permessi allattamento madre casalinga

Feed - POLIZIA DI STATO

Rispondi
tekos88

permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da tekos88 »

Altra decisione favorevole arriva dal Tar di Parma

E' ordinanza Cautelare

REPUBBLICA ITALIANA


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale .. del 2017, proposto da:

....., rappresentato e difeso dagli Avvocati ......, con domicilio eletto presso l’Avv. ......

contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato, in Bologna, via Guido Reni n. 4;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia
del datato del 14 ottobre 2017 del Questore di Reggio Emilia con il quale è stato comunicato al ricorrente il diniego alla richiesta di fruire dei riposi giornalieri di cui all'art.40 D.lgs.151/2001;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;
Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;
Relatore nella camera di consiglio del giorno ...... il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Rilevato che il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale l’Amministrazione ha respinto l’istanza tesa a fruire i riposi giornalieri di cui all’art.40 D.lgs.151/2001 deducendo l’omissione del preavviso di diniego, il difetto di motivazione e l’errata applicazione della normativa di settore;
Considerato:
che le allegazioni relative alla propria situazione familiare, ad un primo sommario esame, sembrerebbero essere (in astratto) meritevoli di valutazione;
che tale esame in contraddittorio è mancato nel procedimento in questione stante l’omessa comunicazione del preavviso di cui all’art. 10 bis della L. n. 241/1990;
che per tale ragione (riservata ogni ulteriore valutazione dell’Amministrazione circa il merito della questione) la rilevata omissione non pare potersi qualificare come meramente formale;
Valutata (anche nell’interesse della prole) la natura delle conseguenze cui il ricorrente rimane esposto nelle more del giudizio in ragione delle perdurante efficacia dell’atto impugnato;
Ritenuto, per quanto precede, che ricorrano i presupposti di cui all’art. 55 c.p.a., anche ai fini di una rivalutazione della posizione del ricorrente;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, accoglie l’istanza di sospensione e fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 19 aprile 2018;
Compensa le spese della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno .... con l'intervento dei magistrati:
Sergio Conti, Presidente
Anna Maria Verlengia, Consigliere
Marco Poppi, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Poppi Sergio Conti



IL SEGRETARIO

Per info sul ricorso contattatemi in privato


naturopata
Sostenitore
Sostenitore
Messaggi: 1768
Iscritto il: ven mag 19, 2017 3:24 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da naturopata »

Ultimamente altri TAR, ma soprattutto la IV Sez. del Consiglio di Stato ha creato un contrasto giurisprudenziale con le altre Sez. del CDS ed ha disconosciuto i permessi con madre casalinga, tranne nel caso in cui non si dimostri una fattiva impossibilità della casalinga a provvedere all'infante.

Ciò posto, questa ordinanza è sulla graticola, per cui un appello in sospensiva avrebbe grandi probabilità di essere accolto e quindi il ricorso, di fatto, respinto.

La tua ordinanza è la 164/2017 del TAR Parma, ma dal provvedimento non si evince che la madre sia casalinga e né quali siano le particolari motivazioni per cui ci sia la necessità che sia il padre ad "allattare" l'infante.

Questo solo per trasparenza nei confronti di tutti gli utenti del forum.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

Il CdS accoglie l'appello dell'Amministrazione e si sta andando in discesa.
---------------------------------------------------------------------------------------------

- ) - PolStato, coniugato con moglie casalinga.

- ) - sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269

Il CdS precisa:

1) - Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016.

2) - Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga.

3) - Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

N.B.: leggete il tutto qui sotto.
--------------------------------------------------------------------------------

SENTENZA BREVE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201800628
- Public 2018-01-30 -

Pubblicato il 30/01/2018

N. 00628/2018 REG. PROV. COLL.
N. 08831/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 8831 del 2017, proposto dal Ministero dell'interno - Dipartimento della P.S., Direzione centrale per le risorse umane - Questura di Gorizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;

per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, 2 agosto 2017, n. 269.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Dato atto che per le parti nessuno è comparso;


Il signor -OMISSIS-, sovrintendente P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.

Con provvedimento del Questore di Gorizia del 6 aprile 2017, la domanda è stata respinta.

Il signor -OMISSIS- ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, sezione I, ha accolto con sentenza in forma semplificata 2 agosto 2017, n. 269, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 24 giugno 2016, n. 323.

L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 269/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.

L’originario ricorrente non si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

Alla camera di consiglio del 18 gennaio 2018, nella quale nessuna delle parti è comparsa, la domanda cautelare è stata chiamata e trattenuta in decisione.

Nella sussistenza dei presupposti di legge, il Collegio è dell’avviso di poter definire l’incidente cautelare nel merito con una sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 60 e 74 c.p.a.

Pur dovendosi dando atto delle oscillazioni giurisprudenziali in materia, l’appello è fondato alla luce della recente sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, resa proprio in sede di gravame sulla ricordata decisione del T.A.R. Trieste n. 323/ 2016. Nel riesaminare dettagliatamente la questione controversa, tale sentenza ha ritenuto che nessun congedo parentale spetti, in linea di principio, al padre coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra il mancato possesso della patente di guida.

A tale precedente il Collegio stima di conformarsi integralmente ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a.

Di conseguenza - come detto - l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone citate nel presente provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Filippo Patroni Griffi





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
naturopata
Sostenitore
Sostenitore
Messaggi: 1768
Iscritto il: ven mag 19, 2017 3:24 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da naturopata »

Per quanto d'interesse la nuova circolare M_D GMIL REG2018 0160908 05-03-2018:

MINISTERO DELLA DIFESA
DIREZIONE GENERALE PER IL PERSONALE MILITARE

Indirizzo Postale: Viale dell’Esercito, 186 – 00143 ROMA
Posta Elettronica: persomil@postacert.difesa.it persomil@persomil.difesa.it

All.: 3; ann.: //.
OGGETTO: Riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento). Modifica delle disposizioni vigenti.


A (VEDASI ELENCO INDIRIZZI IN ALLEGATO A)


^^^ ^^^ ^^^ ^^^ Seguito:
a. circolare n. M_D GMIL 0080676 del 12 febbraio 2015 (Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari);
b. circolare n. M_D GMIL 0431884 del 22 luglio 2015;
c. circolare n. M_D GMIL 0855250 del 3 dicembre 2015 (Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi).
^^^ ^^^ ^^^ ^^^

1. I riposi orari giornalieri dei genitori (c.d. riposi per allattamento), previsti dagli artt. 39 e 40 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, sono stati disciplinati da questa Direzione Generale con il compendio a seguito a., come successivamente modificato dalla circolare a seguito b..

