1) - Ha chiesto con istanza del 7 settembre 2005 il transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Difesa, essendo stato dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare. Invece di accogliere la suddetta istanza il Ministero della Difesa disponeva il collocamento in congedo del ricorrente.
2) - Avverso tale provvedimento il ricorrente proponeva ricorso davanti al T.A.R. Campania, Sede di Napoli, che con sentenza n. 16215 del 5/12 – 12/12/2002 accoglieva il ricorso ed annullava gli atti impugnati.
3) - Peraltro solo in sede di giudizio di ottemperanza l’Amministrazione della Difesa provvedeva a riassumere il ricorrente in data 3 giugno 2008, inquadrandolo nei ruoli civili con la qualifica di operatore di amministrazione.
4) - illegittima interruzione del rapporto di servizio.
IL TAR LAZIO accoglie il ricorso:
Il ricorso va accolto con il conseguente riconoscimento del diritto del ricorrente a vedersi liquidate, a titolo di restituito in integrum, tutte le somme corrispondenti al trattamento retributivo goduto a far tempo dal 30 settembre 2005 e fino al 2 giugno 2008, di durata dell’illegittima interruzione del rapporto di impiego, maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
Per completezza leggete il tutto qui sotto.
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02/10/2014 201410126 Sentenza 1B
N. 10126/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01998/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1998 del 2009, proposto da:
V. A., rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Tommaso Ventre, con domicilio eletto presso Antonella Le Rose in Roma, via Cavour, 228/B;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'accertamento
del diritto del ricorrente al pagamento di somme a titolo di illegittima interruzione del rapporto di impiego;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2014 il dott. Domenico Landi;
Nessuno comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con atto notificato il 7 marzo 2009, depositato nei termini, il Sig. A. V. ha proposto ricorso per l’accertamento e la declaratoria del suo diritto a percepire, a titolo di restitutio in integrum, il trattamento retributivo per il periodo 30 settembre 2005 – 2 giugno 2008, di durata dell’illegittima interruzione del rapporto d’impiego, con conseguente condanna dell’Amministrazione della Difesa al pagamento del relativo importo, oltre interessi e rivalutazione, oltre il danno morale patito.
Il ricorrente, già Caporal Maggiore dell’Esercito, fa presente di aver chiesto con istanza del 7 settembre 2005 il transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Difesa, essendo stato dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare. Invece di accogliere la suddetta istanza il Ministero della Difesa disponeva il collocamento in congedo del ricorrente. Avverso tale provvedimento il ricorrente proponeva ricorso davanti al T.A.R. Campania, Sede di Napoli, che con sentenza n. 16215 del 5/12 – 12/12/2002 accoglieva il ricorso ed annullava gli atti impugnati. Peraltro solo in sede di giudizio di ottemperanza l’Amministrazione della Difesa provvedeva a riassumere il ricorrente in data 3 giugno 2008, inquadrandolo nei ruoli civili con la qualifica di operatore di amministrazione.
Non avendo l’Amministrazione corrisposto al ricorrente alcuna retribuzione a partire dal 30 settembre 2005, lo stesso ha proposto il presente gravame per la declaratoria dal suo diritto a vedersi liquidato e corrisposto il trattamento retributivo a titolo di restituito in integrum, corrispondente a quello goduto con l’allora ricoperto grado di 1º Caporal Maggiore o di quello omologo dei ruoli civili.
L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato la quale insiste per il rigetto del ricorso siccome infondato.
Alla pubblica udienza del 2 luglio 2014 la causa è passata in decisione.
Il ricorso si appalesa fondato.
Come esplicitato in punto di fatto, con la sentenza del T.A.R. Campania – Sede di Napoli ivi richiamata, è stato annullato, tra gli altri anche il provvedimento di collocamento in congedo del ricorrente. Pertanto, tale illegittima interruzione del rapporto di servizio determina come conseguenza la reviviscenza del rapporto stesso nella sua pienezza (così detto effetto ripristinatorio), quale si svolgeva e avrebbe dovuto continuare a svolgersi, con tutte le conseguenze di restituito in integrum, anche ai fini retributivi. Va, quindi, riaffermato, secondo una costante giurisprudenza, che l’illegittima interruzione del rapporto di servizio, proprio per il suo carattere sinallagmatico, comporta, se annullato in sede giurisdizionale, il ripristino integrale del rapporto stesso in ogni suo aspetto, compreso quello della retribuzione, che è connaturata alla situazione preesistente (cfr. CONS. STATO – Sez. V – n. 1023 del 6 settembre 1999).
