LEGGE 1O4/92

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Re: LEGGE 1O4/92

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- ) - tutti i pareri negativi espressi

- ) - preavviso di rigetto

- ) - provvedimento definitivo di rigetto della richiesta di trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, legge 104/92

1) - il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere il trasferimento ai sensi della legge n. 104/1992 per poter assistere la zia, portatrice di handicap in condizioni di gravità;

2) - le ragioni di tale determinazione consistono;
a) nel fatto che l’assistenza in questione può essere assicurata da due fratelli della predetta, residenti nella medesima località (circostanza evidenziata nel preavviso di rigetto e ritenuta non superata dalle osservazioni dell’interessato);
b) nella “deficitaria situazione organica del …… CC ……”, tenuto conto “della necessità, nell’interesse pubblico, di una gestione razionale e funzionale delle risorse, in relazione all’intero territorio nazionale”;

IL TAR CHIARISCE:

3) - che in relazione a quanto sopra l’esistenza di altri familiari che possono prestare la necessaria assistenza al congiunto portatore di handicap non costituisce causa ostativa all’accoglimento della domanda di trasferimento del dipendente (come dedotto nel secondo motivo di ricorso), al quale l’art. 33 comma 5 della legge n. 104/1992 riconosce il “diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere”;

4) - che l’inciso “ove possibile” rimette comunque all’Amministrazione il potere di valutare le esigenze del richiedente comparativamente con quelle di servizio, implicitamente riconoscendo la prevalenza di queste ultime, a condizione però che esse siano apprezzabili “in termini di oggettiva impossibilità di organizzare altrimenti il servizio stesso e non dipendere da scelte di semplice opportunità: diversamente opinando, finirebbe per essere svuotata dall’interno la portata stessa del precetto normativo, agevolmente aggirabile in nome della sempre immanente discrezionalità organizzativa di cui ciascuna amministrazione dispone” (così questa Sezione si è espressa nella sentenza breve 19 marzo 2013 n. 429);

5) - che nel caso in esame (come dedotto nel primo motivo di ricorso) l’Amministrazione ha fatto riferimento in termini del tutto generici a carenze organiche ed esigenze organizzative, prospettandole come ostative all’accoglimento della domanda di trasferimento presentata dal ricorrente;

IL TAR CONCLUDE CON:

6) - l’Amministrazione resistente deve pertanto riesaminare l’istanza di trasferimento del ricorrente facendo corretta applicazione delle disposizioni vigenti in materia, secondo quanto precedentemente illustrato;

Il resto giusto x completezza leggetelo qui sotto.
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20/11/2013 201301600 Sentenza Breve 1


N. 01600/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01537/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1537 del 2013, proposto dal sig. N. V., rappresentato e difeso dall'avv. M. P., con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. in Firenze, via Ricasoli 40;

contro
- Ministero della difesa in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distr.le dello Stato e domiciliat0 in Firenze, via degli Arazzieri 4;
- Comando generale dell'Arma dei Carabinieri;

per l'annullamento
- del provvedimento definitivo di rigetto della richiesta di trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, legge 104/92, prot. n. ……./T9-1-8 del 5.07.2013 notificato all'istante in data 12.07.2013;
- del preavviso di rigetto di cui alla nota prot. n. ……/T9-10;
- di tutti i pareri negativi espressi nonchè di qualsiasi altro atto preordinato, connesso o conseguente se ed in quanto lesivo degli interessi del ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2013 il dott. Carlo Testori e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Premesso:
- che con il provvedimento impugnato il Comando generale dell’Arma dei Carabinieri ha respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere il trasferimento ai sensi della legge n. 104/1992 per poter assistere la zia, portatrice di handicap in condizioni di gravità;

- che le ragioni di tale determinazione consistono; a) nel fatto che l’assistenza in questione può essere assicurata da due fratelli della predetta, residenti nella medesima località (circostanza evidenziata nel preavviso di rigetto e ritenuta non superata dalle osservazioni dell’interessato); b) nella “deficitaria situazione organica del …… CC ……”, tenuto conto “della necessità, nell’interesse pubblico, di una gestione razionale e funzionale delle risorse, in relazione all’intero territorio nazionale”;

Rilevato:

- che la formulazione dell’art. 33 della legge n. 104/1992 è stata profondamente modificata dall’art. 24 comma 1 della legge 4 novembre 2010 n. 183, specificamente per quanto riguarda i commi 3 e 5, che interessano la presente controversia;

- che, come precisato dal Consiglio di Stato, sez. IV, nella sentenza 18 ottobre 2012 n. 5378 va riconosciuta la "immediata operatività dell’art. 24, in base al quale i requisiti della esclusività e della continuità risultano espunti dal testo dell’art. 33 della legge n. 104/1992, non potendo pertanto la loro carenza essere opposta alle istanze di trasferimento dei dipendenti inoltrate per i motivi previsti da detta normazione (cfr. Cons di Stato, sez. III, n. 1293/2012) "; operatività che non può essere preclusa dall’art. 19 delle medesima legge n. 183/2010, che la sentenza citata definisce, per la genericità dei suoi contenuti, “norma sostanzialmente programmatica” (negli stessi sensi questo Tribunale si è già espresso nelle sentenze 1 agosto 2013 n. 1206 e 14 gennaio 2013 n. 31, rese in forma semplificata; cfr. anche le sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, 7 marzo 2013 n. 1400 e 28 gennaio 2013 n. 518);

Considerato:

- che in relazione a quanto sopra l’esistenza di altri familiari che possono prestare la necessaria assistenza al congiunto portatore di handicap non costituisce causa ostativa all’accoglimento della domanda di trasferimento del dipendente (come dedotto nel secondo motivo di ricorso), al quale l’art. 33 comma 5 della legge n. 104/1992 riconosce il “diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere”;

- che l’inciso “ove possibile” rimette comunque all’Amministrazione il potere di valutare le esigenze del richiedente comparativamente con quelle di servizio, implicitamente riconoscendo la prevalenza di queste ultime, a condizione però che esse siano apprezzabili “in termini di oggettiva impossibilità di organizzare altrimenti il servizio stesso e non dipendere da scelte di semplice opportunità: diversamente opinando, finirebbe per essere svuotata dall’interno la portata stessa del precetto normativo, agevolmente aggirabile in nome della sempre immanente discrezionalità organizzativa di cui ciascuna amministrazione dispone” (così questa Sezione si è espressa nella sentenza breve 19 marzo 2013 n. 429);

- che nel caso in esame (come dedotto nel primo motivo di ricorso) l’Amministrazione ha fatto riferimento in termini del tutto generici a carenze organiche ed esigenze organizzative, prospettandole come ostative all’accoglimento della domanda di trasferimento presentata dal ricorrente;

Ritenuto in conclusione:

- che il ricorso risulta fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato;

- che l’Amministrazione resistente deve pertanto riesaminare l’istanza di trasferimento del ricorrente facendo corretta applicazione delle disposizioni vigenti in materia, secondo quanto precedentemente illustrato;

- che le spese del giudizio vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente, nella misura liquidata nel dispositivo;

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e conseguentemente annulla il provvedimento impugnato, con gli effetti precisati in motivazione.
Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese del giudizio in favore del ricorrente nella misura di € 2.000,00 (duemila/00) oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Buonvino, Presidente
Carlo Testori, Consigliere, Estensore
Alessandro Cacciari, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/11/2013


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Re: LEGGE 1O4/92

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Corte di Cassazione sentenza n. 28320 del 18 dicembre 2013 – Lavoratore che assiste disabile non convivente ha diritto al trasferimento.
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Lavoro – Diritti e obblighi del datore e del lavoratore – Familiare disabile – Assistenza continuativa – Diritto al trasferimento.


Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 ottobre 2008 la Corte d’appello di Campobasso, in riforma della sentenza del Tribunale di Campobasso del 18 gennaio 2007, ha dichiarato il diritto di C.N., dipendente del Ministero della Giustizia con funzioni di cancelliere in servizio presso l’ufficio del Giudice di Pace di Trivento dal 2001, al trasferimento, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 per assistenza alla madre, al Tribunale di Melfi ovvero di una delle altri sedi da lui richieste in via subordinata.

La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ritenendo l’applicabilità del citato art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992 non solo in sede di scelta della sede di lavoro al momento dell’assunzione, ma anche nel corso del rapporto di lavoro mediante domanda di trasferimento.

La stessa Corte molisana ha pure ritenuto provata la continuità nell’assistenza della madre invalida da parte del dipendente istante, interpretando tale requisito in senso relativo senza la necessità della quotidianità e della convivenza.

Il Ministero della Giustizia propone ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia affidato ad un unico motivo.

Resiste il C. con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992, con riferimento all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che, pur ammettendo la possibilità di applicazione della norma anche al caso di trasferimento e non solo di prima assegnazione, il diritto a tale trasferimento per assistere il familiare disabile esisterebbe solo se ed in quanto l’assistenza a quest’ultimo sia in atto al momento dell’istanza di trasferimento.

Il motivo è infondato.

Va affermato in questa sede il principio di diritto per cui la norma di cui alla L. 5 febbraio 1992, n. 104, art. 33, comma 5, sul diritto del genitore o familiare lavoratore “che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato” di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, è applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro mediante la scelta della sede ove viene svolta l’attività lavorativa, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento.

La ratio della norma è infatti quella di favorire l’assistenza al parente o affine handicappato, ed è irrilevante, a tal fine, se tale esigenza sorga nel corso del rapporto o sia presente all’epoca dell’inizio del rapporto stesso.

La norma in esame pone quale condizione per il godimento del diritto da essa previsto, oltre allo stato di handicappato del parente o affine da assistere, la continuità dell’assistenza, Trattasi di circostanze di fatto il cui accertamento è riservato al giudice del merito che, nel caso in esame, ha compiutamente considerato la circostanza motivando adeguatamente sul punto.

La giurisprudenza citata dal Ministero ricorrente non è pertinente, in quanto si riferisce al caso in cui la convivenza sia stata interrotta per effetto dell’assegnazione della sede lavorativa ed il familiare tenda successivamente a ripristinarla attraverso il trasferimento in una sede vicina al domicilio dell’handicappato; nel caso in esame, viceversa, non è in questione la convivenza, che lo stesso ricorrente afferma non costituire più requisito per il godimento del diritto in questione a seguito delle modifiche apportate dalla legge n. 53 del 2000, ma la continuità nell’assistenza, circostanza di fatto il cui accertamento è, come detto, riservata al giudice del merito che ha ampiamente motivato sul punto con l’indicazione di elementi probatori certamente adeguati e sufficienti.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.
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Re: LEGGE 1O4/92

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per l'ottemperanza

al giudicato sulle sentenze Tar Veneto 1^ sez. nn. 564/13 e 1382/12;


1) - con provvedimento 6.6.2012 il Ministero della Giustizia rigettava l’istanza ritenendo assenti i requisiti della continuità e della esclusività della prestazione assistenziale;

2) - tale determinazione veniva impugnata dall’interessato avanti all’intestato Tribunale, il quale con sentenza 15.11.2012 n. 1382 accoglieva il ricorso e, conseguentemente, annullava il diniego;

3) - ciò stante, il Ministero si rideterminava negando ulteriormente il trasferimento affermando che “le sedi di Palermo e Catania distano dal luogo di residenza del congiunto disabile oltre i prescritti 90 km; mentre per la sede di Agrigento non risultano posti liberi nell’organico del ruolo di appartenenza”.

4) - con sentenza 15.4.2013 n. 564 anche tale provvedimento, ritualmente impugnato, veniva annullato da questo Tribunale sul presupposto che non esisteva alcuna disposizione normativa che subordinasse la concessione del beneficio richiesto alla sussistenza di una distanza inferiore a 90 Km tra la sede di servizio e quella di residenza dell’invalido;

5) - il Ministero, rideterminatosi nuovamente, adottava il provvedimento 21.06.2013 prot. GDAP-0222557-2013 con cui nuovamente denegava il trasferimento, questa volta affermando la carenza di organico della sede cedente;

6) - tale provvedimento è oggetto del presente gravame con cui l’interessato, adducendo la violazione del giudicato formatosi sulle predette, due sentenze dell’intestato Tribunale (che avevano sostanzialmente affermato il diritto del ricorrente ad ottenere il richiesto trasferimento), chiede l’ottemperanza dei giudicati stessi previa declaratoria di nullità del provvedimento contestato, elusivo di essi;

IL TAR afferma anche che:

7) - nè esiste alcuna disposizione che subordini aprioristicamente la concessione del beneficio alla sussistenza di una distanza inferiore a 90 km tra la sede di servizio e quella di residenza dell’invalido;

8) - con riguardo alla richiesta di applicazione della “penalità di mora”, tale misura può trovare applicazione nel caso di specie, atteso che sussistono tutti i tre presupposti stabiliti dalla disposizione dell'art. 114, IV comma, lett. e) del c.p.a., ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte, e quelli negativi, costituiti dall'insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall'insussistenza di altre ragioni ostative: l’Amministrazione, pertanto, dovrà corrispondere al ricorrente, per ogni giornata di ritardo nell’adempimento l’importo complessivo di € 80,00;

Il resto leggetelo qui sotto.

Auguri al collega della PolPen che ha lottato fino in fondo pur di ottenere giustizia.
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10/12/2013 201301385 Sentenza 1


N. 01385/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01272/2013 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1272 del 2013, proposto da:
A. B., rappresentato e difeso dall'avv. Tonino Argento, con domicilio eletto presso Maria Rosaria Iannelli in Mestre, via Costa, 20/E;

contro
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Venezia, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

per l'ottemperanza
al giudicato sulle sentenze Tar Veneto 1^ sez. nn. 564/13 e 1382/12;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2013 il dott. Claudio Rovis e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Considerato

che il ricorrente, in servizio in qualità di Agente del Corpo di Polizia Penitenziaria presso la Casa Circondariale “S.M.M.” di Venezia, presentava al Ministero della Giustizia istanza ex art. 33, V comma della legge n. 104/92 per ottenere il trasferimento presso una sede vicina alla residenza della propria madre disabile (Agrigento, Palermo o Catania), al fine di poterle prestare assistenza;

che con provvedimento 6.6.2012 il Ministero della Giustizia rigettava l’istanza ritenendo assenti i requisiti della continuità e della esclusività della prestazione assistenziale;

che tale determinazione veniva impugnata dall’interessato avanti all’intestato Tribunale, il quale con sentenza 15.11.2012 n. 1382 accoglieva il ricorso e, conseguentemente, annullava il diniego;

che, ciò stante, il Ministero si rideterminava negando ulteriormente il trasferimento affermando che “le sedi di Palermo e Catania distano dal luogo di residenza del congiunto disabile oltre i prescritti 90 km; mentre per la sede di Agrigento non risultano posti liberi nell’organico del ruolo di appartenenza”.

che con sentenza 15.4.2013 n. 564 anche tale provvedimento, ritualmente impugnato, veniva annullato da questo Tribunale sul presupposto che non esisteva alcuna disposizione normativa che subordinasse la concessione del beneficio richiesto alla sussistenza di una distanza inferiore a 90 Km tra la sede di servizio e quella di residenza dell’invalido;

che il Ministero, rideterminatosi nuovamente, adottava il provvedimento 21.06.2013 prot. GDAP-0222557-2013 con cui nuovamente denegava il trasferimento, questa volta affermando la carenza di organico della sede cedente;

che tale provvedimento è oggetto del presente gravame con cui l’interessato, adducendo la violazione del giudicato formatosi sulle predette, due sentenze dell’intestato Tribunale (che avevano sostanzialmente affermato il diritto del ricorrente ad ottenere il richiesto trasferimento), chiede l’ottemperanza dei giudicati stessi previa declaratoria di nullità del provvedimento contestato, elusivo di essi;

che con le sentenze di cui si chiede l’esecuzione l’intestato Tribunale ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione, per effetto delle sopravvenute modifiche legislative (introdotte dall’art. 24 della legge 4 novembre 2010 n. 183 e dall'art. 6, I comma, lett. a) del DLgs 18 luglio 2011 n. 119) il diritto al trasferimento presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere, previsto dall'art. 33, V comma della legge n. 104/1992, viene ora riconosciuto al lavoratore, anche appartenente ai Corpi di Polizia, che assista una persona con handicap in situazione di gravità pure nel caso in cui difettino i requisiti della “convivenza”, della "continuità" e della "esclusività" dell'assistenza, nè esiste alcuna disposizione che subordini aprioristicamente la concessione del beneficio alla sussistenza di una distanza inferiore a 90 km tra la sede di servizio e quella di residenza dell’invalido;

che con il provvedimento adottato a seguito e (presumibilmente) in esecuzione delle predette decisioni del TAR l’Amministrazione ha nuovamente negato, per una ragione precedentemente non rappresentata – e quindi evidentemente insussistente all’epoca sia della richiesta formulata dall’interessato, sia della prima rideterminazione del Ministero (conseguente alla sentenza n. 1382/2012) -, il trasferimento, adducendo motivi di carattere organizzativo;

che se è vero che occorre valutare che il trasferimento sia "possibile" in relazione alle esigenze organizzative ed operative dell'Amministrazione di appartenenza, è altresì vero che nel caso di specie l’Amministrazione né aveva (precedentemente) giustificato il diniego alla stregua delle “necessità organizzative”, né ha (ora) svolto o comunque esternato alcuna valutazione circa la prevalenza delle ragioni organizzative addotte sull'interesse privato del familiare disabile a ricevere la dovuta assistenza. È noto, invero, come dalla sentenza di annullamento derivino tre ordini di effetti: un effetto “eliminatorio” (la sentenza di annullamento comporta l’eliminazione dalla realtà giuridica del provvedimento annullato), un effetto “ripristinatorio” (la sentenza di annullamento opera “ex tunc” eliminando fin dall’origine dalla realtà giuridica il titolo che determinava un certo assetto di interessi) ed un effetto “conformativo” (l’accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso dall’Amministrazione): orbene, nel caso che ci occupa l’annullamento del diniego è stato disposto e, correlativamente, il diritto del ricorrente al trasferimento è stato riconosciuto dal TAR in ragione dell’inconsistenza delle motivazioni opposte dall’Amministrazione, in ragione cioè di un vizio sostanziale inerente alla legittimità del contenuto dell’atto, sicchè in sede di riesercizio del potere l’Amministrazione non può emanare un nuovo provvedimento – un ulteriore diniego per difetto dei presupposti sanciti dalla norma - con quello stesso contenuto sostanziale. In questo caso, infatti, il provvedimento è elusivo del giudicato e, conseguentemente, nullo ai sensi dell’art. 21-septies della legge n. 241/1990 e dell’art. 114, IV comma, lett. b) del DLgs n. 104/2010;

che, ciò stante, il ricorso per ottemperanza è fondato e va accolto e, previa declaratoria di nullità del provvedimento 21 giugno 2013, va ordinato al Ministero della Giustizia di disporre il trasferimento del ricorrente entro e non oltre dieci giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza;

che con riguardo alla richiesta di applicazione della “penalità di mora”, tale misura può trovare applicazione nel caso di specie, atteso che sussistono tutti i tre presupposti stabiliti dalla disposizione dell'art. 114, IV comma, lett. e) del c.p.a., ossia quello positivo, costituito dalla richiesta di parte, e quelli negativi, costituiti dall'insussistenza di profili di manifesta iniquità e dall'insussistenza di altre ragioni ostative: l’Amministrazione, pertanto, dovrà corrispondere al ricorrente, per ogni giornata di ritardo nell’adempimento l’importo complessivo di € 80,00;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima),
ORDINA al Ministero della Giustizia, nella persona del Ministro p.t., di dare piena ed integrale esecuzione alle sentenze in epigrafe adottando tutti gli atti necessari ad assicurare il trasferimento del ricorrente presso la sede richiesta più vicina alla residenza della madre (Palermo o Catania), a ciò provvedendo entro entro e non oltre dieci giorni dalla comunicazione/notificazione della presente sentenza.

