Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

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ganzomen

Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da ganzomen »

Probabilmente (mi ci metto anch'io) molti avranno, se non esultato, almeno sorriso all'incostituzionalità del blocco dei contratti del pubblico impiego. Dopo i primi nanosecondi di parziale euforia ho fatto mente locale al ragionamento che terrà la classe politica italica: con la prossima legge di stabilità di fine anno adempiremo alla sentenza e vi daremo, dal 2016, circa 50/60 euro lordi (30/40 netti). Qualche centesimo in più per le varie indennità e per 3/4 anni siete a posto. Ovviamente, anche se l'esborso per tutto il pubblico impiego (compreso il comparto sicurezza) farà fatica ad arrivare a circa un miliardo di euro (detratte le tasse), avranno carta bianca e si sentiranno rafforzati nel fare quello che hanno già in mente. Complice i 16 miliardi di euro da trovare entro fine anno altrimenti l'IVA passa dal 22 al 25%, toglieranno i due terzi delle detrazioni più consistenti dal 730 (spese funebri, soglia di 10/20 mila euro lordi di imponibile per le detrazioni delle spese mediche, spese trasporti, sport ecc.), i soliti aumenti del carburante e delle sigarette, e qualche altra trovata di capodanno. Trenta/quaranta ne prenderemo e 80/100 se ne prenderanno. Altro che gamberi....E' inutile, ho si metteranno in testa di tagliare drasticamente le pensioni sopra i 5000/6000 euro anno, applicheranno i costi standard in breve tempo e taglieranno effettivamente ruberie e sprechi (in tutti i settori) oppure abituiamoci, se va bene, ad un lento e decoroso declino. Fino ad alcuni anni fa ero un inguaribile ottimista.....ora mica tanto...


antoniope
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da antoniope »

Se la Corte Costituzionale, anche davanti a fatti così macroscopici di incostituzionalità, ha dato ragione al Governo (valutazione politica) solo dal fatto di non far saltare i conti italiani, vuol dire che è un organo sottomesso per cui non ha più motivo di esistere.
Cosa vuol dire il blocco è illegittimo solo per il futuro ma non per il passato. Se il blocco è illegittimo lo era anche prima.
Bisognerebbe abolirla. Ci costa svariati milioni di euro all’anno mantenere i parrucconi della Consulta per fare cosa, se poi emettono sentenze a loro compiacimento.
Sopporta con coraggio i momenti negativi perché non saranno eterni (anonimo)
christian71
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Re: R: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratt

Messaggio da christian71 »

AntonioPE ha scritto:Se la Corte Costituzionale, anche davanti a fatti così macroscopici di incostituzionalità, ha dato ragione al Governo (valutazione politica) solo dal fatto di non far saltare i conti italiani, vuol dire che è un organo sottomesso per cui non ha più motivo di esistere.
Cosa vuol dire il blocco è illegittimo solo per il futuro ma non per il passato. Se il blocco è illegittimo lo era anche prima.
Bisognerebbe abolirla. Ci costa svariati milioni di euro all’anno mantenere i parrucconi della Consulta per fare cosa, se poi emettono sentenze a loro compiacimento.
Condivido quello che dici caro Antonio… oramai tutto è pilotato… ci troviamo un mondo di marionette…

E poi alcune domande mi sorgono spontanee:

1) Come avrano speso/investito o quali debiti avranno sanato con i 35 miliardi di Euro risparmiati grazie al blocco dal 2010 ad oggi !?!?!?!?!…

2) Perchè continuano a parlare di crisi dopo che gli abbiamo fatto risparmiare 35 bei miliardi di Euro!?!?!?!?…

3) Cosa vorrebbero ancora!?!?!?…

4) Ma un bel "punteruolo rosso" che colpisca certe persone non esiste!?!?!?!?…

5) Se esiste il "punteruolo" di cui al punto 4), da dove possiamo importarlo!?!?!?…

Ringrazio anticipatamente chi saprà rispondere al quesito del punto 5) in particolare… così rivedo la destinazione delle ferie di quest'estate…

Saluti e buona giornata
Christian

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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da elliot67 »