2. L’istituto in esame è stato oggetto negli ultimi anni di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla concessione dei riposi giornalieri al lavoratore padre nel caso di madre casalinga.
Con sentenza n. 4993/2017, il Consiglio di Stato ha definitivamente risolto i dubbi interpretativi, affermando, in sostanza, che al padre non spetta il beneficio nel caso di madre casalinga, in quanto la presenza domestica di quest’ultima rende possibile l’attenzione ai bisogni del neonato; l’Alto Consesso ha, comunque, riconosciuto al padre la possibilità di fruirne in casi eccezionali, e cioè quando la madre casalinga non possa attendere alla cura del neonato per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni.

3. Sono state, pertanto, apportate le dovute modifiche al:
 paragrafo 7 del Compendio delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità e congedi per eventi e cause particolari (Allegato B alla presente circolare);
 a pagina 17 dell’allegato B dello Specchio riepilogativo delle licenze, dei permessi e dei riposi
(Allegato C alla presente circolare).

4. Gli Enti in indirizzo sono invitati a curare la capillare diramazione della presente circolare, consultabile, tra l’altro, sul sito http://www.persomil.difesa.it" onclick="window.open(this.href);return false; di questa Direzione Generale, a tutti i Comandi/Enti dipendenti.

d’ordine
IL VICE DIRETTORE GENERALE
(C.A. Enrico GIURELLI)
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

vedi leggi e scarica PDF se d'interesse
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

vedi allegati B e C
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

1) - La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

2) - I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi.

3) - Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

La Corte Costituzionale con sentenza 158/2018 ha concluso così:

4) - dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

-----------------------------

Deposito 13/07/2018 (dalla 158 alla 158)

S. 158/2018 del 23/05/2018

Udienza Pubblica del 22/05/2018, Presidente: LATTANZI, Redattore: SCIARRA

Norme impugnate: Art. 24 del decreto legislativo 26/03/2001, n. 151.
_________________________

Oggetto: Maternità e infanzia - Indennità giornaliera di maternità - Condizioni - Previsione che tra la sospensione del rapporto di lavoro e l'inizio del periodo di congedo di maternità non siano decorsi più di sessanta giorni - Mancata previsione, tra le ipotesi di deroga al computo dei sessanta giorni, dell'assenza per congedo straordinario per l'assistenza al coniuge con grave disabilità.
________________________

Dispositivo: illegittimità costituzionale parziale

Atti decisi: ord. 130/2017; 47/2018

------------------------

SENTENZA N. 158
ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
- Giorgio LATTANZI Presidente
- Aldo CAROSI Giudice
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Franco MODUGNO ”
- Augusto Antonio BARBERA ”
- Giulio PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO ”
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi dal Tribunale ordinario di Torino e dal Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, con ordinanze del 12 aprile e del 16 ottobre 2017, iscritte rispettivamente al n. 130 del registro ordinanze 2017 e al n. 47 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2017 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di E.T.R. F.;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio e nella camera di consiglio del 23 maggio 2018 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Margherita Giannico per E.T.R. F.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 aprile 2017, iscritta al n. 130 del registro ordinanze 2017, il Tribunale ordinario di Torino, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 31, secondo comma, 37, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede che il trattamento di maternità sia erogato anche alla lavoratrice che abbia fruito di congedo ex art. 42, comma 5, d.lgs. 151/2001 e che al momento della richiesta non abbia ripreso a lavorare da più di 60 giorni».

1.1.– Il rimettente espone di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice, beneficiaria da oltre un anno, a causa della necessità di assistere un coniuge gravemente disabile, del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, e interdetta in anticipo dal lavoro, a decorrere dal 1° luglio 2014, a causa di «gravi complicanze nella gestazione».

La ricorrente nel giudizio principale ha chiesto di condannare l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) a corrispondere «il trattamento economico di maternità per l’intera durata del congedo di maternità, compreso il periodo di interdizione anticipata, dal 1° luglio 2014 al 6 aprile 2015». Tale trattamento le sarebbe stato originariamente negato sul presupposto che l’interdizione anticipata del lavoro per gravidanza a rischio era «avvenuta senza effettiva ripresa dell’attività lavorativa da parte della ricorrente».

1.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo argomenta che la disposizione censurata impedisce di riconoscere l’indennità di maternità alla parte ricorrente, «in ragione della sua pregressa assenza dal lavoro per più di 60 giorni».

All’inizio della gravidanza la ricorrente beneficiava da più di sessanta giorni del congedo straordinario di cui all’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001. Per questa specifica ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro la legge non prevede che sia comunque corrisposto il trattamento di maternità, come nelle altre fattispecie tassativamente previste dall’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001.

1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo muove dalla premessa che l’indennità di maternità miri a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare che la lavoratrice possa essere pregiudicata a causa degli impegni connessi alla cura del bambino.

Per effetto della disposizione censurata, la lavoratrice in gravidanza sarebbe costretta a sacrificare l’assistenza del coniuge disabile per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’inizio del periodo di astensione obbligatoria e rischierebbe di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le «complicanze della gestazione non consentano la ripresa del servizio al termine di un congedo straordinario».

Tale disciplina sarebbe lesiva, per un verso, del «diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare» e, per altro verso, del «diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile», scegliendo liberamente il momento in cui diventare madre.

In particolare, nel negare l’indennità di maternità quando il rapporto di lavoro sia sospeso a causa della necessità di assistere il coniuge disabile, la disciplina censurata pregiudicherebbe la speciale protezione della maternità, sancita dagli artt. 31 e 37 Cost.

Il rimettente assume, inoltre, che la disposizione in esame contrasti con «il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.», in quanto nega l’indennità di maternità alla lavoratrice che non sia in servizio da oltre sessanta giorni per la necessità di assistere il coniuge disabile e determina una disparità di trattamento priva di «ogni giustificazione razionale» tra tale fattispecie, che non sarebbe «meritevole di una minor tutela», e le ipotesi di «assenze dovute a malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento, della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione». Nelle fattispecie da ultimo indicate, la legge prevede che l’indennità di maternità sia corrisposta anche alla lavoratrice assente dal servizio da più di sessanta giorni.

