Personale dirigenziale penitenziario

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Personale dirigenziale penitenziario

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trattamento economico-giuridico spettante al personale dirigenziale penitenziario in base all’art. 4 l. n. 154 del 2005 ed all’art. 28 d.lgs. n. 63 del 2006.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201600258 - Public 2016-02-04 -

Numero 00258/2016 e data 04/02/2016

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 16 dicembre 2015


NUMERO AFFARE 03850/2009

OGGETTO:
Ministero della giustizia direzione generale personale e formazione.


QUESITO concernente la decorrenza del trattamento economico-giuridico spettante al personale dirigenziale penitenziario in base all’art. 4 l. n. 154 del 2005 ed all’art. 28 d.lgs. n. 63 del 2006.

LA SEZIONE
Vista la relazione n. 0355761 del 2 ottobre 2009, trasmessa con nota avente pari numero e data, con la quale il Ministero della Giustizia (Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria) chiede il parere del Consiglio di Stato sull’affare in oggetto.

Vista la propria pronuncia del 26 gennaio 2010;

Vista la nota dell’Amministrazione n. GDAP.0298299-2012 del 14 agosto 2012 pervenuta in Segreteria il 21 successivo;

Vista la propria pronuncia del 19 marzo 2014;

Vista la nota della Segreteria Nazionale del Si.Di.Pe. (Sindacato direttori penitenziari) del 19 giugno 2015, pervenuta in Segreteria in pari data, e la memoria ad essa allegata;

Vista la nota dell’Amministrazione n. 0024786.U del 23 giugno 2015, pervenuta in pari data in Segreteria;

Vista la propria pronuncia del 24 giugno 2015;

Vista la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 74753 del 1° ottobre 2015 pervenuta in Segreteria il 2 successivo ed i relativi allegati;

Vista la nota del Dipartimento della funzione pubblica n. 0065528P.4.17.1.75 del 25 novembre 2015 pervenuta in pari data in Segreteria;

Vista la memoria del Si.Di.Pe del 5 dicembre 2015 pervenuta in Segreteria il 7 successivo;

Esaminati gli atti e udito il relatore, presidente ff Damiano Nocilla;


PREMESSO

Riferisce l’Amministrazione che la legge 27 luglio 2005, n. 154 (c.d. legge Meduri) ha disposto il riordino della carriera del personale inquadrato come dirigente penitenziario, conferendo al Governo la delega per la relativa disciplina. Secondo quanto statuito dall’art. 2, comma 1, della citata legge, il rapporto di lavoro del personale appartenente alla carriera dirigenziale penitenziaria è riconosciuto come rapporto di diritto pubblico ed il relativo personale è inserito fra le categorie escluse dall’applicazione del regime privatistico.

L’art. 4 della suddetta legge n. 154 del 2005 dispone che “il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale dell’Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale”. Inoltre, in via transitoria e nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi, il rapporto di lavoro dei dirigenti penitenziari sarebbe stato regolato “dalle disposizioni previste per il personale statale in regime di diritto pubblico” (art. 4, comma 3), che è stato individuato dall’Amministrazione penitenziaria in quello delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, non solo per continuità con il passato, visto che l’art. 40 della l. n. 395 del 1990 aveva attribuito al personale dirigente e direttivo dell’amministrazione penitenziaria il trattamento economico e giuridico delle corrispondenti qualifiche della Polizia di Stato.

La delega espressa dalla l. n. 154 del 2005 è stata esercitata con il d.lgs. n. 63 del 2006, che ha disciplinato l’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria ed ha fissato, agli artt. dal 13 al 17, il trattamento economico, demandando alla procedura negoziale la relativa determinazione: anche se, non essendosi ancora pervenuti alla conclusione dell’accordo negoziale, continua ad applicarsi la disciplina pubblicistica delle Forze di Polizia ad ordinamento civile.

Attualmente, quindi, il trattamento economico è provvisoriamente determinato in applicazione delle disposizioni della legge n. 12 del 1981 e delle leggi a questa correlate.

