perdita del grado per rimozione....
perdita del grado per rimozione....
Messaggio da Rovinatissimo »
Salve a tutti, volevo porre un quesito per ciò che mi è accaduto. Sono stato congedato causa "perdita del grado per rimozione" dovuto ad uno spiacevole e recidivo problema di droga, in poche parole nel 2010 sono stato beccato e mi hanno dato 3 mesi di sospensione. Nel 2012 stessa cosa, solo che pochi giorni fa mi hanno notificato con decreto la " perdita del grado per rimozione", Immaginate come sono combinato con il mutuo da pagare la moglie che non lavora ecc..... Sapreste darmi un consiglio su eventuali comportamenti da adottare e/o dritte per un eventuale ricorso?
Re: perdita del grado per rimozione....
Messaggio da army68 »
Avresti dovuto far tesoro della prima esperienza...........ovvero la prima volta ti hanno voluto bene, ma se poi sei recidivo il discorso cambia. non voglio affossarti, ma credo ke non ci sia niente da fare, impugnare la decisione ti farebbe spendere solamente altri soldi, visto le argomentazioni, l'avvocatura ti darebbe sicuramente torto, sicuramente se questo reato e' stato compiuto da personale in s.p.e., pure tu pero'.........Rovinatissimo ha scritto:Salve a tutti, volevo porre un quesito per ciò che mi è accaduto. Sono stato congedato causa "perdita del grado per rimozione" dovuto ad uno spiacevole e recidivo problema di droga, in poche parole nel 2010 sono stato beccato e mi hanno dato 3 mesi di sospensione. Nel 2012 stessa cosa, solo che pochi giorni fa mi hanno notificato con decreto la " perdita del grado per rimozione", Immaginate come sono combinato con il mutuo da pagare la moglie che non lavora ecc..... Sapreste darmi un consiglio su eventuali comportamenti da adottare e/o dritte per un eventuale ricorso?
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Re: perdita del grado per rimozione....
Messaggio da Carminiello »
Anche io nn voglio demoralizzarti, ma nn vedo vie d'uscita vista la reciditività. Evita di spendere soldi inutilmente e cerca di risollevarti, x te e per la tua famiglia.
In bocca al lupo
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Re: perdita del grado per rimozione....
Messaggio da antonio61 »
Ciao army68, in materia sono un esperto e quindi ti consiglio di contattarmi telefonicamente perché la procedura da spiegare è lunga e complessa.
Re: perdita del grado per rimozione....
1) - Recupero somme erogate (euro 29.711,65) a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza, a seguito della sospensione del trattamento pensionistico, nonché la determinazione dell’INPS di Alessandria, ex gestione INPDAP, del 6 giugno 2013, con cui si dispone la sospensione della pensione del ricorrente.
2) - Secondo quanto risulta dal foglio matricolare e dalla documentazione in atti, il ricorrente, già maresciallo dei Carabinieri , sospeso precauzionalmente dall’impiego nel 2006, ai sensi degli artt. 19 e 20 della L. n. 599/1954, e nel 2007, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97/2001, poi riammesso in servizio, veniva, con D.M. 5 agosto 2008 n. 2391, collocato in congedo assoluto per infermità a decorrere dal 7 marzo 2008.
3) - Con sentenza del 12 giugno 2009 il ricorrente veniva condannato per peculato continuato con concorso, sentenza confermata, salva la rideterminazione della pena, dalla Corte di cassazione nel 2012, e gli era inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni due.
4) - Con decreto del Ministero della Difesa 30 gennaio 2013 n. 73 veniva disposta, a decorrere dal 7 marzo 2008, data del congedo, la “perdita del grado” ai sensi degli artt. 866 comma 1 e 867 comma 5 del D.lgs. n. 66/2010.
5) - L’Amministrazione dava quindi applicazione all’art. 923 comma 5 dello stesso D.lgs., in base al quale, in caso di perdita del grado sopravvenuta alla cessazione dal servizio, questa si considera avvenuta per tale causa, e verificava la mancanza dell’anzianità utile a pensione.
LA CORTE DEI CONTI DEL PIEMONTE (Torino) scrive:
6) - In sede di discussione orale, la difesa del ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato i suddetti argomenti ed ha richiamato gli artt. 1 e 2 della L. n. 424/1966, a suo avviso applicabili nella fattispecie, ai sensi dei quali sono abrogate le disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza, e ne impongono il ripristino.
7) - Il ricorrente, all’atto del congedo, dunque sapeva (o doveva sapere) che, essendo sottoposto a procedimento penale, rischiava di incorrere nella perdita del grado, con tutte le conseguenze che ne potevano derivare sul piano giuridico, laddove, su tale piano, assuma rilievo il titolo del congedo.
- ) - Tra queste non può che rientrare anche il computo dell’anzianità utile al conseguimento della pensione.
8) - Questo, con un con un’età di 51 anni e anzianità, al 7 marzo 2008, di anni 34 e mesi 7 non possiede i requisiti minimi, contributivi e di età anagrafica, previsti dalla normativa in materia (cfr., per il personale militare, l’art. 6 del D.lgs n. 165/1997, che rimanda all’art. 1 commi 25,26,27 e 29 della L. n. 335/1995): manca quindi, alla data del congedo, dell’anzianità necessaria per l’accesso alla pensione.
Ricorso PERSO, quindi leggete il tutto qui sotto, non omettendo di leggere quanto da me indicato sopra ai punti n. 7 e 8.