Il giudice a quo ravvisa anche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che enunciano «il principio di uguaglianza ed il divieto di discriminazioni e riconoscono il diritto ad un congedo di maternità retribuito ed il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale in caso di maternità». Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», integrerebbe, difatti, una discriminazione a causa del sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità come espressamente enunciato dall’art. 2, comma 2, lett. c della Direttiva 2006/54 e trasposto nell’ordinamento all’art. 2 bis del d.lgs. n. 198/06», e a causa della disabilità, in contrasto con le previsioni «della direttiva 2000/78, attuata col d.lgs. n. 216/03», e in particolare con «il divieto di discriminazione fondato sull’handicap», che si applica non solo al disabile, ma anche a chi gli presta assistenza.

Il rimettente, in ragione della tassatività delle ipotesi in cui il trattamento di maternità è corrisposto anche a prescindere da una sospensione del rapporto di lavoro per un periodo superiore a sessanta giorni, reputa impraticabile l’interpretazione adeguatrice e ravvisa la necessità di investire la Corte costituzionale per la soluzione del dubbio di costituzionalità.

Questa necessità non potrebbe dirsi superata dal fatto che il conflitto tra norme interne e norme dell’Unione europea di diretta applicazione possa essere risolto disapplicando la norma interna incompatibile. Ad avviso del rimettente, «il conflitto della norma interna con i principi della Costituzione riconosciuti anche dal diritto euro unitario può essere risolto solo attraverso un espresso sindacato di legittimità sull’atto legislativo ordinario da parte dell’Organo competente», e non già attraverso la disapplicazione delle norme di rango legislativo in ipotesi contrastanti con i precetti costituzionali.

2.– Con atto depositato il 24 ottobre 2017, si è costituita E.T.R. F., chiedendo di accogliere la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Torino.

Il trattamento economico di maternità, al pari del congedo di maternità e del divieto di licenziamento, attuerebbe la speciale protezione che l’art. 37 Cost. assicura alla madre lavoratrice e al bambino, e il principio di eguaglianza sostanziale presidiato dall’art. 3, secondo comma, Cost.

Il sostegno economico alla lavoratrice madre perseguirebbe l’obiettivo di tutelare la salute della donna e del nascituro e di salvaguardare la libertà della lavoratrice di essere madre, senza limitazioni o condizionamenti derivanti dalla prospettiva della perdita del reddito lavorativo.

Il congedo straordinario regolato dall’art. 42 d.lgs. n. 151 del 2001 adempirebbe alla funzione di tutelare la salute psico-fisica del disabile e di promuoverne l’integrazione all’interno della famiglia, che svolge un fondamentale ruolo di assistenza. Tale fattispecie di congedo straordinario meriterebbe, ai fini del trattamento economico di maternità, la medesima tutela riconosciuta nelle altre ipotesi, in cui la legge concede l’indennità di maternità anche a lavoratrici che non siano in servizio da più di sessanta giorni.

La disposizione censurata, nel negare l’indennità di maternità alla madre lavoratrice che dapprima sia stata assente dal lavoro per assistere il coniuge disabile e poi sia stata collocata in interdizione anticipata dal lavoro a causa di gravi complicanze nella gestazione, vanificherebbe la speciale protezione accordata dagli artt. 31 e 37 Cost.

Tale disciplina sarebbe irragionevole e lesiva del principio di non discriminazione in ragione del sesso e della disabilità, enunciato dagli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE.

3.– Con ordinanza del 16 ottobre 2017, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Trento, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31 e 37, primo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, «nella parte in cui […] non annovera anche il congedo straordinario ex art. 42 co. 5 e co. 5ter d.lgs. 151/2001 (spettante al genitore di soggetto affetto da handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4 co. 1 L. 5.2.1992, n. 104) tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio dell’assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo di congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

3.1.– Il rimettente riferisce di dover decidere sul ricorso di una lavoratrice che, dal 4 aprile 2016, fruisce di un congedo straordinario per l’assistenza di un figlio in condizione di disabilità grave e dal maggio 2016 ha iniziato una nuova gravidanza.

La domanda di indennità giornaliera di maternità è stata respinta dall’INPS, in quanto erano trascorsi più di sessanta giorni dall’inizio del congedo straordinario.

3.2.– In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che, in virtù della disposizione censurata, il ricorso dovrebbe essere rigettato, in quanto, all’inizio del periodo di congedo di maternità (23 agosto 2016), il rapporto di lavoro era sospeso da più di sessanta giorni. Già dal 4 aprile 2016 la parte ricorrente godeva del congedo straordinario per assistere il figlio minore gravemente disabile e, dal 23 agosto 2016, in forza di provvedimento dell’azienda sanitaria, ha dovuto astenersi in anticipo dal lavoro.

Il rimettente puntualizza, sulla scorta delle affermazioni della sentenza 24 marzo 2017, n. 7675, della Corte di cassazione, sezione lavoro, che i periodi di assenza volontaria dal lavoro a titolo di aspettativa, congedo o permesso senza retribuzione non sono esclusi dal computo dei sessanta giorni che precedono l’inizio del congedo di maternità.

3.3.– In merito alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, il giudice a quo muove dal presupposto che, secondo la giurisprudenza costituzionale, il fondamento della protezione sia ricondotto alla maternità in quanto tale e non più allo svolgimento di un’attività lavorativa subordinata.

L’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2011 prevede che non si debba tener conto, ai fini del computo dei sessanta giorni di sospensione del rapporto di lavoro, delle assenze dovute a malattia e a infortuni sul lavoro, del periodo di congedo parentale fruito per una precedente maternità, del congedo per la malattia del figlio, del periodo di assenza per accudire minori in affidamento, del periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Il legislatore ha dunque recepito le indicazioni della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), nella parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l’assenza facoltativa non retribuita per una precedente maternità (si menziona la sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidati in preadozione (il richiamo è alla sentenza n. 332 del 1988).

Per altro verso, il legislatore ha scelto di escludere dal computo dei sessanta giorni anche il congedo per la malattia del figlio e l’assenza prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

Ad avviso del rimettente, l’assetto delineato dal legislatore si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto, senza alcuna giustificazione ragionevole, pur trattandosi di situazioni «espressive di esigenze di tutela assai simili», annovera il congedo per la malattia del figlio ex art. 47 d.lgs. n. 151 del 2001 ed esclude, per contro, il congedo straordinario che spetta al genitore di un figlio con handicap in situazione di gravità accertata «tra le fattispecie di assenza o congedo o mancata prestazione lavorativa, di cui non si tiene conto ai fini del computo dell’intervallo, tra l’inizio della assenza o della sospensione o della disoccupazione e l’inizio del periodo del congedo di maternità, di sessanta giorni, il cui superamento preclude, ai sensi dell’art. 24 co. 2 d.lgs. 151/2001, l’attribuzione dell’indennità giornaliera di maternità ex art. 22 co. 1 d.lgs. 151/2001».

