, si richiama il disposto dell’articolo 9, co. 1, secondo capoverso, l. 21 luglio 2000, n. 205 che, nel sostituire l’art. 26, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, dopo aver disciplinato le ipotesi nelle quali il giudice del merito emette sentenza in forma semplificata (manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilità, inammissibilità improcedibilità o infondatezza del ricorso), ha previsto che la decisione in forma semplificata è assunta, nel rispetto della completezza del contraddittorio nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare. Le predette disposizioni concernenti le decisioni in forma semplificata sono applicabili ai giudizi innanzi alla Corte dei conti in forza del comma 3 del medesimo art. 9.

A seguito della riforma del processo amministrativo, approvata con d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, le disposizioni sulla tutela cautelare hanno ricevuto una sistemazione organica all’interno del codice (titolo II, artt. 55-62), con rinnovata autonomia delle disposizioni sul procedimento di merito. Ne risulta che la decisione in forma semplificata (già art. 26, ultimo co., primo cpv., l. n. 1034/1971) è attualmente disciplinata dall’art. 74, d.lgs. n. 104/2010, mentre la definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare, sempre con decisione in forma semplificata (già art. 26, ultimo comma, secondo cpv., l. n. 1034/1971) è ora regolata dall’art. 60, d.lgs. n. 104/2010.

Ritenendo la natura dinamica del rinvio operato dall’art. 9, co. 3, l. n. 205/2000, resta intatta la facoltà del Giudice delle pensioni di definire il giudizio in sede cautelare, al ricorrere delle ipotesi di manifesta fondatezza ovvero manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, tenuto conto degli artt. 60 e 74, d.lgs. n. 104/2010.

Nella specie, l’istanza cautelare è formulata in un ricorso che si presenta manifestamente infondato.

2. Venendo al merito, la prima pretesa attorea al ricomputo pensionistico sulla scorta della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità (C.cost. n.70 del 30.4.2015) dell’originario testo dell’art.24, co.25, d.l. n.201 del 2011 conv.to in l. n.214 del 2011, che ha sospeso il meccanismo perequativo del trattamento pensionistico del ricorrente, sarebbe fondata se non fosse nelle more sopravvenuto, con precetti adeguativi delle norme dichiarate incostituzionali, il d.l. 21.5.2015 n.65, conv.to in legge n.109 del 2015, apportando modifiche al suddetto art.24, co.25 segg., d.l. n.201 del 2011, statuenti

A) un meccanismo di sospensione temporanea delle perequazioni pensionistiche non più di tipo fisso (come un tempo previsto dalla norma dichiarata incostituzionale), ma di tipo progressivo inversamente proporzionale all’entità delle pensioni, con conservazione dell’intera perequazione per le sole pensioni inferiori a tre volte in minimo inps e sospensione assoluta della perequazione per le pensioni superiori a sei volte il minimo inps; in particolare, il decreto dispone il riconoscimento della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS con modalità differenziate negli anni. Per il solo biennio 2012‐13 la rivalutazione viene riconosciuta, sempre in funzione del cumulo dei trattamenti, mediante un meccanismo per classi che prevede l’indicizzazione: a) al 40 per cento dell’inflazione di riferimento per i trattamenti complessivi tra tre e quattro volte il trattamento minimo INPS; b) al 20 per cento per quelli tra quattro e cinque volte il trattamento minimo INPS; c) al 10 per cento per quelli tra cinque e sei volte il trattamento minimo INPS;

B) che per il biennio 2014‐15 è riconosciuto, a titolo di rimborso parziale, solo un quinto della rivalutazione riconosciuta dallo stesso per il 2013 mentre per il 2016 la misura del rimborso sale al 50 per cento.

Qualora non fosse sopravvenuta tale sunteggiata normativa, la pretesa attorea sarebbe stata fondata, in quanto la sentenza della Corte costituzionale n.70 del 2015 ha dichiarato l’illegittimità della prima parte dell’articolo 24, comma 25, del decreto‐ legge n. 201/2011 che sospendeva per il solo biennio 2012‐13 la rivalutazione per i pensionati titolari di trattamenti superiori a tre volte il minimo, lasciando invece in vigore la seconda parte del comma 25, abrogativo della disposizione approvata nel 2011 (articolo 18, comma 3, del decreto‐legge n. 98/2011) che già disponeva una decurtazione della rivalutazione per le pensioni superiori a tre volte il minimo INPS. Conseguentemente, in assenza di interventi volti a disciplinare nuovamente la materia, il meccanismo di perequazione automatico applicabile a seguito della sentenza sarebbe stato per il periodo 2012‐13 quello regolato dalla normativa previgente il DL n. 201/2011, cioè la legge n. 388/2000, e per il triennio 2014‐2016 quello stabilito della legge n. 147/2013, non modificato dalla pronuncia della Corte costituzionale.

In base invece alla sopravvenuta normativa del d.l.65/2015 (che testualmente, all’articolo 1, definisce i criteri e le modalità per una attuazione della sentenza della Corte costituzionale che, secondo le intenzioni del Governo, assicuri un adeguato trattamento pensionistico nel rispetto degli equilibri di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica) di cui occorre doverosamente tener conto in questa sede secondo univoca giurisprudenza di questa Corte (in terminis C.conti, sez.giur. Veneto, 15.2.2016 n.16; id., sez.giur.Lazio, 17.12.2015 n.503; id., sez.Lazio, 10.12.2015 n.491; id., sez.giur.Lombardia, 27 ottobre 2015 n.186 e id. nn.19 e 30 2016; Tribunale di Napoli, Sez. Lav., 19 gennaio 2016 n.9443; id., sez.giur.Veneto, ord. 20.10.2015 n.48 e id.9.11.2015 n.52), godendo il convenuto ad oggi di un trattamento superiore a quattro volte il minimo I.N.P.S. (che per il 2015 è pari a euro 501,89: v. doc. 3 difesa), lo stesso ha diritto a deroga parziale alla sospensione temporanea della perequazione dei ratei pensionistici maturati nel 2012 e nel 2013 e conseguentemente al rimborso parziale di quanto trattenuto a titolo di sospensione, rimborso che l’I.N.P.S., come chiarito in comparsa, ha già ricalcolato e liquidato con rata agosto 2015 (doc. 4 difesa).

Tale automatismo non appare, nella attuale formulazione legislativa, in contrasto con parametri costituzionali come in passato. Difatti, come rettamente rimarcato dalla accurata difesa dell’Inps, la modifica normativa sopravvenuta è da ritenere costituzionalmente legittima, in quanto non più fissa, ma progressivamente proporzionata all’entità delle pensioni in godimento e calibrata, secondo criteri di progressività ed evitando automatismi valevoli indistintamente per tutti i pensionati, a bilanciare, in un momento di recessione, contrapposte esigenze costituzionali, di tutela delle finanze e dei conti pubblici e, specularmente, di protezione dei meno elevati trattamenti pensionistici acquisiti. Difatti la novella normativa non lede il diritto ad una esistenza libera e dignitosa del pensionato e, per la temporaneità della mera sospensione perequativa ed il suo carattere limitato, rappresenta un mero contributo di solidarietà a carico dei fruitori di migliori trattamenti pensionistici rispetto ad altri e rispetto alle future generazioni.

Del resto la stessa Consulta, con sentenza n.70 del 2015, ha previsto una assoluta intangibilità delle perequazioni dei soli trattamenti pensionistici più bassi, tra i quali non è annoverabile quello attoreo. Il Legislatore, nell’ottica della salvaguardia del principio, consacrato nell’art. 81 della Carta Fondamentale, dell’equilibrio di bilancio, che esige gradualità nell’attuazione di valori costituzionali che impongono rilevanti oneri a carico del bilancio dello Stato, come ribadito anche dalla legge costituzionale n. 1 del 2012 riaffermante il necessario rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (si veda in merito Corte Cost. n. 88 del 2014 e n. 10 del 2015 ), ha provveduto a sancire la ragionevole prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, concentrando le limitate risorse nei confronti delle classi di pensionati con trattamenti più bassi, in applicazione di un principio redistributivo rispettoso della dignità delle persone e, quindi, degli artt. 2 e 3 della Carta.

Né la maturazione del diritto o la presentazione dell’istanza di ricostituzione del trattamento pensionistico da parte del ricorrente sùbito dopo la pronuncia della Consulta 70/2014 e prima del sopravvenuto d.l. n.65/2015, può rendere inapplicabile tale sopravvenienza normativa al rapporto pensionistico dell’istante, ben modificabile a seguito di mutamenti legislativi che, pur retroattivi, avevano ragionevolmente inteso far chiarezza proprio sulle pregresse sospensioni dei trattamenti perequativi per gli anni 2012 e 2013, con precetti adeguativi di norme dichiarate incostituzionali. Pertanto alcuna violazione del giudicato costituzionale è ipotizzabile, in quanto lo stesso “....è violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisce una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della Costituzione, ma anche laddove la nuova disciplina miri a “perseguire e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti” (sentenze n. 223 del 1983, n. 88, del 1966 e n. 73 del 1963)” (Corte Cost. n. 245, del 31 ottobre 2012, id. n. 262 del 2009). Dette ipotesi, tuttavia, il Giudicante non ritiene nella specie ricorrenti, atteso che con la nuova disciplina, di cui all’art.1, del d.l. n. 65 del 2015, il legislatore non solo non si è posto in contrasto con la sentenza del Giudice delle Leggi n. 70 del 2015 , ma ha dichiaratamente e lisciamente dato attuazione ai principi in quella stessa decisione affermati, “…nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica” (cfr. Corte Cost. n. 194 del 2002). Di fatti, spetta al legislatore, “…sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali (artt. 36, primo comma, 38, secondo comma, e 81 della Carta) dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona” (sent. n. 316 del 2010).

In conclusione, la sopravvenuta normativa del d.l. 21.5.2015 n.65, conv.to in legge n.109 del 2015, rispetta gli artt.3, 36 e 38 cost., ed anche l’art.53 cost, stante la ragionevolezza, proporzionalità e progressività della statuita mera sospensione, tra l’altro minimale e non lesiva del diritto ad una vita dignitosa, della perequazione nei confronti dei titolari dei migliori trattamenti previdenziali. In applicazione di tale sopravvenuta normativa, il trattamento attoreo è stato già riliquidato nei limiti normativi sopra precisati: pertanto la domanda tesa ad un pieno ripristino della rivendicata perequazione è infondata.

3. Venendo alla seconda pretesa attorea, tesa, sulla base degli enunciati della sentenza della Consulta n.277 del 1991, alla riliquidazione del trattamento pensionistico in base alle provvidenze economiche statuite dal dPR n.69 del 1984 ed alla l. n.121 del 1981 fruendo della equiparazione retributiva con i parigrado o qualifica della Polizia di Stato, ovvero al 7° bis livello retributivo, la stessa è parimenti infondata.

Si tratta della questione, più volte affrontata da questa Corte dei conti, se spetti detta equiparazione retributiva (ai fini pensionistici) ai sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri e, come nel caso di specie, a quelli della Guardia di Finanza , in servizio al momento dell’entrata in vigore della citata riforma dell’ordinamento della Polizia di Stato, ma cessati dal servizio anteriormente al 1° gennaio 1992, data dalla quale il d.l. 7 gennaio 1992, n. 5, art. 2 ha stabilito la decorrenza della nuova retribuzione.