La questione sulla quale si chiede il parere di questo Consiglio attiene alla rilevanza da riconoscere, in sede di individuazione del trattamento economico-giuridico spettante al personale dirigenziale penitenziario, all’anzianità maturata dal medesimo personale nelle qualifiche dell’ex carriera direttiva penitenziaria precedentemente rivestite.

In particolare, l’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 63 del 2006 testualmente stabilisce che “ai fini dell’applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici di cui al presente decreto, i funzionari conservano l’anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza”.

Esprimendo un parere su ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto da un dipendente del Dipartimento della Giustizia minorile, diretto ad ottenere il riconoscimento, in sede di attribuzione del trattamento economico, di tutta l’anzianità di servizio vantata nelle qualifiche dell’ex carriera direttiva penitenziaria pari a 12 anni, la Sez. III del Consiglio di Stato ha concluso nel senso dell’accoglimento del ricorso, suscitando – secondo quanto riferisce l’Amministrazione - notevoli aspettative da parte dei dirigenti penitenziari e dando, presumibilmente, avvio ad un rilevante contenzioso.

Se l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nel suddetto parere (n. 551/09) potrebbe apparire più coerente al dettato normativo introdotto dal d.lgs. n. 63 del 2006, in quanto la legge delega, con il richiamato art. 4, avrebbe riconosciuto esplicitamente che il direttore penitenziario “ha già svolto (durante la sua esperienza professionale) funzioni riconosciute di livello dirigenziale”, e l’art. 28, comma 1, del d.lgs. n. 63 del 2006 avrebbe stabilito che “…ai fini dell’applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici di cui al presente decreto, i funzionari conservano l’anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza.”, l’interpretazione sinora seguita dall’Amministrazione ha dato applicazione alle procedure (di calcolo), che risalgono alla l. n. 126 del 1981 o a quelle dello statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. n. 3 del 1957, considerando che le stesse fanno riferimento alle progressioni in carriera e alle promozioni alla qualifica dirigenziale. In altri termini, alla disciplina generale delle progressioni in carriera e delle promozioni alla qualifica generale si contrapporrebbe – ad avviso dell’Amministrazione - la “procedura speciale” di riconoscimento delle funzioni dirigenziali del personale penitenziario, di cui alla l. n. 154 del 2005 ed al d.lgs. n. 63 del 2006.

Ove dovesse ritenersi prevalente la disciplina speciale, l’Amministrazione dovrebbe rivalutare le scelte intraprese nell’immediatezza dell’applicazione della c.d. legge Meduri e proseguite – per continuità amministrativa – in assenza del contratto, riconoscendo l’integrale anzianità di servizio, maturata nelle precedenti qualifiche della ex carriera direttiva penitenziaria, con conseguente incremento dell’impegno finanziario.

Sulla legittimità di quest’ultimo indirizzo amministrativo è stato chiesto il parere della Sezione.

Quest’ultima ha esaminato il quesito nell’adunanza del 26 gennaio 2010, concludendo con una pronuncia, nella quale si chiedeva che sulla questione sottoposta dal Ministero della Giustizia si esprimessero sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento della Ragioneria generale) che il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Chiedeva inoltre che le venisse trasmessa l’autorizzazione dell’Autorità politica a che sulla questione si esprimesse il Consiglio di Stato.

Con la nota del 14 agosto 2012, citata in epigrafe, l’Amministrazione, ribadendo il proprio interesse a conoscere il parere del Consiglio di Stato, comunicava di aver richiesto la prescritta autorizzazione al Ministro e di aver acquisito il parere dell’Ufficio centrale per il Bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre non faceva cenno all’avviso del Dipartimento della Funzione pubblica. Conclusivamente si riservava di inviare in una fase successiva la documentazione richiesta dalla Sezione.

La Sezione esaminava il quesito nell’adunanza del 10 marzo 2014 e, essendo trascorso più di un anno dall’ultima comunicazione dell’Amministrazione, riteneva opportuno sollecitare l’adempimento all’interlocutoria del 26 gennaio 2010, in modo da poter disporre degli elementi necessari per formulare il proprio avviso, e chiedendo, inoltre, che l’Amministrazione reiterasse l’espressione del proprio interesse a conoscere l’avviso del Consiglio di Stato.