Sarebbero violati anche l’art. 31 e l’art. 37, primo comma, Cost., in quanto la disposizione censurata, nell’escludere dal godimento dell’indennità di maternità la donna che da più di sessanta giorni benefici del congedo straordinario per assistere un figlio gravemente disabile, contrasterebbe con i princìpi di tutela della maternità e comprometterebbe la speciale protezione della madre e del bambino, che l’istituto dell’indennità di maternità concorre a garantire.

4.– Il Presidente del Consiglio dei ministri non ha spiegato intervento.

5.– All’udienza del 22 maggio 2018, E.T.R. F., unica parte costituita, ha ribadito le conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Torino e il Tribunale ordinario di Trento, entrambi in funzione di giudice del lavoro, dubitano della legittimità costituzionale dell’art. 24 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non annovera il congedo previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 per l’assistenza, rispettivamente, al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), tra i periodi di cui non si tiene conto ai fini del computo di quell’arco temporale di sessanta giorni tra l’inizio della sospensione o dell’assenza e l’inizio del periodo di congedo di maternità, superato il quale l’attribuzione dell’indennità di maternità risulta preclusa.

Entrambi i rimettenti, dopo aver posto in risalto la specifica funzione dell’indennità di maternità, volta a tutelare la salute della donna e del nascituro e a evitare ogni pregiudizio connesso alla libera scelta della maternità, argomentano che il diniego dell’indennità di maternità, quando siano trascorsi più di sessanta giorni tra l’inizio della fruizione del congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, vanifica la speciale protezione della maternità garantita dalla Carta fondamentale (artt. 31 e 37 della Costituzione).

Il Tribunale di Torino, in particolare, rileva che la disciplina censurata «pregiudica il diritto del disabile di ricevere assistenza all’interno del proprio nucleo familiare ed il diritto della lavoratrice di prestare assistenza al proprio coniuge disabile (laddove impone a quest’ultima, qualora insorga uno stato di gravidanza, di sacrificare anzitempo tale assistenza per riprendere il rapporto di lavoro prima dell’astensione obbligatoria)» e, in pari tempo, sacrifica «la libertà della lavoratrice di scegliere quando diventare madre», esponendola al rischio di perdere il diritto all’indennità di maternità quando le complicazioni della gestazione impediscano «la ripresa del servizio al termine del congedo straordinario».

La disciplina censurata sarebbe lesiva, altresì, dell’art. 3 Cost., in quanto, in difetto di ogni ragionevole giustificazione, riserverebbe un trattamento deteriore alla lavoratrice costretta ad assentarsi per assistere il coniuge o un figlio disabili.

Il Tribunale di Torino, in particolare, denuncia la violazione del «principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.». La lavoratrice che si dedica all’assistenza al coniuge disabile non sarebbe «meritevole di una minor tutela» rispetto alla lavoratrice assente per «malattia, infortunio sul lavoro, congedo parentale o congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità o per accudire minori in affidamento» o rispetto all’ipotesi «della mancata prestazione lavorativa in caso di contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, della collocazione in cassa integrazione».

Il Tribunale di Trento ravvisa il contrasto con il «principio di eguaglianza formale ex art. 3 co. 1 Cost.» e indica come specifico termine di raffronto la fattispecie «della lavoratrice madre che si trova in congedo ex art. 47 segg. d.lgs. 151/2001 per assistere il figlio ammalato» e perciò beneficia dell’esclusione di tale congedo dal computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

Il Tribunale di Torino prospetta anche il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. Il diniego dell’indennità di maternità, «dovuto alla duplice condizione della ricorrente, gestante con gravidanza a rischio e parente di un disabile bisognoso di cure», contravverrebbe al divieto di discriminazione con riguardo al sesso, «nella specifica declinazione della gravidanza/maternità», e alla disabilità, divieto che tutela anche chi presti al disabile la necessaria assistenza.

2.– Le due ordinanze di rimessione sollevano questioni in larga parte coincidenti, relative alla disciplina del computo dei sessanta giorni tra l’inizio del congedo straordinario e l’inizio del periodo di congedo di maternità. I relativi giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

3.– Le questioni sono fondate, nei termini e per i motivi di séguito esposti.

4.– Il testo unico del 2001 appresta una disciplina articolata delle diverse ipotesi di sospensione e di interruzione dell’attività lavorativa, anteriori all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, e delle fattispecie in cui l’indennità di maternità è concessa anche quando sia trascorso un periodo superiore a sessanta giorni tra l’assenza e la sospensione e l’inizio dell’astensione obbligatoria. Su tale disciplina, che è utile ripercorrere nella sua evoluzione diacronica, si è innestata la giurisprudenza di questa Corte, come si vedrà in seguito.

La legge, in particolare, accorda l’indennità giornaliera di maternità anche alle «lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero, disoccupate», purché «tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni» (art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001).

L’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 esclude dal computo dei sessanta giorni le «assenze dovute a malattia o ad infortunio sul lavoro, accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali», il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità», il «periodo di assenza fruito per accudire minori in affidamento» e il «periodo di mancata prestazione lavorativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale».

Una disciplina peculiare è dettata a favore della lavoratrice che, all’inizio del periodo di congedo di maternità, fruisca dell’indennità di disoccupazione (art. 24, commi 4 e 5, d.lgs. n. 151 del 2001), del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni (art. 24, comma 6, d.lgs. n. 151 del 2001) o dell’indennità di mobilità (art. 24, comma 7, d.lgs. n. 151 del 2001).

La normativa vigente ha riprodotto le previsioni dell’art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), che già menzionava le assenze dovute a malattia e infortunio e disciplinava le fattispecie del godimento dell’indennità di disoccupazione e del trattamento di integrazione salariale a carico della cassa integrazione guadagni, recependo anche gli interventi di questa Corte, che hanno via via esteso l’àmbito applicativo del beneficio dell’indennità di maternità.