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PIEMONTE SENTENZA 21 25/02/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 21 2014 PENSIONI 25/02/2014
SENT. N. 21/14
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica nella persona del Giudice Unico Primo Ref. Dott. Walter Berruti, quale Magistrato a ciò delegato ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della Legge 21 luglio 2000 n. 205, come modificato dall’art. 42, comma 1, della Legge 18 giugno 2009 n. 69, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio in materia di pensioni militari iscritto al nr. 19291/M del Registro di Segreteria, promosso da N. F., ……, rappresentato e difeso dall’Avv. V. G., C.F. ……., con domicilio eletto presso lo studio di questi in Alessandria, P.tta S. Lucia n. 1;
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI , Centro Nazionale Amministrativo di Chieti;
e contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione ex INPDAP, Sede di Alessandria, in persona del Presidente e legale rappresentante, rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio RUTA (OMISSIS), Michela FOTI (OMISSIS) e Patrizia SANGUINETI (OMISSIS) dell’Ufficio legale dell’Istituto, come da procura generale ad lites conferita per atto del notaio Paolo Castellini, rep. 77882/19525 del 16.2.2012 e rep. 77928/19549 del 12 marzo 2012, con loro elettivamente domiciliato in Torino, Via Arcivescovado n. 9;
per l’annullamento
o la revoca del provvedimento del citato Comando generale n. 176537LA/4-6-PNP dell’8 aprile 2013, recante “Recupero somme erogate (euro 29.711,65) a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza, a seguito della sospensione del trattamento pensionistico, nonché la determinazione dell’INPS di Alessandria, ex gestione INPDAP, n. 10020 del 6 giugno 2013, con cui si dispone la sospensione della pensione del ricorrente, e atti presupposti, connessi e conseguenti;
nonché per l’accertamento
del diritto del ricorrente a percepire il trattamento pensionistico concesso per inidoneità assoluta al servizio prima del provvedimento di perdita del grado e del conseguente diritto agli arretrati maggiorati di interessi e rivalutazione, sollevata, eventualmente, la questione di costituzionalità dell’art. 923, comma 5 del D.lgs. n. 66/2010 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.;
Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione;
Uditi, alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014, per l’INPS l’Avv. Giorgio Ruta e per il ricorrente l’Avv. V. G.;
Ritenuto in
FATTO
Secondo quanto risulta dal foglio matricolare e dalla documentazione in atti, il ricorrente, già maresciallo dei Carabinieri , sospeso precauzionalmente dall’impiego nel 2006, ai sensi degli artt. 19 e 20 della L. n. 599/1954, e nel 2007, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97/2001, poi riammesso in servizio, veniva, con D.M. 5 agosto 2008 n. 2391, collocato in congedo assoluto per infermità a decorrere dal 7 marzo 2008, sulla scorta dell’accertamento medico legale della competente Commissione medica del Dipartimento militare di medicina legale di Torino del 7 marzo 2008 che lo dichiarava “non idoneo permanentemente al servizio militare e d’istituto in modo assoluto e da collocare in congedo assoluto. Reimpiegabile nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile dell’A.D. (legge 266/99) allo stato degli atti l’inabilità è determinata in misura prevalente da infermità/lesioni che ai fini del riconoscimento della dcs risultano non dipendenti”.
Al medesimo veniva quindi riconosciuta la pensione di anzianità (erogata in via provvisoria) ai sensi della normativa anteriore alla L. n. 335/1995. Infatti, quanto alle pensioni di anzianità, il D.lgs. n. 165/1997 (art. 6) e la L. n. 449/1997 (art. 59) richiedono un periodo di servizio utile maggiore di quello posseduto dal ricorrente. Ciò era possibile in considerazione dell’infermità quale causa di cessazione dal servizio, ai sensi dell’art. 1, comma 32 della L. n. 335/1995, che stabilisce che le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e di decorrenza dei trattamenti pensionistici di anzianità continuano a trovare applicazione nei casi di cessazione dal servizio per invalidità, derivanti o meno da cause di servizio.
Con sentenza del 12 giugno 2009 il ricorrente veniva condannato per peculato continuato con concorso, sentenza confermata, salva la rideterminazione della pena, dalla Corte di cassazione nel 2012, e gli era inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni due.
Con decreto del Ministero della Difesa 30 gennaio 2013 n. 73 veniva disposta, a decorrere dal 7 marzo 2008, data del congedo, la “perdita del grado” ai sensi degli artt. 866 comma 1 e 867 comma 5 del D.lgs. n. 66/2010.
L’Amministrazione dava quindi applicazione all’art. 923 comma 5 dello stesso D.lgs., in base al quale, in caso di perdita del grado sopravvenuta alla cessazione dal servizio, questa si considera avvenuta per tale causa, e verificava la mancanza dell’anzianità utile a pensione. Infatti, mutando la causa di cessazione dal servizio, dall’infermità alla perdita del grado, non poteva più applicarsi la disciplina transitoria dettata dal citato art. 1, comma 32 della L. n. 335/1995. Seguivano quindi i provvedimenti di sospensione della pensione provvisoria e di recupero di indebito gravati dal ricorrente con le epigrafate conclusioni.
Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Centro nazionale amministrativo si è costituito in data 10 ottobre 2013 depositando dettagliata memoria e documentazione.
L'INPS ha depositato il fascicolo amministrativo e, in data 18 ottobre 2013, memoria di costituzione in giudizio.
Entrambe le Amministrazioni hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza di questa Sezione del 25 ottobre 2013 n. 25 è stata accolta l’istanza cautelare avanzata con il ricorso.
Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 le parti presenti hanno insistito e concluso come in atti.
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della citata causa.
Considerato in
DIRITTO
1. La questione oggetto del presente giudizio attiene alla valutazione, ai fini del riconoscimento del diritto all’attribuzione del trattamento pensionistico, della sussistenza dei requisiti fissati dalla normativa di settore nell’ipotesi di applicazione della causa di cessazione dal servizio per “perdita del grado” nei confronti del militare già collocato in congedo per infermità e, pertanto, se siano legittimi la sospensione, ai fini della successiva revoca, del trattamento di pensione già concesso a seguito di congedo per infermità, per il sopravvenuto mutamento della causa di cessazione dall’impiego e il conseguente venir meno dei requisiti previsti dalla normativa di settore, nonché il recupero, nei confronti del pensionato, del corrispondente indebito maturato. Occorre, in altri termini, stabilire gli effetti, ai fini del riconoscimento e della permanenza del diritto al trattamento pensionistico di anzianità, della sopravvenuta modifica della causa di cessazione dal servizio da “riforma per infermità” a “perdita del grado per rimozione” in conseguenza di condanna penale divenuta irrevocabile e, dunque, se la cessazione dal servizio per “perdita del grado” abbia effetti retroattivi e vincolanti sul diritto a pensione.
2. Il ricorrente non contesta la descritta ricostruzione in fatto, ma, citando a supporto alcune decisioni di Sezioni territoriali di questa Corte, obietta, sotto il profilo giuridico, che:
- il sopravvenuto provvedimento di perdita del grado rimarrebbe irrilevante agli effetti pensionistici una volta acquisito il diritto a pensione, in quanto i relativi presupposti restano cristallizzati, e, pertanto, intangibili, al momento del collocamento in congedo,
- quest’ultimo è avvenuto nel regime anteriore al D.lgs. n. 66/2010, sotto la vigenza del combinato disposto dell’art. 1 comma 32 della L. n. 335/1995 (che fa salve, per l’accesso alla pensione di anzianità, le disposizioni previgenti) e gli artt. 28-29 della L. n. 599/1954, disciplinante il precedente ordinamento militare, a mente dei quali, in caso di cessazione per infermità sono sufficienti venti anni di servizio per conseguire la pensione (art. 28, lett. a);
- l’art. 2186 del nuovo ordinamento militare (D.lgs. n. 66/2010 cit.) fa salvi gli atti e i provvedimenti emanati, nonché i diritti acquisiti sulla base della normativa antecedente, stabilisce che le nuove disposizioni non possono produrre effetti peggiorativi sul trattamento economico e previdenziale del personale del comparto sicurezza e difesa;
- il seguente art. 2187 dispone che i procedimenti in corso rimangano disciplinati dalla previgente normativa;
- l’applicazione dell’art. 923, comma 5 del D.lgs. n. 66 cit. al caso di specie, inciderebbe retroattivamente, su un diritto previdenziale già riconosciuto, ponendosi in contrasto con l’art. 38 Cost. in quanto priverebbe il ricorrente, già riconosciuto inabile al servizio militare, di pensione e di stipendio e, dunque, di mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Inoltre, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai lavoratori privati, in violazione dell’art. 3 Cost.;
- dovrebbero comunque trovare applicazione le norme e i principi che escludono la ripetibilità dei ratei di pensione corrisposti in conseguenza della modifica o revoca del provvedimento sul trattamento di quiescenza (cfr. art. 206 D.P.R. n. 1092/1973) e della buona fede del percipiente.
In sede di discussione orale, la difesa del ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato i suddetti argomenti ed ha richiamato gli artt. 1 e 2 della L. n. 424/1966, a suo avviso applicabili nella fattispecie, ai sensi dei quali sono abrogate le disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza, e ne impongono il ripristino.
3. Per quanto qui interessa, l’art. 867, comma 5 del Codice dell’ordinamento militare (di cui al D.lgs. n. 66/2010, che ha sostituito la L. n. 599/1954) dispone che: “la perdita del grado decorre dalla data di cessazione dal servizio, ovvero, ai soli fini giuridici, dalla data di applicazione della sospensione precauzionale, se sotto tale data, risulta pendente un procedimento penale o disciplinare che si conclude successivamente con la perdita del grado, salvo che il militare sia stato riammesso in servizio”. Il successivo art. 923, dopo aver elencato le cause di cessazione del rapporto di impiego del militare, fra cui infermità e perdita del grado, prevede, al comma 5, che: “il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica una delle predette cause, anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa”.
Tale norma non è nuova, invero già la L. n. 599/1954, all’art. 37, analogamente, disponeva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previsto dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
Il caso in esame ricade perfettamente nell’ambito di tale dettato normativo: il ricorrente, infatti, è stato congedato mentre nei suoi confronti era pendente procedimento penale, procedimento che si è poi concluso con una sentenza che ha comportato la perdita del grado. Pertanto la cessazione dal servizio è stata considerata avvenuta per tale causa e con la medesima decorrenza con cui era stata disposta.
Il ricorrente, all’atto del congedo, dunque sapeva (o doveva sapere) che, essendo sottoposto a procedimento penale, rischiava di incorrere nella perdita del grado, con tutte le conseguenze che ne potevano derivare sul piano giuridico, laddove, su tale piano, assuma rilievo il titolo del congedo. Tra queste non può che rientrare anche il computo dell’anzianità utile al conseguimento della pensione.