DISPONE che, ove il Ministero non ottemperi a quanto sopra indicato entro il predetto termine, il Ministero stesso dovrà corrispondere al ricorrente, per ogni giornata di ritardo nell’adempimento, l’importo complessivo di € 80,00.

Spese rifuse a carico del resistente Ministero nella misura di € 2.000,00, oltre a IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Bruno Amoroso, Presidente
Claudio Rovis, Consigliere, Estensore
Enrico Mattei, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





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Re: LEGGE 1O4/92

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Con questo ultimo aggiornamento si parla dei 150 Km.
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Decreto Legislativo 18 luglio 2011, n. 119
“Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi.”

(Pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 27 luglio 2011, n. 173)

OMISSIS

Art. 6
Modifiche all'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, in materia di assistenza a soggetti portatori di handicap grave

1. All'articolo 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 3 è aggiunto, in fine, il seguente periodo:

«Il dipendente ha diritto di prestare assistenza nei confronti di più persone in situazione di handicap grave, a condizione che si tratti del coniuge o di un parente o affine entro il primo grado o entro il secondo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età oppure siano anch'essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.».


b) dopo il comma 3 è inserito il seguente:

«3-bis. Il lavoratore che usufruisce dei permessi di cui al comma 3 per assistere persona in situazione di handicap grave, residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quello di residenza del lavoratore, attesta con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell'assistito.».
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Re: LEGGE 1O4/92

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Quesito relativo alle modifiche apportate dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità ed alla loro applicabilità al personale delle Forze Armate.

Con il presente Parere il CdS afferma definitivamente:

1) - A partire, infatti, dalle sentenze nn. 4047/12, 4291/12 e 5378/12 (ma si veda anche TAR Piemonte, I, 25 gennaio 2013, n. 105, che opta anch’essa, appunto, per l’immediata applicabilità agli agenti di polizia penitenziaria dei disposti della novella legislativa di cui all’art. 24 della l. 4 novembre 2010, n. 183, ai fini della concessione di un trasferimento ex art. 33 l. 104/92), il Consiglio di Stato si è chiaramente orientato per l’immediata applicabilità al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia della norma soppressiva dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza.

2) - Così si è arrivati ad affermare che, in ossequio anche al tenore letterale delle norme, i requisiti della continuità e dell’esclusività non possono essere più pretesi dall’Amministrazione, ad esempio, ai fini della concessione del trasferimento ex art. 33 l. 104/92 al personale in argomento.

3) - Le uniche due esigenze che l’Amministrazione è tenuta a valutare ai fini del decidere se concedere o meno il benefico in parola al lavoratore istante, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione è tenuta a muoversi sono, da un lato, le esigenze organizzative ed operative dell’Amministrazione di appartenenza, rispetto alle quali il trasferimento deve risultare “possibile”, e, dall’altro lato, l’effettiva necessità del trasferimento del lavoratore ai fini dell’assistenza del familiare disabile, al fine di impedire un uso strumentale, improprio ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi (cfr. anche Cons. Stato, III, ord. 27 ottobre 2012, n. 4300).


Per completezza dell'argomento leggete il tutto qui sotto.
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17/03/2014 201201082 Definitivo 2 Adunanza di Sezione 22/01/2014


Numero 00896/2014 e data 17/03/2014


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 22 gennaio 2014

NUMERO AFFARE 01082/2012

OGGETTO:
Ministero della difesa – Stato Maggiore della Difesa.

Quesito relativo alle modifiche apportate dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità ed alla loro applicabilità al personale delle Forze Armate.

LA SEZIONE
Vista la relazione vistata dal Ministro p.t. e trasmessa con nota n. 0015474 del 22/02/2012, con la quale lo Stato Maggiore della Difesa ha trasmesso la richiesta di parere relativa all’oggetto, concernente l’applicabilità della nuova disciplina in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità al personale appartenente alle Forze armate.

Visto il parere interlocutorio dell’11 aprile 2012;

Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Gerardo Mastrandrea;

Premesso e considerato:

Lo Stato Maggiore della Difesa chiedeva al Consiglio di Stato lumi circa l’applicabilità al personale appartenente alle Forze armate della nuova disciplina, prevista dall’articolo 24 della legge 04/11/2010, n. 183 (cd. “collegato lavoro”), che, modificando l’articolo 33 della legge n. 104/1992, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità, ha eliminato l’esplicito richiamo ai requisiti della “continuità” e dell’“esclusività” dell’assistenza quali presupposti necessari ai fini della fruizione di tali permessi da parte dei beneficiari.

In particolare, veniva richiesto se, alla luce della sentenza n. 2707/2011 emessa dalla IV Sezione di questo Consiglio, nelle more dell’emanazione dei provvedimenti legislativi che, ai sensi dell’articolo 19 della predetta legge n. 183/2010, dovranno dare attuazione alla c.d. “specificità” delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, potesse trovare applicazione il quadro normativo “ante” novella 2010, con la conseguente necessità della sussistenza - e delle connesse verifiche da parte dell’Amministrazione - dei requisiti della “continuità” e della “esclusività”, nonché del “terzo grado di parentela/affinità con il disabile da assistere”, ai fini della fruizione dei permessi in argomento da parte dei dipendenti che richiedano di avvalersi dei benefici previsti dal citato articolo 33 della legge n. 104/1992.

In subordine, qualora non dovesse essere confermato l’orientamento precedentemente espresso da questo Consiglio nella richiamata sentenza n. 2707/2011, veniva fatta richiesta di chiarire l’esatta portata della novella legislativa e, in particolare, di precisare se comunque continuasse a persistere la necessità dei requisiti della “continuità” e della “esclusività” dell’assistenza ai fini della concessione dei benefici in argomento al personale in questione, il riferimento ai quali è stato eliminato ad opera dell’articolo 24 della legge n. 183/2010.

Nell’esporre le proprie valutazioni, l’Amministrazione richiedente evidenziava, preliminarmente, che in base al quadro normativo di riferimento previgente nella materia de qua (l’articolo 33 della legge n. 104/1992 e l’articolo 20 della legge n. 53/2000), anche alla luce del costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, al fine della concessione dei benefici in parola occorreva verificare: la connotazione di “gravità” dell’handicap in capo al familiare disabile da assistere; i requisiti della “esclusività” e “continuità” dell’intervento assistenziale; la possibilità di “utile collocazione organica” dell’istante, in caso di richiesta di trasferimento, in un Ente ubicato nella sede di auspicata assegnazione, salvaguardando il prevalente interesse pubblico ad utilizzare il personale dipendente in conformità delle specifiche professionalità e competenze acquisite dall’interessato.

Sottolineava, poi, che qualora le citate modifiche introdotte dal citato articolo 24 del “collegato lavoro” fossero interpretate in modo letterale e non sulla base di un criterio sistematico, e ritenute dunque applicabili, senza tener conto della “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, secondo il dettato dell’articolo 19 della legge n. 183/2010, le modifiche stesse avrebbero un impatto significativo in termini di impiego del personale militare, con un incremento esponenziale delle istanze accolte, già peraltro numerose con particolare riferimento ai permessi mensili, e quindi con ripercussioni significative sulla stessa funzionalità dei reparti.

L’orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella richiamata pronunzia n. 2707/2011, secondo cui, in definitiva, la nuova disciplina sopra descritta, introdotta dal “collegato lavoro”, potrà trovare applicazione al personale militare in questione “solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art. 19 della richiamata legge”, troverebbe, inoltre, ulteriore conforto nella disciplina del codice dell’ordinamento militare (di cui al d.lg. 66/10), che all’art. 981 prevede espressamente che “al personale militare, compatibilmente con il proprio stato, continuano ad applicarsi le seguenti norme:…articolo 33, comma 5, della legge 104/92…”.

Orbene, con il parere di cui in premesse la Sezione osservava, in primo luogo, che il nuovo dettato normativo di cui all’articolo 24 della legge n. 183/2010 - introducendo modifiche sia all’articolo 33 della legge n. 104/1992, sia all’articolo 20, comma 1 della legge n. 53/2000, sia all’articolo 42 del d.lgs. n. 151/2001, mediante l’abrogazione del comma 3 - sopprime l’esplicito richiamo ai requisiti della “continuità” (intesa come assistenza non occasionale prestata dal lavoratore al congiunto con handicap in situazione di gravità) e dell’ “esclusività” (intesa come condizione assicurata quando non risulti la presenza di altri familiari in grado di prestare assistenza al congiunto), individuati nella disciplina previgente quali presupposti necessari ai fini del godimento dei permessi in argomento da parte dei beneficiari.

Non può, altresì, sottacersi che più volte la Corte Costituzionale, esaminando alcuni profili della legge n. 104 del 1992, ne ha sottolineato l’ampia sfera di applicazione, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacenti, la tutela dei portatori di handicap. Essa incide sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sull’integrazione scolastica; in generale dette misure che hanno il fine di superare, o di contribuire a far superare, i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative, e nell'esercizio di diritti costituzionalmente protetti (sent. n. 406 del 1992). Ciò che viene in assoluto rilievo in subiecta materia, alla luce dei dicta della Consulta, è, quindi, la garanzia della condizione giuridica del portatore di handicap, la cui tutela passa attraverso “l’interrelazione e l’integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale” (cfr., ex plurimis, C. Cost., sentenza n. 325/1996).

Veniva, dunque, altresì preliminarmente precisato che la modifica introdotta alla disciplina in parola ad opera della legge 4 novembre 2010, n. 183, la cui finalità di tutela di valori costituzionalmente garantiti è stata testé ricordata, era intervenuta, invero, successivamente al varo del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66), che, come accennato in narrativa, all’articolo 981, comma 1, sancisce che al personale militare, compatibilmente con il proprio stato, continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nell’articolo 33, comma 5, della legge n. 104/1992 e successive modificazioni.
Ciò nondimeno, non poteva disconoscersi, secondo l’avviso pro tempore della Sezione, il carattere di “specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”, che il legislatore ha voluto evocare espressamente al comma 1 dell’articolo 19 della richiamata legge n. 183/2010, enucleando quali principi dell’ordinamento la “peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti”, “le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna”, “i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”. Una “specificità” funzionale connessa, dunque, alla delicatezza e all’importanza delle funzioni istituzionali, peraltro connotate da un elevato rischio operativo, che si traduce in specificità normativa in forza del comma 2 dello stesso articolo 19, il quale rinvia, per la disciplina attuativa, a successivi provvedimenti legislativi.

E si riteneva che coerentemente, dunque, ai detti principi, il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, aveva avuto modo di affermare, nella materia di cui si discetta, che “la nuova disciplina potrà trovare applicazione anche per il personale appartenente alle Forze Armate, alle Forze di Polizia, nelle quali rientra la Polizia Penitenziaria, al Corpo Nazionale dei VV.FF. solo quando verranno emanati gli appositi provvedimenti legislativi previsti dall’art.19 della richiamata legge” (Cons. Stato, IV, n. 2707/2011, cit., ma cfr. anche IV, 10 gennaio 2012, n. 66).

In ogni caso, attesa anche la necessità di esaminare in maniera coordinata i vari profili sopra evidenziati, risultava, altresì, utile conoscere se, allo scopo, la questione era stata sottoposta anche alle altre Amministrazioni competenti, a partire dal Ministero del lavoro e dal Ministero dell’interno, con riferimento, in quest’ultimo caso, al personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per gli evidenti profili di coordinamento, ai competenti Dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri (affari giuridici e legislativi e funzione pubblica).

Orbene, non sono pervenuti elementi di risposta da parte dell’Amministrazione richiedente.

Al fine, dunque, di licenziare definitivamente la richiesta di parere e fornire elementi di valutazione ed approfondimento, corre l’obbligo di segnalare all’Amministrazione come, nelle more, il quadro giurisprudenziale si sia orientato, ed in tal senso consolidato, in maniera difforme rispetto alle pronunzie citate nel parere cui si fa seguito.

A partire, infatti, dalle sentenze nn. 4047/12, 4291/12 e 5378/12 (ma si veda anche TAR Piemonte, I, 25 gennaio 2013, n. 105, che opta anch’essa, appunto, per l’immediata applicabilità agli agenti di polizia penitenziaria dei disposti della novella legislativa di cui all’art. 24 della l. 4 novembre 2010, n. 183, ai fini della concessione di un trasferimento ex art. 33 l. 104/92), il Consiglio di Stato si è chiaramente orientato per l’immediata applicabilità al personale delle Forze Armate e delle Forze di Polizia della norma soppressiva dei requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza.

Si è ritenuto, infatti, non ostativo all’applicazione immediata dell’art. 24 della l. 183/10 al personale in questione l’art. 19 della medesima l. 183/10, che non contiene alcuna disposizione ad esplicito e specifico carattere inibitorio, presentandosi di contro come un autonomo articolato fondante in nuce le basi del futuro assetto di una organica e speciale disciplina del rapporto di impiego del personale delle Forze Armate e di Polizia.

Così si è arrivati ad affermare che, in ossequio anche al tenore letterale delle norme, i requisiti della continuità e dell’esclusività non possono essere più pretesi dall’Amministrazione, ad esempio, ai fini della concessione del trasferimento ex art. 33 l. 104/92 al personale in argomento. Le uniche due esigenze che l’Amministrazione è tenuta a valutare ai fini del decidere se concedere o meno il benefico in parola al lavoratore istante, e dunque gli unici parametri entro i quali l’Amministrazione è tenuta a muoversi sono, da un lato, le esigenze organizzative ed operative dell’Amministrazione di appartenenza, rispetto alle quali il trasferimento deve risultare “possibile”, e, dall’altro lato, l’effettiva necessità del trasferimento del lavoratore ai fini dell’assistenza del familiare disabile, al fine di impedire un uso strumentale, improprio ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi (cfr. anche Cons. Stato, III, ord. 27 ottobre 2012, n. 4300).

Il nuovo orientamento esegetico è stato, peraltro, recepito negli atti di alcune Amministrazioni competenti (es. circolare Min. Giustizia, DAP, del 28 dicembre 2012).

Tanto si doveva per la completezza dell’informazione, ai fini delle valutazioni e delle determinazioni dell’Amministrazione formulante il quesito.

P.Q.M.

Nei termini esposti è il parere della Sezione.



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Gerardo Mastrandrea Pier Giorgio Trovato




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tonyb
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Re: LEGGE 1O4/92

Messaggio da tonyb »

un semplice quesito se qualcuno gentilmente mi può rispondere: premetto che fruisco già dei tre giorni mensili per la suddetta legge per assistere mio padre portatore di handicap, volevo sapere se eventualmente chiedo il trasferimento a casa dei miei genitori per poter accudire mio padre poiché oramai la situazione è diventata molto pesante, dopo quanto tempo passa dal momento in cui faccio domanda di trasferimento in base alla citata legge e l'arrivo del trasferimento? se successivamente richiedo i due anni di aspettativa per assistere il famigliare a quanto ammonterebbe il mio stipendio? grazie
panorama
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Re: LEGGE 1O4/92

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Permessi per la 104 a parenti di terzo grado

I tre giorni al mese di permesso retribuito per assistere familiari con gravi handicap possono essere chiesti anche per parenti o affini entro il terzo grado se costoro non hanno coniuge o genitori che possono assisterli.

Rispondendo con l’interpello 19 del 26 giugno al quesito posto dalle associazioni Anquap e Cida, il Ministero del Lavoro chiarisce che questa è l’unica condizione e non rileva che vi siano altri parenti o affini, di grado inferiore che potrebbero assistere la persona disabile.

Il resto delle novità, leggetelo negli allegati qui sotto o scaricatelo direttamente.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
panorama
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Re: LEGGE 1O4/92

Messaggio da panorama »

Cass. Civile, Sentenza n. 15435, sezione Lavoro, del 07-07-2014
CASSAZIONE CIVILE

MADRE DI MINORE CON HANDICAP – LEGGE N. 104/1992 – PERMESSI EX ARTICOLO 33 – TREDICESIMA – CONGEDI PARENTALI – NON COMPUTABILITÀ CON I CONGEDI.
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Permessi per figlio disabile ai fini della tredicesima

Cassazione Lavoro, sentenza depositata il 7 luglio 2014


I permessi usufruiti dalla lavoratrice, in quanto madre di un minore portatore di handicap, si computano ai fini della tredicesima. È quanto emerge dalla sentenza 7 luglio 2014, n. 15435, della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro.