Egregio GANZOMEN,
ho letto il tuo intervento e lo condivido in parte; per quanto riguardo il drastico taglio delle cosiddette pensioni d’oro, da tè auspicato, questo non avverrà, in quanto toccherebbe le tasche degli “intoccabili” (non voglio entrare oltre in merito di chi intendo ma credo che ci comprende comunque) e ciò verrebbe visto da costoro come un sacrilegio, casomai taglieranno le pensioni al disotto delle 2.000 Euro mensili, questo si che sarebbe consentito (scusa il mio sarcasmo).
Inoltre, essendo un neo- iscritto, colgo l’occasione di salutare tutti i colleghi iscritti e frequentatori di questo forum . elliot67
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spartagus
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da spartagus »

Pensandoci bene hanno avuto più fortuna alcuni pensionati che chi ancora lavora, immagginate che il ricorso alla consulta arrivava lo sblocco aumenti contrattuali e dopo arriva alla consulta il blocco pensioni, succedeva il contrario i lavoratori prendevano un bonus e i pensionati rimanevano con le mani in mano, dovevano arrivare conteporaneamente tutte e due i ricorsi il governo faceva la faccia gialla,la fortuna che avuto il governo che l'avvocatura di stato ha detto alla consulta che metteva in difficolta il governo e hanno fatto la frittata se la consulta non ascoltava l'avvocatura di stato ci sarebbe stato un'altro bonus e non per tutti come hanno fatto con le pensioni.
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pietro17
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da pietro17 »

Adesso, visto che esistono degli altri magna-magna che girano con il nome di sindacati, bisognerebbe che, il prossimo contratto non sia come i precedenti di circa 200€ ma, come minimo, di 600€.
Senza, come detto dalla consulta, gli arretrati ma, da oggi, il nuovo contratto recuperi il potere d'acquisto perso.

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salvo 63
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da salvo 63 »

pietro17 ha scritto:Adesso, visto che esistono degli altri magna-magna che girano con il nome di sindacati, bisognerebbe che, il prossimo contratto non sia come i precedenti di circa 200€ ma, come minimo, di 600€.
Senza, come detto dalla consulta, gli arretrati ma, da oggi, il nuovo contratto recuperi il potere d'acquisto perso.

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pietro stai attento,perchè stanno provvedendo a tassare anche i sogni...
ciao salvo 63
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pietro17
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da pietro17 »

Grande salvo..... ero rimasto alla tassazione dell'aria che respiriamo ma vedo che si stanno ingeniando in tutto. Mah..... a quando tasseranno la cacca???? Un paio di secchi glieli spedisco volentieri.

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panorama
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da panorama »

Il Governo piazza i giudici alla Corte Costituzionale, quindi chi vuole stare li deve ............

Sarebbe stato più modesto e umano, che la Corte avrebbe dato ragione al Governo per il blocco 2010-2013 (il primo) ma non doveva includere il prolungamento degli ulteriori 2 anni, dal 2014-2015, questi ultimi 2 anni avrebbero fatto sollevare il benessere di tanti Italiani e dare una ripresa alle famiglie ormai tartassati da tasse e debiti personali vari, per non parlare di quelli costretti al suicidio.
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pietro17
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da pietro17 »

Bella e vera riflessione!!

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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da panorama »

per i giudici e gli alti funzionari/comandanti il blocco è stato subito sbloccato e quindi, i soldi si sono trovati per sfamare le bocche delle loro famiglie e riempire la loro pancia ma lo stesso trattamento non è stato riservato per noi che abbiamo un misero stipendio e con l'aggravante che dobbiamo pagare l'affitto o mutuo.
Poverini, facevano tutti la fame ed erano in procinto di elemosinare e stavano morendo di fame, altri stavano andando a finire sotto i ponti (nel dormitorio).

cmq. leggete questo link



http://www.linkiesta.it/stipendi-giudic ... a-gestione" onclick="window.open(this.href);return false;
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da panorama »

leggete questo link


http://flpdifesa.org/2015/06/comunicato ... -5-stelle/" onclick="window.open(this.href);return false;
antoniope
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da antoniope »