La tesi negativa, già propugnata da tempo da questa Sezione (v. C.conti, sez.Lombardia, 12.10.2006 n.562) è stata in tempi recenti univocamente confermata in appello sulla base degli indirizzi della Consulta e delle Sezioni riunite di questa Corte che, con sentenza 30 maggio 2003 n.11, hanno risolto in senso negativo il quesito “se ai sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri, in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 121 / 1981 , ma cessati dal servizio anteriormente al primo gennaio 1992, debba riconoscersi il diritto alla riliquidazione della pensione a decorrere da tale ultima data, previa equiparazione al trattamento economico previsto per gli ispettori della Polizia di Stato”. A questa pronuncia si è uniformata la giurisprudenza successiva (v., ad es. C.conti, sez. I app., 23 aprile 2012 n.209; id., sez.II app., 6 luglio 2011, n. 303; id., sez. I, n. 387/2011; Sez. II, n. 180 e n.458 del 2011; id., sez.III n.743 del 2011; id., sez.Lombardia, 21 marzo 2012 n.191; C.conti, sez.Sicilia, 26.6.2006 n.2251; id., sez.Lazio, 30.5.2006 n.1520; id.sez. Lazio, 11.4.2006 n.478; id., sez. Veneto, 27.5.2006 n. 546).

Occorre premettere che la Corte costituzionale, con sentenza 12 giugno 1991 n.277, si è pronunciata sulla mancata equiparazione tra gli ispettori della Polizia di stato ed i sottufficiali dell’Arma dei carabinieri, caducando l’art. 43, co. 17, della legge 1° aprile 1981, n.121 e l’allegata tabella “C”, i quali – nel prevedere l’equiparazione tra appartenenti alla Polizia di Stato e altri corpi di polizia – non contemplava la (allora neoistituita) qualifica di ispettore. In sostanza, la citata sentenza della Corte costituzionale si è posta come una classica pronuncia di tipo annullatorio non additivo che, lungi dall’istituire la postulata equiparazione tra sottufficiali dei Carabinieri e figure di ex sottufficiali della Polizia di Stato, ha rimesso al legislatore l’equiparazione dei rispettivi trattamenti economici (cfr., in proposito, sulla esatta portata della sentenza C.cost.n.121, da cui non è sorta la equiparazione tra la qualifica di ispettore di Polizia e di sottufficiale delle FF.AA., v. C.cost., 23.12.1993 n.455; C.cost., n.241 del 1996; C.cost., 28.12.2000 n.439/ord.; C.Conti, Sezione giurisdizionale Lazio, 2.7.1998 n.485 e id., 8.4.1999 n.313).

E, proprio allo scopo di realizzare tale equiparazione, è stato emanato il d.l. 7 gennaio 1992 n.5, convertito nella legge 6 marzo 1992, n.216, che da un lato ha dato copertura finanziaria agli oneri derivanti da giudicati favorevoli conseguiti innanzi al giudice amministrativo (“in esecuzione anche dei giudicati formatisi nella materia”), e, dall’altro, ha esteso a decorrere dal 1° gennaio 1992 ai sottufficiali dell’Arma dei carabinieri (e della GdF) che non avevano presentato ricorso il trattamento economico previsto per i corrispondenti livelli retributivi degli ispettori di Polizia.

In particolare, gli artt. 1 e 2 della legge 216 contengono la necessaria autorizzazione (e copertura) della spesa relativa agli oneri connessi con l’applicazione della sentenza n. 277/1991 della Corte Costituzionale, nonché quelle a suo tempo emesse (in tema di equiparazione del trattamento economico dei sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e GdF con gli appartenenti alla PS) dal TAR Lazio e dal Consiglio di Stato, oltre al pagamento, sempre per i destinatari di tali decisioni giurisdizionali, delle competenze arretrate.

I suddetti artt. 1 e 2 hanno superato il vaglio di costituzionalità, avendo il Giudice delle Leggi, con la sentenza 23.12.1993 n.455, negato che la discriminazione tra i sottufficiali dei CC destinatari delle sentenze di cui sopra - per i quali l’equiparazione ha avuto effetto sostanzialmente retroattivo – e gli altri sottufficiali CC, per i quali la corresponsione dei nuovi, più favorevoli trattamenti decorre solo dall’1.1.1992, violasse gli artt. 3 e 36 Cost.; tale pronuncia è stata poi confermata dalla sentenza n. n. 465 del 16-30.12.1997 della stessa Corte Costituzionale e, da ultimo, con ordinanza 28.12.2000 n.439, che ha ribadito la natura non additiva della sentenza 277 del 1991 e la limitata portata equiparativa della L.n.916/1992.

In buona sostanza, le norme di cui alla L. 216/92 si pongono come una tipica misura di settoriale perequazione del trattamento economico, per un ben delimitato arco temporale, la cui portata cronologica rientra nella discrezionalità legislativa, fermo il limite generale per ogni intervento normativo della ragionevolezza (art. 3 della Costituzione). Tale discrezionalità ricomprende tanto la differenziazione del trattamento economico di categorie prima egualmente retribuite, che non incorre di per sé in violazione dei precetti costituzionali di cui agli artt. 3 e 36 Cost. (stante anche il collocamento a riposo in momenti temporalmente diversi degli interessati all’equiparazione: sul punto C.cost., 9.5.1973 n.57; id., 29.4.1975 n.92), quanto la possibilità che nell’ambito del pubblico impiego siano attribuite voci retributive od indennità particolari in maniera uniforme per personale appartenente a figure e livelli differenti. Ciò, ovviamente, sempre che non vengano a determinarsi appiattimenti retributivi (vedi sentenza della Corte costituzionale n. 5/1997) o non si verifichino altre forme sintomatiche di palese arbitrarietà o di manifesta non ragionevolezza (v. sentenze della Corte costituzionale n. 133/1996 e n. 217/1997).

Ciò posto, e tenuto conto che il legislatore ha riconosciuto espressamente l’estensione ai sottufficiali dell’Arma dei carabinieri e della GdF del trattamento economico previsto per i livelli retributivi degli Ispettori di polizia a decorrere solamente dal 1° gennaio 1992 (come chiarito anche dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 455/93, cit.), secondo un condivisibile indirizzo di questa Corte, la riliquidazione del trattamento pensionistico per effetto del ricalcolo della base pensionabile a seguito della perequazione derivante dall'equiparazione economica fra appartenenti all'Arma dei carabinieri ed al Corpo della Guardia di finanza e quelli della Polizia di Stato, dopo la L. 6 marzo 1992 n. 216, spetta solo a coloro che abbiano goduto degli arretrati avendoli effettivamente percepiti, in quanto collocati a riposo nel quinquennio antecedente alla data del 1 gennaio 1992. Difatti i predetti benefici di cui alla l. 6 marzo 1992 n. 216 non riguardano il personale collocato a riposo, in quanto la legge non ha finalità perequative di portata generale (C.conti, reg. Calabria, n. 671/2002; C.conti, reg. Campania n.79 e n.353/2002; C.conti, reg. Lombardia n. 1129, 1718, 1723/2002; C.conti, reg.Campania, 23.9.2002 n.1323; C.conti, reg. Calabria n. 441 e n. 453/2001; C.Conti, reg. Sicilia, 3.7.2000 n.743; C.Conti, sez.II app., 17 dicembre 1999 n. 346/99/A; C.Conti, reg. Abruzzo, sez. giurisd., 29 settembre 1999, n. 957; C.Conti, reg.Liguria, 22.10.1999 n.985; C.Conti, sez. contr., 24 aprile 1998, n. 35; C.Conti, reg.Lazio n.485 del 1998; C.Conti reg. Lombardia, sez. giurisd., 5 gennaio 1998, n. 5; C.Conti Sezione controllo Stato, 30.12.1997, n.156; C.Conti, reg. Liguria, 20.1.1997 n.74).

Tale approdo ermeneutico ha come detto ricevuto l’autorevole avallo delle Sezioni riunite di questa Corte che, con sentenza 30.5.2003 n.11/2003/QM, hanno ribadito che “ai sottufficiali dell’Arma dei Carabinieri (e, dunque, della G.d.F.), in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 121/81, ma cessati anteriormente al 1° gennaio 1992, non può riconoscersi il diritto alla riliquidazione della pensione a decorrere da tale ultima data, previa equiparazione al trattamento economico previsto per gli ispettori della Polizia di Stato, qualora tale personale militare non abbia beneficiato di arretrati retributivi”. In sintonia con tale indirizzo si pone la più attenta e recente giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata.

A ciò aggiungasi, sul piano logico e normativo, che ai sensi degli art. 43 e 53 d.P.R. n. 1092 del 1973 la pensione è commisurata all'ultimo stipendio integralmente percepito, per cui gli aumenti stipendiali - previsti dalla l. n. 216 del 1992 non spettano a sottufficiali cessati dal servizio prima del 1991, quando non aveva acquisito il diritto da percepire tali benefici (C.Conti reg. Lazio, sez. giurisd., 8 aprile 1999, n. 313).

La tesi avversa, pervicacemente seguita anche dopo l’intervento nomofilattico delle sezioni riunite (n.11 del 2003) predetto, secondo cui il personale dell'Arma dei carabinieri (ma analoghi rilievi valgono per il personale della GdF) cessato dal servizio anteriormente al 1 gennaio 1992 ha diritto alla equiparazione dai fini pensionistici, con gli appartenenti alle corrispondenti qualifiche della polizia di Stato, con decorrenza, agli effetti giuridici, dalla entrata in vigore dell’ art. 43, comma 17, l. 1 aprile 1981 n. 121 e, agli effetti economici, dalla data dell'1 gennaio 1992 stabilita dalla l. n. 216 del 1992 (C.Conti reg. Toscana, sez. giurisd., 23 ottobre 2000, n. 1852; Corte Conti, sez. II, 8 giugno 2000, n. 211/A; C.Conti reg. Sicilia, sez. giurisd., 20 marzo 2000, n. 422; Corte Conti sez. II app., 26 giugno 1997, n. 87/A; Corte Conti sez. II app., n.309/2001/A, id., n. 11/2002/A; id., 22 marzo 2001, n. 124; id., 16 gennaio 2002, n. 9; id., 3 marzo 2003, n. 69; id., sez II, 17.1.2005 n.41; id.11.7.2006 n.265) non è condivisibile, in quanto l'equiparazione economica, secondo la omogeneità delle funzioni, tra le qualifiche di ispettore di polizia e di sottufficiale dell'Arma dei carabinieri (e della GdF) praticabile solo per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 277/1991, opera soltanto attraverso la regolamentazione temporale di cui alla l. n. 216 del 1992, riscontrata legittima dallo stesso giudice delle leggi con sentenza n. 241 del 1996 (C.Conti reg. Liguria, sez. giurisd., 22 ottobre 1999, n. 985) e in ogni caso, anche a voler ritenere che i sottufficiali dell'Arma dei carabinieri (e GdF) hanno diritto alla riliquidazione della pensione sulla base delle nuove misure stipendiali previste dalla l. n. 216 del 1992, in attuazione della sentenza della C. cost. n. 277 del 1991, anche nella ipotesi in cui siano cessati dal servizio anteriormente al 20 giugno 1986 (cioè oltre il quinquennio dalla pubblicazione della stessa sentenza) e non abbiano proposto tempestivo ricorso, va comunque fatta salva la disciplina della prescrizione del diritto a percepire i singoli maggiori ratei, (sul punto cfr.C.Conti reg. Basilicata, sez. giurisd., 28 settembre 1999, n. 272).