Il caso. Una società è stata condannata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria a corrispondere a una dipendente poco più di 300 euro, oltre accessori, a titolo di tredicesima e quattordicesima mensilità in relazione ai permessi usufruiti dalla medesima dipendente nel 1999 (da febbraio ad aprile), quale madre di un minore portatore di handicap.

Tesi a confronto. Ad avviso della Corte territoriale, la non computabilità dei permessi ai fini della tredicesima opera solo se questi permessi si cumulano con i congedi parentali previsti, circostanza che nel caso in esame non si era verificata.

Di diverso avviso il datore di lavoro, che infatti ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Suprema Corte, sostenendo che il comma 4 dell’articolo 33 della legge n. 104 del 1992 prevede l’esclusione del computo dei permessi previsti dai precedenti commi 2 e 3 ai fini della tredicesima mensilità in ogni caso, e non solo in quello in cui essi si cumulino con permessi previsti dall’articolo 7 della legge n. 1204 del 1991.

Ebbene, nel giudizio di legittimità ha prevalso la tesi del giudice di merito, con conseguente conferma della decisione gravata.

La Sezione Lavoro del Palazzaccio ha ritenuto corretta l’interpretazione della normativa di riferimento operata dalla Corte territoriale, perché “ragioni di coerenza con la funzione dei permessi” e i principi di matrice comunitaria (Direttiva 2000/78/CEE del Consiglio e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità) impongono di aderire “all’interpretazione della disposizione maggiormente idonea a evitare che l’incidenza sull’ammontare della retribuzione possa fungere da aggravio della situazione economica dei congiunti del portatore di handicap e disincentivare l’utilizzo del permesso stesso”.

Gli Ermellini ricordano che la materia dei permessi per i figli con handicap grave è oggi disciplinata anche dall’articolo 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001 (TU delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), che ha frammentato il comma 4 dell’articolo 33 della legge 104 in due parti: il comma 4 dell’articolo 42 e il comma 2 dell’articolo 43.

Tali disposizioni, tuttavia, non rilavano nel caso esaminato, in quanto il D.Lgs. 151 è intervenuto in epoca successiva ai fatti causa.
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Re: LEGGE 1O4/92

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1) - diniego parziale dell’accesso agli atti trasferimento ad altra sede

2) - parzialmente accolto la domanda d’annullamento proposta dall’odierno intimato, Carabiniere in fv4.

IL CONSIGLIO DI STATO precisa:

3) - In effetti, osserva la Sezione, il trasferimento del pubblico dipendente, nella fattispecie di un militare, in forza della disciplina di favore introdotta dalla legge n.104 del 1992 e segnatamente per le condizioni individuate dal comma 5° del suo articolo 33, non è, pacificamente, estensibile al lavoratore pubblico che non si trova nella situazione dello svolgimento di un rapporto di servizio di ruolo (Cons. Stato Sez. VI , 18.03.2009 n.1598).

4) - Ciò determina, nella fattispecie, ricadute sull’istanza di accesso agli atti presentata dall’intimato in quanto connessa alla domanda di trasferimento, come visto respinta dall’Arma.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201501209
- Public 2015-03-10 -


N. 01209/2015REG.PROV.COLL.
N. 05666/2014 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5666 del 2014, proposto da:
Ministero della Difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.le dello Stato , domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

contro
G. B., non costituito ;

per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I^ n. 00646/2014, resa tra le parti, concernente diniego parziale dell’accesso agli atti trasferimento ad altra sede

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 il Cons. Sandro Aureli, nessuno è presente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il Ministero della Difesa propone appello per la riforma della sentenza in epigrafe con la quale il T.A.R. della Lombardia ha parzialmente accolto la domanda d’annullamento proposta dall’odierno intimato, Carabiniere in fv4.

Tale annullamento ha riguardato la determinazione del 27 novembre 2013 con la quale l’Arma dei Carabinieri, a sua volta, ha parzialmente respinto l’istanza di accesso agli atti, presentata dal predetto graduato in ragione del denegato suo trasferimento dalla sede, richiesto con istanza presentata ex comma 5° dell’art. 33 l. n.104/1992.

Nel ritenere meritevole d’accoglimento parziale l’istanza d’accesso, il primo giudice lo ha esteso, rispetto all’accesso già consentito dall’Arma, alle piante organiche dei “reparti dipendenti dal Comando Legione Carabinieri Lombardia” e di quelli della Regione Campania limitatamente alle “sedi della Provincia di Napoli”.

Con l’appello in esame il Ministero contrasta l’estensione dell’accesso ai documenti disposta con la sentenza impugnata, deducendo al riguardo non soltanto che gli atti individuati dal primo giudice rientrano tra quelli ex lege sottratti all’ostensione, ma anche che l’intimato, in quanto Carabiniere tutt’ora in ferma volontaria quadriennale, non avendo concluso il quadriennio di servizio dall’arruolamento, non è nella condizione giuridica dello svolgimento di un “servizio permanente”, con la conseguenza che, non avendo per tale ragione titolo al trasferimento, non ha neppure titolo alcuno ad ottenere l’accesso agli atti per motivi connessi al diniego di trasferimento oppostogli dall’Arma.

In effetti, osserva la Sezione, il trasferimento del pubblico dipendente, nella fattispecie di un militare, in forza della disciplina di favore introdotta dalla legge n.104 del 1992 e segnatamente per le condizioni individuate dal comma 5° del suo articolo 33, non è, pacificamente, estensibile al lavoratore pubblico che non si trova nella situazione dello svolgimento di un rapporto di servizio di ruolo (Cons. Stato Sez. VI , 18.03.2009 n.1598).

Ciò determina, nella fattispecie, ricadute sull’istanza di accesso agli atti presentata dall’intimato in quanto connessa alla domanda di trasferimento, come visto respinta dall’Arma.

Ed invero, l’impossibilità di ottenere il trasferimento in forza degli invocati benefici previsti dalla legge n.104/1992 ed in relazione al quinto comma del suo art. 33, per la condizione di Carabiniere in ferma volontaria quadriennale, pone di riflesso l’intimato del presente giudizio nella situazione di soggetto privo d’interesse ad ottenere un accesso agli atti connessi con il procedimento conclusosi con il diniego del suo trasferimento, e richiesto in ragione di tale connessione.

La particolarità della fattispecie esaminate consente la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere, Estensore
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2015
panorama
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Re: LEGGE 1O4/92

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GUAI
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FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 17 18/02/2015


SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
FRIULI VENEZIA GIULIA SENTENZA 17 2015 RESPONSABILITA' 18/02/2015



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER IL
FRIULI VENEZIA GIULIA

Composta dai seguenti magistrati:
Dott. Paolo SIMEON Presidente f.f.
Dott. Giancarlo DI LECCE Consigliere
Dott. Oriella MARTORANA Primo Referendario
ha pronunciato la seguente

SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 13541 del registro di Segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale della Corte dei conti per la Regione Friuli Venezia Giulia nei confronti di OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS, ed elettivamente domiciliato in Trieste, alla Via OMISSIS, giusta mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio;

Visti l’atto di citazione della Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale, la memoria di costituzione in giudizio del convenuto, nonché gli atti e i documenti di causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014, con l’assistenza del Segretario dott.ssa Anna De Angelis, il giudice relatore dott. Giancarlo Di Lecce nonché il Vice Procuratore Generale dott.ssa Emanuela Pesel Rigo e l’avv. OMISSIS per il convenuto;

Ritenuto in

FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, la Procura Regionale presso questa Sezione Giurisdizionale conveniva in giudizio il sig. OMISSIS per sentirlo condannare al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della somma di euro 82.779,66 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio. L’Organo requirente esponeva che con nota in data 6.2.2013, la Provincia di OMISSIS aveva denunciato alcune anomalie nella fruizione, da parte del sig. OMISSIS, dipendente della Provincia di OMISSIS, del congedo previsto dalla legge n. 104/1992, di cui, peraltro, era stata fatta segnalazione alla locale Stazione dei Carabinieri .

Riferiva, altresì, di aver avuto notizia, in data 14.5.2013, della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di OMISSIS nei confronti dello stesso OMISSIS per il delitto di cui all’art. 640 c.p., avendo il nominato dipendente attestato falsamente la coabitazione con la madre per poter fruire dei benefici previsti dalla legge n. 104/1992. Dagli atti del procedimento penale emergeva che il nominato dipendente aveva presentato una richiesta di congedo straordinario di due anni al fine di provvedere all’assistenza della madre, portatrice di handicap grave. Per poter beneficiare del congedo aveva attestato la coabitazione con la stessa in omissis, mentre in effetti risiedeva in omissis con la moglie e la figlia; la madre, invece, viveva nel Comune di omissis con l’altro figlio, che le prestava assistenza assieme alla moglie e a due badanti.

Sulla base degli elementi raccolti in sede penale l’Organo requirente ipotizzava, a carico del sig. OMISSIS, una condotta dolosa, diretta a beneficiare di un congedo retribuito non spettante, causativa di danno per l’ Amministrazione provinciale. In ragione di tali premesse la Procura Regionale disponeva la notifica dell’invito a dedurre ex art. 5 del D.L. n. 453/1993 al sig. OMISSIS presso la residenza dichiarata di omissis, formulando, in tale sede, una richiesta risarcitoria per complessivi euro 82.779,66 - importo dato dalla sommatoria degli emolumenti dolosamente percepiti (euro 55.186,66) e del danno da disservizio arrecato all’Amministrazione di appartenenza, quantificato nella misura del 50% del primo (euro 27.593,00).

Con atto di citazione del 10.4.2014 la Procura Regionale conveniva in giudizio il sig. OMISSIS, confermando la richiesta risarcitoria prospettata nell’invito a dedurre in relazione all’abusiva fruizione del congedo previsto dall’art. 4, co. 2 della legge n. 53/2000 e dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001. La Procura Regionale evidenziava come la ratio della norma fosse quella di garantire un’assistenza familiare al soggetto bisognoso di cure mediante il riconoscimento del diritto alla fruizione del congedo retribuito.

Ad avviso di parte attrice il sig. OMISSIS avrebbe dolosamente approfittato di tale beneficio omettendo di compiere la prestazione di assistenza in favore del familiare disabile. In ragione di tali premesse, la Procura Regionale concludeva per la condanna del convenuto al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della somma di euro 82.779,66 oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.

Con memoria difensiva depositata in data 27.11.2014 si costituiva in giudizio il sig. OMISSIS, rappresentato e difeso dagli avv.ti OMISSIS. I nominati difensori eccepivano, in via preliminare, l’omessa notifica dell’invito a dedurre, sostenendo che il sig. OMISSIS non ha mai rinvenuto nella cassetta della posta l’atto che, solo apparentemente, risulterebbe notificato a mezzo posta, per compiuta giacenza. Il mancato perfezionamento della notifica, nella prospettazione difensiva, sarebbe dovuto al fatto che la Procura Regionale, nell’indicare, ai fini della notifica, l’indirizzo del destinatario, ha omesso di specificare il numero identificativo dell’interno. Tale omissione potrebbe aver determinato l’agente postale all’erroneo deposito dell’avviso di notifica nella cassetta della posta di un altro soggetto residente presso lo stesso civico. Di qui l’eccepita nullità o l’inefficacia della notifica dell’invito a dedurre, con la conseguente richiesta di una pronuncia dichiarativa della inammissibilità dell’atto di citazione.

Sempre in via preliminare la difesa del convenuto formulava istanza di sospensione del processo in attesa della definizione del giudizio penale pendente a carico del sig. OMISSIS, o quanto meno della fase di primo grado di tale giudizio, sostenendo che gli elementi addotti dalla Procura Regionale a fondamento dell’azione risarcitoria sarebbero i medesimi sulla base dei quali è stata promossa l’azione penale. Nella prospettazione difensiva la sospensione del processo consentirebbe, peraltro, di evitare una duplicazione degli incombenti necessari ai fini dell’istruzione del giudizio.

Quanto al merito, gli avv.ti OMISSIS evidenziavano come il convenuto abbia tentato di restituire alla Provincia di OMISSIS le retribuzioni percepite nel periodo di congedo, operazione che sarebbe stata possibile ove il G.I.P. avesse disposto lo svincolo delle somme sottoposte a sequestro. I nominati difensori negavano quanto asserito da parte attrice in ordine alla mancata assistenza del sig. OMISSIS in favore della madre invalida. L’impegno del convenuto, infatti, si sarebbe concretizzato nel recarsi presso l’abitazione ove la stessa era ricoverata per alcuni giorni a settimana - quando necessario in orario serale - e nell’occuparsi di tutte le questioni burocratiche che la riguardavano.

Ad avviso della stessa difesa, anche la richiesta di risarcimento del danno da disservizio, quantificato dalla Procura Regionale nella misura del 50% delle retribuzioni erogate in favore del sig. OMISSIS, non troverebbe un adeguato supporto probatorio. In ragione di tanto, la quantificazione del danno da disservizio operata dalla Procura Regionale andrebbe ritenuta del tutto arbitraria e non accoglibile.

Parimenti erronea dovrebbe ritenersi la determinazione del “quantum” del danno conseguente all’indebita percezione delle retribuzioni, posto che le somme chieste in restituzione dall’organo requirente sono state determinate al lordo delle ritenute fiscali e degli eventuali contributi previdenziali, importi mai percepiti dal sig. OMISSIS.

Lo stesso patrocinio sollecitava, infine, la chiamata in causa, iussu iudicis, del dott. OMISSIS, OMISSIS della Provincia di OMISSIS, rilevando come a quest’ultimo sia imputabile una cooperazione colposa nella causazione dell’evento. Il dott. OMISSIS, infatti, non avrebbe richiesto al sig. OMISSIS né la dichiarazione di responsabilità prevista dalla circolare n. 13/2010 del Dipartimento della Funzione Pubblica, né la dichiarazione sostitutiva attestante la convivenza con il familiare disabile prevista dalla circolare del 3.2.2012 del Dipartimento della Funzione Pubblica. La testimonianza resa dal OMISSIS della Provincia in sede penale, dimostrerebbe, inoltre, che il nominato dirigente non ebbe a disporre alcuna verifica in ordine alla legittima fruizione del beneficio.

Ad avviso della difesa, il dott. OMISSIS, quando nel mese di agosto del 2011 segnalò al Comando OMISSIS dei Carabinieri le anomalie riscontrate nella fruizione del congedo retribuito da parte del sig. OMISSIS, disponeva già degli elementi necessari per disporre la revoca immediata del congedo straordinario o, quanto meno, per invitare il dipendente a fornire i necessari chiarimenti.

La delineata situazione dimostrerebbe non solo la colpevole inerzia del dott. OMISSIS, ma anche la mancata osservanza delle indicazioni impartite dalla Procura Generale della Corte dei conti con la nota interpretativa del 2.8.2007, laddove si afferma che le Amministrazioni pubbliche, una volta assolto l’obbligo di denunzia, non solo hanno la facoltà di costituire in mora i responsabili del danno, ma possono assumere autonome iniziative nei confronti del dipendente per conseguire la rifusione del danno.

In definitiva, ove il dott. OMISSIS si fosse immediatamente attivato per svolgere i necessari accertamenti ovvero per far regolarizzare una situazione incompatibile con la concessione del congedo straordinario, il danno sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello venutosi a determinare.

In ragioni di tali premesse, la difesa del convenuto concludeva, in via preliminare, per la declaratoria di inammissibilità o di nullità della citazione del sig. OMISSIS, stante la mancata notifica dell’invito a dedurre e, in subordine, per la sospensione del procedimento per il tempo necessario all’espletamento degli incombenti istruttori; sempre in via preliminare, per la sospensione del processo in attesa della definizione del giudizio penale pendente a carico del convenuto, ovvero per la chiamata in causa del dott. OMISSIS al fine di accertare il concorso o la cooperazione del medesimo nella causazione del danno e la sua ripartizione tra corresponsabili; nel merito, per la reiezione di ogni domanda in quanto infondata in fatto e in diritto; in via subordinata e salvo gravame, per la riduzione delle pretese formulate a carico del convenuto e l’accertamento del concorso o della cooperazione del dott. OMISSIS nella causazione del danno.

In via istruttoria la difesa del sig. OMISSIS dimetteva ampia documentazione e chiedeva l’ammissione di prova testimoniale in merito allo stato dei luoghi relativi all’abitazione di omissis, nonché agli orari ed alla frequenza degli accessi presso la madre ospitata nell’abitazione del fratello OMISSIS, nel Comune di omissis.

All’udienza del 18 dicembre 2014, il rappresentante del P.M. si riportava a quanto dedotto nell’atto di citazione, dimettendo la comunicazione della Provincia di OMISSIS del 17.12.2014, con l’allegato dispositivo della sentenza penale di condanna emessa a carico del sig. OMISSIS. L’avv. OMISSIS, nell’interesse del convenuto, richiamava il contenuto della memoria di costituzione in giudizio, insistendo per l’accoglimento delle richieste ivi formulate. Sulle conclusioni rassegnate dalle parti la causa veniva trattenuta in decisione.

Considerato in

DIRITTO

In via preliminare all’esame del merito, va esaminata l’eccezione di inammissibilità della domanda giudiziale formulata dal patrocinio del sig. OMISSIS sul presupposto della mancata notifica dell’invito a dedurre. A sostegno di tale eccezione la difesa ha riferito che tale atto (ovvero il relativo avviso) non è stato mai rinvenuto nella cassetta postale dell’abitazione del convenuto in omissis, per quanto risulti ivi apparentemente effettuata una notifica a mezzo del servizio postale. Nella prospettazione difensiva, la mancata notifica dell’invito a dedurre potrebbe essere dipesa dall’omessa indicazione, nell’indirizzo del destinatario, del numero identificativo dell’ interno, in aggiunta al numero civico. Tale omissione, dunque, potrebbe aver determinato l’agente postale a immettere l’avviso di notifica nella cassetta postale di un’ altra persona residente allo stesso civico. Dalla nullità o inefficacia della notifica dell’invito a dedurre discenderebbe la declaratoria di inammissibilità dell’atto di citazione.