TRATTO DA UN SITO FORZE DELL'ORDINE.
L’ultimo contratto dei pubblici dipendenti è scaduto nel lontano 2009. Il rinnovo per il triennio 2010-2012 fu cancellato con ildecreto legge 78 del 2010 (allora c’era il governo Berlusconi) e la norma piacque tanto ai governi che si sono succeduti, che hanno pensato bene di estenderla al 2013-2014 (governo Letta) e al 2015 (governo Renzi), per la parte economica. Su quest’ultimo punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, il 24 giugno scorso, ha dichiarato l’illegittimità sopravvenuta del regime del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza. Prima di assumere qualsiasi decisione, il governo dovrà attendere il deposito della sentenza della Corte, che dovrebbe avvenire entro venti-trenta giorni ma potrebbe slittare anche a dopo le ferie estive. Diversi sono poi gliostacoli normativi da superare, prima di riavviare la trattativa.

Prima di tutto il nodo dei comparti di contrattazione, che con il decreto legislativo 150/2009 (noto come “legge Brunetta”) non possono essere più di quattro. A deciderne la composizione, a meno che non intervengano novità con la legge delega di riforma della Pubblica amministrazione, sarà un accordo quadro tra Aran, l’agenzia che rappresenta il governo nelle trattative sui contratti, e organizzazioni sindacali. In pericolo i comparti di minori dimensioni, tra cui gli enti pubblici di ricerca, che sembrano essere destinati al sacrificio. Il secondo aspetto riguarda la coperturafinanziaria che va prevista nella legge di Stabilità. Per il 2015, qualora ce ne fosse bisogno, il ministero dell’Economia potrebbe intervenire con una manovra di assestamento di bilancio, ma per il biennio 2016-2018 se ne dovranno occupare prima la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza prevista per settembre e, poi, la manovra di bilancio di fine anno. Questa uscita aggiuntiva, a meno che non sia compensata da entrate fiscali di pari importo, crea un problema ai conti pubblici impegnati in uno sforzo di rientro nei parametri concordati in sede europea su deficit e debito.

Il costo netto del rinnovo del contratto del pubblico impiego è, comunque, assai modesto. Considerando che le retribuzioni lorde nel 2014 erano 114,3 miliardi di euro, un’aliquota marginale di tassazione mediamente al 30 per cento e le percentuali di adeguamento di 0,6 per cento per il 2015, 1,1 per cento per il 2016, 1,3 per cento per il 2017 e 1,5 per cento per il 2018 definite dalla variazione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzati al netto dei prodotti energetici importati, dalle casse dello Stato usciranno a regime (cioè nel 2018) poco più di 3,6 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i maggiori contributi sociali da versare all’Inps.

Un dipendente pubblico con uno stipendio di 1.500 euro netti avrà diritto a un aumento di 9 euro nel 2015 (per i mesi successivi alla pubblicazione della sentenza), ai quali si aggiungeranno 17 euro nel 2016, 20 euro nel 2017 e 23 euro nel 2018. Meno di 70 euro in tre anni, ai quali si deve sottrarre l’indennità di vacanza contrattuale attualmente percepita, pari allo 0,75 per cento dello stipendio tabellare minimo (il 50 per cento del tasso di inflazione programmata per il 2010). Paradossale, poi, la situazione dei lavoratori che si trovano in una fascia stipendiale compresa tra 24.000 e 26.000 euro lordi l’anno, per i quali buona parte dell’aumento contrattuale sarà neutralizzato dalla contemporanea riduzione del famoso bonus di 80 euro. A conti fatti, quindi, dopo un blocco durato 6 anni, ai pubblici dipendenti spetterà un misero aumento, inadeguato anche a garantire il potere d’acquisto degli stipendi. E per poterlo riscuotere dovranno attendere la conclusione della contrattazione. Che non avverrà in tempi brevi.

