Sono un pubblico ufficiale, mi sono sempre domandato cosa potrebbe accadere ad un pubblico ufficiale che, a seguito di un fatto reato, venga condannato ad una pena superiore a quattro anni di reclusione con conseguente congedamento dal corpo. Avrebbe diritto alla pensione? quali requisiti dovrebbe riunire, in particolare quanti anni di servizio dovrebbe aver maturato? C'è differenza se il fatto retato sia doloso o colposo? Quali norme regolano la materia? Mi viene in mente la vicenda di qualche anno fa che vedeva coinvolto un agente della Polizia Strale che esplose un colpo d'arma da fuoco sull'autostrada.
Si ringrazia.
CONGEDO A SEGUITO DI CONDANNA PENALE
Moderatore: Avv. Giorgio Carta
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Re: CONGEDO A SEGUITO DI CONDANNA PENALE
Messaggio da Roberto Mandarino »
Le allego questa sentenza, trovata su internet, che penso possa interessarle.
Saluti Roberto Mandarino
-------
Sent. 504/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia
nella persona del consigliere Luisa Motolese
Visto il T.U. delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modifiche ed integrazioni;
Visti gli artt. 1 e 6 del Decreto Legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni nella Legge 14 gennaio 1994, n. 19;
Visto l’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205;
Visti gli artt. 131, 132, 420, 421, 429, 430 e 431 c.p.c., nonché l’art. 26 del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti di cui al R.D. 13 agosto 1933, n. 1038;
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Esaminati gli atti ed i documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 9.07.2009 il consigliere relatore e le parti costituite, come da verbale d’udienza;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 16137 del registro di segreteria sul ricorso proposto dal signor XXXXXXXXXXXX, ex dipendente del Comando Regione Carabinieri Lombardia, per vedersi riconoscere il diritto al trattamento di quiescenza da parte dell’Amministrazione datoriale;
Esaminati tutti gli atti ed i documenti di causa con particolare riferimento alla memoria difensiva predisposta dal Comando Regione Carabinieri Lombardia assunto a protocollo in data 13 novembre 2008;
Svolgimento del processo
Il ricorrente, nato il XXXX 1960 in XXXXXX, ha prestato servizio permanente nei Carabinieri, conseguendo il grado di vicebrigadiere.
Arruolato il 7.11.1978 il ricorrente è stato collocato in congedo assoluto il 20.02.2001 per inidoneità permanente al servizio militare e nei carabinieri in modo assoluto, a causa di infermità accertata e dichiarata dalla CMO presso l’Ospedale Militare di Milano.
Già in precedenza il ricorrente aveva fruito di alcuni periodi di aspettativa per infermità.
In data 3.1.2001 il sig.XXXXXXX è stato sospeso cautelarmente dall’impiego, perché tratto in arresto, ai sensi dell’art. 20, comma II della legge 31.7.1954 n. 599, con diritto all’assegno alimentare ex art. 23 della medesima legge.
Come già rappresentato, in data 20.2.1001 il sig.XXXXXX è stato posto in congedo definitivamente a seguito dell’accertamento medico sopra menzionato.
Nel gravame l’istante, tramite il proprio difensore, ha rappresentato che dalla data del congedo l’Amministrazione datoriale non ha erogato alcun trattamento di pensione.
Allegato in atti vi è il modella P.L.I./ protocollo n. 9958 che contiene in alto a sinistra del frontespizio la dicitura “non ha diritto a pensione”, con il quale il Comando Regione Carabinieri Lombardia ha trasmesso il progetto di liquidazione dell’indennità di buonuscita, corredato di copia aggiornata dello stato di servizio (attestante 21 anni, 8 mesi, 21 giorni di servizio effettivo).
Il sig. XXXXXXXXX ha quindi proposto ricorso innanzi questa Corte, previa adozione del provvedimento cautelare, per l’annullamento della determinazione come sopra citata e per l’accertamento del proprio diritto al trattamento di quiescenza e per la conseguente condanna dell’Amministrazione militare al pagamento dei ratei di pensione dovuti a decorrere dal 20.2.2001, aumentati di rivalutazione monetaria e degli interessi dal dovuto al soddisfo.
Nel ricorso il sig. XXXXXXXXX ha confutato tale diniego rappresentando come l’Amministrazione non abbia fornito alcuna motivazione.
Ha altresì richiamato la normativa applicabile alla fattispecie in esame: l’art. 29 della legge n. 599 del 1954 dispone: “il sottufficiale divenuto permanentemente inabile al servizio cessa dallo stesso ed è collocato in congedo assoluto allorchè si tratti di infermità totalmente invalidante”. Il comma III aggiunge che “se trattasi di infermità non proveniente da causa di servizio al sottufficiale si applicano le disposizioni di cui alle lettere a) b) e c) dell’art. 28. Il sottufficiale che ha 20 anni o più anni di servizio consegue la pensione a norma delle vigenti disposizioni, se ha meno di 20 anni, ma 15 o più anni di servizio utile di cui 12 di servizio effettivo, consegue la pensione considerato come se avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo”.