L’eccezione è da ritenersi manifestamente infondata e come tale va respinta allo stato degli atti e senza necessità di ulteriore istruttoria, stante l’adeguatezza degli elementi di prova acquisiti agli atti di causa. Dall’esame dell’avviso di ricevimento dell’ invito a dedurre si desume, infatti, che l’ agente postale, dopo aver accertato l’ assenza del destinatario e la mancanza di persone abilitate al ritiro dello stesso, ha provveduto, ai sensi dell’art. 8 della legge n. 890/1982 e successive modifiche, al deposito del plico raccomandato presso l’ufficio postale e all’ immissione dell’ apposito avviso nella cassetta postale dell’abitazione di omissis alla Località omissis.

Con il compimento di tali formalità la notifica dell’invito a dedurre deve ritenersi validamente eseguita presso la residenza del convenuto, come certificata dall’anagrafe comunale di omissis (vd. certificazione di residenza in atti). All’ attestazione dell’agente notificatore deve riconoscersi, infatti, la fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c. (Cass., Sez. Trib., ord. n. 9980/2010) e, dunque, una valenza probatoria che prevale non solo sull’ asserito mancato rinvenimento dell’avviso di ricevimento nella cassetta postale, ma anche sull’ipotesi, del tutto inverosimile e indimostrata, secondo cui il predetto avviso sarebbe stato recapitato “ad altro soggetto residente allo stesso civico”. In ragione di tali premesse va confermata la regolarità della notifica dell’invito a dedurre e respinta, conseguentemente, la domanda di inammissibilità dell’atto di citazione.

Va, altresì, rigettata l’istanza di sospensione del giudizio formulata dalla difesa del convenuto in attesa della definizione del processo penale pendente a carico del sig. OMISSIS per il reato di truffa aggravata (artt. 81, 640 co. 2, n. 1 e 61 n. 9 c.p.), in relazione ai medesimi fatti che hanno dato luogo all’odierna richiesta risarcitoria. A tal proposito giova rilevare che la sospensione del processo, con il venir meno della c.d. pregiudiziale penale e l’affermazione dell’autonomia del giudizio di responsabilità amministrativo - contabile rispetto a quello penale, non può considerarsi nè obbligatoria, né tantomeno necessaria, a meno che non sia necessario risolvere una questione di carattere pregiudiziale, come richiesto dall’art. 295 c.p.c..

Il principio della separatezza e dell’autonomia dei giudizi, tuttavia, non preclude al Giudice contabile di tener conto, ai fini del proprio convincimento, delle risultanze probatorie di un diverso processo né di acquisirle, ove ne ravvisi l’opportunità, anche al fine di evitare una duplicazione di istruttorie. Ciò premesso, nella rilevata assenza di una relazione di pregiudizialità tra il giudizio penale e quello di responsabilità amministrativa attualmente pendenti a carico del convenuto, va esclusa l’esistenza delle condizioni per l’accoglimento dell’istanza di sospensione del processo formulata dalla difesa del sig. OMISSIS.

Sempre in via preliminare va respinta la domanda di integrazione del contraddittorio nei confronti del dott. OMISSIS, OMISSIS della Provincia di OMISSIS, al quale il convenuto “rimprovera” di aver omesso i controlli e le cautele che avrebbero potuto impedire o mitigare il danno erariale. In merito a tale istanza va ricordato che con l’affermazione del principio di personalità e parziarietà della responsabilità amministrativa, l’integrazione del contraddittorio, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario connotate dall’esistenza di un rapporto sostanziale unico e inscindibile comune a più soggetti, può essere disposta nei soli casi in cui sia ravvisata l’effettiva opportunità di una valutazione unitaria delle condotte che si assumono causative del danno.

Nella fattispecie in esame, non ravvisandosi una fattispecie di litisconsorzio necessario (C.d.C., Sez. I n. 283/2008; id. Sez. III n. 171/2009), deve ritenersi che il giudizio possa trovare utile svolgimento nei confronti del solo convenuto, tenuto conto, peraltro, che per pacifici orientamenti giurisprudenziali, ove più condotte abbiano concorso nel danno, il Collegio può tener conto, nella determinazione dell’addebito, anche del contributo causale di soggetti terzi non evocati in giudizio (C.d.C. Sez. III n. 244/2003; id. Sez. Veneto n. 570/2008; Sez. Sardegna n. 1834/2008). Deve infine rilevarsi che nel caso in esame, l’ ipotizzata responsabilità dolosa del convenuto, ove confermata, coprirebbe l’intero addebito, con la conseguenza che l’accertamento di eventuali concorrenti responsabilità di ulteriori soggetti chiamati a rispondere a titolo di colpa grave non produrrebbe alcun effetto riduttivo del risarcimento del danno posto a carico del responsabile a titolo principale. E tanto farebbe ritenere opinabile la stessa sussistenza di un interesse attuale e concreto alla domanda di integrazione del contraddittorio, posto che il convenuto non conseguirebbe alcuna utilità dalla condanna del soggetto che si vorrebbe evocare in giudizio (cfr. C.d.C. Sez. Sardegna n. 229/2014; id. Sez. Liguria n. 72/2014).

La documentazione acquisita agli atti del presente giudizio, costituita in larga parte dagli esiti dell’attività di indagine della polizia giudiziaria - elementi che possono formare oggetto di autonoma valutazione nell’ambito del presente giudizio (vd. Cass. n. 11426/2006 e precedenti ivi richiamati) - offre un quadro sufficiente e adeguatamente chiarificatorio della vicenda, consentendo di ritenere irrilevanti, oltre che superflue le istanze istruttorie formulate dal convenuto, che vanno pertanto disattese.

Nel merito deve rilevarsi che la Procura Regionale ha ipotizzato, a carico del convenuto, una condotta assunta in consapevole violazione della normativa che regola la fruizione del congedo previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, da cui sarebbero scaturite due voci di nocumento patrimoniale, ovvero il danno derivante dall’ erogazione di retribuzioni prive di una valida causa giustificativa e quello da “disservizio” conseguente al mancato espletamento della prestazione lavorativa.

Ai fini di un corretto inquadramento della fattispecie di responsabilità all’esame, occorre fare un breve cenno alla disciplina normativa di riferimento, ricordando che l’ art. 42, co. 5. del D.Lgs. n. 151/2001, consente al coniuge convivente di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ex art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di accedere al congedo previsto dall’articolo 4, comma 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53. Tale beneficio, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 4 del D.Lgs. n. 119/2011, non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e consente al dipendente di percepire un’indennità commisurata all’ultima retribuzione percepita entro un tetto massimo annuale.

Per quanto concerne il novero dei soggetti aventi diritto al beneficio, va rilevato come a seguito di alcune pronunce della Corte Costituzionale l’ambito di applicazione del congedo retribuito, originariamente riconosciuto in favore del coniuge, sia stato progressivamente esteso ad altre categorie di familiari. In particolare, con la sentenza n. 19/2009 è stata dichiarata l’ illegittimità costituzionale dell’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001 nella parte in cui tale norma non includeva, nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo ivi previsto, il figlio convivente, in mancanza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Nell’occasione, la Consulta, in linea di continuità con quanto affermato in alcune precedenti decisioni (sentenze n. 233/2005 e n. 158/2007), ha riconosciuto che la finalità del beneficio “consiste nel favorire l’assistenza al disabile grave in ambito familiare e nell’assicurare continuità nelle cure e nell’assistenza, al fine di evitare lacune nella tutela della salute psico-fisica dello stesso”.

Alla luce del suddetto quadro normativo, non è revocabile in dubbio che la fruizione del congedo retribuito ex art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, nell’assenza del presupposto della “convivenza” con il genitore disabile sia idonea ad integrare una condotta contra legem, espressiva della strumentalizzazione di un istituto la cui funzione deve ritenersi quella di favorire, attraverso l’assistenza in ambito familiare, il miglioramento della condizione psico – fisica dei soggetti portatori di handicap in situazione di gravità accertata. In merito a tale requisito, espressamente richiesto dal citato art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001, la difesa del convenuto non ha formulato specifiche osservazioni.

Con riferimento, invece, all’ attività di assistenza, presupposto che per quanto non esplicitato nella formulazione della norma è agevolmente desumibile dalle finalità di tale misura di sostegno, lo stesso patrocinio si è limitato ad osservare che il sig. OMISSIS si recava “per alcuni giorni a settimana, quando necessario, in orario serale, presso l’abitazione dove era ricoverata la madre” e si occupava “di tutte le questioni burocratiche che attenevano alla stessa” (vd. pag. 5 della memoria di costituzione in giudizio). Il riconoscimento che l’attività assistenziale è consistita, essenzialmente, nel recarsi in alcuni giorni e per poche ore a settimana, presso l’abitazione in cui madre disabile riceveva l’assistenza del fratello, della nuora e di due badanti, rende la misura di quanto la condotta dell’odierno convenuto fosse distante dalla ratio di una norma diretta ad assicurare, al familiare affetto da grave disabilità, un’ attività di assistenza continuativa, integrativa delle prestazioni rese dalle strutture sanitarie.

Giova ricordare che nell’interpretazione del Giudice delle Leggi, i congedi per l’assistenza ai familiari portatori di handicap devono ritenersi “una forma indiretta o mediata di assistenza per i disabili gravi, basata sulla valorizzazione delle espressioni di solidarietà esistenti nel tessuto sociale e, in particolare, in ambito familiare, conformemente alla lettera e allo spirito della Costituzione, a partire dai principi di solidarietà e di sussidiarietà di cui agli artt. 2 e 118, quarto comma, Cost.”. In tal modo, il legislatore ha inteso “farsi carico della situazione della persona in stato di bisogno, predisponendo anche i necessari mezzi economici, attraverso il riconoscimento di un diritto al congedo in capo ad un suo congiunto, il quale ne fruirà a beneficio dell’assistito e nell’interesse generale. Il congedo straordinario è, dunque, espressione dello stato sociale che si realizza, piuttosto che con i più noti strumenti dell’erogazione diretta di prestazioni assistenziali o di benefici economici, tramite facilitazioni e incentivi alle manifestazioni di solidarietà fra congiunti” (Corte Cost. n. 203/2013).

La condotta illecita dell’odierno convenuto trova sicuri elementi di conferma negli elementi allegati dalla Procura Regionale a sostegno della domanda risarcitoria. In particolare, con riferimento al requisito della convivenza tra il beneficiario del congedo ed il parente affetto da handicap grave, deve rilevarsi come le risultanze del certificato di famiglia e residenza, prodotto dal OMISSIS all’Amministrazione di appartenenza per dimostrare la coabitazione con la madre disabile presso l’abitazione di omissis alla Località omissis, siano state smentite dagli esiti delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria. Risulta, infatti, che il Comune di omissis, già con la comunicazione del 6.4.2002, ebbe a segnalare, a quello di omissis, la circostanza che il sig. OMISSIS, pur essendo iscritto presso l’anagrafe di quel Comune, risultava dimorare abitualmente, con la moglie e la figlia, in omissis (vd. comunicazione del Comune di omissis 6.4.2002 e verbali S.I.T. rese dai sigg.ri A. S. e B. A., del 7.3.2012 in atti). A ciò si aggiunga la considerazione che lo stesso sig. OMISSIS aveva indicato all’Amministrazione di appartenenza, quale domicilio per le eventuali visite fiscali, l’abitazione ubicata in omissis alla Via omissis.

Per quanto concerne, invece, la residenza dalla sig.ra OMISSIS, madre del sig. OMISSIS, gli scrupolosi accertamenti compiuti dalla polizia giudiziaria offrono elementi di prova atti a dimostrare che la stessa dimorava presso l’abitazione dell’altro figlio (OMISSIS), ubicata nel Comune omissis. La predetta circostanza trova conferma nelle dichiarazioni rese dal dott. , medico di base che ha avuto in cura la sig.ra , come risulta dal verbale di sommarie informazioni del 12.3.2012. Nell’occasione il medico curante ha riferito che la paziente era domiciliata a omissis ed assistita dal figlio convivente OMISSIS, unitamente alla moglie e a due badanti. Richiesto di precisare se c’erano stati contatti con il sig. OMISSIS, il dott. ha riferito che negli ultimi tre anni l’unica occasione di incontro con il figlio della sig.ra risaliva al mese di gennaio 2012, quando il nominato chiese il rilascio del certificato medico necessario per ottenere l’ autorizzazione al parcheggio per le persone disabili.

Ulteriori conferme in ordine al carattere fittizio della situazione di convivenza con la madre, si evincono dalla documentazione sanitaria dell’A.S.S. n. OMISSIS nonché dalle dichiarazioni rese dalle assistenti infermieristiche, le quali hanno riferito di non aver mai incontrato, negli accessi effettuati una o più volte a settimana presso il domicilio della sig.ra , in omissis, persone diverse dalla nuora, con i suoi due figli, e dalle badanti che si occupavano dell’anziana signora (vd. dichiarazioni rese nei verbali di sommarie informazioni del 25.2.2013, in atti).

Le predette circostanze appaiono idonee a far escludere che vi sia stata un’effettiva convivenza tra il sig. OMISSIS e la madre affetta da grave disabilità, e nel contempo, provano che ad occuparsi in modo continuativo del genitore disabile non era il beneficiario del congedo retribuito, bensì il fratello OMISSIS, residente in omissis, il quale si avvaleva, a tal fine, dell’aiuto della moglie e di due badanti, oltre che delle prestazioni del locale servizio di assistenza pubblica.

Il grave disvalore della condotta del convenuto non trova elementi di giustificazione nelle eventuali e, comunque, indimostrate omissioni riferibili al dott. . il quale, all’epoca dei fatti, ricopriva la posizione di OMISSIS della Provincia di OMISSIS. Si ritiene, infatti, che in presenza di una condotta dolosa, resa evidente dalla produzione, da parte del sig. OMISSIS, di un certificato che rappresentava una situazione di convivenza con la madre disabile in realtà non sussistente, non assuma alcun significativo rilievo la circostanza che al nominato dipendente non fu chiesto di sottoscrivere la dichiarazione di responsabilità e consapevolezza prevista dalla circolare n. 13 del 6.12.2010 del Dipartimento della Funzione Pubblica.

Allo stesso modo non si vede quale incidenza possa riconoscersi alle direttive impartite dal Dipartimento della Funzione Pubblica con la circolare del 3.2.2012 - adottata in un momento successivo alla concessione del congedo straordinario - con riferimento all’onere di produrre una dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante la “concomitanza della residenza anagrafica e della convivenza”. Per contro, giova rilevare che proprio il dott. . curò la tempestiva segnalazione, al Comando OMISSIS dei Carabinieri, delle rilevate anomalie circa i luoghi di residenza del sig. OMISSIS e della madre disabile (vd. nota del 16.8.2011) ed a richiedere, successivamente, notizie utili ai fini dell’attivazione del procedimento disciplinare e della denuncia di danno erariale (vd. nota del 21.9.2012). Non è superfluo aggiungere che fu lo stesso dott. ., a seguito dell’acquisizione degli elementi necessari per delineare, in modo specifico e concreto, la condotta illecita del dipendente, ad assumere le iniziative che hanno dato luogo all’odierna contestazione di danno erariale.

Quanto all’elemento soggettivo, i fatti accertati denotano la volontà del sig. OMISSIS di conseguire il beneficio previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs n. 151/2001, pur in mancanza della convivenza con la madre e della prestazione di un’effettiva attività di assistenza in favore della stessa, e dunque dei presupposti richiesti ai fini della concessione del congedo retribuito. Non è revocabile in dubbio, per quanto innanzi evidenziato, che l’odierno convenuto, mediante la presentazione di un certificato di stato di famiglia e residenza attestante la sua residenza in omissis unitamente a quella della sig.ra OMISSIS, abbia voluto precostituire una situazione di apparente convivenza, diretta all’indebita fruizione del congedo retribuito previsto dall’art. 42, co. 5, del D.Lgs. n. 151/2001. Nella condotta del convenuto, connotata dalla consapevole volontà di conseguire un ingiusto beneficio economico in danno dell’Amministrazione di appartenenza, è ravvisabile, dunque, l’elemento soggettivo del dolo.

Va pure incidentalmente rilevato come nel parallelo giudizio penale, i medesimi fatti materiali siano stati ritenuti idonei ad integrare il reato di truffa aggravata, determinando la condanna del sig. OMISSIS, in primo grado, alla pena di anni 1 e mesi 9 di reclusione, oltre al pagamento di euro 1.250,00 di multa, alla confisca di quanto sottoposto a sequestro preventivo ed alla rifusione, in favore della parte civile, dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti all’illecito (vd. dispositivo di sentenza del Tribunale di OMISSIS del 2.12.2014, prodotto dal P.M. contabile all’udienza del 18.12.2014).

Ravvisata, dunque, la sussistenza di una fattispecie di responsabilità amministrativa ascrivibile alla condotta dolosa del sig. OMISSIS, il danno conseguente all’indebita fruizione del congedo straordinario va quantificato nella misura equivalente alle retribuzioni erogate nel periodo 1.7.2011 – 28.2.2013, per complessivi euro 55.186,66 , secondo quanto emerge dalle risultanze, non contestate, della documentazione acquisita agli atti di causa (vd. richiesta di rinvio a giudizio; atto di costituzione di parte civile nel giudizio penale della Provincia di OMISSIS).