Il ricorso va accolto con il conseguente riconoscimento del diritto del ricorrente a vedersi liquidate, a titolo di restituito in integrum, tutte le somme corrispondenti al trattamento retributivo goduto a far tempo dal 30 settembre 2005 e fino al 2 giugno 2008, di durata dell’illegittima interruzione del rapporto di impiego, maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara il diritto del ricorrente a percepire, a titolo di restituito in integrum, il trattamento retributivo così come specificato in motivazione.
Condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida nella misura di Euro 2.000,00 (duemila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Domenico Landi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/10/2014
Domanda non accolta e collocamento in congedo. Danni
Forum dedicato agli operatori del comparto Sicurezza e Difesa in transito (o già transitati) all'impiego civile.
Re: Domanda non accolta e collocamento in congedo. Danni
La continuazione di cui sopra.
Il Ministero della Difesa perde l'Appello.
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1) - Ed invero, a sostegno della propria tesi, l’Amministrazione appellante fa richiamo a un precedente della Sezione, relativo ad un caso analogo a quello qui all’esame, nel quale è stata sottolineata la diversità degli effetti che conseguono alla declaratoria di illegittimità, da un lato, di un provvedimento di diniego di assunzione, e dall’altro, di un provvedimento di destituzione dal servizio: mentre nella prima ipotesi la decisione non comporta la retroattività degli effetti economici, in quella di illegittima destituzione dal servizio la restitutio inintegrum nei confronti del dipendente comporta il diritto alla piena reintegrazione anche sotto il profilo economico, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo di lavoro non prestato.
IL CdS precisa:
2) - Infatti, il transito nei ruoli civili del personale militare dichiarato permanentemente inabile al servizio, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, nr. 266, per consolidata giurisprudenza, configura una fattispecie peculiare di trasferimento interno alla medesima amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2009, nr. 1598), formando oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo dell’interessato, la cui attuazione è subordinata soltanto all’accertamento tecnico-discrezionale della C.M.O. sull’idoneità fisica e psichica al servizio e che non può essere negato per altre e diverse ragioni (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, nr. 4127; id., 6 novembre 2009, nr. 6951; id., 31 luglio 2009, nr. 4864; id., 31 dicembre 2007, nr. 6825).
3) - Ne consegue che il predetto transito non è assimilabile a una nuova assunzione, postulando al contrario la continuità del rapporto di impiego e ponendosi come ordinaria (ancorché rimessa a una opzione dell’interessato) prosecuzione dello stesso: pertanto, risulta del tutto condivisibile il richiamo fatto dal primo giudice ai principi in tema di illegittima interruzione del rapporto lavorativo, il cui annullamento comporta la riviviscenza del rapporto stesso nella sua pienezza (c.d. effetto ripristinatorio) quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, in modo da riconoscere una piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente.
4) - Sotto diverso profilo, non appare condivisibile la doglianza di violazione dell’art. 2, comma 7, del citato d.m. 18 aprile 2002, disposizione il cui richiamo è a sua volta inconferente.
5) - Infatti, essa è specificamente riferita alla sola fase interlocutoria delle determinazioni dell’Amministrazione sulla domanda di transito, disciplinando il trattamento da corrispondere al dipendente per il periodo intercorrente fra la domanda di transito nei ruoli civili ed il transito effettivo; nella specie, invece, trattasi di vicenda diversa, afferente a illegittimo diniego del transito richiesto, e nella quale quindi il problema non era quello di individuare la retribuzione da corrispondere per uno spatium temporis circoscritto quale è quello corrispondente al procedimento di transito, ma di reintegrare il ricorrente di quanto dovutogli per una soluzione di continuità sinedie del rapporto d’impiego.