In una fattispecie analoga alla presente, la Sez. III d’appello di questa Corte (cfr. sent. n. 5 del 9 gennaio 2013) ha affermato che: “Né si comprende per quale motivo, qualora intervenga perdita del grado, la cessazione dal servizio non debba intendersi intervenuta per tale causa anche ai fini pensionistici : è evidente che, in tale circostanza, vengono meno le ragioni che hanno indotto il legislatore, nei casi di cessazione dal servizio per invalidità, a derogare espressamente, con il citato art. 1, comma 32, l. n. 335/95, alla nuova disciplina in materia di requisiti di accesso e decorrenza dei trattamenti pensionistici .
Opera quindi, in presenza di perdita del grado, una sostituzione ope legis, coerente con la valenza latamente sanzionatoria del più volte menzionato art. 37 (norma oggi contenuta nell’art. 923 comma 5 D.lgs. n. 66/2010 cit.), di tale causa con qualsiasi altro motivo di cessazione, anche temporalmente antecedente, come nel caso di specie” , pervenendo alla conclusione che: “Il principio di rilevanza del titolo della perdita di grado agli effetti pensionistici , mai abrogato, trova invece esplicita conferma nel menzionato art. 923 d.lgs. n. 66/2010”.
Tali principi, così chiaramente enunciati da giurisprudenza di secondo grado e già condivisi da questa Sezione (cfr. sent. n. 178 del 23 dicembre 2013), appaiono pienamente aderenti al quadro normativo recato dalla disciplina dell’ordinamento militare, pur nella sua evoluzione, che, come detto, sul punto presenta un sostanziale continuum normativo.
4. Ne consegue, essendo il titolo della cessazione dal servizio non più l’infermità, ma la perdita del grado, che a tale effetto prevale, ex lege, sulla prima, che non opera la norma dell’art. 1 comma 32 della L. n. 335 cit., la quale in via transitoria consente l’applicazione delle norme previgenti più favorevoli ai cessati per infermità, e che va valutata alla stregua delle norme ormai applicabili alla generalità dei lavoratori la situazione del ricorrente. Questo, con un con un’età di 51 anni e anzianità, al 7 marzo 2008, di anni 34 e mesi 7 (cfr. la memoria del Comando generale, non contestata sul punto) non possiede i requisiti minimi, contributivi e di età anagrafica, previsti dalla normativa in materia (cfr., per il personale militare, l’art. 6 del D.lgs n. 165/1997, che rimanda all’art. 1 commi 25,26,27 e 29 della L. n. 335/1995): manca quindi, alla data del congedo, dell’anzianità necessaria per l’accesso alla pensione.
5. Nella specie non vi è, quindi, alcun diritto acquisito da tutelare, dal momento che è la legge che prevede, in caso di congedo in pendenza di procedimento penale, che questo possa mutare il proprio titolo. Così come, per le stesse ragioni, si è al di fuori delle ipotesi di perdita della pensione quale conseguenza diretta di condanne penali di cui alla L. n. 424/1966, invocata dal ricorrente. Infatti quest’ultimo non può esser privato di ciò cui non aveva diritto in base alle norme che fissano, in via generale, i requisiti di anzianità necessari per l’accesso alla pensione.
6. Manifestamente infondati sono, poi, i dubbi di costituzionalità della normativa in discorso sollevati dal ricorrente. Questi non è, infatti, privato della tutela che la legge riserva ai lavoratori inabili, concorrendone ovviamente i requisiti , anche di contribuzione, previsti. Non va poi dimenticato, in proposito, che il medesimo, come detto, è stato dichiarato non idoneo al servizio militare, ma reimpiegabile nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile dell’Amministrazione della Difesa.
La differente disciplina dell’ordinamento militare rispetto al quello del lavoro privato, infine, non è affatto irragionevole, in considerazione dei peculiari valori che informano il primo, cui il ricorrente ha prestato volontaria adesione sanzionata con il giuramento.
7. Trattandosi di difetto, ab origine, del diritto a pensione, non ricorre l’ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza di cui all’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 cit. e non è opponibile alcun affidamento incolpevole del ricorrente, sottoposto, al momento della cessazione dal servizio, a procedimento penale per un reato dal quale è derivata la perdita del grado. Trovano pertanto integrale applicazione le regole sulla ripetibilità dell’indebito oggettivo.
8. Il ricorso va quindi integralmente respinto perché infondato.
9. Le spese, tuttavia, in considerazione della non univocità della giurisprudenza di primo grado, possono essere compensate.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte,
RESPINGE
il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Torino, il 18 febbraio 2014.
IL GIUDICE
(F.to Dott. Walter Berruti)
Depositata in Segreteria il 25 febbraio 2014
Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)
2) - Secondo quanto risulta dal foglio matricolare e dalla documentazione in atti, il ricorrente, già maresciallo dei Carabinieri , sospeso precauzionalmente dall’impiego nel 2006, ai sensi degli artt. 19 e 20 della L. n. 599/1954, e nel 2007, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97/2001, poi riammesso in servizio, veniva, con D.M. 5 agosto 2008 n. 2391, collocato in congedo assoluto per infermità a decorrere dal 7 marzo 2008.
3) - Con sentenza del 12 giugno 2009 il ricorrente veniva condannato per peculato continuato con concorso, sentenza confermata, salva la rideterminazione della pena, dalla Corte di cassazione nel 2012, e gli era inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni due.
4) - Con decreto del Ministero della Difesa 30 gennaio 2013 n. 73 veniva disposta, a decorrere dal 7 marzo 2008, data del congedo, la “perdita del grado” ai sensi degli artt. 866 comma 1 e 867 comma 5 del D.lgs. n. 66/2010.