La quantificazione del danno risulta correttamente effettuata dalla Procura Regionale con riferimento agli importi delle retribuzioni erogate in favore dell’ odierno convenuto al lordo degli oneri riflessi. A far escludere l’ applicazione dell’art. 1, co. 1 bis, della legge n. 20/1994 (norma che impone di tener conto dei vantaggi conseguiti dall’amministrazione in relazione al comportamento dannoso degli amministratori o dipendenti pubblici) è la mancanza di un collegamento causale tra i (presunti) vantaggi conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata e la condotta antigiuridica del responsabile del danno (principio della compensatio lucri cum damno). Ed invero, l’ipotetico “vantaggio” derivante dal versamento degli oneri fiscali deve ritenersi strettamente correlato all’adempimento di un’ obbligazione legale gravante l’Ente quale di sostituto d’imposta; diversamente, il “danno” arrecato all’Amministrazione di appartenenza trova la propria origine dall’aver richiesto e conseguito, con dolo, il congedo retribuito per l’assistenza al genitore gravemente disabile pur nell’assenza dei presupposti richiesti per accedere a tale beneficio.

In definitiva, non potendosi riferire il fatto produttivo del danno e quello determinativo della presunta utilitas ad un’unica causa, né venendo in evidenza un effettivo vantaggio per l’Amministrazione o la comunità amministrata riconducibile all’azione illecita del convenuto, la quantificazione di tale pregiudizio va effettuata in misura corrispondente al complessivo esborso sostenuto dall’Ente, al lordo degli oneri fiscali (cfr. C.d.C., Sez. Lombardia n. 89/2013; id. Sez. II n. 400/2010; id. Sez. Emilia Romagna n. 2032/2010; id. Sez. I n. 187/2005; id. Sez. Calabria n. 273/2004; id. Sez. III n. 183/2005; id. Sez. Lazio n. 411/2005). Per quanto concerne i “contributi previdenziali” va osservato che i versamenti effettuati a tal fine dal datore di lavoro concorrono ad incrementare il montante contributivo sul quale viene calcolata la pensione del dipendente; quest’ultimo, in definitiva, ne diventa esclusivo beneficiario. Allo stato, dunque, anche l’esborso relativo ai contributi previdenziali costituisce una voce di danno per l’Amministrazione provinciale.

Un ulteriore profilo di indagine riguarda l’esistenza e la riferibilità al sig. OMISSIS del c.d. danno da disservizio. In proposito va osservato che la giurisprudenza della Corte dei conti descrive, con tale espressione, il nocumento patrimoniale riconducibile a più tipologie di condotte illecite, accumunate dall’essere causative di un depotenziamento dell’attività amministrativa e dei suoi risultati (C.d.C., Sez. I n. 253/2014; id. Sez. Lazio n. 214/2012; Sez. II n. 443/2011; id. Sez. Piemonte n. 52/2011; id. Sez. I n. 103/2010; id. Sez. Basilicata n. 83/2006; id. Sez. Veneto n. 866/2005; id. Sez. Umbria n. 346/2005; id. Sez. Emilia Romagna n. 2269/2004).

In particolare, nei casi di esercizio illecito di pubbliche funzioni o di omessa prestazione di attività lavorativa, tale danno viene ravvisato nella minore efficacia, efficienza ed economicità dei servizi ipotizzati come normalmente ritraibili sulla base delle risorse investite. Non è infrequente che il nocumento per l’Erario sia individuato nei costi sostenuti dall’Amministrazione per accertare le conseguenze della mancata prestazione del servizio, sostituire le risorse mancanti e ripristinare le condizioni di efficienza dell’azione amministrativa. Costituisce, altresì, un punto fermo nella giurisprudenza di questa Corte, che l’illecito derivante dallo sviamento o dalla mancata resa dell’attività lavorativa deve essere provato sulla base di elementi idonei a dimostrare le conseguenze pregiudizievoli per l’ organizzazione interna della P.A. e le ripercussioni negative sull’azione amministrativa.

Ciò premesso, reputa il Collegio che la mancata attività lavorativa del sig. OMISSIS abbia comportato indubbie conseguenze pregiudizievoli sulla funzionalità del settore amministrativo cui il nominato dipendente era assegnato, determinando un aggravio dei carichi di lavori dei funzionari in servizio e la necessità di impiegare altro personale per far fronte alla situazione di deficit organizzativo. Risulta, infatti, documentalmente provato che a seguito della concessione del congedo straordinario, l’intero carico di lavoro dell’ufficio in cui operava l’odierno convenuto si riversò sulla geom. OMISSIS (vd. nota del Dirigente del Settore OMISSIS della Provincia di OMISSIS del 27.3.2012).

E’ altresì dimostrato che per far fronte a tale situazione emergenziale il Dirigente dell’ufficio dispose che le attività di sopralluogo fossero svolte dalla geom. OMISSIS con l’ausilio dei capi cantonieri, i quali vennero distolti dall’ attività di sfalcio dell’erba lungo le strade provinciali. Le ripercussioni dell’assenza del sig. OMISSIS sulla funzionalità dell’ufficio indussero lo stesso Dirigente dapprima a richiedere (nota del 27.3.2012) e poi a sollecitare (nota del 29.6.2012) l’ assegnazione di un’unità aggiuntiva in supporto alla geom. OMISSIS.

I contenuti di tale corrispondenza descrivono, in modo inequivocabile, le difficoltà affrontate dall’Amministrazione per far fronte all’assenza dal servizio del dipendente ed offrono la prova del postulato danno da disservizio, che si assomma a quello patrimoniale in senso stretto. Per quanto attiene alla quantificazione di tale nocumento, si rende necessario il ricorso al criterio equitativo previsto dall’art. 1226 c.c., considerata l’impossibilità di determinare le conseguenze dannose dell’illecito sia nell’ambito dell’organizzazione interna che nei confronti della collettività amministrata (C.d.C., Sez. II n. 38/2014; id. Sez. III n. 501/2007 e n. 7779/2010). Tenuto conto del periodo di mancata prestazione dell’attività lavorativa, nonché degli elementi desumibili dalla documentazione sopra richiamata, si ritiene equa la quantificazione di tale voce di danno nella misura pari al 30% del trattamento economico fruito a titolo di congedo retribuito, e dunque nell’importo di euro 16.555,99 già comprensivo di rivalutazione monetaria.

Conclusivamente, nella ravvisata sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, va disposta la condanna del sig. OMISSIS al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della complessiva somma di euro 71.742,65. In aggiunta alla sorte capitale è dovuta la rivalutazione monetaria, da calcolarsi unicamente sull’ importo di euro 55.186,66 (quello di euro 16.555,99 è già comprensivo di rivalutazione monetaria) sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, dalle date degli esborsi sostenuti dalla Provincia di OMISSIS alla pubblicazione della sentenza. Sul cumulo di sorte capitale e rivalutazione monetaria sono dovuti gli interessi legali nella misura del saggio legale dalla data di pubblicazione della sentenza a quella di effettivo pagamento. L’oggettiva gravità dell’illecito e le sue connotazioni dolose fanno escludere l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura determinata in dispositivo.

Per mero tuziorismo si rileva che in sede di esecuzione della presente decisione potrà tenersi conto delle somme che hanno formato oggetto di sequestro in sede penale, solo ove le stesse risultino effettivamente accreditate in favore della Provincia di OMISSIS.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunciando, ogni contraria eccezione, deduzione e conclusione reietta, condanna il sig. OMISSIS al pagamento, in favore della Provincia di OMISSIS, della complessiva somma di euro 71.742,65 (settantunomilasettecentoquarantadue/65), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nei termini di cui in motivazione. Condanna, altresì, il convenuto al pagamento delle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 312,59 (trecentododici/59).

Manda alla Segreteria della Sezione per i conseguenti adempimenti.

Così deciso in Trieste nella Camera di Consiglio del 18 dicembre 2014.

L’Estensore Il Presidente f.f.
Giancarlo DI LECCE Paolo SIMEON
(firmato) (firmato)

Il Collegio, ravvisati gli estremi per l’applicazione dell’art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, ha disposto che a cura della Segreteria venga apposta, sull’originale della presente decisione, in caso di riproduzione della stessa in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, vengano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti ivi nominati.

Il Presidente f.f.
f.to Paolo Simeon

Depositato in Segreteria il 18/02/2015.
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Re: LEGGE 1O4/92

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N.B.: Il Ministero dell'Interno perde l'Appello.
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il CdS precisa:

Il T.A.R. Lombardia ha rilevato che:

- OMISSIS;

- che l’art. 33, comma 5, citato è applicabile anche ai vincitori di concorso, e che l’assegnazione ai sensi della disposizione citata è del tutto diversa e prevalente rispetto al trasferimento ordinario.

Il CdS chiarisce:

L’appello è infondato.

1) - Occorre preliminarmente premettere che a seguito della novella di cui alla legge nr. 183 del 2010, è stata eliminata dall'art. 33 della legge nr. 104 del 1992 la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell'assistenza: tali requisiti, pertanto, non possono più essere pretesi dall'Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui al citato art. 33, e dunque gli unici parametri entro i quali l'Amministrazione deve valutare se concedere o meno il trasferimento presso la sede di servizio di OMISSIS o località limitrofe, sono da un lato le proprie esigenze organizzative ed operative, e dall'altro l'effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un suo uso strumentale.

2) - La Sezione ha già chiarito che “agli effetti del trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, per dare assistenza con carattere di continuità a parente o affine entro il terzo grado che versa in condizione di handicap - l'inciso "ove possibile", contenuto nella predetta disposizione, nel settore del pubblico impiego sta a significare che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve sussistere la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento (…).

3) - Ha poi aggiunto che “pur non configurandosi il trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1192 come un diritto assoluto del dipendente interessato - nella graduazione degli interessi coinvolti, ove sussista per la qualifica rivestita la disponibilità di posti nella sede richiesta, la necessità di assicurare l'apporto assistenziale alla persona in condizione di handicap si configura prevalente e prioritaria (oltreché derogatoria alle regole ordinarie di mutamento del luogo di servizio), rispetto ai trasferimenti da effettuarsi secondo gli interpelli periodici a livello nazionale, volti a soddisfare, di massima, le esigenze di rientro nella sede di origine in base all'anzianità di servizio maturata” (cfr. Cons. Stato Sez. III, 1/08/2014 n. 4085).

4) - In sostanza, l’Amministrazione non ha fornito un’idonea dimostrazione dell’esistenza di ragioni di servizio tali da rendere recessivo l’interesse alla tutela della disabile.

5) - Infine, correttamente la sentenza appellata ha rilevato che il trasferimento ex art. 33 c. 5 della L. 104/92 risponde a finalità del tutto distinte rispetto al regime ordinario previsto per i trasferimenti, e che quindi la necessità di garantire l’avvicendamento del personale non può costituire valida ragione per ledere il preminente diritto all’assistenza spettante al disabile.

6) - Infine, la questione relativa all’impossibilità di prestare assistenza alla disabile da parte degli altri congiunti non costituisce motivo di rigetto della domanda di trasferimento, essendo stata la questione già dedotta nel primo provvedimento di diniego di trasferimento annullato dal T.A.R. Umbria con la sentenza n. 160/2013, nella quale si è fatto specifico riferimento al venir meno dei requisiti dell’esclusività e della continuità dell’assistenza.

Cmp. leggete il tutto qui sotto.
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SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 3 ,numero provv.: 201505113
- Public 2015-11-10 -


N. 05113/2015REG.PROV.COLL.
N. 07067/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 7067 del 2015, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12;

contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sasso, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE I n. 00182/2015, resa tra le parti, concernente diniego trasferimento per assistenza persona disabile ai sensi dell'art. 33 comma 5 l. n. 104/1992

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2015 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’avvocato Sasso e l’avvocato dello Stato Lorenzo D'Ascia;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:


Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, il ricorrente in primo grado ha impugnato il provvedimento con cui l’amministrazione dell’Interno ha respinto la sua richiesta di trasferimento, inoltrata in data 5 settembre 2011, ai sensi dell’art. 33 comma 5 della L. n. 104/1992. In particolare, l’istante ha dedotto: - di essere agente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di OMISSIS; - di provvedere da molti anni all’assistenza della sorella -OMISSIS-, portatrice di handicap in situazione di gravità, con accertata invalidità totale e permanente inabilità lavorativa al 100%; - che, stante l’indisponibilità dei suoi genitori ad assistere la figlia disabile (in quanto a loro volta affetti da personali patologie invalidanti), in data 5 settembre 2011, aveva presentato una domanda di trasferimento ai sensi dell’art. 33, comma 5 della L. n. 104/92, corredata della relativa documentazione medica; - che il Ministero dell’Interno, aveva con un primo provvedimento rigettato l’istanza motivando che: “Non si rilevano elementi utili per l'applicazione della normativa citata. Nel caso di specie, infatti, non risulta comprovato che il dipendente assista, in via esclusiva, il portatore di handicap. Non è possibile infatti, ipotizzare un'assistenza prestata unicamente dal dipendente, rappresentata solo per mezzo di semplici dichiarazioni di carattere formale, non risultando provata con la produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, oppure concernenti stati psicofisici connotati da particolare gravità, e, quindi, idonei a comprovare l'effettiva indisponibilità assistenziale degli altri familiari, sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un'effettiva esimente dal vincolo di assistenza familiare”; - che l’adito T.A.R. di Perugia, aveva dichiarato illegittimo tale provvedimento con sentenza n. 160/2013, sul presupposto che, per effetto dell’articolo 24 della Legge n. 183/2010, non fosse più previsto l’obbligo della continuità ed esclusività dell’assistenza ai fini delle richieste di cui all’art. 33 della Legge quadro per l’assistenza ai disabili; - che, con il provvedimento oggi impugnato, l’amministrazione resistente ha nuovamente denegato il trasferimento richiesto dal ricorrente, motivando questa volta nel senso che: “considerato che l’Amministrazione espleta i concorsi, impegnando notevoli risorse finanziarie ed investendone ulteriori per la formazione degli allievi, con il fine di avvalersene per il perseguimento dei propri compiti istituzionali, individuando a questo scopo le sedi ove le esigenze di servizio, legate alle necessità di ordine e sicurezza pubblica, risultino rilevanti”; “considerato, altresì, che per i suddetti motivi, la sede richiesta dal dipendente non è contemplata tra quelle resesi disponibili per l'assegnazione del personale di prima nomina”; “tenuto conto, inoltre, che l’assegnazione dei neo agenti permette la movimentazione di dipendenti dello stesso ruolo che aventi maggiore anzianità di sede, a volte, anche ultradecennale, attendono di raggiungere le destinazioni richieste”; “considerato, infine, che le istanze ai sensi della normativa invocata dal dipendente possono trovare accoglimento ove possibile alla luce delle irrinunciabili specifiche esigenze organizzative e funzionali dell'Amministrazione, la quale, pur dovendo tener conto dei bisogni personali e familiari dei propri dipendenti, non può assolutamente prescindere dal perseguimento del proprio fine, coincidente con l'interesse primario della collettività, interesse a cui deve riconoscersi priorità assoluta, in quanto individuato come prevalente rispetto alle esigenze personali del singolo, anche se normativamente tutelate”.

Avverso detto provvedimento il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, comma 2 e dell’art. 51 della Costituzione e dell’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, della l. 3 marzo 2009, n. 18, in quanto l’amministrazione resistente avrebbe del tutto obliterato i principi costituzionali e comunitari della pari dignità e di inserimento sociale delle persone con disabilità;

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 104/1992, dell’art. 3 della l. n. 241/1990, dell’art. 7 del d.p.r. n. 254/1999 e dell’art. 55 del d.p.r. 335/1982;

- l’eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, illogicità e irragionevolezza della motivazione, travisamento. violazione del principio di proporzionalità;

- la violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, in quanto l’amministrazione avrebbe posto a sostegno del provvedimento finale di reiezione motivazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle prospettate nel preavviso di rigetto comunicato in data 8 aprile 2013.

Con la sentenza appellata il primo giudice ha accolto il ricorso avverso il diniego di trasferimento respingendo la domanda risarcitoria.

Il T.A.R. Lombardia ha rilevato che:

-- l’inciso “ove possibile” recato dalla norma più volte richiamata, implica un bilanciamento, effettivo e non apparente, tra le esigenze vitali del disabile (in vista della cui assistenza soltanto è stato introdotto l’istituto) e quelle organizzative della p.a., il che implica che le valutazioni del datore di lavoro, da specificarsi dettagliatamente, debbono apparire del tutto imprescindibili;

-- la stessa amministrazione ha riconosciuto, nella relazione dell’8 aprile 2014, che non si registra “una grande differenza tra le vacanze organiche specifiche del ruolo di appartenenza del ricorrente -” nelle sedi di OMISSIS e OMISSIS”, né ha puntualmente indicato le ragioni che rendono prevalente l’interesse organizzativo dell’Amministrazione a trattenere nell’attuale sede il ricorrente, rispetto all’interesse di questi ad assistere il congiunto invalido;

-- che l’art. 33, comma 5, citato è applicabile anche ai vincitori di concorso, e che l’assegnazione ai sensi della disposizione citata è del tutto diversa e prevalente rispetto al trasferimento ordinario.
Con ricorso ritualmente notificato il Ministero dell’Interno ha proposto appello avverso la predetta sentenza deducendo che:

-- la richiesta di trasferimento ex art. 33 della L. 104/92 non costituisce un diritto incondizionato del richiedente, essendo necessaria non solo la vacanza nell’organico, ma anche la disponibilità del posto;

-- l’Amministrazione ha individuato le sedi nelle quali assegnare i frequentatori del 180° corso di formazione, e tra queste non è ricompresa la sede di OMISSIS nella quale il ricorrente in primo grado ha chiesto l’assegnazione;

-- l’assegnazione dei nuovi agenti consente la movimentazione di quelli aventi maggiore anzianità di sede;

-- la presenza dei genitori della disabile deve essere comunque valutata per la concessione del beneficio al fine di evitare l’uso strumentale della disposizione.

L’Amministrazione ha quindi concluso chiedendo l’accoglimento dell’impugnazione.

L’appellato si è costituito in giudizio e nella propria memoria ha replicato alle censure proposte chiedendo il rigetto dell’appello.