Un ulteriore argomento a conforto della tesi ostativa alla pretesa del ricorrente sulla scorta del rigido discrimen temporale del 20 giugno 1986, è rinvenibile nella sentenza C.cost.28.12.2001 n.439 che, su analoga questione, ha ribadito che è manifestamente infondata, in riferimento agli art. 97 e 3 cost., la questione di legittimità cost.le dell'art. 46 d.lg. 12 maggio 1995 n. 198, che esclude i sottufficiali dell'Arma dei carabinieri non più in servizio alla data dell'1 settembre 1995 dal beneficio dell'inquadramento nel ruolo degli ispettori, in quanto non è manifestamente irragionevole nè palesemente arbitrario - stante la discrezionalità legislativa in materia - che il beneficio in questione sia collegato alla persistenza in servizio dei destinatari ad una certa data, non necessariamente retroattiva, tenendo altresì conto dell'interesse dell'amministrazione per il suo buon andamento e dei limiti di ordine finanziario.

La domanda del ricorrente va conclusivamente rigettata, sebbene la Guardia di Finanza, in memoria di costituzione, sembrerebbe orientata ad accogliere la pretesa.

4. Venendo alla terza e conclusiva pretesa del D.. volta a censurava l’omesso computo nel proprio trattamento pensionistico sia degli aumenti sul proprio pregresso trattamento stipendiale da calcolare ai sensi degli art.2, co.3, e art.4 del d.P.R. n.69 del 1984, sia dell’indennità pensionabile a decorrere dall’1.1.1984 ai sensi dell’art.5, dPR n.69 cit., la convenuta Guardia di Finanza, ha chiarito e documentato che i dispositivi 16.12.1986 n.3337, 3338 e 3339 (depositati) avevano dato piena attuazione a tale normativa a favore dell’attore, che nulla ha osservato in ordine a tale rilievo della convenuta amministrazione. Pertanto la domanda è infondata.

5. La complessità della materia e talune oscillazioni giurisprudenziali su talune pretese attoree giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, nella sua composizione di Giudice unico delle Pensioni, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, definitivamente pronunciando rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Così deciso in Milano il 15.3.2016

IL GIUDICE
prof.Vito Tenore

Depositata in Segreteria il 21/03/2016

IL DIRIGENTE
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da avt8 »

eagles ha scritto:Buonasera. Sono un Luogotenente dei CC in pensione dal 01 agosto 2014. Poichè con la sentenza n.70/2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il blocco della rivalutazione delle pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo, volevo sapere se bisogna far capo ad un legale e presentare ricorso o meno, forse qualcuno di voi si è già interessato alla cosa. Grazie anticipatamente.
Non rivolgerti ad alcun legale perchè la corte dei Conti e negativa nei nostri confronti-
Bisogna aspettare nuovamente la Corte Costituzionale in quanto il Tribunale di Palermo ha chiesto la incostituzionalità del provvedimento del governo in merito alla indicizzazione delle pensione-
ATTENDERE-ATTENDERE- E poi si vedrà se conviene fare ricorso-
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da panorama »

1) - Ricorso: “Per l'ACCERTAMENTO DEL DIRITTO alla indicizzazione della pensione annuale in godimento per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015,

2) - per il riconoscimento e la tutela, previa cautela, del diritto a percepire la pensione, come per legge rivalutata e senza le decurtazioni previste dall'art. 24, comma 25, del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, come convertito nella legge n. 214 del 2011 e dall'art. 1, comma 483 della L. 27 dicembre 2013 n. 147,

3) - Nell'anno 2012, per effetto dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, a 214, non gli sono stati liquidati i ratei di pensione previsti dalla rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

La Corte dei Conti precisa:

4) - Da quanto precede - ricordato che i principi di proporzionalità e di adeguatezza lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che, senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico, siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione, operando un bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (Corte cost. n. 208/2014) – consegue che la normativa di cui all’ art. 1 del decreto legge n. 65/2015 convertito in legge n. 109/2015 (ed all'art.1, comma 483 della L. n. 147 del 2013), si appalesa espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai suindicati principi costituzionali.

5) - Ciò premesso, va rilevato che, nel caso di specie, l’Istituto previdenziale, considerato che il D.L. n. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, ha previsto il ripristino della perequazione per gli anni considerati con i conseguenti effetti sugli anni successivi, pur se con delle progressive limitazioni correlate all'importo del trattamento pensionistico, in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale, ha provveduto, secondo le istruzioni tecniche contenute nella circolare INPS n. 125/2015, a liquidare gli importi di perequazione spettanti al ricorrente in base alla nuova disciplina
- ) - ed in particolare,
- ) - a riliquidare il trattamento pensionistico dell'istante sia con riferimento al novellato comma 25 dell'articolo 24, D.L. 201/2011, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che prevedeva, per gli anni 2012 e 2013, il blocco della perequazione automatica sui trattamenti pensionistici superiori al triplo dell'importo corrispondente al minimo INPS, sia con riferimento al comma 25 bis, aggiunto al medesimo articolo, che determina gli effetti della perequazione, a partire dall'anno 2014, sui trattamenti pensionistici compresi tra le tre e le sei volte l'entità del minimo INPS.

6) - Le somme così risultanti sono state erogate già sulla rata di agosto 2015, quali arretrati imputabili agli anni 2012, 2013, 2014.

7) - E' stato, inoltre, calcolato il rateo di perequazione a regime, pagato cumulativamente per i primi sette mesi del 2015 e da applicarsi mensilmente fino a dicembre 2015.

Cmq, potete leggere il tutto qui sotto.

N.B.: si comprende in parole povere che " chi ha avuto, ha avuto".
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VENETO SENTENZA 45 18/03/2016
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
VENETO SENTENZA 45 2016 PENSIONI 18/03/2016



N. 45/2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL VENETO

IL GIUDICE UNICO PER LE PENSIONI
Dott.ssa Giuseppina Mignemi ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di pensione, iscritto al n. 30047/PC del registro di segreteria, promosso
ad istanza di

SAVARIS PAOLO, c.f.: SVR PLA 54C13 A 757Z, nato il 13.3.1954 a Belluno ed ivi residente in Via Tisio n. 43

contro
INPS – Gestione ex INPDAP, quale successore di INPDAP, ex art. 21, comma 1, D.L. 06.12.2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. n. 214 del 22.12.2011, con sede legale in Roma, via Ciro il Grande 24, (C.F.80078750587) in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso nel presente giudizio dall’Avvocato Filippo Doni, giusta procura ad lites rilasciata dal legale rappresentante pro tempore, con atto del Notaio Paolo Castellini in Roma, rep. 80974, rogito 21569, del 21.07.2015, con domicilio eletto presso la Sede Provinciale I.N.P.S. di Belluno, Viale Fantuzzi, 24/a;

“Per l'ACCERTAMENTO DEL DIRITTO alla indicizzazione della pensione annuale in godimento per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, oltre l'annullamento di tutti i consequenziali atti finora disposti dall’INPDAP, e di tutti gli atti presupposti, preparatori, eventualmente connessi, con condanna al pagamento degli interessi legali e di mora a decorrere dalla data di maturazione del diritto ad ogni singolo rateo fino a quello dell’effettivo soddisfo.”.

UDITE, all’udienza del 18.3.2016, le parti presenti per come risulta dal verbale di udienza;

FATTO

Con atto depositato in data 18.8.2015, Savaris Paolo proponeva ricorso, innanzi a questa Corte, per il riconoscimento e la tutela, previa cautela, del diritto a percepire la pensione, come per legge rivalutata e senza le decurtazioni previste dall'art. 24, comma 25, del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, come convertito nella legge n. 214 del 2011 e dall'art. 1, comma 483 della L. 27 dicembre 2013 n. 147, con ogni conseguente pronuncia, anche di condanna, quanto agli obblighi dell'amministrazione di astenersi dal trattenere somme ed a restituire quanto illegittimamente trattenuto, con interessi, rivalutazione ed ogni accessorio di legge.

Rappresentava, in fatto e diritto, Paolo Savaris: “Il ricorrente è un militare in congedo della Guardia di Finanza ed è titolare di pensione erogata dall'INPS di Venezia. Con il presente ricorso chiede la liquidazione della perequazione annuale sulla pensione annua in godimento e sulla indennità integrativa speciale oltre interessi legali e rivalutazione monetaria a decorrere dalla data di maturazione del diritto fino a quello dell'effettivo soddisfo. Il militare in congedo ha sempre ricevuto direttamente sulla pensione l'adeguamento introdotto dall'art. 10 della legge n. 903/1965. Nell'anno 2012, per effetto dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, a 214, non gli sono stati liquidati i ratei di pensione previsti dalla rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.

Da un esame dei cedolini della pensione, tale rivalutazione non risulta applicata per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, motivo per cui il ricorrente riceve una pensione non adeguata al costo della vita. Medesimo meccanismo rivalutativo è previsto dalla normativa vigente sull' indennità integrativa speciale che invece risulta bloccata, quindi non adeguata al costo della vita.

Come noto la vicenda in parola è stata risolta positivamente in favore del mio assistito con la pubblicazione in gazzetta ufficiale della sentenza n. 70/2015 emanata dalla Corte Costituzionale la quale, nelle sue motivazioni, rammenta che: ........ la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, «esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità», poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa modulare del potere d'acquisto delle pensioni. .......Deve rammentarsi che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato ... La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del dl. n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con «irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività» (sentenza n. 349 del 1985).....L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio.

Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma).

Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cosi. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma, Cost."...

Insomma, dalla lettura delle motivazioni della sentenza del Giudice delle Leggi, appare ingiustificato ed illegittimo il reiterato blocco del meccanismo di perequazione automatica delle pensioni, che tutt'oggi persiste nonostante la sentenza additiva della Corte Costituzionale abbia indicato la totale illegittimità del blocco in parola.

Il ricorrente richiedeva il pagamento delle prestazioni de qua, ma l'INPS, a conferma della mancanza assoluta di voler restituire le somme illegittimamente decurtate dalla pensione del ricorrente, rigettava la richiesta di rimborso.”.

Concludeva, quindi il ricorrente, come di seguito riportato: “In via cautelare:

II provvedimento impugnato in epigrafe sta arrecando al ricorrente un danno grave ed irreparabile; è innegabile, infatti, a decorrere dal mese di gennaio 2012 il ricorrente sta subendo una illegittima trattenuta mensile sulla propria pensione da parte dell'INPS - sotto forma di mancata corresponsione della perequazione annuale - ritenuta che non solo depaupera la pensione stessa sotto il profilo economico assoluto, ma, essendo, per presunzione, la pensione (si tratta di persona che è stata per tutto l'arco della sua vita lavorativa, un dipendente subordinato) l'effettivo mezzo di sostentamento dei bisogni del ricorrente per sé stesso e per la propria famiglia, è evidente come una sua sistematica riduzione mensile nella misura di un decimo circa, sia idonea ad incidere pesantemente anche sotto il profilo alimentare e delle esigenze di vita. La mancata liquidazione delle quote di perequazione per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015 si configura come una trattenuta mensile disposta dall'INPS, durante il tempo necessario al raggiungimento di una decisione sul merito del presente ricorso (decisione per la quale potrebbero essere ipotizzabili tempi lunghi) non farebbe altro che rendere più insostenibile il danno grave ed irreparabile già oggi subito.