5) - L’Amministrazione dava quindi applicazione all’art. 923 comma 5 dello stesso D.lgs., in base al quale, in caso di perdita del grado sopravvenuta alla cessazione dal servizio, questa si considera avvenuta per tale causa, e verificava la mancanza dell’anzianità utile a pensione.
LA CORTE DEI CONTI DEL PIEMONTE (Torino) scrive:
6) - In sede di discussione orale, la difesa del ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato i suddetti argomenti ed ha richiamato gli artt. 1 e 2 della L. n. 424/1966, a suo avviso applicabili nella fattispecie, ai sensi dei quali sono abrogate le disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza, e ne impongono il ripristino.
7) - Il ricorrente, all’atto del congedo, dunque sapeva (o doveva sapere) che, essendo sottoposto a procedimento penale, rischiava di incorrere nella perdita del grado, con tutte le conseguenze che ne potevano derivare sul piano giuridico, laddove, su tale piano, assuma rilievo il titolo del congedo.
- ) - Tra queste non può che rientrare anche il computo dell’anzianità utile al conseguimento della pensione.
8) - Questo, con un con un’età di 51 anni e anzianità, al 7 marzo 2008, di anni 34 e mesi 7 non possiede i requisiti minimi, contributivi e di età anagrafica, previsti dalla normativa in materia (cfr., per il personale militare, l’art. 6 del D.lgs n. 165/1997, che rimanda all’art. 1 commi 25,26,27 e 29 della L. n. 335/1995): manca quindi, alla data del congedo, dell’anzianità necessaria per l’accesso alla pensione.
Ricorso PERSO, quindi leggete il tutto qui sotto, non omettendo di leggere quanto da me indicato sopra ai punti n. 7 e 8.
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PIEMONTE SENTENZA 21 25/02/2014
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
PIEMONTE SENTENZA 21 2014 PENSIONI 25/02/2014
SENT. N. 21/14
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE
PER LA REGIONE PIEMONTE
in composizione monocratica nella persona del Giudice Unico Primo Ref. Dott. Walter Berruti, quale Magistrato a ciò delegato ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della Legge 21 luglio 2000 n. 205, come modificato dall’art. 42, comma 1, della Legge 18 giugno 2009 n. 69, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio in materia di pensioni militari iscritto al nr. 19291/M del Registro di Segreteria, promosso da N. F., ……, rappresentato e difeso dall’Avv. V. G., C.F. ……., con domicilio eletto presso lo studio di questi in Alessandria, P.tta S. Lucia n. 1;
contro
MINISTERO DELLA DIFESA, COMANDO GENERALE DELL’ARMA DEI CARABINIERI , Centro Nazionale Amministrativo di Chieti;
e contro
INPS – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – Gestione ex INPDAP, Sede di Alessandria, in persona del Presidente e legale rappresentante, rappresentato e difeso anche disgiuntamente, dagli avv.ti Giorgio RUTA (OMISSIS), Michela FOTI (OMISSIS) e Patrizia SANGUINETI (OMISSIS) dell’Ufficio legale dell’Istituto, come da procura generale ad lites conferita per atto del notaio Paolo Castellini, rep. 77882/19525 del 16.2.2012 e rep. 77928/19549 del 12 marzo 2012, con loro elettivamente domiciliato in Torino, Via Arcivescovado n. 9;
per l’annullamento
o la revoca del provvedimento del citato Comando generale n. 176537LA/4-6-PNP dell’8 aprile 2013, recante “Recupero somme erogate (euro 29.711,65) a titolo di trattamento economico di attività e di quiescenza, a seguito della sospensione del trattamento pensionistico, nonché la determinazione dell’INPS di Alessandria, ex gestione INPDAP, n. 10020 del 6 giugno 2013, con cui si dispone la sospensione della pensione del ricorrente, e atti presupposti, connessi e conseguenti;
nonché per l’accertamento
del diritto del ricorrente a percepire il trattamento pensionistico concesso per inidoneità assoluta al servizio prima del provvedimento di perdita del grado e del conseguente diritto agli arretrati maggiorati di interessi e rivalutazione, sollevata, eventualmente, la questione di costituzionalità dell’art. 923, comma 5 del D.lgs. n. 66/2010 per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.;
Visto il decreto con il quale è stata fissata l’odierna udienza di discussione;
Uditi, alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014, per l’INPS l’Avv. Giorgio Ruta e per il ricorrente l’Avv. V. G.;
Ritenuto in
FATTO
Secondo quanto risulta dal foglio matricolare e dalla documentazione in atti, il ricorrente, già maresciallo dei Carabinieri , sospeso precauzionalmente dall’impiego nel 2006, ai sensi degli artt. 19 e 20 della L. n. 599/1954, e nel 2007, ai sensi dell’art. 4 della L. n. 97/2001, poi riammesso in servizio, veniva, con D.M. 5 agosto 2008 n. 2391, collocato in congedo assoluto per infermità a decorrere dal 7 marzo 2008, sulla scorta dell’accertamento medico legale della competente Commissione medica del Dipartimento militare di medicina legale di Torino del 7 marzo 2008 che lo dichiarava “non idoneo permanentemente al servizio militare e d’istituto in modo assoluto e da collocare in congedo assoluto. Reimpiegabile nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile dell’A.D. (legge 266/99) allo stato degli atti l’inabilità è determinata in misura prevalente da infermità/lesioni che ai fini del riconoscimento della dcs risultano non dipendenti”.