In particolare, ha rilevato che le ragioni di servizio sarebbero state genericamente indicate e sarebbero smentite dagli accertamenti istruttori disposti dal primo giudice; sarebbe stato provato nel giudizio di primo grado che alcuni suoi colleghi vincitori del concorso sarebbero stati assegnati presso commissariati casertani; la disposizione recata dall’art. 33 c. 5 della L. 104/92 si applicherebbe anche ai vincitori di concorso in sede di prima nomina; sarebbe stato accertato nel primo giudizio dinanzi al T.A.R. Umbria l’impossibilità per i genitori di prestare assistenza alla figlia disabile.

Alla Camera di Consiglio del giorno 1 ottobre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione ai sensi degli artt. 38 e 60 c.p.a., ricorrendo i presupposti ivi previsti dal codice del processo amministrativo.

L’appello è infondato.

Occorre preliminarmente premettere che a seguito della novella di cui alla legge nr. 183 del 2010, è stata eliminata dall'art. 33 della legge nr. 104 del 1992 la previsione dei requisiti della continuità ed esclusività dell'assistenza: tali requisiti, pertanto, non possono più essere pretesi dall'Amministrazione come presupposto per la concessione dei benefici di cui al citato art. 33, e dunque gli unici parametri entro i quali l'Amministrazione deve valutare se concedere o meno il trasferimento presso la sede di servizio di OMISSIS o località limitrofe, sono da un lato le proprie esigenze organizzative ed operative, e dall'altro l'effettiva necessità del beneficio, al fine di impedire un suo uso strumentale.

La Sezione ha già chiarito che “agli effetti del trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, per dare assistenza con carattere di continuità a parente o affine entro il terzo grado che versa in condizione di handicap - l'inciso "ove possibile", contenuto nella predetta disposizione, nel settore del pubblico impiego sta a significare che, avuto riguardo alla qualifica rivestita dal pubblico dipendente, deve sussistere la disponibilità nella dotazione di organico della sede di destinazione del posto in ruolo per il proficuo utilizzo del dipendente che chiede il trasferimento (…).

Ha poi aggiunto che “pur non configurandosi il trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1192 come un diritto assoluto del dipendente interessato - nella graduazione degli interessi coinvolti, ove sussista per la qualifica rivestita la disponibilità di posti nella sede richiesta, la necessità di assicurare l'apporto assistenziale alla persona in condizione di handicap si configura prevalente e prioritaria (oltreché derogatoria alle regole ordinarie di mutamento del luogo di servizio), rispetto ai trasferimenti da effettuarsi secondo gli interpelli periodici a livello nazionale, volti a soddisfare, di massima, le esigenze di rientro nella sede di origine in base all'anzianità di servizio maturata” (cfr. Cons. Stato Sez. III, 1/08/2014 n. 4085).

Nel caso di specie, il primo giudice ha svolto un’approfondita istruttoria in esito alla quale è emerso che “non si registra una grande differenza tra le vacanze organiche specifiche del ruolo di appartenenza del ricorrente nelle sedi di OMISSIS e OMISSIS (le quali presentano scoperture rispettivamente del 9% e del 5%, pur calcolate rispetto a organici quantitativamente diversi tra di loro)”. Il primo giudice ha poi chiesto ulteriori chiarimenti all’Amministrazione sulla questione, ma nessun ulteriore precisazione è stata fornita, tanto che nella sentenza il primo giudice ha rilevato che “la nota del 3 giugno 2014, oltre a non rispondere in termini puntuali alla richiesta di chiarimenti formulata da Collegio, non contiene un’adeguata rappresentazione delle specifiche ragioni che rendono prevalente l’interesse organizzativo dell’Amministrazione a trattenere nell’attuale sede il ricorrente, rispetto all’interesse di questi (specificatamente tutelato dall’ordinamento) di assistere il congiunto invalido”.

In sostanza, l’Amministrazione non ha fornito un’idonea dimostrazione dell’esistenza di ragioni di servizio tali da rendere recessivo l’interesse alla tutela della disabile.

Neppure può rilevare in modo assoluto “la disponibilità” del posto rivendicato dal ricorrente, atteso che la giurisprudenza ha ritenuto applicabile la disciplina recata dall’art. 33 citato anche in sede di prima assegnazione (cfr. T.A.R. Lazio Sez. I 8/5/2012 n. 4126), come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, senza considerare che il ricorrente ha dedotto – senza essere stato contraddetto sul punto dall’Amministrazione – che ben tre colleghi del suo concorso sarebbero stati assegnati a commissariati nella zona di OMISSIS.

Infine, correttamente la sentenza appellata ha rilevato che il trasferimento ex art. 33 c. 5 della L. 104/92 risponde a finalità del tutto distinte rispetto al regime ordinario previsto per i trasferimenti, e che quindi la necessità di garantire l’avvicendamento del personale non può costituire valida ragione per ledere il preminente diritto all’assistenza spettante al disabile.

Infine, la questione relativa all’impossibilità di prestare assistenza alla disabile da parte degli altri congiunti non costituisce motivo di rigetto della domanda di trasferimento, essendo stata la questione già dedotta nel primo provvedimento di diniego di trasferimento annullato dal T.A.R. Umbria con la sentenza n. 160/2013, nella quale si è fatto specifico riferimento al venir meno dei requisiti dell’esclusività e della continuità dell’assistenza.

In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello deve essere respinto.

Quanto alle spese di lite, in considerazione della particolarità della fattispecie, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti per l’intero giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate per l’intero giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Massimiliano Noccelli, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/11/2015
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Re: LEGGE 1O4/92

Messaggio da panorama »

I tempi cambiano

Ci sono già diverse Sentenze negative dei Tar in questi ultimi tempi, ossia, che l'Amministrazione a seguito del decesso del familiare assistito, provvede a revocare il trasferimento definitivo precedentemente decretato a seguito della speciale Legge 104.

Quindi, anche a distanza di anni dal trasferimento definitivo, l'Amministrazione richiama il proprio dipendente, proprio perché, è la stessa legge n. 104 a evidenziare la natura temporanea e non definitiva dei trasferimenti dei lavoratori dipendenti, siano essi pubblici o privati, in quanto ancorata alla permanenza delle condizioni che ne avevano giustificato l’adozione.
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Qui sotto, posto la sentenza del CdS che rigetta l'appello del dipendente, dando ragione all'Amministrazione.
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personale PolPen

- ) - cinque anni dalla prima assegnazione

- ) - circolare n. 0457451 del 28.12.2012

Il CdS precisa:

1) - Emerge, allora, con tutta evidenza che la scelta della sede in forza della legge n. 104 non è un beneficio che la normativa assicura permanentemente al dipendente che presta assistenza a un congiunto disabile, bensì si atteggia quale strumento derogatorio del principio di parità di trattamento vigente in materia di trasferimenti a domanda dei dipendenti, al limitato fine di garantire e rendere effettiva l’assistenza al congiunto disabile per il periodo in cui ciò si rende necessario, in specifica applicazione delle norme la cui ratio è solo quella di assicurare un adeguato sostegno alle persone in situazione di handicap grave.

2) - L’Amministrazione ha fatto buongoverno del principio suindicato, direttamente discendente dalla norma di legge prima citata, e pertanto tale critica dell’appellante va disattesa, non ravvisando il Collegio ragioni per discostarsi dall’orientamento ancora di recente espresso dalla Sezione nella sentenza n. 4671 del 9 ottobre 2017.

LEGGETE tutti i contenuti qui sotto.
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SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201705206 - Public 2017-11-13 -
Pubblicato il 13/11/2017


N. 05206/2017 REG. PROV. COLL.
N. 08928/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8928 del 2016, proposto dal Signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Carmine Biasiello, domiciliato ex art. 25 cpa presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

contro
Ministero della Giustizia, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato, costituitosi in giudizio;

Dipartimento Amministrazione Penitenziaria non costituito in giudizio;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il MOLISE –Sede di CAMPOBASSO - SEZIONE I n. 357/2016, resa tra le parti, concernente revoca assegnazione sede – mcp.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 ottobre 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato Biasiello e l'Avvocato dello Stato D'Elia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe appellata n. 357 del 21.9.2016 il T.a.r. per il Molise – Sede di Campobasso - ha respinto il ricorso proposto dalla odierna parte appellante Signor -OMISSIS- -OMISSIS- volto ad ottenere l’annullamento del decreto di trasferimento del 24 agosto 2015 avente ad oggetto la revoca della assegnazione del medesimo presso la casa circondariale di Isernia disposta ai sensi dell'art. 33, 5° comma, della Legge n. 104/92.

2. La originaria parte ricorrente aveva prospettato plurime censure, riposanti nella illegittimità della disposta revoca, sostenendo che il trasferimento disposto (con provvedimento del 14 agosto 2013) presso la casa circondariale di Isernia fosse definitivo, e che pertanto l’avvenuto decesso del proprio congiunto (la madre dal medesimo assistita ex art. 33, della legge n. 104 del 1992) non potesse produrre alcun effetto caducatorio della assegnazione dell’originario ricorrente alla predetta sede; in ogni caso, decorso il termine di cinque anni dalla prima assegnazione alla casa circondariale di Isernia il trasferimento doveva ritenersi definitivo.

Egli infatti, aveva sostenuto che, dopo essere stato distaccato a tempo indeterminato alla casa circondariale di Isernia con provvedimento del 16.11 2006 (a seguito della sentenza del T.a.r. per il Lazio n. 6829/2005), aveva conseguito un assetto definitivo della propria sede di servizio proprio con il provvedimento del 2013, e che quest’ultimo era stato illegittimamente revocato.

3. Il Ministero della Giustizia si era costituito chiedendo la reiezione del ricorso.

4. Con la sentenza gravata il T.a.r., ha innanzitutto riepilogato le principali tappe contenzioso, ed ha respinto il ricorso deducendo che:

a) in giurisprudenza era prevalente la tesi per cui la stessa legge n. 104 evidenziava la natura temporanea e non definitiva dei trasferimenti dei lavoratori dipendenti, siano essi pubblici o privati, in quanto ancorata alla permanenza delle condizioni che ne avevano giustificato l’adozione;

b) talune pronunce si erano discostate –in apparenza – da tale opinamento, ed avevano affermato il carattere definitivo del trasferimento disposto ex art. 33, della legge n. 104 del 1992, non subordinandolo al mantenimento della situazione originaria, a condizione tuttavia che “l’Amministrazione di appartenenza non avesse disciplinato specificamente il punto”.

c) senonchè, nel caso di specie, neppure l’originario ricorrente poteva invocare tale opzione ermeneutica, in quanto:

I) il provvedimento del 14 agosto 2013 con cui il predetto era stato assegnato alla casa circondariale di Isernia era stato dichiaratamene adottato “in applicazione della legge 5 febbraio 1992, n. 104” – di fatto condizionandosene l’efficacia al perdurare delle condizioni previste dall’art. 33, comma 5, della legge in parola;

II) esso, inoltre, era successivo alla adozione della circolare n. 0457451 del 28.12.2012 che, con valenza generale, affermava che “Nel caso di cessazione dei presupposti l’amministrazione avvierà d’ufficio le procedure di revoca del trasferimento” in tal modo conformandosi con il carattere della temporaneità tutti i provvedimenti successivamente adottati ai sensi dell’art. 33, comma 5 della legge 104/1992;

d) da tali circostanze emergeva che la revoca del trasferimento ( a seguito della quale egli sarebbe dovuto rientrare presso la sede di provenienza in Roma, Casa Circondariale di Regina Coeli) integrava atto sostanzialmente dovuto, anche per garantire il corretto svolgimento delle procedure di mobilità ordinarie, senza pregiudicare il personale con requisiti di anzianità poziori, di tal che non rilevavano le doglianze con cui era stata contestata l’omessa ponderazione con le esigenze di servizio della sua condizione personale e familiare, né l’effettiva consistenza del ruolo degli Agenti/Assistenti presso la casa circondariale suddetta e neppure eventuali disparità di trattamento, in presenza di situazioni analoghe che peraltro non erano state diffusamente chiarite.

5. L’originario ricorrente rimasto soccombente ha impugnato la decisione del T.a.r. denunciandone la erroneità e, dopo avere analiticamente ripercorso le principali tappe del risalente contenzioso, ha riproposto le tesi invano sostenute in primo grado, facendo presente che ai sensi dell’art. 7 bis della legge 104/1992 il trasferimento disposto nei propri confronti nel 2006 e “confermato” del 2013 doveva considerarsi definitivo.

6. In data 23.12.2016 l’appellata amministrazione si è costituita depositando atto di stile ed in data 30.1.2017 ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello in quanto infondato.

7. Alla adunanza camerale del 2 febbraio 2017 fissata per la delibazione della domanda di sospensione della esecutività la Sezione, con la ordinanza n. 409/17 ha respinto il petitum cautelare alla stregua delle considerazioni per cui “rilevato che l’appello cautelare non appare fornito del prescritto fumus, tenuto conto della circostanza che la condizione in forza della quale venne disposto il trasferimento (e che di quest’ultimo costituì ragione fondante) è cessata; rilevato che anche sotto il profilo del periculum in mora è preponderante l’interesse dell’amministrazione appellata a che vi sia una ordinata programmazione dell’impiego del personale; .”

6. In data 24.3.2017 il Signor -OMISSIS- ha depositato documentazione relativa ai fatti di causa.

7. In data 13.10 2007 il Signor -OMISSIS- ha depositato note di udienza puntualizzando le proprie difese.

7. Alla odierna pubblica udienza del 19 ottobre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e va respinto nei sensi di cui alla motivazione che segue.

1.1. Va in via preliminare evidenziato che le note di udienza che la difesa del Signor -OMISSIS- ha depositato in data 13.10.2017 non sono esaminabili dal Collegio in quanto tardivamente prodotte.

2. L’appellante fonda la propria pretesa su una tesi che è stata in passato patrocinata dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado (si veda T.A.R. Milano, -Lombardia-, sez. III, 26 agosto 2016, n. 1609) ed anche da questo Consiglio di Stato in sede consultiva (Consiglio di Stato comm. spec., 19/01/1998, n. 394 “la domanda di trasferimento presso la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio -ai sensi dell'art. 33 commi 5 e 6 l. 5 febbraio 1992 n. 104- presentata dal genitore o dal familiare lavoratore che assista in modo continuativo un parente o un affine entro il terzo grado handicappato con lui convivente, ovvero dal portatore di handicap maggiorenne lavoratore, comporta una valutazione diretta ad una sistemazione di carattere definitivo.”).

Detta tesi, peraltro, già in epoca risalente era stata interpretata in senso perimetrativo e riduttivo (Consiglio di Stato, sez. IV, 16/10/2009, n. 6355:” il pubblico dipendente, trasferito con riserva alla sede di residenza del congiunto portatore di handicap in attesa della conclusione del procedimento di cui all'art. 33, l. 5 febbraio 1992 n. 104, perde ogni diritto al beneficio nel caso di decesso del congiunto prima dell'adozione dell'atto conclusivo del procedimento stesso.”) e non era stata recepita dalla maggioritaria giurisprudenza di primo grado (si veda T.A.R. Campobasso, -Molise, sez. I, 6/ ottobre 2011, n. 599) .

3. Il Collegio ritiene che – a tutto concedere- si sarebbe potuto discutere della condivisibilità della opzione ermeneutica patrocinata dalla difesa dell’appellante sulla scorta del testo originario della citata disposizione di cui alla legge n. 104 del 1992: la tesi dell’appellante appare invece certamente infondata avuto riguardo all’attuale tenore dell’ dell'art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (pacificamente applicabile alla fattispecie ratione temporis).

4. Invero il vigente testo della suindicata norma così prevede al comma 7 bis, introdotto dall’articolo 24, comma 1, lettera c), della legge 4 novembre 2010, n. 183 :” ferma restando la verifica dei presupposti per l'accertamento della responsabilità disciplinare, il lavoratore di cui al comma 3 decade dai diritti di cui al presente articolo, qualora il datore di lavoro o l'INPS accerti l'insussistenza o il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti. “

4.1. La norma è perentoria nel “legare” “i diritti” previsti dal citato art. 33 al “venir meno” delle condizioni richieste per la legittima fruizione dei medesimi diritti, tanto da ipotizzare una possibile rilevanza disciplinare nella condotta del lavoratore che non comunichi detta mutata circostanza.

4.2. Tale perentoria dizione della norma impone che al verificarsi di un mutamento delle condizioni, la fruizione del diritto venga meno, salva, ovviamente, in via eventuale la possibilità di adottare un nuovo provvedimento (diverso dal primo) nell’emergere di ulteriori e diversi elementi che danno diritto alla fruizione di analogo beneficio.

4.3. Nel caso di specie la “condizione” legittimante il trasferimento disposto (con provvedimento del 14 agosto 2013) presso la casa circondariale di Isernia dell’appellante riposava nella necessità di assistere la madre di questi; l’avvenuto venir meno di tale condizione a cagione dell’avvenuto decesso del predetto congiunto fa venire meno il diritto alla fruizione del beneficio.

4.3.1. Il detto beneficio, legittimamente è stato quindi revocato dall’Amministrazione, e potrà eventualmente in futuro essere nuovamente accordato al predetto, con un nuovo provvedimento, e previa ulteriore rinnovata ponderazione delle condizioni legittimanti e bilanciamento dell’interesse vantato dall’istante con quelli antagonisti eventualmente prospettati dall’Amministrazione laddove ne sussistano i presupposti.

4.4. La pretesa dell’appellante secondo cui il trasferimento era ormai divenuto definitivo e non risentiva dei mutamenti incidenti sulla situazione legittimante (necessità di assistere la madre) al medesimo sotteso, è totalmente inaccoglibile, e non lo è meno quella di “proseguire” in detta condizione sulla scorta di nuove necessità, non finora vagliate dall’Amministrazione.

4.5. Come esattamente colto dal T.a.r., il provvedimento del 14 agosto 2013 con cui l’appellante era stato assegnato alla casa circondariale di –Isernia era stato dichiaratamene adottato “in applicazione della legge 5 febbraio 1992, n. 104” – di fatto condizionandone l’efficacia al perdurare delle condizioni previste dall’art. 33, comma 5, della legge in parola; inoltre detto provvedimento è successivo alla adozione della circolare n. 0457451 del 28.12.2012 che, con valenza generale, afferma che “Nel caso di cessazione dei presupposti l’amministrazione avvierà d’ufficio le procedure di revoca del trasferimento” in tal modo conformando con il carattere della temporaneità tutti i provvedimenti successivamente adottati ai sensi dell’art. 33, comma 5 della legge 104/1992.