In ordine al fumus boni iuris è assorbente quanto esposto in punto di motivi di diritto.

Alla luce di quanto precede, essendo il ricorso assistito sia dal periculum in mora che dal fumus boni iuris, si chiede, previa audizione in Camera di Consiglio:

1) La sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato emesso dall'INPDAP di cui in epigrafe, limitatamente alla parte in cui non sono state liquidate le quote di perequazione annuale sulla pensione ordinaria (e/o privilegiata) nonché sull' indennità integrativa speciale ;

2) L'intimazione all'INPS di restituire le somme non liquidate per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015 e in via cautelativa, maggiorate della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, a decorrere dalla data di ogni trattenuta mensile fino all'effettivo soddisfo.

Nel merito si chiede:

l'accoglimento del presente ricorso, e conseguentemente

1) Accertare il diritto del ricorrente a percepire la perequazione annuale del trattamento pensionistico in godimento nei limiti già precisati nella richiesta cautelare, nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori, eventualmente connessi, sulla pensione ordinaria (c/o privilegiata) e sull' indennità integrativa speciale ;

2) Accertare e condannare l'INPS al pagamento di tutti i ratei non corrisposto, ordinando: (i) l’immediato ripristino della pensione corrisposta con le quote di perequazione per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, secondo i criteri previgenti all'introduzione dell'art 24, c. 25°, del decreto legge 06/12/2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge 22/12/2011, n. 214; (ii) l'immediata restituzione degli importi trattenuti / non liquidati, maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme rivalutate, a decorrere dalla data di ogni rata mensile fino all'effettivo soddisfo.

3) Con riserva di proporre motivi aggiunti.

4) Con vittoria di spese, competenze ed onorari.”.

Con memoria depositata il 9.10.2015, si costituiva in giudizio l’INPS – Gestione ex INPDAP rilevando che il D.L. n. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, ha previsto il ripristino della perequazione per gli anni considerati con i conseguenti effetti sugli anni successivi, pur se con delle progressive limitazioni correlate all'importo del trattamento pensionistico, in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale.

Di conseguenza, l’Istituto previdenziale ha provveduto, secondo le istruzioni tecniche contenute nella circolare INPS n. 125/2015, a liquidare gli importi di perequazione spettanti al ricorrente in base alla nuova disciplina ed in particolare, a riliquidare il trattamento pensionistico dell'istante sia con riferimento al novellato comma 25 dell'articolo 24, D.L. 201/2011, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che prevedeva, per gli anni 2012 e 2013, il blocco della perequazione automatica sui trattamenti pensionistici superiori al triplo dell'importo corrispondente al minimo INPS, sia con riferimento al comma 25 bis, aggiunto al medesimo articolo, che determina gli effetti della perequazione, a partire dall'anno 2014, sui trattamenti pensionistici compresi tra le tre e le sei volte l'entità del minimo INPS.

Le somme cosi risultanti sono state erogate già sulla rata di agosto 2015, quali arretrati imputabili agli anni 2012, 2013, 2014.

E' stato, inoltre, calcolato il rateo di perequazione a regime, pagato cumulativamente per i primi sette mesi del 2015 e da applicarsi mensilmente fino a dicembre 2015.

In ordine, specificamente all’istanza cautelare, l’Istituto previdenziale precisava che: “non ha fondamento, sotto l'aspetto del fumus boni iuris, anche in relazione all'avvenuta applicazione del d.l. 65/15, l'avversa istanza cautelare.

Peraltro, nel caso di specie, la domanda cautelare avrebbe ad oggetto la sospensione dell'applicazione di una legge, ovvero, avrebbe un contenuto non sospensivo di un provvedimento amministrativo o comunque di gestione del rapporto pensionistico, bensì costitutivo, perciò inammissibile. Con riguardo poi al periculum in mora, posto che non è esatto quanto dice l'istante circa l'incidenza del mancato adeguamento della pensione, che non è affatto corrispondente a un decimo del trattamento, essendo le percentuali di perequazione pari al 2,7% per il 2012 e al 3% per il 2013, si rileva che non sono stati indicati nell'atto introduttivo elementi e prove di un danno grave ed irreparabile dovuto alla mancata perequazione, anche in considerazione del fatto che la pensione del ricorrente, pur superiore al minimo I.N.P.S., lo è in minima parte (circa 1.300,00 euro annui, e che solo per tale cifra è in atto un rallentamento - e non un blocco - della perequazione ).

Concludeva, quindi, l’Istituto rassegnando le seguenti conclusioni: “IN VIA CAUTELARE: respingersi l'avversa istanza, in quanto inammissibile e comunque carente dei presupposti fumus boni iuris e periculum in mora.

NEL MERITO: rigettarsi l'avversa domanda, in quanto infondata in fatto e in diritto;

NEL MERITO, IN VIA SUBORDINATA: In denegata ipotesi di accoglimento dell'avverso ricorso, ridursi la condanna per interessi e rivalutazione alla sola maggiore somma tra i due accessori, conformemente alla vigente legislazione ed alla costante giurisprudenza.

Spese, diritti ed onorari di causa integralmente rifusi, o comunque compensati in considerazione della complessità del quadro normativo e giurisprudenziale in evoluzione.”.

Con ordinanza n. 48 del 20.10.2015, questo Giudice respingeva l’istanza cautelare e fissava, per la discussione, l’udienza del 18.3.2016.

Con memoria depositata in data 8.3.2016, l’INPS – Gestione ex INPDAP depositava ulteriore memoria rassegnando le seguenti conclusioni: “NEL MERITO: rigettarsi l'avversa domanda, in quanto infondata in fatto e in diritto;

NEL MERITO, IN VIA SUBORDINATA: In denegata ipotesi di accoglimento dell'avverso ricorso, ridursi la condanna per interessi e

rivalutazione alla sola maggiore somma tra i due accessori, conformemente alla vigente legislazione ed alla costante giurisprudenza.

Spese, diritti ed onorari di causa integralmente rifusi, o comunque compensati in considerazione della complessità del quadro normativo e giurisprudenziale in evoluzione.

IN VIA ISTRUTTORIA: Si deposita,

Sent. Trib. Napoli, sez .lav. e prev., 19.01.2016, n. 9443/2015.”.

All’udienza del 18.3.2016, la causa passava in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è inteso ad accertare la sussistenza del diritto del ricorrente alla indicizzazione della pensione annuale in godimento per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, ed in particolare “(i) l’immediato ripristino della pensione corrisposta con le quote di perequazione per gli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, secondo i criteri previgenti all'introduzione dell'art 24, c. 25°, del decreto legge 06/12/2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge 22/12/2011, n. 214; (ii) l'immediata restituzione degli importi trattenuti/non liquidati, maggiorati della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme rivalutate, a decorrere dalla data di ogni rata mensile fino all'effettivo soddisfo.”.

Pare utile, così come nella sentenza n. 70 del 2015 della Corte Costituzionale, ripercorrere brevemente la storia della normativa in materia di perequazione automatica, per individuarne finalità e caratteri tipici.

La perequazione automatica, quale strumento di adeguamento delle pensioni al mutato potere di acquisto della moneta, fu disciplinata dall’art. 10 della legge 21 luglio 1965, n. 903, recante norme sull’“Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale”, con la finalità di fronteggiare la svalutazione che le prestazioni previdenziali subivano per il loro carattere continuativo.

Per perseguire un tale obiettivo, in fasi sempre mutevoli dell'economia, la disciplina in questione ha subito numerose modifiche.

Con l'art. 19 della legge 30 aprile 1969, n. 153, recante norme sulla “Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale”, nel prevedere, in via generalizzata, l'adeguamento dell'importo delle pensioni nel regime dell'assicurazione obbligatoria, si agganciarono, in misura percentuale, gli aumenti delle pensioni all'indice del costo della vita, calcolato dall'ISTAT, ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria.

Con l'art. 11, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, recante “Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421”, oltre alla cadenza annuale e non più semestrale degli aumenti a titolo di perequazione automatica, si stabilì che gli stessi fossero calcolati sul valore medio dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.

Tale modifica mirava a compensare l'eliminazione dell'aggancio delle pensioni alle dinamiche salariali, al fine di garantire un collegamento con l'evoluzione del livello medio del tenore di vita nazionale.

L'art. 11, comma 2, dispose, inoltre, che ulteriori aumenti potessero essere stabiliti con legge finanziaria, in relazione all'andamento dell'economia.

Il meccanismo di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici regolato dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, recante “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo”, si prefiggeva di tutelare i trattamenti pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, che tendeva a colpire le prestazioni previdenziali anche in assenza di inflazione.

Con effetto dal 1º gennaio 1999, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni si applicò, per ogni singolo beneficiario, in funzione dell'importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria.

L'aumento della rivalutazione automatica operava, ai sensi del comma 1 dell'art. 34 citato, in misura proporzionale all'ammontare del trattamento da rivalutare, rispetto all'ammontare complessivo.

Tuttavia, l'art. 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001”, con riferimento al meccanismo appena illustrato di aumento della perequazione automatica, dispose che esso spettasse per intero soltanto per le fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS.

Spettava nella misura del 90%, per le fasce di importo di pensione da tre a cinque volte il trattamento minimo INPS ed era ridotto al 75%, per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto importo minimo.

Questa impostazione venne seguita dal legislatore in successivi interventi, a conferma di un orientamento che tutela maggiormente le fasce più deboli.

Ad esempio, l'art. 5, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria”, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 127, prevedeva, per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100% solo per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS.

Il complesso quadro storico-evolutivo della materia evidenzia la scelta costante del legislatore di tutelare interamente soltanto le fasce più basse dall'erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni.

Nella stessa ottica, anche le sospensioni del meccanismo perequativo, affidate a scelte discrezionali del legislatore, hanno seguito, nel tempo, orientamenti diversi, nel tentativo di bilanciare le attese dei pensionati con le esigenze di contenimento della spesa.

L'art. 2 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, recante “Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali”, prevedeva che, in attesa della legge di riforma del sistema pensionistico e, comunque, fino al 31 dicembre 1993, fosse sospesa l'applicazione di ogni disposizione di legge, di regolamento o di accordi collettivi, che introducesse aumenti, a titolo di perequazione automatica, delle pensioni previdenziali ed assistenziali, pubbliche e private.

In sede di conversione di tale decreto, tuttavia, con l'art. 2, comma 1-bis, della legge 14 novembre 1992, n. 438, si mitigarono gli effetti della disposizione, che, dunque, operò non come provvedimento di blocco della perequazione, bensì quale misura di contenimento della rivalutazione, alla stregua di percentuali predefinite dal legislatore in riferimento al tasso di inflazione programmata.