Il difensore ha poi proseguito rappresentando che il periodo di sospensione cautelare dall’impiego patito non ha inciso sulla maturazione del diritto a pensione ai sensi dell’art. 23, comma II della citata legge n. 599/54, ricordando che essendo la sospensione cautelare del sig.XXXXXX durata dal 3 gennaio al 19 febbraio 2001, questa è stata ininfluente sul periodo minimo utile alla pensione ex art. 28 citato.
Il legale ha concluso evidenziando come la privazione della pensione sia in evidente grave contrasto con il principio di ordine generale sancito dall’art. 38 della Costituzione, in virtù del quale il lavoratore inidoneo al lavoro ha diritto a che gli siano assicurati mezzi adeguati a far fonte alle sue esigenze di vita.
La domanda di sospensione del provvedimento oggetto del ricorso è stata respinta – come risulta dagli atti di causa – con ordinanza n. 305/02, adottata da questa Corte nella camera di consiglio del 23 maggio 2002.
Il Collegio all’uopo costituito ha, infatti ritenuto che “non sussistono nella specie entrambi i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora) per l’adozione del provvedimento cautelare richiesto.”
Il giudice allora designato per l’udienza nel merito in data 15.10.2002 – posto che l’INPDAP nel costituirsi in giudizio ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva – ha disposto con ordinanza l’adozione del provvedimento negativo unitamente alle deduzioni in fatto ed in diritto.
L’amministrazione convenuta, come risulta dal fascicolo processuale , solamente in data 12 maggio, protocollata in data 18.05.2004 – dopo svariati solleciti – ha trasmesso una breve nota al riguardo.
Da quest’ultima e da altre comunicazioni intervenute successivamente, in particolare con la nota in data 7 giugno 2007, in ottemperanza a specifica richiesta giudiziale, l’Amministrazione Militare ha inviato copia delle sentenze relative al procedimento penale ed il Decreto n 0188/2006 con il quale il Ministero della Difesa ha disposto la perdita del grado nei confronti di parte ricorrente.
Si è appreso così che l’ attuale ricorrente , tratto in arresto come si è accennato, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Forlì con sentenza n°119/02, emessa in data 21.02.2002 (condanna a 4 anni e mesi 11 di reclusione e €. 45.000 di multa, oltre alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici….perchè colpevole del reato, continuato di spaccio di sostanze stupefacenti).
La condanna di primo grado è stata confermata parzialmente dalla Corte di Appello di Bologna – Prima Sezione Penale – con sentenza depositata in data 25.03.2003, e la pena è stata ridotta a 4 anni e 2 mesi di reclusione e €. 30.000 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Risulta altresì che anche il ricorso in Cassazione e’ stato respinto con sentenza n 33750 /05 e condanna alle spese processuali.
Dalle sentenze menzionate – come si è visto – il Vice Brigadiere XXXXXXX viene individuato come “abituale fornitore di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, per tali reati è stato condannato ai sensi dell’art. 81 c.p.v. C.P: e art. 73, 1° comma D.P.R. 309/90.
Per la gravità dei fatti posti in essere, così sanzionati, con decreto del Ministero della Difesa in data 14 giugno 2006 – allo stesso è stata inflitta – a far data dal 20.2.2001 – “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.”
Il giudice allora designato aveva infatti richiesto e sollecitato con più ordinanze l’acquisizione di tali provvedimenti, proprio perché propedeutici alla risoluzione della controversia.
Non si poteva che attendere la conclusione del procedimento penale e di quello disciplinare .Qualora infatti l’ esito , in sede penale , fosse risultato diverso e migliore (se fosse stato assolto), il XXXXXXX avrebbe senza dubbio avuto diritto alla ricostruzione di carriera ed al trattamento pensionistico .
Questo giudice, a sua volta succeduto al precedente, ha necessariamente richiesto, dopo l’ allegazione in atti delle sentenze penali, ulteriori specificazioni sulla normativa applicabile (alla stregua anche dei motivi aggiunti rappresentati dal legale del ricorrente in data 5 marzo 2007 che avevano formato gia’ oggetto di apposita ordinanza da parte del primo giudice nonche’ della complessita’ della pensionistica militare) e solamente con nota, assunta a protocollo in data 13 novembre 2008 - in relazione all’ordinanza istruttoria n. 220/08 del 28 ottobre 2008 – il Comando Regione Carabinieri, per la prima volta, sia pure sinteticamente, ha esposto le ragioni del diniego, fornendo finalmente i riferimenti normativi necessari al giudice per delibare, ed allegato la circolare INPDAP n. 14/97.
L’amministrazione Militare, con la nota sopramenzionata, ha concluso chiedendo il rigetto del gravame poiché infondato alla stregua della normativa sopravvenuta e della circolare INPDAP citata n. 14/97.
La causa è stata inscritta a nuovo ruolo e discussa nella pubblica odierna udienza.
La difesa attrice si è riportata agli atti scritti in particolare alla memoria ultima del 29 giugno 2009, chiedendo l’accoglimento del gravame mentre l’Amministrazione convenuta ha, a sua volta, chiesto il rigetto della domanda.
La causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
In via preliminare si procede a dichiarare il difetto di legittimazione passiva eccepito (con nota del 18.02.2009) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze poiché, come ricordato dallo stesso Dicastero, le competenze già proprie delle Direzioni provinciali del Tesoro in materia di gestione e pagamento delle pensioni dei dipendenti civili e militari dello stato, sono state trasferite all’INPDAP, per effetto dell’art. 4 del Decreto legislativo n. 479/94 e della legge 1995 n. 335.
Quanto all’INPDAP, trattandosi di un Ente che normalmente riveste un ruolo, ancorchè di solo “ordinatore secondario di spesa”, nei procedimenti di liquidazione dei trattamenti pensionistici della Difesa, la legittimazione passiva di detto istituto non può comunque essere esclusa a priori, avendo riguardo alle questioni dipendenti dall’applicazione della normativa di settore.
Si passa quindi ad esaminare nel merito la controversia in esame.
Il giudizio all’esame di questo Giudice è incentrato essenzialmente sulla mancata erogazione del trattamento di pensione a favore dell’ex Vice Brigadiere XXXXXXXXX, collocato in congedo per riforma, già sospeso precauzionalmente dall’impiego ed oggetto di sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.
Si è visto nella parte in narrativa che la difesa di parte ricorrente ha invocato l’applicazione della normativa di cui alla legge n. 599 del 1954.
L’Amministrazione Militare, nella memoria difensiva in data 13 novembre 2008, ha richiamato altresì la normativa che disciplina la fattispecie all’esame, sopravvenuta ed attualmente applicabile.
Osserva questo giudicante che, come correttamente ricordato dall’Amministrazione Militare, la materia è regolata dalle seguenti norme: Art. 20, secondo comma, della legge citata n. 599/54, menzionato nel decreto di collocamento in congedo del sig.XXXXXXX n. 3900, che così recita: “Il sottufficiale sottoposto a procedimento penale per la cui imputazione possa derivare la perdita del grado o procedimento disciplinare, per fatti di notevole gravità, può essere sospeso precauzionalmente dall’impiego a tempo indeterminato, fino all’esito del procedimento penale o disciplinare”; art. 37 che recita altresì: “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente corpo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
Il sig.XXXXXXXXX, come si è visto nella parte in narrativa, è stato condannato; la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 504/2002 – divenuta esecutiva il 16.6.2005 a seguito di pronuncia della Suprema Corte di Cassazione – ha confermato sostanzialmente la sentenza di primo grado ed il medesimo è stato, all’esito del procedimento penale, sanzionato con la perdita del grado.
Alla data del 3.1.2001 – quando l’ex V. Brigadiere veniva sospeso – quest’ultimo vantava una anzianità contributiva (fra servizi effettivi ed utili) di anni 30, mesi 5 e giorni 11.
Il D.P.R. 29.dicembre 1973 n1092, art. 42 (i cui requisiti sono stati modificati dall’art. 8 del DLgs. 503/92, poi dall’art. 1, commi 25, 26, 27 della legga 1995 n. 335, e da ultimo – per cessazioni successive al 1997 – dall’art. 59, commi da 6 a 10 della legge 1997 n. 449, nonché il D.lgs. n. 165/97) così dispone:
“Il dipendente che cessa dal servizio per raggiungimento del limite d’età o per infermità non dipendente da causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto 15 anni di servizio effettivo. Nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e di ogni altro caso di cessazione dal servizio, il dipendente ha diritto alla pensione normale se ha compiuto 37 anni” (testo risultante dalla sopravvenuta normativa appena enunciata che ha modificato i requisiti per l’accesso a pensione; norme tutte finalizzate ad armonizzare il trattamento pensionistico del personale militare con i principi propri della pensionistica civile.).
In particolare si fa presente che da ultimo anche l’ art.6 del D.Lgs n° 197/2005 (sostitutivo dell’ art.14 bis del Dlgs 215/2001 ) , “ Disciplina della trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale , riproduce la formulazione censurata dal legale del sigXXXXXXX disponendo che:
La perdita del grado decorre :
nei casi di cui al comma 1 lettere e ed f (sentenza di condanna come per il caso in esame), se e’ gia intervenuta la cessazione del servizio , questa si considera , ad ogni effetto , avvenuta per perdita del grado mantenendo l’ originaria decorrenza.
Come si può notare, dal combinato disposto dalle disposizioni sopra enunciate il ricorrente, alla stregua di norme più antiche che non sono state modificate – e di altre intervenute negli anni novanta , propriamente nel biennio 95/97 – non aveva alla data del 2001, essendo incorso nella perdita del grado( la cui forza cogente determina la cessazione dal servizio , anche se gia’ avvenuta, unicamente per perdita del grado e con l’ originaria decorrenza ) – i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalle disposizioni citate (avrebbe dovuto avere 55 anni e 37 anni di contributi).
Ne consegue cosi’ alla stregua di quanto appena rappresentato che qualora il sig.XXXXXX fosse risultato fruitore di pensione, concessa dall’Amministrazione di appartenenza, la stessa sarebbe stata comunque revocata non appena intervenuta la perdita del grado.( e questo spiegherebbe la cautela dell’Amministrazione convenuta che gia in sede di liquidazione dell’ indennita’ di buonuscita vi provvedeva con il Mod . PLI e l’ intestazione in alto a sinistra “ NON HA DIRITTO A PENSIONE” )
Nei confronti del suddetto ricorrente l’Amministrazione militare quindi ha fatto applicazione del 2° comma dell’art. 42 T.U. n. 1092/73, così come modificato ed integrato dalle disposizioni normative successivamente intervenute.