Al medesimo veniva quindi riconosciuta la pensione di anzianità (erogata in via provvisoria) ai sensi della normativa anteriore alla L. n. 335/1995. Infatti, quanto alle pensioni di anzianità, il D.lgs. n. 165/1997 (art. 6) e la L. n. 449/1997 (art. 59) richiedono un periodo di servizio utile maggiore di quello posseduto dal ricorrente. Ciò era possibile in considerazione dell’infermità quale causa di cessazione dal servizio, ai sensi dell’art. 1, comma 32 della L. n. 335/1995, che stabilisce che le previgenti disposizioni in materia di requisiti di accesso e di decorrenza dei trattamenti pensionistici di anzianità continuano a trovare applicazione nei casi di cessazione dal servizio per invalidità, derivanti o meno da cause di servizio.
Con sentenza del 12 giugno 2009 il ricorrente veniva condannato per peculato continuato con concorso, sentenza confermata, salva la rideterminazione della pena, dalla Corte di cassazione nel 2012, e gli era inflitta la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per anni due.
Con decreto del Ministero della Difesa 30 gennaio 2013 n. 73 veniva disposta, a decorrere dal 7 marzo 2008, data del congedo, la “perdita del grado” ai sensi degli artt. 866 comma 1 e 867 comma 5 del D.lgs. n. 66/2010.
L’Amministrazione dava quindi applicazione all’art. 923 comma 5 dello stesso D.lgs., in base al quale, in caso di perdita del grado sopravvenuta alla cessazione dal servizio, questa si considera avvenuta per tale causa, e verificava la mancanza dell’anzianità utile a pensione. Infatti, mutando la causa di cessazione dal servizio, dall’infermità alla perdita del grado, non poteva più applicarsi la disciplina transitoria dettata dal citato art. 1, comma 32 della L. n. 335/1995. Seguivano quindi i provvedimenti di sospensione della pensione provvisoria e di recupero di indebito gravati dal ricorrente con le epigrafate conclusioni.
Il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Centro nazionale amministrativo si è costituito in data 10 ottobre 2013 depositando dettagliata memoria e documentazione.
L'INPS ha depositato il fascicolo amministrativo e, in data 18 ottobre 2013, memoria di costituzione in giudizio.
Entrambe le Amministrazioni hanno chiesto il rigetto del ricorso.
Con ordinanza di questa Sezione del 25 ottobre 2013 n. 25 è stata accolta l’istanza cautelare avanzata con il ricorso.
Alla pubblica udienza del 18 febbraio 2014 le parti presenti hanno insistito e concluso come in atti.
Esaminati gli atti ed i documenti tutti della citata causa.
Considerato in
DIRITTO
1. La questione oggetto del presente giudizio attiene alla valutazione, ai fini del riconoscimento del diritto all’attribuzione del trattamento pensionistico, della sussistenza dei requisiti fissati dalla normativa di settore nell’ipotesi di applicazione della causa di cessazione dal servizio per “perdita del grado” nei confronti del militare già collocato in congedo per infermità e, pertanto, se siano legittimi la sospensione, ai fini della successiva revoca, del trattamento di pensione già concesso a seguito di congedo per infermità, per il sopravvenuto mutamento della causa di cessazione dall’impiego e il conseguente venir meno dei requisiti previsti dalla normativa di settore, nonché il recupero, nei confronti del pensionato, del corrispondente indebito maturato. Occorre, in altri termini, stabilire gli effetti, ai fini del riconoscimento e della permanenza del diritto al trattamento pensionistico di anzianità, della sopravvenuta modifica della causa di cessazione dal servizio da “riforma per infermità” a “perdita del grado per rimozione” in conseguenza di condanna penale divenuta irrevocabile e, dunque, se la cessazione dal servizio per “perdita del grado” abbia effetti retroattivi e vincolanti sul diritto a pensione.
2. Il ricorrente non contesta la descritta ricostruzione in fatto, ma, citando a supporto alcune decisioni di Sezioni territoriali di questa Corte, obietta, sotto il profilo giuridico, che:
- il sopravvenuto provvedimento di perdita del grado rimarrebbe irrilevante agli effetti pensionistici una volta acquisito il diritto a pensione, in quanto i relativi presupposti restano cristallizzati, e, pertanto, intangibili, al momento del collocamento in congedo,
- quest’ultimo è avvenuto nel regime anteriore al D.lgs. n. 66/2010, sotto la vigenza del combinato disposto dell’art. 1 comma 32 della L. n. 335/1995 (che fa salve, per l’accesso alla pensione di anzianità, le disposizioni previgenti) e gli artt. 28-29 della L. n. 599/1954, disciplinante il precedente ordinamento militare, a mente dei quali, in caso di cessazione per infermità sono sufficienti venti anni di servizio per conseguire la pensione (art. 28, lett. a);
- l’art. 2186 del nuovo ordinamento militare (D.lgs. n. 66/2010 cit.) fa salvi gli atti e i provvedimenti emanati, nonché i diritti acquisiti sulla base della normativa antecedente, stabilisce che le nuove disposizioni non possono produrre effetti peggiorativi sul trattamento economico e previdenziale del personale del comparto sicurezza e difesa;
- il seguente art. 2187 dispone che i procedimenti in corso rimangano disciplinati dalla previgente normativa;
- l’applicazione dell’art. 923, comma 5 del D.lgs. n. 66 cit. al caso di specie, inciderebbe retroattivamente, su un diritto previdenziale già riconosciuto, ponendosi in contrasto con l’art. 38 Cost. in quanto priverebbe il ricorrente, già riconosciuto inabile al servizio militare, di pensione e di stipendio e, dunque, di mezzi adeguati alle sue esigenze di vita. Inoltre, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai lavoratori privati, in violazione dell’art. 3 Cost.;
- dovrebbero comunque trovare applicazione le norme e i principi che escludono la ripetibilità dei ratei di pensione corrisposti in conseguenza della modifica o revoca del provvedimento sul trattamento di quiescenza (cfr. art. 206 D.P.R. n. 1092/1973) e della buona fede del percipiente.