In seguito, l'art. 11, comma 5, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, recante “Interventi correttivi di finanza pubblica”, dispose la restituzione, mediante un aumento una tantum per il 1994, della differenza tra inflazione programmata ed inflazione reale, perduta per effetto della disposizione di cui all'art. 2 della legge n. 438 del 1992. Conseguentemente, il blocco, originariamente previsto, in via generale e senza distinzioni reddituali dal legislatore del 1992, fu convertito in una forma meno gravosa di raffreddamento parziale della dinamica perequativa.

Dopo l'entrata in vigore del sistema contributivo, il legislatore, con l’art. 59, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica», impose un azzeramento della perequazione automatica, per l'anno 1998.

Tale norma fu ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 256 del 2001, poiché limitava il proprio campo di applicazione ai soli trattamenti di importo medio-alto: superiori a cinque volte il trattamento minimo.

L’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, recante “Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale” introdusse, poi, un blocco della perequazione automatica, che, tuttavia, rimase limitato ai trattamenti particolarmente elevati: superiori a otto volte il trattamento minimo INPS.

Anche l’azzeramento della perequazione, disposto per effetto dell'art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, prima citata, venne sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale, che decise la questione con la sentenza n. 316 del 2010.

In tale pronuncia, veniva posta in evidenza la discrezionalità di cui gode il legislatore, sia pure entro i limiti derivati dal principio costituzionale di proporzionalità e adeguatezza delle pensioni.

Di talché, venne reputato non illegittimo l'azzeramento, in quanto limitato al solo anno 2008 ed ai trattamenti pensionistici di importo più elevato (superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS).

Al contempo, nella citata sentenza, venne precisato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo non sarebbero state compatibili con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità.

L'art. 24, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito dalla legge n. 214 del 22.12.2011, precisava, al comma 1 che “1. Le disposizioni del presente articolo sono dirette a garantire il rispetto, degli impegni internazionali e con l'Unione europea, dei vincoli di bilancio, la stabilità economico-finanziaria e a rafforzare la sostenibilità di lungo periodo del sistema pensionistico in termini di incidenza della spesa previdenziale sul prodotto interno lordo, in conformità dei seguenti principi e criteri:

a) equità e convergenza intra-generazionale e intergenerazionale con abbattimento dei privilegi e clausole derogative soltanto per le categorie più deboli;

b) flessibilità nell'accesso ai trattamenti pensionistici anche attraverso incentivi alla prosecuzione della vita lavorativa;

c) adeguamento dei requisiti di accesso alle variazioni della speranza di vita; semplificazione, armonizzazione ed economicità dei profili di funzionamento delle diverse gestioni previdenziali.

Il medesimo art. 24, al successivo comma 25, prevedeva, poi, che: “In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante ai sensi del presente comma, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato. Il comma 3 dell'articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è abrogato»;

Successivamente, è intervenuto l’art. 1, comma 483, della Legge n. 147 del 27.1.2013, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, secondo cui: “Per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

b) nella misura del 95 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 75 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite, incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi e, per il solo anno 2014, non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Al comma 236 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il primo periodo è soppresso, e al secondo periodo le parole: «Per le medesime finalità» sono soppresse.

Con la sentenza n. 70 del 30 aprile 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 2011, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, nella parte in cui prevedeva che «In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del 100 per cento», mentre ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 23 e 53, della Costituzione.

Al fine di valutare, d’ufficio, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 1, comma 483, della Legge n. 147 del 2013, nonché del sopravvenuto art. 1 del D.L. n. 65 del 21.5.2015, come convertito dalla Legge n. 109 del 17.7.2015, vanno esaminate le motivazioni della Corte a sostegno della pronuncia n. 70 citata.

Innanzitutto, la Corte Costituzionale evoca il precedente dell’azzeramento della perequazione, disposto dall’art. 1, comma 19, della legge n. 247 del 2007, prima citata, già sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale, con la sentenza n. 316 del 2010.

In tale pronuncia, la Corte ha riconosciuto la discrezionalità di cui gode il legislatore, reputandola limitata, tuttavia, dai principi costituzionali di proporzionalità e adeguatezza delle pensioni, ed ha, quindi, ritenuto non illegittimo l'azzeramento della perequazione automatica, perché riferito al solo anno 2008 e solo ai trattamenti pensionistici di importo elevato (superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS).

Al contempo, con la pronuncia n. 316 del 2010, la Corte ha evidenziato che una sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo o una frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo violerebbero gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, infatti, in tal caso, “le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta”.

Diversamente dalla disposizione normativa esaminata nella sentenza del 2010, l’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, realizzava un'indicizzazione al 100% sulla quota di pensione fino a tre volte il trattamento minimo INPS, mentre le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo non ricevevano alcuna rivalutazione.

Il blocco integrale della perequazione operava, quindi, per le pensioni di importo superiore a euro 1.217,00 netti.

Tale meccanismo si discostava da quello originariamente previsto dall'art. 24, comma 4, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, confermato dall'art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che non discriminava tra trattamenti pensionistici complessivamente intesi, bensì tra fasce di importo.

Secondo la normativa antecedente, infatti, la percentuale di aumento si applicava sull'importo non eccedente il doppio del trattamento minimo del fondo pensioni per i lavoratori dipendenti.

Per le fasce di importo comprese fra il doppio ed il triplo del trattamento minimo, la percentuale era ridotta al 90%.

Per le fasce di importo superiore al triplo del trattamento minimo, la percentuale era ridotta al 75%.

Le modalità di funzionamento dell’art. 24, comma 25, citato, invece, incidevano sui trattamenti complessivamente intesi e non sulle fasce di importo, con l’unico correttivo della previsione secondo cui, per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante, l'aumento di rivalutazione era comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato.

E, secondo la Corte Costituzionale, dette caratteristiche, sostanzialmente diverse da quelle della precedente normativa in argomento, violavano i principi costituzionali che governano la materia.

Secondo la Corte, dall'analisi dell'evoluzione normativa, si evince che la perequazione automatica dei trattamenti pensionistici è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo il rispetto del criterio di adeguatezza, di cui all'art. 38, secondo comma, Cost.

Tale strumento si presta contestualmente a innervare il principio di sufficienza della retribuzione, di cui all'art. 36 Cost., applicato ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita (fra le altre, sentenza n. 208 del 2014 e sentenza n. 116 del 2013).

Per le sue caratteristiche di neutralità e obiettività e per la sua strumentalità rispetto all'attuazione dei suddetti principi costituzionali, la tecnica della perequazione si impone, senza predefinirne le modalità, sulle scelte discrezionali del legislatore, cui spetta intervenire per determinare in concreto il quantum di tutela di volta in volta necessario.

Un tale intervento deve ispirarsi, però, ai principi costituzionali di cui agli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., principi strettamente interconnessi, proprio in ragione delle finalità che perseguono.

La ragionevolezza di tali finalità consente di predisporre e perseguire un progetto di eguaglianza sostanziale, conforme al dettato dell'art. 3, secondo comma, Cost., così da evitare disparità di trattamento in danno dei destinatari dei trattamenti pensionistici.

Nell'applicare al trattamento di quiescenza, configurabile quale retribuzione differita, il criterio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36, primo comma, Cost.) e nell'affiancarlo al criterio di adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.), la Corte ha tracciato un percorso coerente per il legislatore, con l'intento di inibire l'adozione di misure disomogenee e irragionevoli (fra le altre, sentenze n. 208 del 2014 e n. 316 del 2010).

Essa ha, così, affermato che proporzionalità e adeguatezza non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate anche nel prosieguo, in relazione ai mutamenti del potere d'acquisto della moneta, senza che, peraltro, ciò comporti un'automatica ed integrale coincidenza tra il livello delle pensioni e l'ultima retribuzione, poiché è riservata al legislatore una sfera di discrezionalità per l'attuazione, anche graduale, dei termini suddetti (ex plurimis, sentenze n. 316 del 2010; n. 106 del 1996; n. 173 del 1986; n. 26 del 1980; n. 46 del 1979; n. 176 del 1975; ordinanza n. 383 del 2004).

Il legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, deve «dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona» (sentenza n. 316 del 2010).

Per scongiurare il verificarsi di «un non sopportabile scostamento» fra l'andamento delle pensioni e delle retribuzioni, il legislatore non può eludere il limite della ragionevolezza (sentenza n. 226 del 1993).

Al legislatore spetta, inoltre, di individuare idonei meccanismi che assicurino la perdurante adeguatezza delle pensioni all'incremento del costo della vita.

Pertanto, il criterio di ragionevolezza, così come delineato dalla giurisprudenza citata, in relazione ai principi contenuti negli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., circoscrive la discrezionalità del legislatore e vincola le sue scelte all'adozione di soluzioni coerenti con i parametri costituzionali.

Nel vagliare la dedotta illegittimità dell'azzeramento del meccanismo perequativo per i trattamenti pensionistici superiori a otto volte il minimo INPS, per l'anno 2008, (art. 1, comma 19 della già citata legge n. 247 del 2007), la Corte ha ricostruito la ratio della norma censurata, consistente nell'esigenza di reperire risorse necessarie «a compensare l'eliminazione dell'innalzamento repentino a sessanta anni a decorrere dal 1º gennaio 2008, dell'età minima già prevista per l'accesso alla pensione di anzianità in base all'articolo 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004, n. 243», con «lo scopo dichiarato di contribuire al finanziamento solidale degli interventi sulle pensioni di anzianità, contestualmente adottati con l'art. 1, commi 1 e 2, della medesima legge» (sentenza n. 316 del 2010).

In quella occasione, la Corte non ha ritenuto che fossero stati violati i parametri di cui agli artt. 3, 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost., perché, come detto, le pensioni - incise per un solo anno dalla norma allora impugnata e di importo piuttosto elevato - presentavano «margini di resistenza all'erosione determinata dal fenomeno inflattivo» e, quindi, l'esigenza di una rivalutazione costante del correlativo valore monetario è apparsa, per esse, meno pressante.

La Corte ha ritenuto, inoltre, non violato il principio di eguaglianza, poiché il blocco della perequazione automatica per l'anno 2008, operato esclusivamente sulle pensioni superiori ad un limite d'importo di sicura rilevanza, realizzava «un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni più modeste».

La previsione generale della perequazione automatica veniva definita dalla Corte «a regime», proprio perché «prevede(va) una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta(va) il valore della prestazione».

La scelta del legislatore, quindi, in quel caso, era sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto, a conferma di un principio solidaristico, che affiancava l'introduzione di più rigorosi criteri di accesso al trattamento di quiescenza e non poteva ritenersi violato il principio di eguaglianza, proprio perché si muoveva dalla ricognizione di situazioni disomogenee.

La Corte costituzionale ha, pertanto, costantemente, evidenziato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, «esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità», poiché risulterebbe incrinata la principale finalità di tutela, insita nel meccanismo della perequazione, quella che prevede una difesa “modulare” del potere d'acquisto delle pensioni.

Laddove, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva, atteso che le successive rivalutazioni saranno calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato.

Ebbene, secondo la Corte Costituzionale, vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, la disposizione di cui al comma 25 dell'art. 24 del d.l. n. 201 del 2011 ha valicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con «irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività» (sentenza n. 349 del 1985).