ANNAMO BENE.
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da micky62 »

Si sa qualcosa per quelli come me che avevano maturato assegno per il 32° anno in regime di blocco e poi dal 01 gennaio 2015 non più in servizio perchè riformati ??
panorama
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Re: Era meglio non vincere il ricorso sul blocco contratti

Messaggio da panorama »

SENTENZA N. 178

ANNO 2015



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Alessandro CRISCUOLO Presidente

- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice

- Paolo GROSSI ”

- Giorgio LATTANZI ”

- Aldo CAROSI ”

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 e dell’art. 16, comma 1, lettere b) e c) del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dal Tribunale ordinario di Roma con ordinanza del 27 novembre 2013 e dal Tribunale ordinario di Ravenna con ordinanza del 1° marzo 2014, rispettivamente iscritte ai nn. 76 e 125 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione di FLP – Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche ed altra, di Nardini Graziella ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e della Federazione GILDA-UNAMS, della CONFEDIR – Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica amministrazione e della CSE – Confederazione indipendente sindacati europei;

udito nell’udienza pubblica del 23 giugno 2015 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Tommaso De Grandis per la Federazione GILDA-UNAMS, Sergio Galleano per la CONFEDIR – Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica amministrazione, Michele Lioi per la CSE – Confederazione indipendente sindacati europei, Michele Lioi, Stefano Viti e Michele Mirenghi per la FLP – Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche ed altra, Pasquale Lattari per Nardini Graziella ed altri e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza depositata il 27 novembre 2013 e iscritta al n. 76 del registro ordinanze 2014, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 17, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, prospettando la violazione degli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53 della Costituzione.

1.1.– Il giudice rimettente espone di dover esaminare i ricorsi presentati il 26 ottobre 2012 dalla Federazione lavoratori pubblici e funzioni pubbliche (FLP) e dalla Federazione italiana autonoma lavoratori pubblici (FIALP), in qualità di firmatarie dei contratti collettivi stipulati con l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per il personale della Presidenza del Consiglio dei ministri e del comparto ministeri e per il personale degli enti pubblici non economici.

I sindacati ricorrenti nel giudizio principale hanno chiesto di accertare il diritto a dar corso alle procedure contrattuali e negoziali, relative al triennio 2010-2012, per il personale di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e di condannare l’ARAN ad avviare le trattative per il rinnovo dei contratti, deducendo, a sostegno di tali domande, l’illegittimità costituzionale della normativa che “congela” i trattamenti economici percepiti dai dipendenti e “blocca” la contrattazione collettiva «con possibilità di proroga anche per l’anno 2014».

Nel giudizio principale, si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, per contestare la fondatezza del ricorso, l’ammissibilità della questione di legittimità costituzionale, per carenza del requisito dell’incidentalità, nonché per contestare la sussistenza dei dedotti profili di contrasto con i parametri costituzionali evocati.

Il giudice rimettente ha disatteso le eccezioni pregiudiziali, mosse dal Presidente del Consiglio dei ministri, e ha ritenuto che risulti soddisfatto il requisito dell’incidentalità.

L’esame della questione di legittimità costituzionale, invero, rappresenterebbe l’antecedente ineludibile per giungere all’accertamento del diritto (art. 39, primo comma, Cost.), invocato dalla parte ricorrente. Tali considerazioni confermerebbero la rilevanza della questione, poiché il diritto della parte ricorrente ad avviare la contrattazione con riferimento al periodo 2010-2012 discenderebbe dal vaglio di costituzionalità della norma in esame.

Con riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, il giudice rimettente argomenta che la sospensione della contrattazione collettiva determina una interruzione delle procedure negoziali che si propongono di garantire la proporzionalità tra il lavoro prestato e la retribuzione dovuta.

La sospensione della contrattazione sui trattamenti retributivi fino al 31 dicembre 2014 si accompagna all’impossibilità di qualsivoglia recupero, se solo si considera che, indipendentemente dalle ragioni poste a base della decretazione d’urgenza, si riscontra un prolungamento dei limiti posti all’autonomia collettiva.

Tali limiti confliggerebbero con il dettato degli artt. 35, primo comma, 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost.

Le disposizioni censurate, inoltre, si porrebbero in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost., anche in relazione all’art. 2 Cost. Le misure di risanamento sarebbero, infatti, destinate a ripercuotersi sulle retribuzioni dei soli pubblici dipendenti, così violando il principio di eguaglianza tra i cittadini e il dovere di solidarietà politica, sociale ed economica di cui agli artt. 3, primo comma, e 2 Cost.

Tale dovere di solidarietà, difatti, non potrebbe non gravare sull’intera comunità.