L’art. 17, secondo comma, legge n. 1204 del 1971 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dapprima nella parte in cui non escludeva – dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro – l’assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse goduto in séguito a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) e il periodo di assenza per accudire minori affidatile in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La declaratoria di illegittimità costituzionale ha poi investito lo stesso art. 17, secondo comma, nella parte cui negava l’indennità giornaliera di maternità alle lavoratrici con contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale su base annua, anche in relazione ai previsti successivi periodi di ripresa dell’attività lavorativa, allorché il periodo di astensione obbligatoria avesse avuto inizio più di sessanta giorni dopo la cessazione della precedente fase di lavoro (sentenza n. 132 del 1991).

5.– La disciplina censurata si colloca, come già anticipato, nell’evoluzione normativa, ripercorsa nei suoi tratti salienti.

I giudici a quibus muovono dalla premessa che l’elencazione dell’art. 24 d.lgs. n. 151 del 2001 sia tassativa e non possa essere integrata attraverso un’interpretazione adeguatrice. La legge, in particolare, non contemplerebbe il congedo straordinario che l’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001 prevede a favore del coniuge convivente e della madre per l’assistenza a «soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104».

I rimettenti, chiamati a decidere le controversie promosse da lavoratrici gestanti che prestavano assistenza l’una al coniuge e l’altra al figlio disabile, chiedono di ampliare il catalogo delle deroghe previste dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 a tali specifiche ipotesi. Queste precise richieste delimitano il tema del decidere devoluto all’esame di questa Corte.

Il dubbio di costituzionalità è originato da una plausibile premessa ermeneutica.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’attribuire carattere tassativo alle deroghe delineate dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 14 luglio 2017, n. 17524 e 24 marzo 2017, n. 7675), in coerenza con l’orientamento di questa Corte, che riconduce alla valutazione discrezionale del legislatore l’individuazione delle particolari fattispecie in cui non rileva una cesura superiore a sessanta giorni tra l’assenza della lavoratrice e la sospensione del suo rapporto di lavoro, da un lato, e l’inizio del periodo di congedo di maternità, dall’altro (sentenza n. 106 del 1980, punto 5. del Considerato in diritto).

6.– Il legislatore, pur nell’àmbito di tali scelte discrezionali, si propone di apprestare una tutela effettiva e coerente con il dettato costituzionale, che conferisce alla Repubblica il compito di proteggere la maternità e l’infanzia, «favorendo gli istituti necessari a tale scopo» (art. 31, secondo comma, Cost.), e prescrive «una speciale adeguata protezione» (art. 37, primo comma, Cost.) per la madre e il bambino, accomunati in una prospettiva di tutela unitaria, in armonia con l’unicità della relazione esistenziale che li lega (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto).

La Carta fondamentale impone di proteggere la salute fisica della donna e del bambino e tutto il complesso rapporto che si instaura tra madre e figlio, con le «esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalità del bambino» (sentenze n. 61 del 1991, punto 4. del Considerato in diritto, e n. 1 del 1987, punto 6. del Considerato in diritto), e di «impedire che possano, dalla maternità e dagli impegni connessi alla cura del bambino, derivare conseguenze negative e discriminatorie» (sentenza n. 423 del 1995, punto 4. del Considerato in diritto).

Nel definire i presupposti dell’indennità di maternità, «crocevia di molteplici valori costituzionalmente rilevanti» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto), le scelte legislative, pur diversamente modulate con riferimento alle peculiari situazioni considerate, devono salvaguardare il fondamento della tutela costituzionale della maternità, che risiede nella maternità in quanto tale (sentenza n. 361 del 2000, punto 4.1. del Considerato in diritto) e vieta «una ingiustificata esclusione di ogni forma di tutela» (sentenza n. 405 del 2001, punto 2.1. del Considerato in diritto)

7.– La legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001 deve dunque essere scrutinata alla luce dei princìpi richiamati.

7.1.– La legge riconosce il diritto a percepire l’indennità di maternità se si può ritenere, in ragione della brevità del tempo trascorso «tra la cessazione del lavoro e l’inizio del periodo di astensione obbligatoria» o in ragione di altri specifici elementi, che la lavoratrice sia «ancora inserita nel circuito del lavoro allorquando il periodo di astensione obbligatoria ha avuto inizio» (sentenza n. 132 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto), o se ricorrano esigenze preminenti di tutela, connesse a una precedente maternità (sentenza n. 106 del 1980) o alla cura di un minore affidato in preadozione (sentenza n. 332 del 1988).

La disposizione censurata non annovera tra le esigenze preminenti di tutela la necessaria assistenza del coniuge o del figlio disabili, in forza di un congedo straordinario concesso ai sensi dell’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001.

7.2.– Questa omissione è posta al centro delle censure mosse dai rimettenti.

Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, primo comma, Cost. accorda alla madre lavoratrice e al bambino. Quest’ultima previsione specifica e rafforza la tutela della maternità e dell’infanzia già sancita in termini generali dall’art. 31, secondo comma, Cost.

L’esclusione del congedo straordinario si rivela irragionevole anche alla luce delle speciali previsioni dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, che non comprendono nel computo dei sessanta giorni tra l’inizio dell’assenza e l’inizio dell’astensione obbligatoria il «periodo di congedo parentale o di congedo per la malattia del figlio fruito per una precedente maternità». La deroga prevista per tali congedi si ispira a un’esigenza preminente di tutela, cosicché l’indennità di maternità è dovuta anche quando la discontinuità del rapporto di lavoro superi i sessanta giorni.

Nelle due ipotesi di congedo straordinario per assistere il coniuge o un figlio in condizioni di grave disabilità emergono esigenze di tutela egualmente rilevanti.

Si tratta, infatti, di congedo straordinario subordinato a presupposti oggettivi e temporali rigorosi, non equiparabile ad altre assenze, giustificate da motivi personali e di famiglia, che incidono sul computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001.

La giurisprudenza di questa Corte ha contribuito a scandire l’evoluzione del beneficio in esame e ad ampliarne l’àmbito applicativo. Dapprima esteso ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità accertata, i cui genitori siano totalmente inabili (sentenza n. 233 del 2005), il congedo straordinario ha successivamente riguardato, in via prioritaria, il coniuge convivente (sentenza n. 158 del 2007) e, in difetto di altri soggetti idonei, il figlio convivente (sentenza n. 19 del 2009) e il parente o l’affine entro il terzo grado convivente (sentenza n. 203 del 2013).