In particolare, la disposizione concernente l'azzeramento del meccanismo perequativo, contenuta nel comma 24 dell'art. 25 del d.l. 201 del 2011, come convertito, era da censurare perché si limitava a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emergesse, dal disegno complessivo, la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuavano interventi così fortemente incisivi.

L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risultava irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultavano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).

Quest'ultimo da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e, al contempo, attuazione del principio di eguaglianza sostanziale, di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.

La norma censurata veniva considerata, pertanto, costituzionalmente illegittima nei termini esposti.

A seguito della pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del D.L. n. 201/2011, è stato emanato il D.L. n. 65 del 21.5.2015, convertito con modifiche nella Legge n. 109 del 17.7.2015, secondo cui: “1. Al fine di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale, all'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni:

1) il comma 25 è sostituito dal seguente:

"25. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, è riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione è comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.";

2) dopo il comma 25 (sono inseriti i seguenti):

"25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS è riconosciuta:

a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento.

25-ter. Resta fermo che gli importi di cui al comma 25-bis sono rivalutati, a decorrere dall'anno 2014, sulla base della normativa vigente.”.

Riassunti i contenuti della sentenza della Corte Costituzionale n. 70 del 2015, va rilevato, in primo luogo, che non può, ex se, postularsi che, a seguito della declaratoria di incostituzionalità di cui alla richiamata sentenza, debba conseguire anche l’accoglimento del ricorso, fondato ab origine sulla illegittimità dell’art. 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 nella sua formulazione originaria (Corte dei Conti, sent. n. 491 del 10.12.2015 e n. 503 del 17.12. 2015).

Infatti, al dichiarato fine “di dare attuazione ai principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015, nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche in funzione della salvaguardia della solidarietà intergenerazionale”, il decreto legge n. 65/2015 convertito in legge n. 109/2015, all’art. 1, ha sostituito la normativa dichiarata incostituzionale; ribadendo il riconoscimento della rivalutazione automatica nella misura del 100% per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS; e disponendo, innovativamente, il riconoscimento della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS con modalità differenziate negli anni; per il biennio 2012-2013, la rivalutazione viene riconosciuta, in funzione del cumulo dei trattamenti, attraverso un meccanismo per classi che prevede l’indicizzazione:

a) al 40% dell’inflazione di riferimento, per i trattamenti complessivi tra tre e quattro volte il trattamento minimo INPS;

b) al 20%, per quelli tra quattro e cinque volte il trattamento minimo INPS;

c) al 10%, per quelli tra cinque e sei volte il trattamento minimo INPS.

Inoltre, l’incremento perequativo attribuito per gli anni 2012 e 2013, che costituisce la base di calcolo per determinare gli importi delle pensioni a partire dal 2014, viene riconosciuto in misura pari al 20% dell’aumento ottenuto nel biennio 2012-2013, relativamente agli anni 2014/2015; al 50% dell’aumento ottenuto nel biennio 2012-2013, relativamente all’anno 2016.

Detti incrementi determinano i nuovi importi mensili delle pensioni, sui quali applicare le percentuali di perequazione previste dall’art. 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013

Secondo quest’ultima norma, per il triennio 2014-2016 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, è riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo INPS;

b) nella misura del 95 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi;

c) nella misura del 75 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi;

d) nella misura del 50 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi;

e) nella misura del 40 per cento, per l'anno 2014, e nella misura del 45 per cento, per ciascuno degli anni 2015 e 2016, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi.

Per il solo anno 2014, non è riconosciuta, e solo con riferimento alle fasce di importo superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.
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FINE PRIMA PARTE
panorama
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da panorama »

SECONDA PARTE
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Questa è, pertanto, la normativa applicabile dall’INPS all’odierno ricorrente (cfr. Circ. INPS n. 125/25.06.2015; Messaggio INPS n. 4993 del 27.07.2015) e la domanda va scrutinata con riferimento anche alla nuova normativa di riferimento.

A prescindere, quindi, dall’originario riferimento all’art. 24, comma 25 del D.L. n. 201 del 2011, dichiarato incostituzionale, va accertato il diritto del ricorrente a vedersi corrispondere il trattamento pensionistico senza le decurtazioni previste dall’art. 1, del decreto-legge n. 65/015, come convertito dalla legge n. 109 del 2015, che ha sostituito l’art. 24, comma 25, del D.L. n. 201 del 2011 e dall’art. 1, comma 483, della Legge n. 147 del 2013, previa valutazione della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità delle disposizioni di cui alla normativa applicabile.

Con riguardo all’art. 1, comma 483, della legge n. 147 del 2013, va rilevato che la Corte Costituzionale, nell’ambito della sentenza n. 70 del 2015, già si è pronunciata, sia pure incidenter tantum, sulla legittimità.

Infatti, è stato evidenziato come la norma di cui si dichiara la illegittimità costituzionale si differenzi, in modo sostanziale e determinante, proprio dalla legislazione ad essa successiva.

In particolare, secondo la Corte, “L'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l'anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge di stabilità») ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all'art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014. Rispetto al disegno di legge originario le percentuali sono state, peraltro, parzialmente modificate.

Nel triennio in oggetto, la perequazione si applica nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo fino a tre volte il trattamento minimo, del 95 per cento per i trattamenti di importo superiore a tre volte il trattamento minimo e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo, del 75 per cento per i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo, del 50 per cento per i trattamenti oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Soltanto per il 2014 il blocco integrale della perequazione ha riguardato le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo. Il legislatore torna dunque a proporre un discrimen fra fasce di importo e si ispira a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza. Anche tale circostanza conferma la singolarità della norma oggetto di censura.” (Corte Cost., sent. n. 70 del 2015).

Risulta, quindi, evidente, proprio per le riportate ragioni già esposte dalla Corte Costituzionale e condivise da questo Giudice, la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 483 della legge n. 147 del 2013.

Neppure può, poi, ritenersi che il sopravvenuto art. 1 del decreto-legge n. 65/2015 si ponga in contrasto con la sentenza costituzionale n. 70/2015 e con i principi costituzionali innanzi illustrati.

Nel caso di specie, il legislatore, con l’art. 1 del decreto legge n. 65/2015 convertito in legge n. 109/2015, ha disciplinato la materia della perequazione in maniera assolutamente differente rispetto alla regolamentazione dettata dalla norma dichiarata incostituzionale.

Viene in rilievo, in primo luogo, la dubbia legittimità costituzionale di un intervento che incida in misura notevole e in maniera definitiva sulla garanzia di adeguatezza della prestazione, senza essere sorretto da un’imperativa motivazione di interesse generale (Corte cost. n. 349/1985).

Al riguardo, va rilevato che l’intervento del legislatore, con l’art. 1 del decreto legge n. 65/2015, ha corrisposto al profilo, censurato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 70/2015, relativo alla mancata illustrazione in dettaglio della prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti dei pensionati, oggetto di bilanciamento.

Il Governo, in conseguenza dei rilevanti effetti finanziari derivanti dall’applicazione della sentenza costituzionale n. 70/2015, ha quantificato, nella relazione tecnica al decreto-legge, gli effetti della decisione (conseguenti al recupero integrale della deindicizzazione relativa al biennio 2012-2013), al netto degli effetti fiscali, in 17,6 miliardi per il 2015 e 4,4 miliardi nel 2016.

In considerazione di una stima dell’indebitamento netto tendenziale, che sarebbe peggiorata dal 2,5 al 3,6 % del PIL, il Governo è intervenuto con il decreto-legge in questione, che riduce gli oneri sul 2015 dal 17,6 a 2,2 miliardi (Fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio, secondo cui la restituzione disposta dal decreto-legge, pur prevedendo un pagamento assai parziale della indicizzazione, pari a meno del 12% del totale, attribuisce oltre due terzi del recupero ai pensionati della classe con importo compreso tra tre e quattro volte il minimo INPS, così concentrando le limitate risorse nei confronti delle classi di pensionati con trattamenti più bassi) (Corte dei Conti, Sez. Giur. Lazio, sent. n. 419 del 10.1.2015).

Quanto sopra nell’ottica evidente di salvaguardia dei principi di rango costituzionale, quale quello dell’equilibrio di bilancio, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, che esige gradualità nell’attuazione di valori costituzionali che impongano rilevanti oneri a carico del bilancio statale, a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/2012 che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (Corte cost. n. 88/2014; n. 10/2015).

Per altro verso, “nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica” (cfr. in terminis, Corte cost. n. 194/2002), la predetta sopravvenuta normativa ha dichiaratamente dato attuazione ai principi di cui alla sentenza costituzionale n. 70/2015.

Spetta, invero, al legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali, dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili, fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona (Corte cost., sent. n. 316/2010).

La nuova normativa dettata dall’art. 1 del decreto-legge n. 65/2015, che ha previsto una modulazione della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici per fasce di importo, si pone in coerenza con il complesso quadro storico-evolutivo della disciplina c.d. “a regime” della perequazione automatica, che, nel tempo, ha sempre previsto una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione.

Non può ritenersi violato il principio di eguaglianza perché si muove dalla ricognizione di situazioni disomogenee (cfr. Corte cost. n. 316/2010; n. 70/2015).

Analogamente, per quanto detto, si pone nel contesto della disciplina c.d. “a regime” della perequazione automatica anche l'art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l'anno 2014, che ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell'applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, con l'azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014.

Disposizione con cui il legislatore prevede “un discrimen fra fasce di importo e si ispira a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza” (Corte cost. n. 70/2015).

Da quanto precede - ricordato che i principi di proporzionalità e di adeguatezza lasciano alla discrezionalità del legislatore la possibilità di apportare correttivi di dettaglio che, senza intaccare i suddetti criteri con riferimento alla disciplina complessiva del trattamento pensionistico, siano giustificati da esigenze meritevoli di considerazione, operando un bilanciamento del complesso dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti, anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili e ai mezzi necessari per far fronte agli impegni di spesa (Corte cost. n. 208/2014) – consegue che la normativa di cui all’ art. 1 del decreto legge n. 65/2015 convertito in legge n. 109/2015 (ed all'art.1, comma 483 della L. n. 147 del 2013), si appalesa espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai suindicati principi costituzionali.

Tanto, anche in considerazione della natura non tributaria della misura in esame, evidenziata dalla sentenza della Consulta n. 70/2015, in relazione ai parametri di cui agli art. 2, 3, 23 e 53 Cost.; nonché all’evidente inconferenza dell’art. 42, comma 3, Cost., trattandosi di mero rallentamento della dinamica rivalutativa delle pensioni, senza alcuna riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento, e dell’art. 97, comma 1, Cost. posto che la limitazione del meccanismo perequativo realizza un trattamento differenziato di situazioni obiettivamente diverse rispetto a quelle, non incise dalla norma impugnata, dei titolari di pensioni più modeste.