A tal proposito la difesa attrice ha fatto rilevare per la prima volta, con memoria successiva al ricorso (propriamente nel marzo 2007 dopo la perdita del grado ) “che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 sopra menzionato, comma II, legge n. 599/1954 l’infermità accertata e dichiarata diventa una condizione irrilevante per un evento sopravvenuto che non cancella la malattia ma ne annulla gli effetti e quindi si pone in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.”
Le motivazioni ulteriori( sollevate dopo l’ inflizione della perdita del grado di cui questa Corte e’ venuta a conoscenza solo nel 2007 lo si ribadisce ) , rispetto all’ originario gravame , sono state da ultimo riproposte nella memoria depositata in data 29 giugno 2009 nella quale il patrono ha eccepito nuovamente l’ illegittimita’ costituzionale dell’ art.37, comma 2, l.n 599/1954, con riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, lì dove non dispone “salvo il caso in cui, durante la sospensione cautelare dall’impiego , sia sopravvenuta la cessazione dal servizio per inidoneita’ dipendente da malattia da causa di servizio.”
Osserva questo giudicante che le articolate considerazioni svolte al riguardo non possono trovare adeguata soddisfazione perché non rilevanti e non fondate per le ragioni che si procede ad esporre.
E’ noto che la perdita del quadro è causa di cessazione dal servizio permanente per tutte le categorie di militari e si basa sulla circostanza dell’impossibilità della prosecuzione del rapporto d’impiego da parte di un soggetto che rimosso dal grado non possiede più il profilo necessario professionale per il quale era stato arruolato, non potendo garantire quelle prestazioni professionali e di servizio richieste.
Osserva questo Giudicante che la gravità è tale per cui la norma che consente così il prevalere dell’evento sopravvenuto ( condanna e conseguente sanzione) rispetto alla causa infermità prioritariamente accertata ,non è caducata ; anzi il legislatore delegato in anni recenti ha nuovamente disposto, anche per i volontari di truppa in ferma e riafferma ,come gia indicato con il Dlgs n 197/2005, quanto censurato dalla difesa attrice.
E questo perche’ il Giudice delle leggi aveva gia’dato risposta a tali interrogativi.
Investita di questione di legittimità costituzionale agli inizi degli anni novanta per alcuni aspetti analoga a quella sub iudice, promossa proprio dalla Corte dei Conti con riferimento all’articolo 52, terzo comma, D.P.R. n. 1092/73 – che prevedeva il limite di 20 anni di servizio effettivo per conseguire il diritto a pensione del personale militare destituito, diversamente dalla disciplina anteriore che aveva riconosciuto tale diritto dopo 15 anni – la Corte Costituzionale ha
dichiarato infondata la questione.
La Suprema Corte ha ritenuto infatti che il legislatore delegato si sia adeguato ai principi di una disciplina che è tale da rendere valida la modifica al “rapporto di durata”, senza cioè che ne siano rimaste incise presunte vanificazioni di aspettative.
Anche in altra occasione la Suprema Corte aveva avuto modo di chiarire che le sanzioni inflitte finiscono per spiegare effetti indiretti sulla misura del trattamento pensionistico ma non comportano il venir meno dell’istituto ( Corte Costituzionale n° 3791 /1987)
Inconferente e’ altresi’ la menzione da parte della difesa attrice ad una sentenza della Corte Costituzionale, la n 323/2008, che concerne il termine quinquennale di decadenza per l’ inoltro della domanda di accertamento della dipendenza dell’ infermita’.
Dunque nella fattispecie all’esame la causa sopravvenuta, talmente riprovevole, prevale sulla precedente e diversa; ne consegue l’applicazione di una disciplina che modifica il rapporto di durata, ma conserva l’istituto nelle sue linee fondamentali, rendendo così il riconoscimento del diritto a pensione certamente più gravoso ma non facendone venire meno sostanzialmente il diritto.
Il legislatore dunque – secondo la suprema Corte- puo’, nell’esercizio della propria discrezionalita’ , modificare la durata e l’ entita’ della pensione senza metterne in discussione sostanzialmente il diritto.
Con la normativa come appena esposta il legislatore ha esteso a tutto il personale militare detto regime e le stesse norme si applicano anche al personale civile destituito ovvero incorso in ogni altro caso di cessazione dal servizio, diverso dal raggiungimento dei limiti d’eta’ o dall’ infermita’ non dipendente da causa di servizio .
Per le ragioni appena esposte il gravame va respinto perché infondato.
Attesa la complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Lombardia
come sopra rappresentata
RESPINGE
il gravame in epigrafe.
Spese compensate.
Così deciso in Milano il 9.07.2009.