In data 19 giugno 2015 perveniva una lettera del Si.Di.Pe., con annessa memoria, nella quale si manifestava l’interesse di quel sindacato a che il Consiglio di Stato esprimesse il proprio parere sulla questione sollevata a suo tempo dall’Amministrazione penitenziaria.

Quest’ultima, a sua volta, trasmetteva in data 23 giugno 2015 una nuova memoria diretta a confermare il proprio interesse alla soluzione del quesito e ad argomentare in favore del riconoscimento del beneficio economico al personale in questione.

Nell’adunanza del 24 giugno 2015 la Sezione – constatato che l’Amministrazione aveva interessato il Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri (già nel lontano 2012) e la Ragioneria generale dello Stato, e visto che non si aveva traccia nel fascicolo di un’attività del D.A.P. diretta a sollecitare una risposta alle predette Amministrazioni – riteneva prioritario l’accertamento circa la posizione sulla questione del Dipartimento della Funzione pubblica e della Ragioneria generale dello Stato. Sollecitava, quindi, i suddetti pareri ed interessava in proposito il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio, affinchè, nell’esercizio dei propri poteri di coordinamento, provvedesse ad invitare le due Amministrazioni interpellate a prendere posizione sulla quEstione sollevata dal D.A.P..

Il 2 ottobre 2015 perveniva alla Sezione l’avviso della Ragioneria generale dello Stato, citato in epigrafe, nettamente contrario ad un’interpretazione delle disposizioni in questione nel senso del riconoscimento – a far data dal nuovo inquadramento - al personale della dirigenza penitenziaria, nominato in forza dell’art. 4 l. n. 154 del 2005, dell’anzianità maturata dal medesimo nelle qualifiche dell’ex carriera direttiva penitenziaria precedentemente rivestite, ai fini della determinazione del trattamento economico-giuridico. In senso analogo si esprimeva, con la nota del 25 novembre 2015 citata in epigrafe, il Dipartimento della Funzione pubblica.

Da ultimo perveniva la memoria del Si.Di.Pe del 5 dicembre 2015, che rinnova le proprie argomentazioni in favore del riconoscimento.

CONSIDERATO

Le disposizioni, che direttamente sono state richiamate dall’Amministrazione, non possono essere interpretate facendo riferimento esclusivamente al loro tenore letterale, ma richiedono di essere sottoposte ad interpretazione sistematica, nel senso appunto che solo uno sguardo all’intero sistema normativo, nel quale esse si inseriscono, consente all’interprete di trarre da esse la ratio che vi sottende e di individuare, quindi, la norma, che ne scaturisce.

Non può dimenticarsi, infatti, che l’art. 1, co. 1, lett. b) l. n. 154 del 2005, indica con chiarezza fra i principi e criteri direttivi della delega al Governo in ordine alla disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria (nella quale ricomprendere il personale direttivo e dirigenziale dell’Amministrazione penitenziaria appartenente agli ex profili professionali di direttore penitenziario, di direttore di ospedale psichiatrico giudiziario e di direttore del servizio sociale, cui hanno avuto accesso a seguito di concorso, nonchè il personale del ruolo amministrativo ad esaurimento della medesima Amministrazione): “b) previsione dell’accesso alla carriera dirigenziale penitenziaria esclusivamente del grado iniziale, mediante concorso pubblico, con esclusione di ogni immissione dall’esterno”, proseguendo, poi, alla lett. d): “d) previsione di un procedimento negoziale fra una delegazione di parte pubblica e una delegazione delle OO.SS…. da attivare con cadenza quadriennale per gli aspetti giuridici e biennale per quelli economici del rapporto di impiego del personale della carriera stessa, i cui contenuti sono recepiti con d.P.R., finalizzato alla determinazione di un trattamento economico onnicomprensivo, non inferiore a quello della dirigenza statale contrattualizzata…..”, trattamento articolato, appunto, in varie voci.