Ciò premesso, va rilevato che, nel caso di specie, l’Istituto previdenziale, considerato che il D.L. n. 65/2015, convertito nella legge n. 109/2015, ha previsto il ripristino della perequazione per gli anni considerati con i conseguenti effetti sugli anni successivi, pur se con delle progressive limitazioni correlate all'importo del trattamento pensionistico, in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale, ha provveduto, secondo le istruzioni tecniche contenute nella circolare INPS n. 125/2015, a liquidare gli importi di perequazione spettanti al ricorrente in base alla nuova disciplina ed in particolare, a riliquidare il trattamento pensionistico dell'istante sia con riferimento al novellato comma 25 dell'articolo 24, D.L. 201/2011, convertito con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, che prevedeva, per gli anni 2012 e 2013, il blocco della perequazione automatica sui trattamenti pensionistici superiori al triplo dell'importo corrispondente al minimo INPS, sia con riferimento al comma 25 bis, aggiunto al medesimo articolo, che determina gli effetti della perequazione, a partire dall'anno 2014, sui trattamenti pensionistici compresi tra le tre e le sei volte l'entità del minimo INPS.

Le somme così risultanti sono state erogate già sulla rata di agosto 2015, quali arretrati imputabili agli anni 2012, 2013, 2014.

E' stato, inoltre, calcolato il rateo di perequazione a regime, pagato cumulativamente per i primi sette mesi del 2015 e da applicarsi mensilmente fino a dicembre 2015.

Il ricorso, pertanto, deve essere respinto.

La novità delle questioni trattate giustifica la integrale compensazione delle spese.

P.Q.M.
La Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, in composizione monocratica con funzioni di Giudice Unico per le Pensioni, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Venezia, il 18.3.2016.
IL GIUDICE
f.to Dott.ssa Giuseppina Mignemi

Depositato in Segreteria il 18/03/2016

f.to Nadia Tonolo
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da salvo 63 »

Quando si tratta di noi delle nostre battaglie non so perché bisogna andarci sempre con la baionetta nei denti, detto questo vorrei che qualcuno mi spieghi a cosa cxxxo serve il Fondo costituito presso l'Inps previsto dall'art.3, penultimo comma, della Legge 1982 n.297 che stabilisce che il maggiore onere derivante dalla perequazione delle pensioni venga coperto da una aliquota contributiva a carico dei datori di lavoro che si rivalgono come rivalsa contributiva sul lavoratore quando questi va in pensione o no?
Agli oneri derivanti al Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti dall'applicazione del presente articolo si provvede elevando le aliquote contributive a carico dei datori di lavoro, per l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, ivi compresi gli addetti ai servizi domestici e familiari ed i pescatori della piccola pesca, con decorrenza dal periodo di paga in corso alla data del 1° luglio 1982 nella misura dello 0,30 per cento della retribuzione imponibile e con decorrenza dal periodo di paga in corso alla data del 1° gennaio 1983 nella misura ulteriore dello 0,20 per cento della retribuzione imponibile.
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Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da panorama »

Ricorso perso.
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
CALABRIA SENTENZA 51 2017 PENSIONI 23/02/2017
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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

IL GIUDICE DELLE PENSIONI

Ha emesso la seguente

SENTENZA n.51/2017

Nel giudizio in materia di pensioni civili, iscritto al n. 21217 del registro di segreteria, proposto da 1) P. F. S., ( c.f. omissis ), 2) T. P., ( c.f. omissis ), 3) G. L. ( c.f. omissis ) 4) M. A. A. (c.f. omissis, 5)R. Z. ( c.f. omissis ) , 6)R. C. ( c.f. omissi ), tutti rappresentati e difesi dall’avv. Giovanbattista Venturino ed elettivamente domiciliati nel suo studio in Catanzaro alla v. Barbaro n. 16, avverso

-INPS gestione dipendenti pubblici ex INPDAP in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Catanzaro alla via Crispi 77

- INPS, in persona del legale rappresentante pro-tempore , con sede legale in Roma, in via Ciro il Grande n. 24.

Fatto

Con atto introduttivo del presente giudizio, i ricorrenti hanno adito questa Corte per ottenere i ratei di pensione maturati e non percepiti nel biennio 2012/2013, maggiorati di interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo soddisfo, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'azzeramento della perequazione automatica delle pensioni superiori a tre volte il trattamento minimo INPS introdotto dell'art. 24, comma 25 del D.L. 201/2011.

A sostegno della pretesa, il difensore, dopo aver rappresentato che tutti i suoi assistiti sono titolari di pensione pubblica, e che tutti non hanno ottenuto la perequazione del trattamento pensionistico sin dal 2012, riferisce che con il decreto legge n. 201/2011, convertito in legge 214/2011, è stato introdotto il blocco della rivalutazione per i trattamenti pensionistici superiori di tre volte al minimo Inps.

L’art. 24, comma 25, infatti, stabiliva che “ In considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione autoimatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della l. 23.12.1998, n. 448, è riconosciuta per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS , nella misura del 100%”.

Detta disposizione, tuttavia, è stata dichiarata illegittima con la sentenza n. 70/2015.

I giudici della Consulta, infatti, hanno dichiarato la illegittimità costituzionale della disposizione in esame in ragione della proporzionalità e adeguatezza propri di ogni trattamento pensionistico ed hanno evidenziato che il blocco della indicizzazione delle pensioni superiori a tre volte il minimo Inps abbia determinato “un irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività“. Peraltro, “l’azzeramento del meccanismo perequativo risulta sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”.

A seguito della sentenza n. 70/2015, il legislatore ha introdotto l’art. 1 del d.l. 65/2015, il quale, tuttavia, presenta, secondo l’argomentazione difensiva, i medesimi profili di incostituzionalità dell’art. 25, comma 24 del d.l. 2021/2011, già dichiarato illegittimo.

Segnatamente presenta profili di incostituzionalità con riferimento all’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’Uomo, e quindi con l’art. 117 della Cost., con gli art.li3,36,38 e 136 della costituzione.

Secondo la difesa, la legge in rassegna, inoltre, non avrebbe tenuto in conto i dettami che la Corte Costituzionale ha formulato nella sentenza n. 70/2015 e in tutte le precedenti che hanno scrutinato questioni relative alla sospensione della rivalutazione sugli emolumenti economici del pubblico impiego.

Si è costituito l’INPS, ex gestione INPDAP , opponendo la infondatezza del ricorso; in proposito evidenzia che la disposizione in rassegna, proprio in ossequio a quanto stabilito dalla Consulta, ha disciplinato il sistema di perequazione in modo progressivo in base all’entità delle pensioni, e non in modo fisso come quello dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale. A ciò aggiunge che, come chiarito dalla Corte dei conti Veneto, la Consulta non ha escluso a priori la possibilità per il legislatore di definire meccaniche di perequazione che limitino tale istituto, ma ha fissato un percorso coerente finalizzato a evitare misure disomogenee e irragionevoli. Richiama in proposito la giurisprudenza costituzionale, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo e la giurisprudenza contabile relativa a casi analoghi ove è stata dichiarata la non manifesta fondatezza dell’eccezione di incostituzionalità con riferimento alla l. 65/2015.

Tutto ciò premesso conclude chiedendo la reiezione della domanda.

All’odierna udienza, la causa è posta in decisione.

DIRITTO

1) La questione posta al vaglio del giudicante attiene al diritto dei ricorrenti di vedersi corrispondere, sul loro emolumento pensionistico, la rivalutazione sancita dall’art. 34 della l. 488/1998 per gli anni dal 2012 in poi, previa rimessione alla Corte Costituzionale della questione di illegittimità dell’art. 1 del d.l. 65/2015, convertito, con modificazioni dalla l. 109/2015.

2) In via preliminare deve essere accolta l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dall’amministrazione resistente nei confronti del convenuto R. C..

Così come evidenziato dall’Inps, infatti, il R. C. risulta titolare di un trattamento pensionistico individuato con la categoria VO, appartenente a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall’AGO; ma è titolare anche di altra pensione, categoria PI, a carico del fondo speciale gestito dall’Insp la cui competenza cognitiva appartiene al giudice ordinario.

3) Passando al merito, il ricorso è infondato e non può trovare accoglimento; così come sono infondate le eccepite questioni di incostituzionalità.

Si ritiene, al riguardo, di motivare la decisione alla luce della giurisprudenza costituzionale. Peraltro, proprio la sentenza della Corte Costituzionale n. 70/2015, per affermare la peculiarità della disposizione contenuta nell’art. 24, comma 25 del d.l. 201/2011 rispetto alle altre norme che sono intervenute nella materia, richiama i suoi precedenti anche per evidenziare e delimitare i limiti del potere legislativo nella materia del blocco perequativo.

4) La perequazione automatica, quale strumento di adeguamento delle pensioni al mutato potere di acquisto della moneta, fu introdotta, nel nostro ordinamento giuridico, dall’art. 10 della legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di pensione della previdenza sociale), con la finalità di fronteggiare la svalutazione che le prestazioni previdenziali subiscono per il loro carattere continuativo.

Con l’art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), il legislatore ha inteso tutelare i trattamenti pensionistici dalla erosione del potere di acquisto della moneta, e così, con effetto dal 1° gennaio 1999, il meccanismo di rivalutazione delle pensioni è divenuto automatico, applicandosi per ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo dei trattamenti corrisposti a carico dell'assicurazione generale obbligatoria. L’aumento della rivalutazione automatica opera, ai sensi del comma 1 dell’art. 34 citato, in misura proporzionale all’ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all’ammontare complessivo.

5) Tuttavia, l’art 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2001), con riferimento al meccanismo appena illustrato, ha previsto che esso spettasse per intero soltanto alle fasce di importo dei trattamenti pensionistici fino a tre volte il trattamento minimo INPS; nella misura del 90 per cento, invece, per le fasce di importo da tre a cinque volte il trattamento minimo INPS e nella misura del 75 per cento per i trattamenti eccedenti il quintuplo del predetto importo minimo.

Questa impostazione fu seguita dal legislatore in successivi interventi, a conferma di un orientamento che predilige la tutela delle fasce più deboli. Ad esempio, l’art. 5, comma 6, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art.1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 127, ha previsto, per il triennio 2008-2010, una perequazione al 100 per cento per le fasce di importo tra tre e cinque volte il trattamento minimo INPS.

6) Ebbene, dalle disposizioni innanzi richiamate, è evidente che il legislatore si è sempre orientato nel senso di garantire dall’erosione indotta dalle dinamiche inflazionistiche o, in generale, dal ridotto potere di acquisto delle pensioni, soltanto le fasce più basse.

7) A ciò si aggiunga che il legislatore si è trovato, durante il corso degli anni, per esigenze di contenimento della spesa, a sospendere del tutto il meccanismo perequativo.

8) Il blocco introdotto dall’art. 24, comma 25, come convertito, del d.l. n. 201 del 2011, infatti, che è quello che ha operato sui trattamenti di quiescenza dei ricorrenti, trova un precedente nell’art. 1, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza , lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale) che aveva limitato l’azzeramento temporaneo della rivalutazione ai trattamenti particolarmente elevati, superiori a otto volte il trattamento minimo INPS.

9) L’azzeramento della perequazione, disposto dalla disposizione testé richiamata, peraltro, è stato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale , che ha deciso la questione con sentenza n. 316 del 2010. In tale pronuncia è stata posta in evidenza la discrezionalità di cui gode il legislatore, sia pure nell’osservare il principio costituzionale di proporzionalità e adeguatezza delle pensioni, ed è stata dichiarata non illegittima la disposizione poiché l’azzeramento era previsto, per il solo anno 2008, e per i soli trattamenti pensionistici di importo elevato (superiore ad otto volte il trattamento minimo INPS).