In sede di discussione orale, la difesa del ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato i suddetti argomenti ed ha richiamato gli artt. 1 e 2 della L. n. 424/1966, a suo avviso applicabili nella fattispecie, ai sensi dei quali sono abrogate le disposizioni che prevedono, a seguito di condanna penale o di provvedimento disciplinare, la riduzione o la sospensione del diritto del dipendente dello Stato o di altro Ente pubblico al conseguimento e al godimento della pensione e di ogni altro assegno od indennità da liquidarsi in conseguenza della cessazione del rapporto di dipendenza, e ne impongono il ripristino.
3. Per quanto qui interessa, l’art. 867, comma 5 del Codice dell’ordinamento militare (di cui al D.lgs. n. 66/2010, che ha sostituito la L. n. 599/1954) dispone che: “la perdita del grado decorre dalla data di cessazione dal servizio, ovvero, ai soli fini giuridici, dalla data di applicazione della sospensione precauzionale, se sotto tale data, risulta pendente un procedimento penale o disciplinare che si conclude successivamente con la perdita del grado, salvo che il militare sia stato riammesso in servizio”. Il successivo art. 923, dopo aver elencato le cause di cessazione del rapporto di impiego del militare, fra cui infermità e perdita del grado, prevede, al comma 5, che: “il militare cessa dal servizio, nel momento in cui nei suoi riguardi si verifica una delle predette cause, anche se si trova sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento di perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa”.
Tale norma non è nuova, invero già la L. n. 599/1954, all’art. 37, analogamente, disponeva che “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previsto dal presente capo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che importi la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
Il caso in esame ricade perfettamente nell’ambito di tale dettato normativo: il ricorrente, infatti, è stato congedato mentre nei suoi confronti era pendente procedimento penale, procedimento che si è poi concluso con una sentenza che ha comportato la perdita del grado. Pertanto la cessazione dal servizio è stata considerata avvenuta per tale causa e con la medesima decorrenza con cui era stata disposta.
Il ricorrente, all’atto del congedo, dunque sapeva (o doveva sapere) che, essendo sottoposto a procedimento penale, rischiava di incorrere nella perdita del grado, con tutte le conseguenze che ne potevano derivare sul piano giuridico, laddove, su tale piano, assuma rilievo il titolo del congedo. Tra queste non può che rientrare anche il computo dell’anzianità utile al conseguimento della pensione.
In una fattispecie analoga alla presente, la Sez. III d’appello di questa Corte (cfr. sent. n. 5 del 9 gennaio 2013) ha affermato che: “Né si comprende per quale motivo, qualora intervenga perdita del grado, la cessazione dal servizio non debba intendersi intervenuta per tale causa anche ai fini pensionistici : è evidente che, in tale circostanza, vengono meno le ragioni che hanno indotto il legislatore, nei casi di cessazione dal servizio per invalidità, a derogare espressamente, con il citato art. 1, comma 32, l. n. 335/95, alla nuova disciplina in materia di requisiti di accesso e decorrenza dei trattamenti pensionistici .
Opera quindi, in presenza di perdita del grado, una sostituzione ope legis, coerente con la valenza latamente sanzionatoria del più volte menzionato art. 37 (norma oggi contenuta nell’art. 923 comma 5 D.lgs. n. 66/2010 cit.), di tale causa con qualsiasi altro motivo di cessazione, anche temporalmente antecedente, come nel caso di specie” , pervenendo alla conclusione che: “Il principio di rilevanza del titolo della perdita di grado agli effetti pensionistici , mai abrogato, trova invece esplicita conferma nel menzionato art. 923 d.lgs. n. 66/2010”.
Tali principi, così chiaramente enunciati da giurisprudenza di secondo grado e già condivisi da questa Sezione (cfr. sent. n. 178 del 23 dicembre 2013), appaiono pienamente aderenti al quadro normativo recato dalla disciplina dell’ordinamento militare, pur nella sua evoluzione, che, come detto, sul punto presenta un sostanziale continuum normativo.
4. Ne consegue, essendo il titolo della cessazione dal servizio non più l’infermità, ma la perdita del grado, che a tale effetto prevale, ex lege, sulla prima, che non opera la norma dell’art. 1 comma 32 della L. n. 335 cit., la quale in via transitoria consente l’applicazione delle norme previgenti più favorevoli ai cessati per infermità, e che va valutata alla stregua delle norme ormai applicabili alla generalità dei lavoratori la situazione del ricorrente. Questo, con un con un’età di 51 anni e anzianità, al 7 marzo 2008, di anni 34 e mesi 7 (cfr. la memoria del Comando generale, non contestata sul punto) non possiede i requisiti minimi, contributivi e di età anagrafica, previsti dalla normativa in materia (cfr., per il personale militare, l’art. 6 del D.lgs n. 165/1997, che rimanda all’art. 1 commi 25,26,27 e 29 della L. n. 335/1995): manca quindi, alla data del congedo, dell’anzianità necessaria per l’accesso alla pensione.