Il giudice a quo osserva che la sospensione delle procedure contrattuali riguardanti gli incrementi retributivi, protraendosi fino al 31 dicembre 2014, con esclusione di ogni possibilità di recupero e di ogni adeguamento dell’indennità di vacanza contrattuale, interrompe la dinamica retributiva, senza presentare quei caratteri di eccezionalità e di temporaneità che la Corte costituzionale ha ritenuto imprescindibili nel vagliare analoghe misure di contenimento della spesa pubblica.

1.2.– Sono intervenute nel giudizio le organizzazioni sindacali FLP e FIALP, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale e lamentando, in particolare, l’irragionevole sacrificio dell’autonomia collettiva, costituzionalmente garantita ed espressione del principio democratico e partecipativo che permea la Carta costituzionale.

I sindacati intervenuti si dolgono del fatto che il legislatore abbia inibito del tutto alle organizzazioni sindacali la libertà di modulare la contrattazione nella materia retributiva, alla luce della situazione economica generale, così da impedire la ricerca di soluzioni volte a non far gravare i sacrifici sui lavoratori più deboli.

A questa stregua, finanche i contratti collettivi dal contenuto prettamente normativo, che non incidono sulla spesa pubblica, sarebbero stati arbitrariamente preclusi.

La disciplina, destinata a penalizzare in misura esorbitante il lavoro pubblico, sarebbe discriminatoria rispetto a quella applicabile al settore privato, non coinvolto da alcuna misura di contenimento delle retribuzioni, e lo sarebbe anche rispetto a quella che concerne il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che beneficerebbe di assegni una tantum nel corso del triennio di blocco degli adeguamenti retributivi.

1.3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare l’infondatezza della questione.

Il blocco delle retribuzioni sarebbe legittimo, in quanto circoscritto ad un periodo contenuto, in concomitanza con una situazione eccezionale di emergenza economica e finanziaria, e risponderebbe all’obiettivo di rispettare l’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.) adottando politiche proiettate in un periodo che necessariamente travalica l’anno.

La difesa dello Stato rileva che il giudice rimettente censura la violazione dell’art. 53 Cost. soltanto nella parte dispositiva. Tale censura, oltretutto, sarebbe carente di fondamento, in quanto difetterebbero gli elementi caratteristici del prelievo tributario.

Quanto al merito della questione e all’adombrata violazione dell’art. 39, primo comma, Cost., l’Avvocatura generale dello Stato ribatte che non ha alcuna ragion d’essere una contrattazione collettiva che non possa approdare ad un risultato utile per le parti rappresentate.

La difesa dello Stato esclude che vi siano illegittime disparità di trattamento tra lavoratori privati e lavoratori alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in considerazione delle difformità delle fattispecie comparate.

1.4.– Nel giudizio è intervenuta la Federazione GILDA-UNAMS, che asserisce di essere legittimata ad intervenire, in quanto portatrice di una posizione giuridica suscettibile di essere pregiudicata dall’esito del giudizio di legittimità costituzionale.

L’art. 64, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001 offrirebbe un argomento a favore dell’ammissibilità dell’intervento, in quanto accorderebbe alle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti collettivi la facoltà di intervenire nel giudizio anche oltre il termine previsto dall’art. 419 del codice di procedura civile.

La Federazione, qualificandosi come firmataria dell’ultimo contratto di lavoro del 27 novembre 2007 e come organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa del personale del comparto scuola, ha chiesto, in prima battuta, la rimessione della questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in quanto la disciplina impugnata violerebbe la direttiva 11 marzo 2002, n. 2002/14/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori).

La normativa, inoltre, contravverrebbe alla Carta sociale europea (art. 6, sul diritto di negoziazione collettiva), riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 9 febbraio 1999, n. 30, e agli artt. 27 e 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che tutelano, rispettivamente, il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’àmbito dell’impresa e il diritto di negoziazione e di azioni collettive.

La Federazione ha chiesto l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, rilevando che è affidata all’autonomia collettiva, sacrificata dalle disposizioni impugnate, la garanzia del rispetto del principio di proporzionalità tra il lavoro svolto e la retribuzione e che, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia), il credito del lavoratore si configura come proprietà, tutelata anche ai sensi dell’art. 1 Primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

La norma impugnata istituirebbe, in spregio all’art. 53 Cost., un prelievo tributario e pregiudicherebbe il diritto dei lavoratori a percepire una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, violando, inoltre, i princípi di affidamento, di buona fede e di eguaglianza sostanziale.