IL GIUDICE
(Luisa Motolese)
Depositata in Segreteria il
Il Dirigente
Saluti Roberto Mandarino
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Sent. 504/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia
nella persona del consigliere Luisa Motolese
Visto il T.U. delle leggi sulla Corte dei Conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modifiche ed integrazioni;
Visti gli artt. 1 e 6 del Decreto Legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito con modificazioni nella Legge 14 gennaio 1994, n. 19;
Visto l’art. 5 della legge 21 luglio 2000, n. 205;
Visti gli artt. 131, 132, 420, 421, 429, 430 e 431 c.p.c., nonché l’art. 26 del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti di cui al R.D. 13 agosto 1933, n. 1038;
Visto l’atto introduttivo del giudizio;
Esaminati gli atti ed i documenti di causa;
Uditi alla pubblica udienza del 9.07.2009 il consigliere relatore e le parti costituite, come da verbale d’udienza;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio pensionistico iscritto al n. 16137 del registro di segreteria sul ricorso proposto dal signor XXXXXXXXXXXX, ex dipendente del Comando Regione Carabinieri Lombardia, per vedersi riconoscere il diritto al trattamento di quiescenza da parte dell’Amministrazione datoriale;
Esaminati tutti gli atti ed i documenti di causa con particolare riferimento alla memoria difensiva predisposta dal Comando Regione Carabinieri Lombardia assunto a protocollo in data 13 novembre 2008;
Svolgimento del processo
Il ricorrente, nato il XXXX 1960 in XXXXXX, ha prestato servizio permanente nei Carabinieri, conseguendo il grado di vicebrigadiere.
Arruolato il 7.11.1978 il ricorrente è stato collocato in congedo assoluto il 20.02.2001 per inidoneità permanente al servizio militare e nei carabinieri in modo assoluto, a causa di infermità accertata e dichiarata dalla CMO presso l’Ospedale Militare di Milano.
Già in precedenza il ricorrente aveva fruito di alcuni periodi di aspettativa per infermità.
In data 3.1.2001 il sig.XXXXXXX è stato sospeso cautelarmente dall’impiego, perché tratto in arresto, ai sensi dell’art. 20, comma II della legge 31.7.1954 n. 599, con diritto all’assegno alimentare ex art. 23 della medesima legge.
Come già rappresentato, in data 20.2.1001 il sig.XXXXXX è stato posto in congedo definitivamente a seguito dell’accertamento medico sopra menzionato.
Nel gravame l’istante, tramite il proprio difensore, ha rappresentato che dalla data del congedo l’Amministrazione datoriale non ha erogato alcun trattamento di pensione.
Allegato in atti vi è il modella P.L.I./ protocollo n. 9958 che contiene in alto a sinistra del frontespizio la dicitura “non ha diritto a pensione”, con il quale il Comando Regione Carabinieri Lombardia ha trasmesso il progetto di liquidazione dell’indennità di buonuscita, corredato di copia aggiornata dello stato di servizio (attestante 21 anni, 8 mesi, 21 giorni di servizio effettivo).
Il sig. XXXXXXXXX ha quindi proposto ricorso innanzi questa Corte, previa adozione del provvedimento cautelare, per l’annullamento della determinazione come sopra citata e per l’accertamento del proprio diritto al trattamento di quiescenza e per la conseguente condanna dell’Amministrazione militare al pagamento dei ratei di pensione dovuti a decorrere dal 20.2.2001, aumentati di rivalutazione monetaria e degli interessi dal dovuto al soddisfo.
Nel ricorso il sig. XXXXXXXXX ha confutato tale diniego rappresentando come l’Amministrazione non abbia fornito alcuna motivazione.
Ha altresì richiamato la normativa applicabile alla fattispecie in esame: l’art. 29 della legge n. 599 del 1954 dispone: “il sottufficiale divenuto permanentemente inabile al servizio cessa dallo stesso ed è collocato in congedo assoluto allorchè si tratti di infermità totalmente invalidante”. Il comma III aggiunge che “se trattasi di infermità non proveniente da causa di servizio al sottufficiale si applicano le disposizioni di cui alle lettere a) b) e c) dell’art. 28. Il sottufficiale che ha 20 anni o più anni di servizio consegue la pensione a norma delle vigenti disposizioni, se ha meno di 20 anni, ma 15 o più anni di servizio utile di cui 12 di servizio effettivo, consegue la pensione considerato come se avesse compiuto 20 anni di servizio effettivo”.
Il difensore ha poi proseguito rappresentando che il periodo di sospensione cautelare dall’impiego patito non ha inciso sulla maturazione del diritto a pensione ai sensi dell’art. 23, comma II della citata legge n. 599/54, ricordando che essendo la sospensione cautelare del sig.XXXXXX durata dal 3 gennaio al 19 febbraio 2001, questa è stata ininfluente sul periodo minimo utile alla pensione ex art. 28 citato.
Il legale ha concluso evidenziando come la privazione della pensione sia in evidente grave contrasto con il principio di ordine generale sancito dall’art. 38 della Costituzione, in virtù del quale il lavoratore inidoneo al lavoro ha diritto a che gli siano assicurati mezzi adeguati a far fonte alle sue esigenze di vita.
La domanda di sospensione del provvedimento oggetto del ricorso è stata respinta – come risulta dagli atti di causa – con ordinanza n. 305/02, adottata da questa Corte nella camera di consiglio del 23 maggio 2002.
Il Collegio all’uopo costituito ha, infatti ritenuto che “non sussistono nella specie entrambi i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora) per l’adozione del provvedimento cautelare richiesto.”