L’estensione dei beneficiari del congedo straordinario risponde all’esigenza di garantire la cura del disabile nell’àmbito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne nel modo più efficace la salute, di preservarne la continuità delle relazioni e di promuoverne una piena integrazione.

L’assetto prefigurato dal legislatore pregiudica la madre che si faccia carico anche dell’assistenza al coniuge o al figlio disabili, e attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.

La tutela della maternità e la tutela del disabile, difatti, pur con le peculiarità che le contraddistinguono, non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.). Per questi particolari vincoli di solidarietà, connessi alla cura del coniuge o del figlio disabili con handicap in condizione di gravità accertata, si impone l’estensione della deroga sancita dall’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001.

8.– Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza delle proposte questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost.

Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non prevede che, ai fini del computo dei sessanta giorni previsti dall’art. 24, comma 2, d.lgs. n. 151 del 2001, non si tenga conto del periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, legge n. 104 del 1992.

Restano assorbite le ulteriori censure del Tribunale di Torino, incentrate sulla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 20, 21, 23, 33 e 34 della CDFUE.

PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 3, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 2018.

F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2018.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

Il CdS accoglie l'Appello dell'Amministrazione

1) - agente scelto di P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato
- con moglie casalinga.

N.B.: leggi il tutto in sentenza.
--------------------------------------

SENTENZA ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 4 ,numero provv.: 201805686
– Public 2018-10-03 -


Pubblicato il 03/10/2018

N. 05686/2018 REG. PROV. COLL.
N. 09149/2017 REG. RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9149 del 2017, proposto dal Ministero dell'interno - Questura di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Del Grosso e Bianca Maria Menichelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Maria Del Grosso in Roma, via Aureliana, 53;

per la riforma
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, sezione II, 5 maggio 2017, n. 306.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti l’avvocato Bianca Maria Menichelli e l'avvocato dello Stato Antonio Grumetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor -OMISSIS-, agente scelto di P.S., ha chiesto di potere usufruire dei periodi di riposo accordati dall’art. 40, lett. c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per la nascita del proprio figlio, specificando di essere coniugato con moglie casalinga.

2. Con provvedimento del Questore di Cagliari notificato il 7 gennaio 2017, la domanda è stata respinta.

3. Il signor C.. ha impugnato il diniego mediante un ricorso che il T.A.R. per la Sardegna, sezione II, ha accolto con sentenza in forma semplificata 5 maggio 2017, n. 306, condannando l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite. Nel motivare, il Tribunale territoriale ha richiamato la propria precedente decisione 21 ottobre 2015, n. 1078, a sua volta basata sulla sentenza del Consiglio di Stato 10 settembre 2014, n. 4618.

4. L’Amministrazione dell’interno ha impugnato la sentenza n. 306/2017, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva, ricordando il più recente orientamento di questo Consiglio di Stato.

5. Il signor C.. si è costituito in giudizio per resistere all’appello.

6. Con ordinanza 2 febbraio 2018, n. 450, la Sezione ha accolto la domanda cautelare, sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, fissato l’udienza per la discussione della causa nel merito, compensato fra le parti le spese della fase processuale.

7. Con memoria depositata il 23 maggio 2018, la parte privata:

- ha ricordato le oscillazioni della giurisprudenza sulle condizioni di applicabilità della disposizione della citata lett. c) dell’art. 40 del decreto legislativo n. 151/2011 e sostenuto il carattere non pertinente del recentissimo precedente della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993, che non avrebbe inteso apportare una effettiva inversione di tendenza rispetto al precedente orientamento ma solo una deroga specifica limitata ai militari con funzioni operative (egli non sarebbe in servizio operativo, ma addetto a ordinarie mansioni d’ufficio);

- ha sollecitato il deferimento della questione all’Adunanza plenaria;

- ha sollevato la questione di legittimità costituzionale degli artt. 39 e 40 del decreto legislativo citato per contrasto con gli artt. 3, 4, 29, 30, 31, 36 e 37 Cost.

8. L’Amministrazione non ha replicato.

9. All’udienza pubblica del 7 giugno 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

10. Pur dovendosi dando atto dei diversi orientamenti giurisprudenziali in materia, succedutisi nel tempo, l’appello dell’Amministrazione è fondato.

11. La recentissima sentenza della Sezione 30 ottobre 2017, n. 4993 (in seguito, si veda anche sez. IV, 30 gennaio 2018, n. 628), valorizzata anche dalla ricordata ordinanza cautelare, ha riesaminato in termini dettagliati ed esaustivi la questione controversa per concludere che nessun congedo parentale spetta, in linea di principio, al padre dipendente delle Forze armate o di polizia coniugato con una casalinga. Questa, infatti, svolge attività domestiche che le consentono di prendersi cura del figlio, salvo che non vi possa attendere per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, fra le quali non rientra - ad esempio - il solo mancato possesso della patente di guida.

11.1. A tali precedenti il Collegio stima di conformarsi integralmente pure ai sensi e per gli effetti dell’art. 88, comma 2, lett. d), c.p.a., anche perché non corrisponde al vero che - come invece sostiene l’appellato - tali decisioni abbiano strettamente connesso la dimensione dei principi enunciati alle esigenze della “difesa militare dello Stato propriamente detta”, trattandosi invece in entrambi i casi di ricorsi originariamente proposti da soprintendenti di P.S., come l’originario ricorrente appartenenti a un Corpo di polizia a ordinamento non militare.

11.2. E’ ben vero che - come osserva il privato - la sentenza n. 4993/2017 ha affermato che “l'istanza del dipendente tesa alla fruizione dei riposi giornalieri deve essere strutturata in maniera tale da consentire all'Amministrazione di effettuare, se del caso, la delicata opera di ponderazione fra valori fondamentali contrapposti (la tutela della genitorialità, da un lato, la tutela dell'ordine pubblico e l'efficacia della prevenzione e repressione dei reati, dall'altro) e pur tuttavia necessariamente (e reciprocamente) bilanciabili nel quomodo della relativa esplicazione, così come richiesto dall'ordinamento” (§ 11.17). Ne seguirebbe l’obbligo di una ponderata e specifica valutazione riferita al singolo caso, che in concreto sarebbe stata omessa.