1.5.– Nel giudizio è intervenuta la Confederazione indipendente sindacati europei (CSE), insistendo per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale.

La CSE asserisce di vantare un interesse qualificato, inerente al rapporto sostanziale e idoneo a giustificare l’ammissibilità dell’intervento, poiché avrebbe sottoscritto, unitamente alla FLP, ricorrente nel giudizio principale, il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale della Presidenza del Consiglio dei ministri per il biennio economico 2006-2007 e il contratto collettivo, riguardante il medesimo comparto, per il biennio economico 2008-2009.

Da tale status discenderebbe l’interesse qualificato a intervenire nel giudizio di costituzionalità, poiché le disposizioni impugnate lederebbero l’esercizio delle prerogative negoziali della Confederazione.

La Confederazione in parola, quanto al merito delle questioni, ha rilevato che le norme censurate arrestano per un quadriennio la dinamica salariale e comprimono, per lo stesso considerevole arco di tempo, l’autonomia collettiva, tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost. e dalle fonti sovranazionali.

Fra tali fonti sovranazionali, la Confederazione menziona l’art. 6 della Carta sociale europea, l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 152 del TFUE, gli artt. 11, 12, 13 e 14 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata a Strasburgo il 9 dicembre 1989, la Convenzione n. 151 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione delle condizioni di impiego nella funzione pubblica, adottata a Ginevra il 27 giugno 1978 nel corso della 64ª sessione della Conferenza generale, ratificata e resa esecutiva con legge 19 novembre 1984, n. 862.

La parte intervenuta osserva che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la mancata attuazione dell’art. 39, secondo comma, Cost. non dovrebbe giustificare alcun impedimento alla libertà d’azione dei sindacati e al potere di stipulare contratti, seppure vincolanti soltanto per gli iscritti.

La Confederazione soggiunge che le uniche limitazioni ammesse dovrebbero essere eccezionali, transitorie, non arbitrarie, consentanee con lo scopo prefisso.

Nel caso di specie, per contro, l’intervento legislativo, discriminatorio rispetto ai lavoratori pubblici e immemore del canone di ragionevolezza, avrebbe «annichilito» la libertà sindacale.

1.6.– Nel giudizio è intervenuta anche la Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica amministrazione (CONFEDIR), rivendicando, a sostegno dell’ammissibilità dell’intervento, un ruolo primario di rappresentanza delle aree dirigenziali, leso dalle norme censurate e idoneo a giustificare la partecipazione al giudizio di costituzionalità di una organizzazione, firmataria degli accordi del 1993, del 1998, del 2009 e chiamata, in particolare, a partecipare a tutti i tavoli di contrattazione relativi alle aree dirigenziali II, III, IV.

La CONFEDIR sollecita la rimessione della questione, anche d’ufficio, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, individuando una violazione della direttiva n. 2002/14/CE sull’informazione e sulla consultazione dei lavoratori.

Essa denuncia, inoltre, la violazione degli artt. 5 e 6 della Carta sociale europea, che tutelano, rispettivamente, i diritti sindacali e il diritto di negoziazione collettiva, la violazione degli artt. 27 e 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che attengono al diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’àmbito dell’impresa e al diritto di negoziazione e di azioni collettive, il contrasto inconciliabile delle norme impugnate con la Convenzione OIL n. 87, firmata a San Francisco il 17 giugno 1948, concernente la libertà sindacale e la protezione del diritto sindacale, e con la Convenzione OIL n. 98, firmata a Ginevra l’8 giugno 1949, concernente l’applicazione dei Principi del diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva, entrambe ratificate e rese esecutive con legge 23 marzo 1958, n. 367.

1.7.– In prossimità dell’udienza, la difesa dello Stato ha depositato una memoria illustrativa, che ribadisce le argomentazioni già svolte.

La difesa dello Stato ha imputato ai giudici rimettenti di non avere esplorato la possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, di non avere offerto argomentazioni convincenti in merito alla rilevanza, trascurando, inoltre, lo stato di emergenza, in cui le misure si collocano.