5. Nella specie non vi è, quindi, alcun diritto acquisito da tutelare, dal momento che è la legge che prevede, in caso di congedo in pendenza di procedimento penale, che questo possa mutare il proprio titolo. Così come, per le stesse ragioni, si è al di fuori delle ipotesi di perdita della pensione quale conseguenza diretta di condanne penali di cui alla L. n. 424/1966, invocata dal ricorrente. Infatti quest’ultimo non può esser privato di ciò cui non aveva diritto in base alle norme che fissano, in via generale, i requisiti di anzianità necessari per l’accesso alla pensione.
6. Manifestamente infondati sono, poi, i dubbi di costituzionalità della normativa in discorso sollevati dal ricorrente. Questi non è, infatti, privato della tutela che la legge riserva ai lavoratori inabili, concorrendone ovviamente i requisiti , anche di contribuzione, previsti. Non va poi dimenticato, in proposito, che il medesimo, come detto, è stato dichiarato non idoneo al servizio militare, ma reimpiegabile nelle corrispondenti aree funzionali del personale civile dell’Amministrazione della Difesa.
La differente disciplina dell’ordinamento militare rispetto al quello del lavoro privato, infine, non è affatto irragionevole, in considerazione dei peculiari valori che informano il primo, cui il ricorrente ha prestato volontaria adesione sanzionata con il giuramento.
7. Trattandosi di difetto, ab origine, del diritto a pensione, non ricorre l’ipotesi di revoca o modifica del provvedimento definitivo sul trattamento di quiescenza di cui all’art. 206 D.P.R. n. 1092/1973 cit. e non è opponibile alcun affidamento incolpevole del ricorrente, sottoposto, al momento della cessazione dal servizio, a procedimento penale per un reato dal quale è derivata la perdita del grado. Trovano pertanto integrale applicazione le regole sulla ripetibilità dell’indebito oggettivo.
8. Il ricorso va quindi integralmente respinto perché infondato.
9. Le spese, tuttavia, in considerazione della non univocità della giurisprudenza di primo grado, possono essere compensate.
P.Q.M.
la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte,
RESPINGE
il ricorso.
Compensa le spese.
Così deciso in Torino, il 18 febbraio 2014.
IL GIUDICE
(F.to Dott. Walter Berruti)
Depositata in Segreteria il 25 febbraio 2014
Il Direttore della Segreteria
(F.to Antonio Cinque)
Re: perdita del grado per rimozione....
Circolare n° M_D GMIL1 II 5 1 0451154 datata 11 dicembre 2012
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Re: perdita del grado per rimozione....
Messaggio da fulmineacielsereno »
Ciao qualora ti occorresse:Rovinatissimo ha scritto:Salve a tutti, volevo porre un quesito per ciò che mi è accaduto. Sono stato congedato causa "perdita del grado per rimozione" dovuto ad uno spiacevole e recidivo problema di droga, in poche parole nel 2010 sono stato beccato e mi hanno dato 3 mesi di sospensione. Nel 2012 stessa cosa, solo che pochi giorni fa mi hanno notificato con decreto la " perdita del grado per rimozione", Immaginate come sono combinato con il mutuo da pagare la moglie che non lavora ecc..... Sapreste darmi un consiglio su eventuali comportamenti da adottare e/o dritte per un eventuale ricorso?
Ok riforma, pensione di invalidità, tfr e sopraggiunge eventuale condanna con interdizione non perpetua pertanto licenziamento quindi ti richiedono la restituzione delle mensilità della pensione.
Mi faccio trovare con i soli vestiti senza nulla intestato ma ho letto la circolare 31/2006 dell'INPS che, come commenta un avvocato, stabilisce:
La prima vera norma di sistema sull’indebito è costituita
dall’art. 52, legge n. 88/1989 che, abrogando
di fatto l’art. 80 cit., nella sua formulazione iniziale
prevede, senza alcun limite temporale, l’impossibilità
del recupero dei ratei di pensione erogati per errore
e quindi indebitamente riscossi salva l’imputabilità
dell’indebita percezione al dolo dell’interessato.
Il mancato recupero delle somme può essere addebitato
al funzionario responsabile soltanto in
caso di dolo o colpa grave.
L’ampia tutela concessa all’accipiens subisce una
certa contrazione ad opera dell’art. 13, legge n.
412/1991, norma dichiaratasi di interpretazione
autentica dell’art. 52 cit.
L’irripetibilità è subordinata a due precisi requisiti:
a) la corresponsione delle somme in base ad un
provvedimento definitivo formalmente comunicato
al pensionato;
b) la insussistenza del dolo dell’interessato, consistente
anche nella omessa o incompleta segnalazione di
fatti incidenti sul diritto o sullamisura della pensione.
In generale, quindi, in presenza di una situazione di
fatto non addebitabile al percettore della prestazione
pensionistica, la ripetizione è esclusa, essendo
inoltre irrilevante lo stato di buona o mala fede
dell’accipiens (salve le ipotesi di dolo). La stessa Corte
Costituzionale (sentenza n. 166/1996) esclude la
possibilità di ripetizione di trattamenti indebiti
quando la erogazione non sia addebitabile al percettore.
La maggior attenzione è rivolta
quindi alla tutela dell’affidamento del
pensionato, e la deroga è prevista solo
in caso di falsità delle dichiarazioni indirizzate
all’Istituto (sempre che il percettore
non dimostri che tale falsità non
sia ascrivibile a dolo ma a colpa).
fulmineacielsereno
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