11.3. Così facendo, tuttavia, egli tenta abilmente di rovesciare il senso dell’affermazione precedente, la quale va letta in un contesto in cui la Sezione aveva già sottolineato che “se la madre sia casalinga ma, per specifiche, oggettive, concrete, attuali e ben documentate ragioni, non possa attendere alla cura del neonato, allora il padre potrà comunque fruire del riposo in questione” (§ 11.14). Posto che egli non ha “dimostrato, a suo tempo, un serio, concreto, effettivo ed insuperabile impedimento della madre ad esercitare l'assistenza domestica alla prole” (§ 11.14; così anche Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 20 dicembre 2012, n. 1241), il rilievo non ha pregio.

12. Quanto alla richiesta di rinvio della questione all’Adunanza plenaria, il Collegio considera che non vi è motivo per non ritenere esaustiva e del tutto condivisibile l’analisi svolta dalla sentenza n. 4993/2017 la quale, proprio al fine di ricondurre a unità un orientamento esegetico di entrambi i gradi della giurisprudenza amministrativa reputato “ondivago” (§ 10), non solo ha definitivamente chiarito presupposti, portata applicativa e limiti della normativa di riferimento, ma ha inteso valorizzare espressamente, come elemento caratterizzante la controversia decisa (peraltro del tutto analoga a quella oggetto del presente contenzioso) il “rilievo pubblico primario degli interessi perseguiti dall'Amministrazione della pubblica sicurezza” (§ 11.17).

12.1. Sarà dunque onere di diversa Sezione, ove in dissenso con la linea interpretativa riferita con riguardo a fattispecie segnate dalla compresenza di interessi di segno diverso, rilevare il contrasto e sottoporre la questione, se del caso, all’Adunanza plenaria.

13. Infine, il signor C.. deduce la questione di legittimità costituzionale delle norme in questione che assoggetterebbero a differente trattamento situazioni uguali sia sotto il profilo della protezione della famiglia, della paternità e della maternità, sia sotto il profilo della tutela della lavoratrice casalinga, sia per evidente irragionevolezza.

13.1. A dire manifestamente infondata la questione sollevata basterà riportare alcuni passaggi della sentenza n. 4993/2017, che si è data carico anche della questione specifica.

“11.1. Il combinato disposto degli articoli 39 e 40 delinea un'evidente priorità della madre nella fruizione dei permessi: il padre, a ben vedere, può attingere a tale misura solo in casi predeterminati e tassativi, conseguenti a situazioni in cui la madre non ha la possibilità giuridica (lett. a), la volontà (lett. b), la possibilità professionale (lett. c) o materiale (lett. d) di fruirne in prima persona.

11.2. Il padre, in altre parole, acquista il diritto de quo solo quando la madre, per le circostanze puntualmente stabilite dalla norma, non possa, non voglia o non sia nella condizione di fruire di tali riposi.

11.3. Del resto, benché l'istituto in questione - de jure condito scisso dalle necessità dell'allattamento che ab initio (cfr. art. 9 della legge 26 agosto 1950, n. 860) rappresentavano la motivazione cui era finalizzata (e subordinata) la concessione dei riposi - non sia volto a tutelare le sole funzioni biologiche proprie della maternità ma si estenda, invero, a preservare e favorire tutte le responsabilità genitoriali (incluse quelle del padre), cionondimeno è evidente, in base a considerazioni di comune esperienza da cui l'interprete non può mai del tutto prescindere, che, nel primo anno di vita, la madre rivesta un ruolo centrale e, per tanti aspetti, assai difficilmente fungibile nello sviluppo della giovane vita del neonato.

11.4. Purtuttavia, la legge, ponendo al centro l'interesse del minore, si cura comunque di assicurare la presenza di almeno un genitore: ove, dunque, la madre non possa o non voglia fruire dei riposi o, comunque, non sia materialmente in grado di assistere il bambino, il diritto ai riposi si cristallizza in capo al padre.

11.5. Ciò, in particolare, ricorre: quando la madre sia deceduta o gravemente inferma (impossibilità materiale), quando i figli siano affidati al solo padre (impossibilità giuridica, perché, in tali casi, l'inidoneità della madre ad attendere alla cura del minore è stata già vagliata ed acclarata da un Giudice), quando la madre abbia scelto di non fruirne (i riposi restano comunque una facoltà, non un dovere pubblicistico, giacché la cura materiale e morale della prole di cui all'art. 147 c.c., doverosa nell'an, è comunque rimessa, in concreto, all'articolazione modale che ogni genitore prescelga), ovvero quando la madre non possa in radice fruirne, in quanto non assunta quale lavoratrice dipendente.

11.6. Tale ultima evenienza è evidentemente riferita allo svolgimento, da parte della madre, di un'attività lavorativa autonoma (artigianale, libero professionale, commerciale), cui strutturalmente è estranea la materia dei permessi e dei riposi e la cui organizzazione quotidiana può non consentire la necessaria attenzione alle esigenze del neonato.

11.7. L'attività di casalinga, per quanto di interesse ai fini della presente questione, consente viceversa fisiologicamente una presenza domestica (recte, si caratterizza proprio per una dimensione domestica) e, dunque, rende di per sé possibile l'attenzione ai bisogni del neonato.

11.8. In altre parole, lo scopo cui la legge mira con la concessione del riposo giornaliero, ossia assicurare la presenza domestica di almeno uno dei genitori, è ab initio soddisfatto quando uno dei due svolga attività di cura della casa.

11.9. Sono, pertanto, fuori asse le argomentazioni in ordine alla (indiscussa ed indiscutibile) pari dignità del lavoro domestico od alla (altrettanto indiscussa ed indiscutibile) pari dignità e responsabilità dei genitori: l'istituto in questione, infatti, è volto a tutelare in via immediata e diretta l'interesse del neonato ad avere accanto durante la giornata, sia pure nei limiti orari precisati dalla norma, almeno un genitore.

11.10. Ebbene, se la madre è casalinga, un genitore strutturalmente è presente in casa, con ciò soddisfacendo in radice quei bisogni cui l'istituto dei riposi, quale misura ausiliativa a favore (non dei genitori, ma) del bambino, è preordinato.

11.11. Né ha rilievo il fatto che la casalinga è contestualmente onerata anche dei gravosi compiti di gestione della casa e della famiglia: invero, pure il genitore che, in assenza dell'altro (in quanto impegnato al lavoro, deceduto, gravemente infermo ovvero privo dell'affidamento), fruisca dei riposi è, evidentemente, onerato di attendere, oltre che alla cura del neonato, anche alle varie esigenze domestiche.