Per completezza leggete direttamente qui sotto tutte le motivazioni.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201503141
- Public 2015-06-23 -
N. 03141/2015REG.PROV.COLL.
N. 00507/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 507 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Tommaso Ventre, con domicilio eletto presso l’avv. Angela Fiorentino in Roma, via E.Q. Visconti, 11,
per la riforma,
previa sospensione dell’esecutorietà,
della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 10126/14 in data 2 luglio - 2 ottobre 2014, notificata in data 12 novembre 2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato signor -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 843 del 25 febbraio 2015, con la quale è stata accolta l’istanza cautelare ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22, comma 8, del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Ventre per l’appellato e l’avv. dello Stato Elefante per l’Amministrazione appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero della Difesa ha impugnato – chiedendone la riforma previa sospensione dell’efficacia – la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, provvedendo sul ricorso proposto dal signor -OMISSIS-, lo ha ritenuto fondato e precisamente:
- ha riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire il trattamento retributivo previsto per il periodo dal 30 settembre 2005 al 2 giugno 2008, pari alla durata dell’illegittima interruzione del rapporto di impiego (come già accertato con sentenza del T.A.R. della Campania nr. 16215 del 2007);
- ha condannato l’Amministrazione resistente al relativo pagamento nonché al risarcimento del danno moralmente patito.
A sostegno dell’appello, l’Amministrazione ha dedotto, con unico articolato motivo: infondatezza del ricorso di primo grado e conseguente illegittimità della sentenza; violazione dell’art. 2, comma 7, del d.m. 18 aprile 2002 (atteso che all’atto del giudizio di inidoneità a suo tempo riportato il ricorrente in primo grado non percepiva alcuna retribuzione, e non essendo assimilabile la fattispecie all’esame a illegittima interruzione del rapporto di impiego).
Si è costituito l’appellato, signor -OMISSIS-, il quale ha dedotto nel senso della infondatezza della prospettazione di parte appellante, ribadendo la spettanza dell’integrale restitutio in integrum del rapporto medesimo e delle competenze retributive relative al periodo di illegittima interruzione del rapporto.
Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2015, questa Sezione ha accolto la domanda cautelare di parte appellante ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
All’udienza pubblica del 19 maggio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il presente giudizio attiene al transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Difesa del signor -OMISSIS-, già caporal maggiore dell’Esercito in servizio permanente dal 1999, che aveva presentato la relativa istanza essendo stato dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare.
La Direzione Generale per il Personale Civile della menzionata Amministrazione ha respinto l’istanza di transito, ed ha quindi adottato il decreto dirigenziale nr. DGPM/II/7/11^/…/2006 recante la destituzione dal servizio (a decorrere dal 22 agosto 2005) e il collocamento in congedo assoluto stante la non idoneità fisica al servizio allo scadere del periodo massimo di aspettativa fruibile in un quinquennio.
2. Il signor -OMISSIS- ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. della Campania per l’annullamento dei provvedimenti di reiezione dell’istanza di transito e di destituzione dal servizio.
Il giudice adìto ha accolto il ricorso ed annullato gli atti impugnati con sentenza, non appellata, in esecuzione della quale è stato autorizzato il transito del ricorrente nelle corrispondenti aree funzionali civili del Ministero della Difesa.
Tuttavia, per ottenere l’attuazione del giudicato, l’interessato è stato costretto a presentare ricorso in ottemperanza al T.A.R. partenopeo, e solo in tale sede il transito si è perfezionato, in data 3 giugno 2008, con la sottoscrizione del relativo contratto di lavoro.
3. Successivamente, l’istante ha agito per ottenere la retribuzione a titolo di restitutio in integrum per il periodo dal 30 settembre 2005 al 2 giugno 2008 (corrispondente a quello goduto con l’allora ricoperto grado di primo caporal maggiore o a quello omologo dei ruoli civili) e il risarcimento dei danni, proponendo a tal fine ricorso innanzi al T.A.R. del Lazio.
Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso, sulla base del principio secondo cui l’illegittima interruzione del rapporto di servizio, quando annullata in sede giurisdizionale come nel caso che qui occupa, comporta il ripristino del rapporto stesso in ogni aspetto compreso quello della retribuzione; l’Amministrazione è stata quindi condannata alla liquidazione di tutte le somme corrispondenti al trattamento retributivo goduto a far data dal 30 settembre 2005 e fino al 2 giugno 2008, maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
4. La predetta sentenza è oggetto dell’odierno appello da parte del Ministero della Difesa.
5. La ricostruzione in fatto che precede, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
6. Ciò premesso, l’appello si appalesa infondato e va conseguentemente respinto.
7. Ed invero, a sostegno della propria tesi, l’Amministrazione appellante fa richiamo a un precedente della Sezione, relativo ad un caso analogo a quello qui all’esame, nel quale è stata sottolineata la diversità degli effetti che conseguono alla declaratoria di illegittimità, da un lato, di un provvedimento di diniego di assunzione, e dall’altro, di un provvedimento di destituzione dal servizio: mentre nella prima ipotesi la decisione non comporta la retroattività degli effetti economici, in quella di illegittima destituzione dal servizio la restitutio inintegrum nei confronti del dipendente comporta il diritto alla piena reintegrazione anche sotto il profilo economico, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo di lavoro non prestato.