4.5.1. Il Collegio è persuaso della seguente circostanza:

a) il testo della novella legislativa che si è prima riportata per esteso contiene una espressione (”decade”) tesa all’evidenza a disciplinare un rapporto di durata: ciò implica che tale norma si applichi anche ai trasferimenti disposti sotto l’usbergo delle disposizioni precedenti;

b) ciò – unitamente alla circostanza che l’Amministrazione ha espressamente normato la fattispecie con la propria circolare prima richiamata- assume una importanza troncante ai fini della reiezione dell’appello;

c) in ogni casi, si osserva, il trasferimento ad Isernia dell’appellante non è sottratto ratione temporis all’applicazione della suddetta normativa del 2010, in quanto l’appellante non può fondatamente sostenere che il proprio trasferimento sia antecedente a tale data, (e si sia, conseguentemente “consolidato”, in epoca antecedente alla entrata in vigore dello jus superveniens,) in quanto:

I) non si può fare utilmente riferimento, in proposito, al provvedimento del 2006 (distacco) in questo aveva chiaramente di portata interinale, e comunque, anche a seguire la tesi dell’appellante (che individua un termine di cinque anni per il “consolidamento” delle assegnazioni delle destinazioni del personale) nel 2011 era già entrata in vigore la “novella” che, come si è prima rilevato, impedisce siffatto “consolidamento”;

II) se si fa riferimento al provvedimento del 2013 (come è corretto avvenga), esso ricade pienamente sotto l’usbergo del novellato art. 32 comma 7 bis della legge, e pertanto la tesi dell’amministrazione appellata risulta pienamente condivisibile, per le già chiarite ragioni.

4.6. L’Amministrazione ha fatto buongoverno del principio suindicato, direttamente discendente dalla norma di legge prima citata, e pertanto tale critica dell’appellante va disattesa, non ravvisando il Collegio ragioni per discostarsi dall’orientamento ancora di recente espresso dalla Sezione nella sentenza n. 4671 del 9 ottobre 2017.

5. Quanto alle ulteriori censure, si osserva che, la priorità delle esigenze dell’Amministrazione, la latissima discrezionalità di quest’ultima in punto di vagli delle contrapposte esigenze e, infine, la denunciabilità di vizii di disparità di trattamento costituiscono principi a più riprese predicati dalla costante giurisprudenza amministrativa, e dai quali il Collegio non intende decampare: nel caso di specie, l’asserita disparità di trattamento che vizierebbe gli atti impugnati a cagione della circostanza che altri 4 soggetti alle dipendenze della casa circondariale di Isernia avrebbero perso i requisiti applicativi di cui alla legge n. 104/1992 è stata soltanto enunciata e non provata (neppure sono stati indicati, nell’atto di appello, i nominativi dei predetti), né l’atto di impugnazione si diffonde punto in ordine alla equiparabilità ovvero sovrapponibilità delle situazioni poste in comparazione, per cui anche detta doglianza va disattesa.

6. Conclusivamente, l’appello va disatteso.

7. Quanto alle spese processuali del grado, esse possono essere compensate a cagione della non uniforme interpretazione giurisprudenziale in passato riscontrabile.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese processuali del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Taormina Antonino Anastasi





IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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Re: LEGGE 1O4/92

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Tra l'altro, la sentenza del T.A.R. per il MOLISE –Sede di CAMPOBASSO - SEZIONE I n. 357/2016, riportava anche:
- ) - Essendo la revoca del trasferimento un atto sostanzialmente dovuto, anche per garantire il corretto svolgimento delle procedure di mobilità ordinarie, senza pregiudicare il personale con requisiti di anzianità potiori,..........
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Re: LEGGE 1O4/92

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Il CdS accoglie l'Appello dell'Amministrazione.
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1) - appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri di stanza a Lodi.

2) - In data 29 ottobre 2015 ha chiesto un trasferimento temporaneo nella Regione Puglia – provincia di Lecce in considerazione delle condizioni di salute della madre, affetta da svariate patologie e portatrice di handicap.

3) - Con provvedimento del 25 novembre 2015, il Comando generale ha concesso un trasferimento temporaneo a Gallipoli sulla base delle circolari che disciplinano il trasferimento temporaneo dei carabinieri.

4) - In data 9 maggio 2016 il militare ha presentato una istanza di trasferimento ex lege 104/1992:

5) - Con provvedimento del 20 ottobre 2016, il Comando generale ha disposto il rigetto dell’istanza di trasferimento ex lege n. 104/1992 considerata la possibilità di assistenza in loco e le esigenze dell’Amministrazione con riguardo alla situazione degli organici in Lombardia e in Puglia.

Il CdS scrive:

6) - Nel merito della questione, è sufficiente osservare che - in base alla normativa interna dell’Arma dei carabinieri, prodotta in giudizio e non contestata - il trasferimento temporaneo è istituto eccezionale, limitato nella durata in quanto destinato a porre rimedio a esigenze contingenti e suscettibile di essere prorogato solo in presenza di specifici fatti nuovi, mentre per i trasferimenti definitivi o comunque di più lunga durata soccorrono istituti diversi.

7) - Con riguardo a una situazione immutata (le condizioni di salute della madre, precarie ma non aggravate), l’originario ricorrente è riuscito a ottenere un trasferimento temporaneo di quasi due anni (dal 30 novembre 2015 a oggi), utilizzando un istituto straordinario per una finalità impropria.

Leggete cmq. il tutto qui sotto.
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SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201705484
- Public 2017-11-24 -


Pubblicato il 24/11/2017


N. 05484/2017 REG. PROV. COLL.
N. 07010/2017 REG. RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 7010 del 2017, proposto dal Ministero della difesa - Comando generale dell'Arma dei carabinieri, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
Giorgio M.., non costituito in giudizio;

per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia - sede staccata di Lecce, sezione II, sentenza 10 luglio 2017, n. 1149, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;


Il signor Giorgio M.. è appuntato scelto dell’Arma dei carabinieri di stanza a Lodi.

In data 29 ottobre 2015 ha chiesto un trasferimento temporaneo nella Regione Puglia – provincia di Lecce in considerazione delle condizioni di salute della madre, affetta da svariate patologie e portatrice di handicap.

Con provvedimento del 25 novembre 2015, il Comando generale ha concesso un trasferimento temporaneo a Gallipoli sulla base delle circolari che disciplinano il trasferimento temporaneo dei carabinieri.

In data 2 febbraio 2016 il signor M.. ha prodotto una domanda di proroga del trasferimento temporaneo giustificato dalla necessità di prestare assistenza alla madre, le cui condizioni fisiche si andrebbero aggravando, mentre i congiunti non potrebbero (la sorella) o vorrebbero (il fratello) prestare assistenza.

Con provvedimento del 25 febbraio 2016, il Comando generale ha respinto la domanda di proroga, tenuto conto che la Direzione di sanità avrebbe definito “poco rilevanti” le motivazioni sanitarie addotte (condizioni cliniche stabili nella loro gravità in relazione alla patologia di base - OMISSIS).

Il signor M.. ha impugnato il provvedimento proponendo anche una domanda cautelare, che il T.A.R. per la Puglia - sede staccata di Lecce, sez. II, ha accolto prima con decreto presidenziale, poi con ordinanza 17 marzo 2016, n. 143.

Con provvedimento in data 9 aprile 2016, il Comando generale ha prorogato di ulteriori tre mesi il trasferimento a Gallipoli a decorrere dalla data di cessazione dell’efficacia del primo trasferimento (sino al 31 maggio 2016).

In data 9 maggio 2016 il militare ha presentato una istanza di trasferimento ex lege 104/1992:

Il successivo 17 maggio, ha depositato motivi aggiunti al ricorso introduttivo con richiesta di misura cautelare.

Con ordinanza 25 maggio 2016, n. 278, il T.A.R. Lecce ha accolto la nuova domanda di sospensiva proposta dal ricorrente.

Con provvedimento del 6 giugno 2016, il Comando generale ha disposto la prosecuzione del trasferimento temporaneo sino alla definizione dell’appello cautelare (poi non proposto) o della causa nel merito.

Con provvedimento del 20 ottobre 2016, il Comando generale ha disposto il rigetto dell’istanza di trasferimento ex lege n. 104/1992 considerata la possibilità di assistenza in loco e le esigenze dell’Amministrazione con riguardo alla situazione degli organici in Lombardia e in Puglia.

Il signor M.. ha impugnato il nuovo provvedimento con autonomo ricorso (n.r.g. 10/2017) senza domanda cautelare.

L’Arma ha eccepito l’incompetenza territoriale del T.A.R. Lecce, in quanto il militare sarebbe effettivo a Lodi.

Il T.A.R. Lecce:

a) con sentenza 10 luglio 2017, n. 1149, ha rigettato l’eccezione di incompetenza (la controversia atterrebbe direttamente al distacco) e accolto il ricorso annullando i dinieghi di proroga del trasferimento temporaneo per difetto di motivazione (sostanzialmente la valutazione della Direzione sanitaria), condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di giudizio;

b) con ordinanza 11 luglio 2017, n. 1180, si è dichiarato incompetente a conoscere del nuovo ricorso, indicando come giudice competente il T.A.R. per la Lombardia.

Con provvedimento in data 3 agosto 2017, il Comando generale, senza pregiudizio dell’esito dell’appello, ha disposto l’annullamento dei provvedimenti di diniego impugnati e la proroga di altri tre mesi del trasferimento temporaneo con decorso dalla data di notifica del provvedimento.

Con ricorso depositato il 6 ottobre 2017, il Ministero della difesa - Comando generale dell’Arma dei carabinieri ha interposto appello avverso la sentenza n. 1149/2017 con domanda cautelare.

L’Amministrazione appellante ha dedotto:

a) l’incompetenza territoriale del T.A.R. Lecce, che avrebbe adottato decisioni intrinsecamente contraddittorie;

b) nel merito, l’infondatezza del ricorso e dei motivi aggiunti, posto che il trasferimento temporaneo sarebbe destinato solo a fronteggiare esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale, mentre ben diversa sarebbe la fattispecie del trasferimento ex lege 104/1992. In pratica, il ricorrente avrebbe goduto di un trasferimento temporaneo di circa 20 mesi (dal 30 novembre 2015 a oggi), mentre avrebbe dovuto chiedere un trasferimento definito ovvero partecipare alla pianificazione annuale dei trasferimenti a domanda;

c) il danno sarebbe nella lesione del potere discrezionale di disporre i trasferimenti e nella lesione della parità di trattamento con gli altri commilitoni.

Alla camera di consiglio del 9 novembre 2017, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei requisiti di legge (nessuna delle parti è comparsa in camera di consiglio), il Collegio è dell’avviso di definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata a norma del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

In via preliminare, il Collegio aderisce alla tesi, sostenuta dalla sentenza impugnata, della competenza territoriale del T.A.R. Lecce, in quanto la sede di servizio, alla quale fa riferimento l'art. 3, comma 2, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (corrispondente all’attuale art. 13, comma 2, c.p.a.) al fine di individuare il Tribunale regionale territorialmente competente a dirimere controversie attinenti alla materia del pubblico impiego è quella nella quale si colloca l'ufficio nel quale il pubblico dipendente è formalmente incardinato in qualità di preposto o di addetto, e non l'ufficio al quale è solo precariamente assegnato con provvedimento di reggenza, comando, distacco, assegnazione o trasferimento provvisori a meno che - come nel caso di specie - la contestazione non involga questioni direttamente collegate o connesse a tale provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 gennaio 1992, n. 91).

Nel merito della questione, è sufficiente osservare che - in base alla normativa interna dell’Arma dei carabinieri, prodotta in giudizio e non contestata - il trasferimento temporaneo è istituto eccezionale, limitato nella durata in quanto destinato a porre rimedio a esigenze contingenti e suscettibile di essere prorogato solo in presenza di specifici fatti nuovi, mentre per i trasferimenti definitivi o comunque di più lunga durata soccorrono istituti diversi.

Con riguardo a una situazione immutata (le condizioni di salute della madre, precarie ma non aggravate), l’originario ricorrente è riuscito a ottenere un trasferimento temporaneo di quasi due anni (dal 30 novembre 2015 a oggi), utilizzando un istituto straordinario per una finalità impropria. Per raggiungere l’obiettivo perseguito, la via corretta è invece quella del trasferimento definitivo, che correttamente egli ha richiesto in data 9 maggio 2016 e il cui diniego andrà valutato nel diverso contenzioso che lo ha a oggetto.

L’appello è dunque fondato e va pertanto accolto, con riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti del giudizio di primo grado.

Considerata la natura della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Filippo Patroni Griffi





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Re: LEGGE 1O4/92

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Le norme qui sotto, sono quelle di cui al Quesito posto dal Ministero della Difesa -Stato Maggiore dell’Esercito- Dipartimento impiego del personale, che posterò a seguire.
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LEGGE 4 novembre 2010, n. 183
Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonchè misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.

Art. 19.

(Specificità delle Forze armate, delle Forze di polizia e
del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)

1. Ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonchè dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni
democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonchè per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.

2. La disciplina attuativa dei principi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie.

3. Il Consiglio centrale di rappresentanza militare (COCER) partecipa, in rappresentanza del personale militare, alle attività negoziali svolte in attuazione delle finalità di cui al comma 1 e concernenti il trattamento economico del medesimo personale.

--------------------------------------------------------------------------------
DECRETO LEGISLATIVO 18 agosto 2000, n. 267
Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali.

Articolo 78

Doveri e condizione giuridica

OMISSIS

6. Gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato. La richiesta dei predetti lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità. Nell'assegnazione della sede per l'espletamento del servizio militare di leva o di sue forme sostitutive è riconosciuta agli amministratori locali la priorità per la sede di espletamento del mandato amministrativo o per le sedi a questa più vicine. Il servizio sostitutivo di leva non può essere espletato nell'ente nel quale il soggetto è amministratore o in un ente dipendente o controllato dalla medesima amministrazione.

--------------------------------------------------------------------------

Poi, l’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, e l’art. 42-bis del d.lgs. n. 151/2001 li conoscete abbastanza bene, quindi è inutile postare il loro contenuto.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------

N.B.: per fortuna che il CdS tiene a freno il M.D. facendogli capire che la Legge è al di sopra di tutto.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201702515 - Public 2017-12-01 -

Numero 02515/2017 e data 01/12/2017 Spedizione


REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 18 ottobre 2017


NUMERO AFFARE 01327/2017

OGGETTO:
Ministero della difesa -Stato Maggiore dell’Esercito- Dipartimento impiego del personale.


Quesito relativo alla rilevabilità della specificità delle Forze Armate, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 183 del 2010, nella disamina delle istanze di applicazione dei benefici di cui agli artt. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, 42-bis del d.lgs. n. 151/2001 e 78, comma 6, del d.lgs. n. 267/2000, con particolare riferimento all’esigenza di mantenimento della prontezza operativa delle Unità di impiego.

LA SEZIONE
Vista la nota di trasmissione della relazione prot. nr. 0055374 dell’11 luglio 2017, con la quale il Ministero della difesa, Dipartimento impiego del personale, ha chiesto un parere a questo Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

Esaminati gli atti e udito il relatore, Consigliere Antonella Manzione.


Premesso:

1. In data 11 luglio 2017 il Ministero della difesa ha chiesto a questo Consiglio di Stato un parere in ordine alla possibilità di valorizzare la specificità delle Forze Armate, espressamente riconosciuta anche dall’art. 19 della l. 4 novembre 2010, n. 183, per statuire a livello generale, con apposita direttiva, un diniego di concessione, oltre certi limiti percentuali, di alcuni benefici di legge previsti per i dipendenti pubblici.

Suddetto limite percentuale, individuato nella soglia del 5 % della forza organicamente prevista delle Unità operative per ciascuna categoria di personale (Ufficiali, Sottufficiali, Graduati e Militari di truppa), troverebbe il suo fondamento scientifico in studi condotti dal Reparto Impiego delle Forze dello Stato Maggiore della Difesa, con specifico riferimento alle principali fonti che, a livello NATO, individuano gli standard di prontezza operativa/combat che necessariamente devono essere comuni a tutte le Forze facenti parte dell’Alleanza Atlantica.