Il giudice allora designato per l’udienza nel merito in data 15.10.2002 – posto che l’INPDAP nel costituirsi in giudizio ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva – ha disposto con ordinanza l’adozione del provvedimento negativo unitamente alle deduzioni in fatto ed in diritto.
L’amministrazione convenuta, come risulta dal fascicolo processuale , solamente in data 12 maggio, protocollata in data 18.05.2004 – dopo svariati solleciti – ha trasmesso una breve nota al riguardo.
Da quest’ultima e da altre comunicazioni intervenute successivamente, in particolare con la nota in data 7 giugno 2007, in ottemperanza a specifica richiesta giudiziale, l’Amministrazione Militare ha inviato copia delle sentenze relative al procedimento penale ed il Decreto n 0188/2006 con il quale il Ministero della Difesa ha disposto la perdita del grado nei confronti di parte ricorrente.
Si è appreso così che l’ attuale ricorrente , tratto in arresto come si è accennato, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Forlì con sentenza n°119/02, emessa in data 21.02.2002 (condanna a 4 anni e mesi 11 di reclusione e €. 45.000 di multa, oltre alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici….perchè colpevole del reato, continuato di spaccio di sostanze stupefacenti).
La condanna di primo grado è stata confermata parzialmente dalla Corte di Appello di Bologna – Prima Sezione Penale – con sentenza depositata in data 25.03.2003, e la pena è stata ridotta a 4 anni e 2 mesi di reclusione e €. 30.000 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Risulta altresì che anche il ricorso in Cassazione e’ stato respinto con sentenza n 33750 /05 e condanna alle spese processuali.
Dalle sentenze menzionate – come si è visto – il Vice Brigadiere XXXXXXX viene individuato come “abituale fornitore di sostanze stupefacenti, in particolare cocaina, per tali reati è stato condannato ai sensi dell’art. 81 c.p.v. C.P: e art. 73, 1° comma D.P.R. 309/90.
Per la gravità dei fatti posti in essere, così sanzionati, con decreto del Ministero della Difesa in data 14 giugno 2006 – allo stesso è stata inflitta – a far data dal 20.2.2001 – “la perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.”
Il giudice allora designato aveva infatti richiesto e sollecitato con più ordinanze l’acquisizione di tali provvedimenti, proprio perché propedeutici alla risoluzione della controversia.
Non si poteva che attendere la conclusione del procedimento penale e di quello disciplinare .Qualora infatti l’ esito , in sede penale , fosse risultato diverso e migliore (se fosse stato assolto), il XXXXXXX avrebbe senza dubbio avuto diritto alla ricostruzione di carriera ed al trattamento pensionistico .
Questo giudice, a sua volta succeduto al precedente, ha necessariamente richiesto, dopo l’ allegazione in atti delle sentenze penali, ulteriori specificazioni sulla normativa applicabile (alla stregua anche dei motivi aggiunti rappresentati dal legale del ricorrente in data 5 marzo 2007 che avevano formato gia’ oggetto di apposita ordinanza da parte del primo giudice nonche’ della complessita’ della pensionistica militare) e solamente con nota, assunta a protocollo in data 13 novembre 2008 - in relazione all’ordinanza istruttoria n. 220/08 del 28 ottobre 2008 – il Comando Regione Carabinieri, per la prima volta, sia pure sinteticamente, ha esposto le ragioni del diniego, fornendo finalmente i riferimenti normativi necessari al giudice per delibare, ed allegato la circolare INPDAP n. 14/97.
L’amministrazione Militare, con la nota sopramenzionata, ha concluso chiedendo il rigetto del gravame poiché infondato alla stregua della normativa sopravvenuta e della circolare INPDAP citata n. 14/97.
La causa è stata inscritta a nuovo ruolo e discussa nella pubblica odierna udienza.
La difesa attrice si è riportata agli atti scritti in particolare alla memoria ultima del 29 giugno 2009, chiedendo l’accoglimento del gravame mentre l’Amministrazione convenuta ha, a sua volta, chiesto il rigetto della domanda.
La causa è stata quindi trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
In via preliminare si procede a dichiarare il difetto di legittimazione passiva eccepito (con nota del 18.02.2009) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze poiché, come ricordato dallo stesso Dicastero, le competenze già proprie delle Direzioni provinciali del Tesoro in materia di gestione e pagamento delle pensioni dei dipendenti civili e militari dello stato, sono state trasferite all’INPDAP, per effetto dell’art. 4 del Decreto legislativo n. 479/94 e della legge 1995 n. 335.
Quanto all’INPDAP, trattandosi di un Ente che normalmente riveste un ruolo, ancorchè di solo “ordinatore secondario di spesa”, nei procedimenti di liquidazione dei trattamenti pensionistici della Difesa, la legittimazione passiva di detto istituto non può comunque essere esclusa a priori, avendo riguardo alle questioni dipendenti dall’applicazione della normativa di settore.
Si passa quindi ad esaminare nel merito la controversia in esame.
Il giudizio all’esame di questo Giudice è incentrato essenzialmente sulla mancata erogazione del trattamento di pensione a favore dell’ex Vice Brigadiere XXXXXXXXX, collocato in congedo per riforma, già sospeso precauzionalmente dall’impiego ed oggetto di sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari.