E’ in questo quadro che va inserita la previsione dell’art. 4 della medesima legge di delega: “1. Fermo restando quanto previsto dall’art. 1, co. 1, in fase di prima attuazione e per le immediate esigenze di funzionamento dell’Amministrazione penitenziaria, il personale che alla data di entrata in vigore della presente legge è inquadrato nella posizione economica C3, già appartenente ai profili professionali di direttore coordinatore di istituto penitenziario, di direttore medico coordinatore e di direttore coordinatore di servizio sociale dell’Amministrazione penitenziaria, ai quali hanno avuto accesso mediante concorso pubblico, nonché gli ispettori generali del ruolo ad esaurimento, sono nominati dirigenti secondo la posizione occupata da ciascuno nel rispettivo ruolo, in considerazione della esperienza professionale maturata nel settore avendo già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale.

2. Per le medesime esigenze di cui al comma 1, fino alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dall’articolo 1, comma 1, il personale non inquadrato nella posizione economica C3 delle medesime figure professionali indicate al comma 1 del presente articolo consegue l’inquadramento nella posizione economica superiore, in relazione alle vacanze determinate nel ruolo, secondo la posizione nello stesso occupata.

3. Nelle more dell’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dall’articolo 1, comma 1, il rapporto di lavoro del personale nominato dirigente ai sensi del comma 1 del presente articolo e del personale già appartenente alle medesime qualifiche dirigenziali è regolato dalle disposizioni previste per il personale statale in regime di diritto pubblico”.

La ratio di tali disposizioni transitorie deve individuarsi – contrariamente a quanto posto in evidenza da taluni interpreti – non nel fatto che il personale ivi contemplato avesse già svolto funzioni riconosciute di livello dirigenziale, ma piuttosto sulle “immediate esigenze di funzionamento dell’Amministrazione penitenziaria”. Donde la necessità che esse siano oggetto di stretta interpretazione, anche perché, come giustamente ribadito dal Dipartimento della funzione pubblica, l’esperienza maturata vale solo a giustificare la nomina a dirigente, in deroga al principio del necessario concorso pubblico.

Sempre ai fini dell’interpretazione sistematica assume rilievo anche l’art. 5 della medesima legge n. 154 del 2005, che ha determinato l’onere relativo agli artt. 1 e 4 senza tener conto - come dimostrato dal parere della Ragioneria generale dello Stato – dell’eventuale ulteriore spesa, che deriverebbe dall’interpretazione delle disposizioni in esame nel senso del riconoscimento ai fini economici nella qualifica di dirigente dell’anzianità maturata nelle precedenti carriere.

Questo essendo il quadro normativo delineato dalla legge di delegazione, si deve procedere ora ad individuare le disposizioni del d.lgs. n. 63 del 2006 che più direttamente riguardano la materia; prima fra tutte l’art. 28, il quale recita: “1. Ai fini dell’applicazione di tutti gli istituti giuridici ed economici di cui al presente decreto, i funzionari conservano l’anzianità maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive ovvero posizioni economiche di provenienza. 2. Ai fini della copertura degli incarichi di cui all’articolo 7, successivamente allo scrutinio di cui all’articolo 26, comma 4, il requisito dell’anzianità di cui all’articolo 7, comma 1, è calcolato tenendo conto della pregressa anzianità maturata complessivamente nell’ex carriera direttiva e dirigenziale”.

Senonchè tale disposizioni non può essere interpretata alla luce della legge di delega (l. n. 154 del 2005) e delle restanti disposizioni e proposizioni dello stesso d.lgs. n. 63 del 2006.