Seguendo tale impostazione, l’Amministrazione ritiene di aver correttamente applicato le norme contenute nell’art. 2, comma 7, del d.m. 18 aprile 2002, che rimanda al trattamento economico goduto all’atto del giudizio di non idoneità l’individuazione delle somme dovute per il periodo intercorrente tra la domanda e l’effettivo transito; l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure, sostiene l’Amministrazione appellante, sta nel non aver considerato che alcuna prestazione lavorativa era svolta dal signor -OMISSIS- nel periodo preso in considerazione ai fini della rivendicata corresponsione degli stipendi (e, pertanto, nulla poteva essergli corrisposto anche nel periodo intermedio).
7.1. La Sezione è però dell’avviso che il richiamo della giurisprudenza in materia di illegittimo diniego di assunzione non sia pertinente alla fattispecie in esame.
Infatti, il transito nei ruoli civili del personale militare dichiarato permanentemente inabile al servizio, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, nr. 266, per consolidata giurisprudenza, configura una fattispecie peculiare di trasferimento interno alla medesima amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2009, nr. 1598), formando oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo dell’interessato, la cui attuazione è subordinata soltanto all’accertamento tecnico-discrezionale della C.M.O. sull’idoneità fisica e psichica al servizio e che non può essere negato per altre e diverse ragioni (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, nr. 4127; id., 6 novembre 2009, nr. 6951; id., 31 luglio 2009, nr. 4864; id., 31 dicembre 2007, nr. 6825).
Ne consegue che il predetto transito non è assimilabile a una nuova assunzione, postulando al contrario la continuità del rapporto di impiego e ponendosi come ordinaria (ancorché rimessa a una opzione dell’interessato) prosecuzione dello stesso: pertanto, risulta del tutto condivisibile il richiamo fatto dal primo giudice ai principi in tema di illegittima interruzione del rapporto lavorativo, il cui annullamento comporta la riviviscenza del rapporto stesso nella sua pienezza (c.d. effetto ripristinatorio) quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, in modo da riconoscere una piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente.
7.2. Sotto diverso profilo, non appare condivisibile la doglianza di violazione dell’art. 2, comma 7, del citato d.m. 18 aprile 2002, disposizione il cui richiamo è a sua volta inconferente.
Infatti, essa è specificamente riferita alla sola fase interlocutoria delle determinazioni dell’Amministrazione sulla domanda di transito, disciplinando il trattamento da corrispondere al dipendente per il periodo intercorrente fra la domanda di transito nei ruoli civili ed il transito effettivo; nella specie, invece, trattasi di vicenda diversa, afferente a illegittimo diniego del transito richiesto, e nella quale quindi il problema non era quello di individuare la retribuzione da corrispondere per uno spatium temporis circoscritto quale è quello corrispondente al procedimento di transito, ma di reintegrare il ricorrente di quanto dovutogli per una soluzione di continuità sinedie del rapporto d’impiego.
Ne discende l’inconferenza anche dell’ulteriore argomentazione dell’Amministrazione appellante secondo cui il parametro di riferimento ex art. 2, comma 7, era da ritenersi comunque pari a zero, avendo subito l’istante le progressive decurtazioni della retribuzione ai sensi dell’art. 26 della legge 5 maggio 1976, nr. 187: argomentazione la quale peraltro, oltre a essere contestata in fatto da controparte (avendo l’appellato assunto di aver percepito la propria retribuzione piena fino alla data del proprio collocamento in congedo), porterebbe ad effetti irragionevolmente penalizzanti per il dipendente il quale, avendo verosimilmente subito le dette decurtazioni a causa dei periodi di congedo per malattia cumulati prima della dichiarazione di inidoneità, vedrebbe sempre computata la retribuzione spettantegli per il periodo intermedio su una base ridotta (se non pari addirittura a zero).
In ogni caso, la questione della corretta interpretazione da dare della disposizione de qua esula dal perimetro del presente giudizio, stante l’evidenziata improprietà del richiamo normativo compiuto dall’Amministrazione.
8. In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di reiezione dell’appello e di conferma della sentenza impugnata.
Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663); gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
9. La peculiarità e relativa novità della questione esaminata giustificano la integrale compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/06/2015
Il Ministero della Difesa perde l'Appello.
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1) - Ed invero, a sostegno della propria tesi, l’Amministrazione appellante fa richiamo a un precedente della Sezione, relativo ad un caso analogo a quello qui all’esame, nel quale è stata sottolineata la diversità degli effetti che conseguono alla declaratoria di illegittimità, da un lato, di un provvedimento di diniego di assunzione, e dall’altro, di un provvedimento di destituzione dal servizio: mentre nella prima ipotesi la decisione non comporta la retroattività degli effetti economici, in quella di illegittima destituzione dal servizio la restitutio inintegrum nei confronti del dipendente comporta il diritto alla piena reintegrazione anche sotto il profilo economico, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo di lavoro non prestato.
IL CdS precisa:
2) - Infatti, il transito nei ruoli civili del personale militare dichiarato permanentemente inabile al servizio, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, nr. 266, per consolidata giurisprudenza, configura una fattispecie peculiare di trasferimento interno alla medesima amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2009, nr. 1598), formando oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo dell’interessato, la cui attuazione è subordinata soltanto all’accertamento tecnico-discrezionale della C.M.O. sull’idoneità fisica e psichica al servizio e che non può essere negato per altre e diverse ragioni (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, nr. 4127; id., 6 novembre 2009, nr. 6951; id., 31 luglio 2009, nr. 4864; id., 31 dicembre 2007, nr. 6825).
3) - Ne consegue che il predetto transito non è assimilabile a una nuova assunzione, postulando al contrario la continuità del rapporto di impiego e ponendosi come ordinaria (ancorché rimessa a una opzione dell’interessato) prosecuzione dello stesso: pertanto, risulta del tutto condivisibile il richiamo fatto dal primo giudice ai principi in tema di illegittima interruzione del rapporto lavorativo, il cui annullamento comporta la riviviscenza del rapporto stesso nella sua pienezza (c.d. effetto ripristinatorio) quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, in modo da riconoscere una piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente.
4) - Sotto diverso profilo, non appare condivisibile la doglianza di violazione dell’art. 2, comma 7, del citato d.m. 18 aprile 2002, disposizione il cui richiamo è a sua volta inconferente.
5) - Infatti, essa è specificamente riferita alla sola fase interlocutoria delle determinazioni dell’Amministrazione sulla domanda di transito, disciplinando il trattamento da corrispondere al dipendente per il periodo intercorrente fra la domanda di transito nei ruoli civili ed il transito effettivo; nella specie, invece, trattasi di vicenda diversa, afferente a illegittimo diniego del transito richiesto, e nella quale quindi il problema non era quello di individuare la retribuzione da corrispondere per uno spatium temporis circoscritto quale è quello corrispondente al procedimento di transito, ma di reintegrare il ricorrente di quanto dovutogli per una soluzione di continuità sinedie del rapporto d’impiego.
Per completezza leggete direttamente qui sotto tutte le motivazioni.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201503141
- Public 2015-06-23 -
N. 03141/2015REG.PROV.COLL.
N. 00507/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 507 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
il signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Tommaso Ventre, con domicilio eletto presso l’avv. Angela Fiorentino in Roma, via E.Q. Visconti, 11,
per la riforma,
previa sospensione dell’esecutorietà,
della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 10126/14 in data 2 luglio - 2 ottobre 2014, notificata in data 12 novembre 2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellato signor -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 843 del 25 febbraio 2015, con la quale è stata accolta l’istanza cautelare ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22, comma 8, del decreto legislativo 30 giugno 2003, nr. 196;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 maggio 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Ventre per l’appellato e l’avv. dello Stato Elefante per l’Amministrazione appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero della Difesa ha impugnato – chiedendone la riforma previa sospensione dell’efficacia – la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, provvedendo sul ricorso proposto dal signor -OMISSIS-, lo ha ritenuto fondato e precisamente:
- ha riconosciuto il diritto del ricorrente a percepire il trattamento retributivo previsto per il periodo dal 30 settembre 2005 al 2 giugno 2008, pari alla durata dell’illegittima interruzione del rapporto di impiego (come già accertato con sentenza del T.A.R. della Campania nr. 16215 del 2007);
- ha condannato l’Amministrazione resistente al relativo pagamento nonché al risarcimento del danno moralmente patito.