Si è visto nella parte in narrativa che la difesa di parte ricorrente ha invocato l’applicazione della normativa di cui alla legge n. 599 del 1954.
L’Amministrazione Militare, nella memoria difensiva in data 13 novembre 2008, ha richiamato altresì la normativa che disciplina la fattispecie all’esame, sopravvenuta ed attualmente applicabile.
Osserva questo giudicante che, come correttamente ricordato dall’Amministrazione Militare, la materia è regolata dalle seguenti norme: Art. 20, secondo comma, della legge citata n. 599/54, menzionato nel decreto di collocamento in congedo del sig.XXXXXXX n. 3900, che così recita: “Il sottufficiale sottoposto a procedimento penale per la cui imputazione possa derivare la perdita del grado o procedimento disciplinare, per fatti di notevole gravità, può essere sospeso precauzionalmente dall’impiego a tempo indeterminato, fino all’esito del procedimento penale o disciplinare”; art. 37 che recita altresì: “Il sottufficiale, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente corpo, cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di Commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata disposta”.
Il sig.XXXXXXXXX, come si è visto nella parte in narrativa, è stato condannato; la Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 504/2002 – divenuta esecutiva il 16.6.2005 a seguito di pronuncia della Suprema Corte di Cassazione – ha confermato sostanzialmente la sentenza di primo grado ed il medesimo è stato, all’esito del procedimento penale, sanzionato con la perdita del grado.
Alla data del 3.1.2001 – quando l’ex V. Brigadiere veniva sospeso – quest’ultimo vantava una anzianità contributiva (fra servizi effettivi ed utili) di anni 30, mesi 5 e giorni 11.
Il D.P.R. 29.dicembre 1973 n1092, art. 42 (i cui requisiti sono stati modificati dall’art. 8 del DLgs. 503/92, poi dall’art. 1, commi 25, 26, 27 della legga 1995 n. 335, e da ultimo – per cessazioni successive al 1997 – dall’art. 59, commi da 6 a 10 della legge 1997 n. 449, nonché il D.lgs. n. 165/97) così dispone:
“Il dipendente che cessa dal servizio per raggiungimento del limite d’età o per infermità non dipendente da causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto 15 anni di servizio effettivo. Nei casi di dimissioni, di decadenza, di destituzione e di ogni altro caso di cessazione dal servizio, il dipendente ha diritto alla pensione normale se ha compiuto 37 anni” (testo risultante dalla sopravvenuta normativa appena enunciata che ha modificato i requisiti per l’accesso a pensione; norme tutte finalizzate ad armonizzare il trattamento pensionistico del personale militare con i principi propri della pensionistica civile.).
In particolare si fa presente che da ultimo anche l’ art.6 del D.Lgs n° 197/2005 (sostitutivo dell’ art.14 bis del Dlgs 215/2001 ) , “ Disciplina della trasformazione progressiva dello strumento militare in professionale , riproduce la formulazione censurata dal legale del sigXXXXXXX disponendo che:
La perdita del grado decorre :
nei casi di cui al comma 1 lettere e ed f (sentenza di condanna come per il caso in esame), se e’ gia intervenuta la cessazione del servizio , questa si considera , ad ogni effetto , avvenuta per perdita del grado mantenendo l’ originaria decorrenza.
Come si può notare, dal combinato disposto dalle disposizioni sopra enunciate il ricorrente, alla stregua di norme più antiche che non sono state modificate – e di altre intervenute negli anni novanta , propriamente nel biennio 95/97 – non aveva alla data del 2001, essendo incorso nella perdita del grado( la cui forza cogente determina la cessazione dal servizio , anche se gia’ avvenuta, unicamente per perdita del grado e con l’ originaria decorrenza ) – i requisiti anagrafici e contributivi previsti dalle disposizioni citate (avrebbe dovuto avere 55 anni e 37 anni di contributi).
Ne consegue cosi’ alla stregua di quanto appena rappresentato che qualora il sig.XXXXXX fosse risultato fruitore di pensione, concessa dall’Amministrazione di appartenenza, la stessa sarebbe stata comunque revocata non appena intervenuta la perdita del grado.( e questo spiegherebbe la cautela dell’Amministrazione convenuta che gia in sede di liquidazione dell’ indennita’ di buonuscita vi provvedeva con il Mod . PLI e l’ intestazione in alto a sinistra “ NON HA DIRITTO A PENSIONE” )
Nei confronti del suddetto ricorrente l’Amministrazione militare quindi ha fatto applicazione del 2° comma dell’art. 42 T.U. n. 1092/73, così come modificato ed integrato dalle disposizioni normative successivamente intervenute.
A tal proposito la difesa attrice ha fatto rilevare per la prima volta, con memoria successiva al ricorso (propriamente nel marzo 2007 dopo la perdita del grado ) “che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 37 sopra menzionato, comma II, legge n. 599/1954 l’infermità accertata e dichiarata diventa una condizione irrilevante per un evento sopravvenuto che non cancella la malattia ma ne annulla gli effetti e quindi si pone in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost.”