Al contempo, nella citata sentenza, veniva precisato che la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo o la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo non sarebbero state compatibili con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità.

10) L’art. 24, comma 25, del d.l. n. 201 del 2011 si colloca nell’ambito delle “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” (manovra denominata “salva Italia”) e stabilisce che «In considerazione della contingente situazione finanziaria», la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, in base al già citato meccanismo stabilito dall’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS, nella misura del cento per cento.

11) Detta disposizione, pertanto, riconosceva l’indicizzazione al 100% solo dei trattamenti pensionistici inferiori a tre volte il minimo Inps.

Ebbene, per come rilevato dalla stessa Consulta, la più volte citata disposizione, contenuta nell’art. 24, si discosta in modo significativo dalla regolamentazione precedente andando a incidere anche sui trattamenti pensionistici di importo meno elevato.

12) Ma l’art. 24, comma 25, si discosta anche dalla disciplina successiva.

L’art. 1, comma 483, lettera e), della legge di stabilità per l’anno 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge di stabilità»), infatti, ha previsto, per il triennio 2014-2016, una rimodulazione nell’applicazione della percentuale di perequazione automatica sul complesso dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo di cui all’art. 34, comma 1, della legge n. 448 del 1998, con l’azzeramento per le sole fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo INPS e per il solo anno 2014. Nel triennio 2014-2016, infatti, la perequazione si applica nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo fino a tre volte il trattamento minimo, del 95 per cento per i trattamenti di importo superiore a tre volte il trattamento minimo e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo del 75 per cento per i trattamenti oltre quattro volte e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo, del 50 per cento per i trattamenti oltre cinque volte e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS. Soltanto per il 2014 il blocco integrale della perequazione ha riguardato le fasce di importo superiore a sei volte il trattamento minimo.

13) Il legislatore, dunque, per il triennio successivo a quello disciplinato dall’art. 24, torna a proporre un discrimen fra fasce di importo e si ispira a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza.

14) Anche tale circostanza conferma la singolarità della norma contenuta nel più volte citato articolo 24.

15) Proprio in ragione di ciò la Consulta ha dichiarato, con la sentenza n. 70/2015, l’illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nell’art. 24, comma 25 del d. l. 201/2011, per contrasto agli art. 3, 36 e 38 della Costituzione

In particolare ha evidenziato:

a) che il blocco della perequazione automatica stabilito dall’art. 24, al contrario di quanto avvenuto per l’anno 2008, ove era stato operato sulle pensioni superiori ad un limite d’importo di sicura rilevanza ( superiori a otto volte il minimo INPS- pari a € 3.544,00) ,andava ad incidere su pensioni più modeste ( tre volte al minimo INPS – pari a € 1.443,00 per il 2012 e € 1.486,29 per il 2013);

b) che il legislatore, con la disposizione in esame, non proponeva un discrimen fra fasce di importo differente e non si ispirava a criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza, ma bloccava in modo netto la indicizzazione alle pensioni superiori a € 1.486,29;

c) che la disposizione si limitava a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza far emergere, anche dal disegno complessivo, la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così fortemente incisivi. Anche in sede di conversione (legge 22 dicembre 2011, n. 214), non è dato riscontrare alcuna documentazione tecnica circa le attese maggiori entrate, come previsto dall’art. 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, recante «Legge di contabilità e finanza pubblica» (sentenza n. 26 del 2013, che interpreta il citato art. 17 quale «puntualizzazione tecnica» dell’art. 81 Cost.).

16) Il legislatore, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, ha introdotto l’art. 1 del d.l. 65/2015, convertito in legge n. 109/2015, a cagione della quale “La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1 della l. 23.12.1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013, e' riconosciuta:

a) nella misura del 100 per cento per i trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS. Per le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

b) nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a quattro volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

c) nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

d) nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. Per le pensioni di importo superiore a sei volte il predetto trattamento minimo e inferiore a tale limite incrementato della quota di rivalutazione automatica spettante sulla base di quanto previsto dalla presente lettera, l'aumento di rivalutazione e' comunque attribuito fino a concorrenza del predetto limite maggiorato;

e) non e' riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi."; 2) dopo il comma 25 sono inseriti i seguenti

"25-bis. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall' dall’articolo 34, comma 1 della l. 23.12.1998, n. 448, relativa agli anni 2012 e 2013 come determinata dal comma 25, con riguardo ai trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e' riconosciuta:

a) negli anni 2014 e 2015 nella misura del 20 per cento;

b) a decorrere dall'anno 2016 nella misura del 50 per cento.

25-ter. Resta fermo che gli importi di cui al comma 25-bis sono rivalutati, a decorrere dall'anno 2014, sulla base della normativa vigente.

17) Questa è la disposizione attualmente vigente a da applicare ai ricorrenti.

Invero, i suddetti eccepiscono che detta norma si ponga in contrasto alla sentenza n. 70/2015 della Corte Costituzionale e, in ogni caso, solleva questione di incostituzionalità per violazione degli art.li

18) Le argomentazioni non sono condivise.

In primo luogo si evidenzia che la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che, per concretare la violazione del giudicato costituzionale, è necessario che una norma ripristini o preservi l’efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale (Corte cost. n.262/2009).

L’art. 1 del d.l. 65/2015, tuttavia, non solo non si pone in contrasto con la pronuncia costituzionale, ma ha dato attuazione ai principi ivi enunciati “nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica”.

La nuova disciplina di cui all’art. 1 del decreto legge n. 65/2015, infatti, si pone in quello che la Corte costituzionale, nella sentenza 70/2015, indica come perequazione automatica a regime, che prevede una copertura decrescente, a mano a mano che aumenta il valore della prestazione.

Infatti, è stabilito un azzeramento per le sole pensioni superiori a sei volte il minimo INPS, prevedendo un indicizzazione decrescente dalle fasce di importo inferiore fino all’azzeramento; l’art. 1 più volte richiamato si ispira, dunque, a quelli che la Corte costituzionale chiama “criteri di progressività, parametrati sui valori costituzionali della proporzionalità e della adeguatezza dei trattamenti di quiescenza” e indicati nella sentenza n. 70/2015.

Il blocco della perequazione, pertanto, va a incidere, su una fascia di pensione piuttosto elevata, che presenta «margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo» ( sentenza n. 70/2015).

19) Infine, al contrario di quanto avvenuto nella disciplina di cui all’art. 24, comma 25 del d.l .201/2011, il legislatore non ha mancato di illustrare in dettaglio la prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento.

Per come argomentato dalla Sezione giurisdizionale Lazio, nella sentenza n. 491/2015 “ il Governo, in conseguenza dei rilevanti effetti finanziari derivanti dall’applicazione della sentenza costituzionale n. 70/2015, ha quantificato nella relazione tecnica al decreto legge gli effetti della decisione (conseguenti al recupero integrale della deindicizzazione relativa al biennio 2012-2013), al netto degli effetti fiscali, in 17,6 miliardi per il 2015 e 4,4 miliardi nel 2016;alla luce di una stima dell’indebitamento netto tendenziale che sarebbe peggiorata dal 2,5 al 3,6 % del PIL, il Governo è dunque intervenuto con il decreto legge n. 65/2015, che riduce gli oneri sul 2015 dal 17,6 a 2,2 miliardi (Fonte: Ufficio Parlamentare di Bilancio; secondo cui la restituzione disposta dal decreto-legge, pur prevedendo una restituzione assai parziale della mancata indicizzazione pari a meno del 12% del totale, attribuisce oltre due terzi del recupero ai pensionati della classe con importo compreso tra tre e quattro volte il minimo INPS, così concentrando le limitate risorse nei confronti delle classi di pensionati con trattamenti più bassi).Quanto sopra nell’ottica evidente di salvaguardia di principi di rango costituzionale quale quello dell’equilibrio di bilancio, ai sensi dell’art. 81 della Costituzione, che esige gradualità nell’attuazione di valori costituzionali che impongano rilevanti oneri a carico del bilancio statale; a fortiori dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1/2012 che ha riaffermato il necessario rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico (Corte cost. n. 88/2014; n. 10/2015 ).”

20) Tutto quanto sin qui considerato induce a ritenere che l’art. 1 del d.l. 65/2015, convertito in legge n.109/2015, è indubbiamente espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai principi costituzionali indicati anche nella sentenza n. 70/2015.

21) Infine, qualche considerazione deve essere svolta in ordine al paventato contrasto tra l’art. 1, comma 25 del d.l. 65/205 e l’art. 117 della Costituzione in relazione all’art. 6 della convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo.

Detta ultima disposizione, prescrivendo il diritto ad un giusto processo dinnanzi a un tribunale indipendente ed imparziale, impone al potere legislativo nazionale di non intromettersi nell’amministrazione della giustizia allo scopo d’influire sulla singola controversia o su una determinata categorie di controversie.

Ebbene, a parere del giudicante non sussiste alcun elemento che induca a ritenere la disposizione in rassegna come norma esclusivamente diretta ad influire sulle controversie in corso.

Esaminando piuttosto la ratio del d.l. 65/2015, emerge che il legislatore ha provveduto ad adeguare la disciplina del blocco delle pensioni secondo i principi indicati dalla Consulta nella più volte richiamata sentenza n. 70/2015. Con detta pronuncia, infatti, si era venuto a creare un vuoto normativo per il periodo 2012/2013 che il legislatore ha puntualmente colmato con una disposizione che ha tenuto conto dei principi indicati nella sentenza stessa ma anche della stima dell’indebitamento netto pubblico e dell’equilibrio di bilancio (come sopra evidenziato).

Peraltro, per come chiarito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 311/2009, il divieto di leggi retroattive riguarda esclusivamente l’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia, finalizzata ad una determinata soluzione delle controversie in corso.

Tanto premesso non si ravvisa nella disposizione in esame alcuna violazione dei principi della “parità delle armi”, di certezza del diritto e di indipendenza del giudice, desunti dall’interpretazione fornita dalla Corte dio Strasburgo al diritto all’equo processo contenuto nell’art. della CEDU. 6 .

22) Tutto quanto sin qui considerato induce a ritenere che l’art. 1 del d.l. 65/2015, convertito in legge n.109/2015, è indubbiamente espressione del potere di scelta esercitato dal legislatore in modo conforme ai principi costituzionali indicati anche nella sentenza n. 70/2015; con conseguente manifesta infondatezza delle dedotte questioni di legittimità costituzionale e rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Calabria, definitivamente pronunciando

DICHIARA

Il difetto di giurisdizione nei confronti del ricorrente R. C.;

DICHIARA

La manifesta infondatezza delle dedotte questioni di legittimità costituzionale dell’art.1 del decreto legge n. 65/2015 convertito in legge n. 109/2015 ,

RIGETTA

il ricorso in epigrafe. Compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 22.2.2017.

Il giudice

f.to Ida Contino

Depositata in segreteria il 22/02/2017

Il responsabile delle segreterie pensioni

f.to Gaetanina Manno
yerri63

Re: Sentenza corte costituzionale n.70/2015

Messaggio da yerri63 »

Caro panorama,bisogna attendere che si ripronuncia la Consulta in merito alla vicenda,dopo di che si decide se intraprendere un ricorso collettivo.questo e quanto riferito dal mio studio legale.
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