11.12. Del resto, non solo il Legislatore, nell'esercizio della sua ampia discrezionalità, ha espressamente circoscritto la fruizione del riposo da parte del padre ai soli casi di mancata fruizione, per le specifiche condizioni e situazioni previste dalla norma, da parte della madre (ovvero, in altra prospettiva, ha plasmato il diritto del padre come alternativo e succedaneo a quello della madre), ma, a ragionare diversamente, si creerebbe per via interpretativa un vulnus a carico delle famiglie composte da due lavoratori dipendenti: in tali casi, infatti, solo uno dei due potrebbe, fruendo dei riposi, stare a casa e, quindi, esplicare, nei limiti orari previsti dalla norma, le funzioni genitoriali, mentre un nucleo familiare in cui uno dei genitori non svolga attività lavorativa e l'altro sia lavoratore dipendente potrebbe garantire, nei richiamati limiti orari, la contestuale presenza domestica di ambedue le figure genitoriali, con un'inammissibile (ed ingiustificabile) situazione di privilegio.

11.13. A fortiori, abnorme sarebbe la differenza di trattamento rispetto ai nuclei familiari composti da lavoratori autonomi o liberi professionisti, che possono fruire della sola misura indennitaria prevista rispettivamente dagli articoli 66 - 69 e 70 - 73 del d.lgs. n. 151”.

14. Dalle considerazioni che precedono discende che - come anticipato - l’appello va accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

15. Tenuto conto delle ricordate incertezze della giurisprudenza, solo di recente stabilizzatasi, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità dell’interessato, incarica la segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte privata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Troiano, Presidente
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
Luca Lamberti, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Roberto Caponigro, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Castiglia Paolo Troiano





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

personale PolPen

La Corte Costituzionale bacchetta l'Amministrazione
-------------------------------------------------------------------

Ufficio Stampa della Corte costituzionale
Comunicato del 7 dicembre 2018

AMPLIATA LA TUTELA DEL DISABILE: CONGEDO STRAORDINARIO PER L’ASSISTENZA AL GENITORE ANCHE AL FIGLIO NON CONVIVENTE

Ha diritto al congedo straordinario per assistere il genitore gravemente disabile anche il figlio con lui non convivente, in mancanza di tutti gli altri familiari legittimati a godere del beneficio, secondo l’ordine di priorità indicato dalla legge (anzitutto il coniuge convivente, in seconda battuta il padre e la madre, anche adottivi, poi i figli conviventi, i fratelli e le sorelle conviventi, e da ultimo i parenti o gli affini entro il terzo grado conviventi).

È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con sentenza n. 232 depositata oggi (relatrice Silvana Sciarra), con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 là dove non prevedeva, appunto, questo beneficio anche per il figlio non convivente per l’assistenza del padre.

La Corte ha ribadito la ragion d’essere del congedo straordinario, che esprime i valori della solidarietà familiare e risponde all’esigenza di assicurare la cura del disabile nell’ambito della famiglia e della comunità di vita cui appartiene, allo scopo di tutelarne la salute e di promuoverne nel modo più efficace l’integrazione.

Il legislatore, nell’estendere a soggetti diversi dai genitori il beneficio in questione, ha posto come requisito la precedente convivenza con il disabile, per garantire la continuità delle relazioni affettive e di cura. Tuttavia, questo requisito rischia di pregiudicare il padre disabile, quando manchino i familiari conviventi indicati in via prioritaria dalla legge e vi sia solo un figlio, all’origine non convivente, pronto a impegnarsi per prestare la necessaria assistenza.

Anche queste situazioni sono ugualmente meritevoli di adeguata protezione, «poiché riflettono i mutamenti intervenuti nei rapporti personali e le trasformazioni che investono la famiglia, non sempre tenuta insieme da un rapporto di prossimità quotidiana, ma non per questo meno solida nel suo impianto solidaristico». Il requisito della precedente convivenza non può dunque «assurgere a criterio indefettibile ed esclusivo, così da precludere al figlio, che intende convivere ex post, di adempiere in via sussidiaria e residuale i doveri di cura e di assistenza, anche quando nessun altro familiare convivente, pur di grado più lontano, possa farsene carico».

La Corte ha precisato che il figlio, dopo aver conseguito il congedo straordinario, ha l’obbligo di instaurare una convivenza che garantisca al genitore disabile un’assistenza permanente e continuativa.

Roma, 7 dicembre 2018

Palazzo della Consulta, Piazza del Quirinale 41 Roma - Tel. 06.46981/06.4698224/06.469



Vedi Sentenza Allegata
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
panorama
Staff Moderatori
Staff Moderatori
Messaggi: 12872
Iscritto il: mer feb 24, 2010 3:23 pm

Re: permessi allattamento madre casalinga

Messaggio da panorama »

CdS Ord. di remissione all'Adu.Plen. sui riposi giornalieri artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001.

Il Ministero dell'Interno ha Appellato la sentenza del Tar del 2017 positiva al collega della PolStato.

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL'ADUNANZA PLENARIA

Tutto ciò precisato, in considerazione delle divergenze esegetiche desumibili dagli indirizzi giurisprudenziali evidenziati e delle osservazioni fin qui svolte, la Sezione ritiene di dover rimettere all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99, commi 1 e 5, del codice del processo amministrativo, le seguenti questioni:

a) se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre, in caso di richiesta di permesso da parte del padre, lavoratore dipendente, del minore di anni uno, si riferisca a qualsiasi categoria di lavoratrice non dipendente, e quindi anche alla casalinga, ovvero solo alla lavoratrice autonoma o libero-professionista, posizione che comporta diritto a trattamenti economici di maternità a carico dell’Inps o di altro ente previdenziale;

b) in caso di risposta affermativa, se il diritto del padre a fruire dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2011 abbia portata generale, ovvero sia subordinata alla prova che la madre casalinga, considerata alla stregua della lavoratrice non dipendente, sia impegnata in attività che la distolgano dalla cura del neonato, ovvero affetta da “infermità”, seppure temporanee e/o non gravi;

c) quale sia l’esatta accezione da attribuire alla nozione di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, ove la madre sia casalinga.

Valuterà l’Adunanza Plenaria se affermare i rilevanti principi di diritto o se definire il secondo grado del giudizio.

N.B.: ora bisogna attendere il definitivo.
Non hai i permessi necessari per visualizzare i file allegati in questo messaggio.
Rispondi