Le motivazioni ulteriori( sollevate dopo l’ inflizione della perdita del grado di cui questa Corte e’ venuta a conoscenza solo nel 2007 lo si ribadisce ) , rispetto all’ originario gravame , sono state da ultimo riproposte nella memoria depositata in data 29 giugno 2009 nella quale il patrono ha eccepito nuovamente l’ illegittimita’ costituzionale dell’ art.37, comma 2, l.n 599/1954, con riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, lì dove non dispone “salvo il caso in cui, durante la sospensione cautelare dall’impiego , sia sopravvenuta la cessazione dal servizio per inidoneita’ dipendente da malattia da causa di servizio.”
Osserva questo giudicante che le articolate considerazioni svolte al riguardo non possono trovare adeguata soddisfazione perché non rilevanti e non fondate per le ragioni che si procede ad esporre.
E’ noto che la perdita del quadro è causa di cessazione dal servizio permanente per tutte le categorie di militari e si basa sulla circostanza dell’impossibilità della prosecuzione del rapporto d’impiego da parte di un soggetto che rimosso dal grado non possiede più il profilo necessario professionale per il quale era stato arruolato, non potendo garantire quelle prestazioni professionali e di servizio richieste.
Osserva questo Giudicante che la gravità è tale per cui la norma che consente così il prevalere dell’evento sopravvenuto ( condanna e conseguente sanzione) rispetto alla causa infermità prioritariamente accertata ,non è caducata ; anzi il legislatore delegato in anni recenti ha nuovamente disposto, anche per i volontari di truppa in ferma e riafferma ,come gia indicato con il Dlgs n 197/2005, quanto censurato dalla difesa attrice.
E questo perche’ il Giudice delle leggi aveva gia’dato risposta a tali interrogativi.
Investita di questione di legittimità costituzionale agli inizi degli anni novanta per alcuni aspetti analoga a quella sub iudice, promossa proprio dalla Corte dei Conti con riferimento all’articolo 52, terzo comma, D.P.R. n. 1092/73 – che prevedeva il limite di 20 anni di servizio effettivo per conseguire il diritto a pensione del personale militare destituito, diversamente dalla disciplina anteriore che aveva riconosciuto tale diritto dopo 15 anni – la Corte Costituzionale ha
dichiarato infondata la questione.
La Suprema Corte ha ritenuto infatti che il legislatore delegato si sia adeguato ai principi di una disciplina che è tale da rendere valida la modifica al “rapporto di durata”, senza cioè che ne siano rimaste incise presunte vanificazioni di aspettative.
Anche in altra occasione la Suprema Corte aveva avuto modo di chiarire che le sanzioni inflitte finiscono per spiegare effetti indiretti sulla misura del trattamento pensionistico ma non comportano il venir meno dell’istituto ( Corte Costituzionale n° 3791 /1987)
Inconferente e’ altresi’ la menzione da parte della difesa attrice ad una sentenza della Corte Costituzionale, la n 323/2008, che concerne il termine quinquennale di decadenza per l’ inoltro della domanda di accertamento della dipendenza dell’ infermita’.
Dunque nella fattispecie all’esame la causa sopravvenuta, talmente riprovevole, prevale sulla precedente e diversa; ne consegue l’applicazione di una disciplina che modifica il rapporto di durata, ma conserva l’istituto nelle sue linee fondamentali, rendendo così il riconoscimento del diritto a pensione certamente più gravoso ma non facendone venire meno sostanzialmente il diritto.
Il legislatore dunque – secondo la suprema Corte- puo’, nell’esercizio della propria discrezionalita’ , modificare la durata e l’ entita’ della pensione senza metterne in discussione sostanzialmente il diritto.
Con la normativa come appena esposta il legislatore ha esteso a tutto il personale militare detto regime e le stesse norme si applicano anche al personale civile destituito ovvero incorso in ogni altro caso di cessazione dal servizio, diverso dal raggiungimento dei limiti d’eta’ o dall’ infermita’ non dipendente da causa di servizio .
Per le ragioni appena esposte il gravame va respinto perché infondato.
Attesa la complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
la Corte dei Conti
Sezione Giurisdizionale per la Lombardia
come sopra rappresentata
RESPINGE
il gravame in epigrafe.
Spese compensate.
Così deciso in Milano il 9.07.2009.
IL GIUDICE
(Luisa Motolese)
Depositata in Segreteria il
Il Dirigente
2.9.1963. Fa bene e scordati, fa male e pensaci.
- Avv. Giorgio Carta
- Professionista
- Messaggi: 2230
- Iscritto il: ven apr 03, 2009 9:14 am
Re: CONGEDO A SEGUITO DI CONDANNA PENALE
Messaggio da Avv. Giorgio Carta »
La commissione di un reato e la conseguente destituzione, eventualmente come conseguenza disciplinare del fatto medesimo, non influisce sul diritto alla pensione.
Questa, infatti, è considerata come un corrispettivo posticipato del lavoro svolto, onde non può essere revocato ex post, nemmeno se è scaturita sentenza peale di condanna.
Saluti,
Avv. Giorgio Carta
Questa, infatti, è considerata come un corrispettivo posticipato del lavoro svolto, onde non può essere revocato ex post, nemmeno se è scaturita sentenza peale di condanna.
Saluti,
Avv. Giorgio Carta
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