A sostegno dell’appello, l’Amministrazione ha dedotto, con unico articolato motivo: infondatezza del ricorso di primo grado e conseguente illegittimità della sentenza; violazione dell’art. 2, comma 7, del d.m. 18 aprile 2002 (atteso che all’atto del giudizio di inidoneità a suo tempo riportato il ricorrente in primo grado non percepiva alcuna retribuzione, e non essendo assimilabile la fattispecie all’esame a illegittima interruzione del rapporto di impiego).
Si è costituito l’appellato, signor -OMISSIS-, il quale ha dedotto nel senso della infondatezza della prospettazione di parte appellante, ribadendo la spettanza dell’integrale restitutio in integrum del rapporto medesimo e delle competenze retributive relative al periodo di illegittima interruzione del rapporto.
Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2015, questa Sezione ha accolto la domanda cautelare di parte appellante ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55, comma 10, cod. proc. amm.
All’udienza pubblica del 19 maggio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il presente giudizio attiene al transito nei ruoli civili dell’Amministrazione della Difesa del signor -OMISSIS-, già caporal maggiore dell’Esercito in servizio permanente dal 1999, che aveva presentato la relativa istanza essendo stato dichiarato permanentemente non idoneo al servizio militare.
La Direzione Generale per il Personale Civile della menzionata Amministrazione ha respinto l’istanza di transito, ed ha quindi adottato il decreto dirigenziale nr. DGPM/II/7/11^/…/2006 recante la destituzione dal servizio (a decorrere dal 22 agosto 2005) e il collocamento in congedo assoluto stante la non idoneità fisica al servizio allo scadere del periodo massimo di aspettativa fruibile in un quinquennio.
2. Il signor -OMISSIS- ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. della Campania per l’annullamento dei provvedimenti di reiezione dell’istanza di transito e di destituzione dal servizio.
Il giudice adìto ha accolto il ricorso ed annullato gli atti impugnati con sentenza, non appellata, in esecuzione della quale è stato autorizzato il transito del ricorrente nelle corrispondenti aree funzionali civili del Ministero della Difesa.
Tuttavia, per ottenere l’attuazione del giudicato, l’interessato è stato costretto a presentare ricorso in ottemperanza al T.A.R. partenopeo, e solo in tale sede il transito si è perfezionato, in data 3 giugno 2008, con la sottoscrizione del relativo contratto di lavoro.
3. Successivamente, l’istante ha agito per ottenere la retribuzione a titolo di restitutio in integrum per il periodo dal 30 settembre 2005 al 2 giugno 2008 (corrispondente a quello goduto con l’allora ricoperto grado di primo caporal maggiore o a quello omologo dei ruoli civili) e il risarcimento dei danni, proponendo a tal fine ricorso innanzi al T.A.R. del Lazio.
Il giudice di prime cure ha accolto il ricorso, sulla base del principio secondo cui l’illegittima interruzione del rapporto di servizio, quando annullata in sede giurisdizionale come nel caso che qui occupa, comporta il ripristino del rapporto stesso in ogni aspetto compreso quello della retribuzione; l’Amministrazione è stata quindi condannata alla liquidazione di tutte le somme corrispondenti al trattamento retributivo goduto a far data dal 30 settembre 2005 e fino al 2 giugno 2008, maggiorate degli interessi legali e della rivalutazione monetaria fino all’effettivo soddisfo.
4. La predetta sentenza è oggetto dell’odierno appello da parte del Ministero della Difesa.
5. La ricostruzione in fatto che precede, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
6. Ciò premesso, l’appello si appalesa infondato e va conseguentemente respinto.
7. Ed invero, a sostegno della propria tesi, l’Amministrazione appellante fa richiamo a un precedente della Sezione, relativo ad un caso analogo a quello qui all’esame, nel quale è stata sottolineata la diversità degli effetti che conseguono alla declaratoria di illegittimità, da un lato, di un provvedimento di diniego di assunzione, e dall’altro, di un provvedimento di destituzione dal servizio: mentre nella prima ipotesi la decisione non comporta la retroattività degli effetti economici, in quella di illegittima destituzione dal servizio la restitutio inintegrum nei confronti del dipendente comporta il diritto alla piena reintegrazione anche sotto il profilo economico, con conseguente diritto alla retribuzione per il periodo di lavoro non prestato.