2. Premesso che l’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 pone il principio generale secondo cui determinate categorie di pubblici dipendenti, tra cui il personale militare, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti, il quadro normativo risulta correttamente ricostruito come segue:

a) in ragione del rinvio contenuto nel menzionato T.U.P.I., l’ordinamento militare è oggi regolamentato dal testo unico adottato con il d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, cosiddetto codice dell’ordinamento militare (C.O.M.);

b) gli istituti dei quali è discussione sono disciplinati, rispettivamente, dagli artt. 33 della l. 5 febbraio 1992, n. 104, 42-bis del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e 78 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Trattasi di disposizioni che, a vario titolo, prevedono anche regole di mobilità a domanda per il personale, funzionali alla fruizione di diritti costituzionalmente garantiti, quali la salute, la tutela della paternità/maternità e l’elettorato passivo; ma che nella loro apparente assertività rischiano di collidere con le altrettanto prioritarie esigenze sottese all’azione delle Forze Armate e sussunte nel ricordato principio di specificità delle stesse di cui all’art. 19 legge 4 novembre 2010, n. 183.

c) l’applicabilità degli istituti in questione anche al pubblico impiego non contrattualizzato, nel quale rientra il personale delle Forze Armate, è espressamente riconosciuta da varie disposizioni-cerniera del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66, che di fatto, pur con qualche precisazione di contesto, estendono le guarentigie previste al riguardo per il dipendente pubblico all’appartenente alle Forze Armate, dando anche attuazione al disposto dell’art. 52 della Costituzione.

d) in particolare, l’art. 981 C.O.M., alle lettere b) e c), dichiara applicabili al personale militare, “compatibilmente con il proprio stato”, l’art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 e l’art. 78, comma 6, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267;

e) l’art. 1493, comma 1, contiene, a sua volta, un rinvio generale al t.u. sulla tutela della genitorialità, sebbene anche in questo caso con richiamo a modalità tali da garantire comunque l’esercizio della funzione militare;

f) l’art. 2209-sexies, infine, ancorché in un’ottica transitoria di lungo periodo, demanda al piano di programmazione di cui all'articolo 2209-quater, ferma la prioritaria necessità di garantire il regolare svolgimento del servizio, l’adozione delle “modalità di attuazione della disciplina intesa a favorire l'assegnazione a domanda presso enti o reparti limitrofi di coniugi entrambi dipendenti del Ministero della difesa, compresi gli appartenenti al Corpo delle capitanerie di porto, secondo criteri prestabiliti per garantire il ricongiungimento familiare, tra i quali è espressamente richiamato, per il caso di coniugi con figli minori fino a tre anni di età, l'articolo 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151”;

g) nell’ elencazione delle norme percepite come distoniche rispetto alla peculiarità della funzione militare, il Ministero della difesa riporta anche l’art. 53 del d.lgs. n. 151/2001, laddove viene sancita la non obbligatorietà di prestare lavoro notturno per la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Considerato:

3. In via preliminare occorre contestualizzare ulteriormente le norme richiamate, dovendosi evidenziare la non irrilevante modifica intervenuta anche in epoca successiva all’entrata in vigore del ricordato art. 19 della l. n. 183/2010, sotto la cui egida l’Amministrazione vorrebbe ricondurre la legittimazione a scelte operative di validità generalizzata.

In particolare, con il d.lgs. 28 gennaio 2014, n. 8, recante “Disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione, a norma degli articoli 2, comma 1, lettere c) ed e), 3, commi 1 e 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge 31 dicembre 2012, n. 244” si è intervenuti anche sulle norme di interesse, peraltro rafforzando, ove possibile, la limitabilità della concessione degli istituti, ma nel contempo omogeneizzandone ulteriormente la disciplina complessiva rispetto a quella prevista in via generale per i dipendenti pubblici. Il già citato art. 981 C.O.M., ad esempio, nella sua attuale stesura nasce dalla novellazione apportata dall’art. 4 del d.lgs. n. 8/2014, che vi ha introdotto l’inciso “nel limite per il personale di Esercito italiano, Marina militare, Aeronautica militare e Arma dei Carabinieri, delle posizioni organiche previste per il ruolo e il grado, vacanti nella sede di richiesta destinazione”, non senza aggiungere anche, però, che: “In costanza di riconoscimento del diritto previsto da tale norma, il personale dell'Esercito italiano, della Marina militare, dell'Aeronautica militare e dell'Arma dei carabinieri interessato non è impiegabile in operazioni in ambito internazionale o in attività addestrative propedeutiche alle stesse”.

Come può vedersi, il legislatore del 2014 torna sulla disciplina dell’applicabilità in concreto dell’istituto della mobilità a domanda per l’assistenza a disabili gravi e lo fa avendo alle spalle la già avvenuta legificazione del concetto di specificità delle Forze Armate. Nell’introdurre limitazioni aggiuntive, si cerca dunque un punto di mediazione imprescindibile, ma anche invalicabile, cui deve attenersi la risposta del datore di lavoro, senza abdicare però alle proprie competenze esclusive al riguardo, in favore di altri strumenti di regolazione o di indirizzo, quali in particolare le direttive. Si legge, in proposito, nella relazione illustrativa: “Ciò (ovvero l’introduzione del limite delle dotazioni organiche, n.d.r.) anche al fine di evitare che l’applicazione della menzionata disciplina nell’ambito delle Forze Armate comporti gravi ripercussioni sull’attività, sull’organizzazione e sulla funzionalità dello strumento militare, soprattutto in quelle particolari realtà in cui ogni componente risulta fondamentale e la continuità nel rapporto di lavoro costituisce la condizione basilare per l’efficienza e l’efficacia”.

Ad ulteriore riprova della sussistenza del principio della non comprimibilità, se non per prioritarie esigenze concrete da valutare caso per caso, dei diritti dei lavoratori, va ricordato come si debba al medesimo d.lgs. n. 8/2014 l’introduzione della lettera “h-bis” nel corpo dell’art. 1506 del C.O.M.

L’intento, egualmente esplicitato, è quello già ricordato, ovvero omogeneizzare il più possibile l’ habeascorpus del militare rispetto a quello del dipendente pubblico in genere: si ovvia perciò ad una pregressa lacuna di tutela mediante l’introduzione del richiamo anche al comma 3 dell’art. 33 della l. n. 104, concernente il regime dei permessi mensili per l’assistenza al familiare o affine affetto da grave disabilità; e in perfetto parallelismo con quanto già previsto in relazione ai soggetti fruitori della mobilità a domanda, anche per quelli che beneficiano del regime dei permessi mensili si prevede, onde garantire l’effettività nell’esercizio del diritto, che non possano essere impiegati in operazioni in ambito internazionale o ad esse propedeutiche.

4. Possono essere opportunamente richiamati anche gli artt. 625 e 1465 del d.lgs. n. 66/2010: la prima disposizione si occupa proprio dei rapporti con l’ordinamento generale del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e stabilisce inequivocabilmente che al personale militare si applicano le disposizioni contenute nel libro IV del Codice, chiarendo così anche perché nel corpo dell’art. 981 non figuri il richiamo all’art. 42 bis del d.lgs. n. 151/2001, che sarebbe risultato ultroneo; la seconda conferma che ai militari spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, pur nel rispetto del principio per il quale ad essi sono imposte limitazioni nell’esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l’osservanza di particolari doveri, per garantire alle Forze Armate il miglior assolvimento dei propri compiti istituzionali.

5. Risulta, pertanto, chiaro che il legislatore abbia inteso in vario modo attribuire rilievo alla specificità delle Forze Armate, dando vita ad un sistema necessariamente omologo a quello del dipendente pubblico in genere, ma senza rinnegarne le peculiarità. Tale “sistema nel sistema”, d’altro canto, è ampiamente riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa, che ha via via legittimato dinieghi, purché motivati, opposti dall’Amministrazione di appartenenza ad istanze di benefici come quelli di cui trattasi, proprio nel superiore interesse dell’efficienza della “specifica” articolazione territoriale interessata al procedimento, con particolare riferimento, peraltro, alle esigenze dell’ufficio “rilasciante”, anziché alle sole potenzialità di quello “ricevente”.

5.1 In relazione, ad esempio, all’esatto significato da attribuire all’inciso “tenendo conto del particolare stato rivestito” contenuto nel ricordato art. 1493 del d.lgs. n. 66/2010, si è affermato che esso non si identifica nelle generiche e complessive esigenze dell’ufficio, che comunque presidiano anche la disciplina prevista dall’art. 42-bis per tutti i pubblici dipendenti; bensì in un “quid pluris che sottende ulteriori esigenze di tutela, oltre a quelle organizzative comuni a tutte le pubbliche amministrazioni, funzionali alle peculiarità istituzionali delle Forze armate e di polizia” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. IV, n. 2113 del 23 maggio 2016). Si è detto poi che in caso di diniego della mobilità a domanda avente ad oggetto la fruizione di un diritto legato alla genitorialità, non sarebbe neppure necessario l’inoltro dell’avviso ex art. 10 bis della l. n. 241/1990, in quanto l’urgenza intrinseca alla stessa, in ragione del suo motivarsi nella necessità di attendere alle funzioni nascenti dalla propria qualità di genitore di minore in tenera età, lo renderebbe non soltanto superfluo, ma per certi versi deleterio, facendo apparire “paradossale che da simile ragionevole condotta venga fatto discendere un vizio infraprocedimentale” (Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2017 n. 2352). In termini, è stata considerata pienamente giustificata, ai fini della motivazione di diniego dell’assegnazione richiesta, l’esigenza di non depauperare il complesso delle risorse disponibili in un certo ambito (cfr. Cons. di Stato, n. 2113/2016, cit.). E ancora, in relazione alla fruizione dei diritti di elettorato passivo, si è rimarcato come, al di fuori delle ordinarie movimentazioni, resti salva e intatta la discrezionalità dell’Amministrazione militare nell’apprezzare le esigenze di più agevole svolgimento del munuspublicum in raffronto a quelle organizzative relative alla situazione organica della sede a quo (Cons. Stato, Sez. IV, 2 luglio 2012, n. 3865; Sez. III, 4 giugno 2014, n. 2863; Sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2226).

5.2 In termini ancor più generali, la qualificazione come interesse legittimo e non diritto soggettivo della posizione giuridica in capo al dipendente che avanza istanza di mobilità per una delle ragioni sottese alle tre normative speciali più volte ricordate, pressoché unanime in giurisprudenza, rende riconducibile alla discrezionalità del potere concessorio la decisione dell’Amministrazione datrice di lavoro, che negherà il beneficio ove lo impongano le esigenze di servizio dell’ufficio di appartenenza dell’istante, anche correlate a deficitarie situazioni di organico, o di quello della destinazione richiesta (cfr. Cons. St., Sez. III, 3 aprile 2014, n. 1677; id., 13 novembre 2014 n. 6031 e 20 maggio 2015, n. 3805).

6. Tutto ciò premesso, la Sezione ritiene che dalla ricostruzione fin qui effettuata emergano chiaramente due postulati di partenza pregiudiziali alla disamina della tematica affrontata:

a) è innegabile che il sistema delle guarentigie a tutela di diritti fondamentali del lavoratore sotteso a determinate discipline previste per i dipendenti pubblici trovi applicazione anche per quelli appartenenti alle Forze Armate, ancorché con alcuni temperamenti funzionali volti a mitigarne l’impatto sulle esigenze di specifica efficienza richieste alle stesse;

b) la giurisprudenza amministrativa, da parte sua, non ha mancato di assecondare in un certo qual modo tale ricostruzione, valorizzando, ogni qualvolta possibile, suddetta specificità, anche alla luce delle clausole a vario titolo inserite nelle ricordate norme-cerniera contemplate nel COM.

7. Orbene l’odierno quesito ministeriale sembra trarre spunto dalla pronunzia di questo Consiglio di Stato (Sez. IV) n. 4047 del 14 luglio 2012, nella quale si è affermata l’applicabilità anche al personale delle Forze Armate della nuova formulazione dell’art. 33, comma 5, della l. n. 104/1992, conseguente alla novella apportata con l’art. 24 della legge n. 183/2010. Nella motivazione della stessa può leggersi che il venir meno, a seguito della riforma dell’istituto, dei requisiti della cosiddetta continuità ed esclusività nell’assistenza, quali presupposti necessari alla concessione del beneficio, non può non valere anche per la valutazione delle istanze avanzate dal personale militare, proprio in ragione del fatto che la novella “interviene a modificare la normativa dettata dalla legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, con ciò lasciando intendere che la materia è oggetto di considerazione autonoma e trasversale, impingendo su problematiche di carattere sociale più ampio”.

8. Ma, occorre ricordare, l’art. 19 della l. 183 /2010 (collegato lavoro), che nel dettare principi e criteri generalissimi di delega per il riordino degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela pensionistica, economica e previdenziale delle Forze armate, riconosce espressamente, al comma 1, la “specificità del ruolo delle Forze armate…, nonché dello stato giuridico del personale in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell’ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativi richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti”.

L’indicazione è sufficientemente chiara ma, in base al comma 2, “La disciplina attuativa dei princìpi e degli indirizzi di cui al comma 1 è definita con successivi provvedimenti legislativi, con i quali si provvede altresì a stanziare le occorrenti risorse finanziarie”.

Resta sullo sfondo, dunque, il problema di definire il valore di questi principi generalissimi di indirizzo, rimasti almeno formalmente inattuati. Orbene, per ciò che qui rileva, l’indicazione fornita dalla giurisprudenza costituzionale appare duplice: innanzitutto, i principi e i criteri direttivi sono idonei a produrre effetti nell'ordinamento in modo del tutto autonomo rispetto al successivo esercizio della delega da parte del legislatore delegato; in secondo luogo, l'individuazione di tali effetti è operazione da farsi caso per caso, valutandone la struttura del contenuto precettivo e il grado di determinatezza.

9.1 Può tornare, al riguardo, nuovamente utile quanto affermato nella ricordata sentenza n. 4047/2012 di questo Consiglio di Stato, ovvero l’impossibilità di declassare l’art. 19 a semplice norma “manifesto”, sminuendone l’ innegabile portata innovativa: il solo fatto di aver elevato a rango di norma primaria la “specificità” delle Forze Armate, infatti, introduce innegabilmente un canone ermeneutico cui deve ispirarsi in primo luogo l’interprete nella ricerca di soluzioni applicative che richiedano, con riguardo al caso concreto, la comparazione di interessi contrapposti.

9.2 Ma una cosa, dunque, è fornire a livello generale un suggerimento operativo, desunto da indicazioni metodologiche internazionali, per coadiuvare le Amministrazioni interessate nell’esercizio del relativo potere, valutando l’incidenza della mobilità a domanda sull’efficienza operativa della singola struttura anche alla luce di tali indicazioni; senza tuttavia, ovviamente, perdere di vista l’onere motivazionale, che non potrà ridursi a mera clausola di stile concretizzantesi nel richiamo al superamento del predeterminato limite percentuale; altro è, invece, introdurre una disciplina di dettaglio utilizzando lo strumento della direttiva di vertice, così da “ingessare” le potenzialità discrezionali di esercizio del potere concessorio delle articolazioni organizzative interessate, e con ciò indebitamente sostituendosi al legislatore delegato.

10. Il richiamo, contenuto in alcune sentenze ed indirettamente ripreso dal Ministero, anche attraverso il riferimento all’art. 2209 sexies del C.O.M., alla possibilità di effettuare scelte a carattere generale necessita a sua volta di una indispensabile precisazione. Se si prescinde dalla possibilità, di cui al paragrafo precedente, di ricordare a tutta la struttura l’esistenza di studi che hanno fornito indicazioni statistiche di efficienza minima in termini percentuali, è evidente che nessun’altra possibilità di indicazione cogente che finisca per integrare il dato normativo possa essere fornita con lo strumento della direttiva.

10.1 Nella stessa logica, del resto, si pone il procedimento declinato dall’art. 2209 sexies del C.O.M., invocato impropriamente dal Ministero della difesa a supporto della propria tesi interpretativa. La norma, infatti, prevede le linee guida da seguire per i ricongiungimenti familiari tra coniugi entrambi appartenenti alla Difesa e fissa una corsia preferenziale per la trattazione delle istanze di trasferimento in presenza di prole in minore età, precisando che, in caso di coniugi con figli minori fino ai 3 anni di età, si applica l’art. 42 bis del decreto legislativo n. 151/2001 e sancendo, in caso di coniugi entrambi militari, che ne sia evitato il contestuale impiego in attività operative continuative fuori dall’ordinaria sede di servizio. Le linee guida devono inserirsi nel contesto del piano di programmazione triennale scorrevole per il progressivo raggiungimento delle dotazioni organiche complessive di Esercito italiano, Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e Aeronautica militare indicate all’articolo 798, e della relativa ripartizione previsto dall’art. 2209 quater, a partire dall’anno 2016 e sino all’anno 2024, prevedendo che, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e la semplificazione e della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, tale piano sia annualmente adottato allo scopo di definire le modalità di attuazione: dei transiti di personale militare in servizio permanente non dirigente e non soggetto a obblighi di ferma nei ruoli civili dell’amministrazione della Difesa o di altre amministrazioni pubbliche, con esclusione delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, secondo i criteri stabiliti al successivo articolo 2209 quinquies; delle riserve di posti nei concorsi pubblici, estese anche al personale militare in servizio permanente. Si evidenzia che a monte dell’articolo vi è la individuazione delle eventuali eccedenze (ai sensi del precedente articolo 2209 ter, comma 1, con determinazione del Ministro della difesa).

Orbene, non vi è chi non veda come a fronte della scelta del legislatore di ricondurre ad un complesso e dettagliato iter (D.P.C.M. con tutti i passaggi procedurali ricordati) un segmento minimo della materia in esame (le domande di mobilità di coniugi entrambi militari con figli di età inferiore a tre anni, da gestire ai sensi dell’art. 42 bis del d.lgs. 151, ma da computare nella programmazione ora in esame) risulterebbe paradossale, per la rimanente casistica, poter procedere autonomamente con direttiva a carattere generale.

11. Ritiene dunque in definitiva la Sezione che la “specificità” dell’ordinamento militare, delle esigenze connesse al suo buon andamento e di quanto queste possano influire sullo status e sulle situazioni degli appartenenti all’ordinamento medesimo, vada sviluppata e valorizzata nella valutazione di compatibilità - e solo in quella, in assenza dei decreti legislativi attuativi previsti dal comma 2 dell’art. 19 della l. n. 183/2010 - da effettuarsi in concreto, o in atti di programmazione delle risorse a carattere generale, ma contingente al periodo di riferimento. Indicazioni percentuali prestabilite assumono l’innegabile merito divulgativo di rendere note le risultanze di analisi scientifiche sull’efficienza strutturale, cui le decisioni dell’Amministrazione datrice di lavoro possono ispirarsi nella motivazione di eventuali provvedimenti di diniego. Senza dimenticare, peraltro, che la valutazione della sussistenza della necessità di utilizzare il militare in un certo ufficio o in un certo incarico si appalesa come valutazione di stretto merito, come tale, ove non palesemente irrazionale, non sindacabile in sede giurisdizionale se non a condizione di sostituire la determinazione amministrativa, come sorretta dalla detta valutazione, con quella operata dal Giudice, che è risultato evidentemente inammissibile nell’attuale sistema delle tutele.

P.Q.M.

Nei sensi di cui in motivazione è il parere della Sezione sul quesito in oggetto.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Antonella Manzione Gerardo Mastrandrea




IL SEGRETARIO
Roberto Mustafà
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