Come si è già visto, infatti, l’art. 4, co. 3, della suddetta legge n. 154 del 2005 prevede che, in attesa dei decreti legislativi, al personale nominato dirigente si applichino le disposizioni già previste per il personale statale in regime di diritto pubblico. Da tale disposizione l’Amministrazione penitenziaria ha tratto l’autorizzazione ad individuare nelle norme riguardanti la Polizia di Stato, di cui alla l. n. 121 del 1981, la normativa da applicare alla dirigenza penitenziaria: e ciò in forza dell’art. 40 l. n. 395 del 1990 ed in osservanza del principio dei continuità. Conseguentemente, una volta emanato il d.lgs. n. 63 del 2006, ogni questione relativa al trattamento giuridico ed economico dovrebbe essere demandata alla procedura negoziale di cui all’art. 1, co. 1, lett. d), della l. n. 154 del 2005 e 20 e segg. d.lgs. n. 63 del 2006. A conferma di ciò si può fare riferimento all’art. 27 di quest’ultimo atto normativo, che recita: “Fino all’entrata in vigore del d.P.R. di recepimento degli accordi sindacali, previsto dall’art. 23, co. 5, ai funzionari individuati dall’art. 26 si applica il trattamento economico acquisito”.

Ma vi è di più. L’art. 4, nel prevedere che l’accesso al ruolo della carriera dirigenziale penitenziaria avvenga mediante concorso, afferma perentoriamente il principio generale, per cui “alla carriera si accede dalla qualifica iniziale di ciascun ruolo”, con la conseguenza che tale principio deve illuminare l’interpretazione di tutte le disposizioni relative a tale carriera. Del resto, anche l’art. 7 prevede che per il conferimento degli incarichi superiori si faccia riferimento all’ingresso in carriera ai fini del computo dei nove anni e sei mesi di servizio necessari, sicchè la pretesa di calcolare a tal fine il periodo trascorso in una carriera diversa porterebbe ad un’assurda deroga al principio generale, che, tra l’altro, viene confermato dal co. 2 dell’art. 26 per i direttori generali non provenienti dai ruoli dell’Amministrazione.

Lo stesso art. 26, poi, prevede implicitamente che l’inquadramento in ruolo dei dirigenti neonominati a norma dell’art. 4, co. 1, della l. n. 154 del 2005, avvenga dopo l’inquadramento in ruolo di coloro che già ricoprivano la qualifica di dirigente dell’Amministrazione penitenziaria, mentre l’interpretazione suggerita dal Sindacato potrebbe portare all’assurda conseguenza che i neonominati non solo finirebbero per scavalcare economicamente quanti erano già dirigenti, ma potrebbero aspirare ad incarichi superiori in concorrenza con quanti erano già inquadrati nella qualifica di dirigente superiore, in violazione di quanto previsto dai commi 3 e 5 dello stesso art. 26. In altri termini, l’ordine di ruolo, che quest’ultimo articolo vuole preservare, risulterebbe sconvolto dalla suggerita interpretazione letterale dell’art. 28.

Infine è proprio quest’ultimo articolo, se riguardato in tutta la sua complessità, a convincere della assoluta insostenibilità dell’interpretazione sollecitata dall’organizzazione sindacale in modo esplicito e dalla Amministrazione penitenziaria in modo implicito. Già la rubrica, che fa riferimento a “Clausole di salvaguardia”, – pur nella consapevolezza che rubrica legis non est lex, anche se in ogni caso può orientare l’interpretazione delle disposizioni (in quanto fa pur sempre parte dell’atto normativo nel suo complesso) – non si riferisce al riconoscimento di un beneficio, ma solo alla garanzia di quanto già acquisito dagli interessati prima del passaggio alla dirigenza. Inoltre il secondo comma, allorchè si tratti di conferimento degli incarichi superiori, afferma “successivamente allo scrutinio di cui all’art. 26, co.4, il requisito dell’anzianità di cui all’art. 7, co. 1, è calcolato tenendo conto della pregressa anzianità maturata complessivamente nell’ex carriera direttiva e dirigenziale”; con il che si conferma che l’ordine di ruolo, di cui all’art. 26, non potrà mai essere sconvolto dall’applicazione del primo comma dell’art. 28 e che, ovviamente, non potrebbe darsi il caso di un trattamento economico spettante a soggetti collocati in posizione deteriore (o addirittura subordinata), che sia superiore a quello di altri, che li precedono, invece, nel ruolo stesso, se non addirittura nella scala gerarchica.