Seguendo tale impostazione, l’Amministrazione ritiene di aver correttamente applicato le norme contenute nell’art. 2, comma 7, del d.m. 18 aprile 2002, che rimanda al trattamento economico goduto all’atto del giudizio di non idoneità l’individuazione delle somme dovute per il periodo intercorrente tra la domanda e l’effettivo transito; l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure, sostiene l’Amministrazione appellante, sta nel non aver considerato che alcuna prestazione lavorativa era svolta dal signor -OMISSIS- nel periodo preso in considerazione ai fini della rivendicata corresponsione degli stipendi (e, pertanto, nulla poteva essergli corrisposto anche nel periodo intermedio).
7.1. La Sezione è però dell’avviso che il richiamo della giurisprudenza in materia di illegittimo diniego di assunzione non sia pertinente alla fattispecie in esame.
Infatti, il transito nei ruoli civili del personale militare dichiarato permanentemente inabile al servizio, ai sensi dell’art. 14, comma 5, della legge 28 luglio 1999, nr. 266, per consolidata giurisprudenza, configura una fattispecie peculiare di trasferimento interno alla medesima amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2009, nr. 1598), formando oggetto di un vero e proprio diritto soggettivo dell’interessato, la cui attuazione è subordinata soltanto all’accertamento tecnico-discrezionale della C.M.O. sull’idoneità fisica e psichica al servizio e che non può essere negato per altre e diverse ragioni (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, nr. 4127; id., 6 novembre 2009, nr. 6951; id., 31 luglio 2009, nr. 4864; id., 31 dicembre 2007, nr. 6825).
Ne consegue che il predetto transito non è assimilabile a una nuova assunzione, postulando al contrario la continuità del rapporto di impiego e ponendosi come ordinaria (ancorché rimessa a una opzione dell’interessato) prosecuzione dello stesso: pertanto, risulta del tutto condivisibile il richiamo fatto dal primo giudice ai principi in tema di illegittima interruzione del rapporto lavorativo, il cui annullamento comporta la riviviscenza del rapporto stesso nella sua pienezza (c.d. effetto ripristinatorio) quale si svolgeva e avrebbe dovuto svolgersi, in modo da riconoscere una piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente.
7.2. Sotto diverso profilo, non appare condivisibile la doglianza di violazione dell’art. 2, comma 7, del citato d.m. 18 aprile 2002, disposizione il cui richiamo è a sua volta inconferente.
Infatti, essa è specificamente riferita alla sola fase interlocutoria delle determinazioni dell’Amministrazione sulla domanda di transito, disciplinando il trattamento da corrispondere al dipendente per il periodo intercorrente fra la domanda di transito nei ruoli civili ed il transito effettivo; nella specie, invece, trattasi di vicenda diversa, afferente a illegittimo diniego del transito richiesto, e nella quale quindi il problema non era quello di individuare la retribuzione da corrispondere per uno spatium temporis circoscritto quale è quello corrispondente al procedimento di transito, ma di reintegrare il ricorrente di quanto dovutogli per una soluzione di continuità sinedie del rapporto d’impiego.
Ne discende l’inconferenza anche dell’ulteriore argomentazione dell’Amministrazione appellante secondo cui il parametro di riferimento ex art. 2, comma 7, era da ritenersi comunque pari a zero, avendo subito l’istante le progressive decurtazioni della retribuzione ai sensi dell’art. 26 della legge 5 maggio 1976, nr. 187: argomentazione la quale peraltro, oltre a essere contestata in fatto da controparte (avendo l’appellato assunto di aver percepito la propria retribuzione piena fino alla data del proprio collocamento in congedo), porterebbe ad effetti irragionevolmente penalizzanti per il dipendente il quale, avendo verosimilmente subito le dette decurtazioni a causa dei periodi di congedo per malattia cumulati prima della dichiarazione di inidoneità, vedrebbe sempre computata la retribuzione spettantegli per il periodo intermedio su una base ridotta (se non pari addirittura a zero).
In ogni caso, la questione della corretta interpretazione da dare della disposizione de qua esula dal perimetro del presente giudizio, stante l’evidenziata improprietà del richiamo normativo compiuto dall’Amministrazione.
8. In conclusione, alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di reiezione dell’appello e di conferma della sentenza impugnata.
Le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 cod. proc. civ., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (cfr. ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, nr. 3260 e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, nr. 7663); gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione, e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
9. La peculiarità e relativa novità della questione esaminata giustificano la integrale compensazione delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/06/2015
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