In definitiva, non sembra che l’art. 28 possa costituire – se riguardato alla luce delle disposizioni della legge di delega, cui in ogni caso il decreto delegato non può derogare, e del complesso delle disposizioni e dei principi affermati dallo stesso decreto delegato – un’eccezione al principio generale, riguardante la dirigenza contrattualizzata e non, per il quale la carriera economica e giuridica del dirigente ha inizio con l’assunzione di tale ultima qualifica. L’ipotesi, da qualcuno avanzata, per la quale la disciplina relativa alla dirigenza penitenziaria costituirebbe un’eccezione rispetto alla disciplina generale riguardante la dirigenza, finirebbe nel dover configurare come eccezioni rispetto all’eccezione tutte quelle disposizioni, che, invece, fanno applicazione anche per la dirigenza penitenziaria di quella normativa generale e di quei principi attinenti all’istituto della dirigenza propriamente intesa.

Del resto una lettura più approfondita dell’art. 28 in questione convince della necessità di interpretarne la disposizione in senso contrario a quello implicitamente proposto dall’Amministrazione ed in senso conforme a quello sostenuto dal Dipartimento della Funzione pubblica e dalla Ragioneria generale dello Stato. Infatti il secondo comma – come si è visto - stabilisce che ai fini della copertura degli incarichi di cui all’artt. 7 (ai quali si accede mediante valutazione comparativa, avendo compiuto nove anni e sei mesi di effettivo servizio), dopo il primo scrutinio disciplinato dall’art. 26, co. 5, il requisito dell’anzianità sia “calcolato tenendo conto della pregressa anzianità maturata complessivamente nell’ex carriera direttiva e dirigenziale”. Quell’espressione per la quale dell’anzianità deve “tenersi conto” “complessivamente” sembra far riferimento ad un generico rinvio ad un criterio non rigido di valutazione, onde non può ritenersi che l’anzianità complessiva maturata nei due diversi ruoli del personale, di cui all’art. 4, co.1, l. n. 154 del 2005, possa valere che come anzianità nel nuovo ruolo dirigenziale (e non poteva essere altrimenti se si guarda a quanto disposto dall’art. 7, co. 2, d.lgs. n. 63 del 2006). Ne deriva che il comma 1 non può che interpretarsi nel senso che il riconoscimento dell’anzianità debba avvenire con riferimento alla necessità che l’acquisizione della qualifica di dirigente non vada a scapito del trattamento economico già goduto e della posizione di ruolo già acquisita nella carriera precedente. L’art. 28, co. 1, quindi, deve essere interpretato nel senso del mantenimento e riconoscimento in sede di inquadramento nella nuova carriera dirigenziale dell’anzianità giuridica ed economica maturata e non anche con il riconoscimento del trattamento economico-retributivo proprio del nuovo inquadramento con effetto retroattivo, senza, perciò, che nella nuova qualifica dirigenziale vi sia un trascinamento di anzianità giuridica ed economica maturata in altra carriera.

Soccorre quanto già rilevato dalla Ragioneria generale dello Stato, nel senso che l’art. 29, recante la copertura finanziaria degli oneri derivanti dal decreto legislativo n. 63 del 2006, attuativo appunto della l. n. 154 del 2005, non contempla l’eventuale onere di un generalizzato riconoscimento economico nel nuovo ruolo dirigenziale dell’anzianità pregressa acquisita dal personale in questione nel ruolo di provenienza. In altri termini, gli incrementi stipendiali derivanti dall’ulteriore rideterminazione degli inquadramenti applicati risulterebbero sprovvisti di qualsiasi copertura finanziaria.

Quanto infine all’argomento che si vuole trarre dai pareri della III Sezione di questo Consiglio che hanno accolto ricorsi di dirigenti della giustizia minorile (exempli gratia n. 551/09), è sufficiente ricordare quanto già statuito dalla Corte costituzionale circa la non assimilabilità del rapporto di dipendenza del Dipartimento per la giustizia minorile al rapporto di dipendenza del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Ord. N. 66 del 2011).

P.Q.M.

Nei sensi di cui in motivazione è il parere del Consiglio di Stato.




IL PRESIDENTE F/F ED ESTENSORE
Damiano Nocilla


Filippogianni
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Re: Personale dirigenziale penitenziario

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Mah chissà
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