Così inquadrata, la normativa impugnata andrebbe esente dalle censure di violazione degli artt. 2 e 3, primo comma, Cost.

Essa non avrebbe natura tributaria, perseguirebbe l’obiettivo di razionalizzare e contenere la spesa pubblica, in un’ottica di programmazione di bilancio necessariamente pluriennale, e si limiterebbe a imporre un contributo equamente distribuito tra tutte le componenti dell’apparato pubblico, senza arrecare alcun vulnus al principio di proporzionalità della retribuzione al lavoro svolto.

Neppure le doglianze sulla violazione dell’art. 39, primo comma, Cost. coglierebbero nel segno, giacché la contrattazione collettiva avrebbe avuto occasione di svolgersi sia a livello nazionale, sia decentrato.

1.8.– In vista dell’udienza, hanno depositato una memoria illustrativa anche la FIALP e la FLP, replicando che le disposizioni impugnate hanno irragionevolmente limitato e perfino «annichilito», per un arco temporale di ben cinque anni, quella libertà sindacale, che proprio nella libertà di contrattazione ha la sua espressione caratteristica.

La contrattazione collettiva nel settore del lavoro pubblico, che può essere limitata in ragione di esigenze finanziarie di carattere generale e delle risorse concretamente disponibili (art. 47 del d.lgs. n. 165 del 2001), non dovrebbe essere sospesa per un periodo così lungo.

Pur in assenza di risorse finanziarie, le parti collettive potrebbero operare interventi redistributivi e perequativi, per erogare tutela nei confronti delle fasce di lavoratori a più basso reddito.

Per contro, in conseguenza delle misure impugnate, il peso del risanamento dei conti pubblici graverebbe in misura sproporzionata sulla sola categoria dei dipendenti pubblici.

2.– Con ordinanza depositata il 1° marzo 2014 e iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2014, il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 e dell’art. 16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53 Cost.

2.1.– Il giudice rimettente espone di conoscere della controversia promossa da dipendenti del Ministero della giustizia, in servizio presso il Tribunale ordinario di Ravenna.

I ricorrenti hanno chiesto, previo accertamento dell’illegittimità del blocco stipendiale e contrattuale, di vedere riconosciuto il diritto all’aumento e/o all’adeguamento del trattamento retributivo, fermo al 2010, e comunque il diritto all’indennizzo e/o all’indennità per il danno patito per effetto della violazione del diritto a una retribuzione giusta e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato o perlomeno adeguata all’inflazione e/o al costo della vita.

Il lavoro – allegano i ricorrenti – si sarebbe aggravato in conseguenza della diminuzione del numero dei dipendenti dell’Ufficio per il “blocco” legislativo del turn over.

La controversia è stata incardinata dinanzi al Tribunale di Ravenna anche dalla CONFSAL-UNSA, Confederazione generale dei sindacati autonomi dei lavoratori – Unione nazionale sindacati autonomi. In qualità di sindacato maggiormente rappresentativo del comparto Ministeri e di sindacato primo per rappresentatività del Ministero della giustizia, ha chiesto, in primo luogo, l’accertamento del diritto a partecipare alle procedure contrattuali collettive e, in secondo luogo, è intervenuta in senso adesivo alle ragioni dei propri iscritti.

Il Ministero della giustizia si è costituito nel giudizio principale, deducendo l’infondatezza delle domande e delle questioni di legittimità costituzionale e sollevando eccezioni pregiudiziali d’incompetenza per territorio, di carenza di legittimazione attiva e passiva delle parti.

Il giudice rimettente ha scelto di decidere, unitamente al merito della causa, le eccezioni relative all’incompetenza per territorio, con riguardo alla posizione di D’A.C. e P.A., le eccezioni di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti e di legittimazione passiva del Ministero della giustizia.

Quanto alle domande proposte dal sindacato, volte ad ottenere la riapertura della contrattazione collettiva, il giudice rimettente si è spogliato della controversia a favore del Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro. La competenza per territorio si radicherebbe innanzi a tale giudice, in quanto a Roma ha sede il Ministero convenuto in causa.

Tale declaratoria d’incompetenza – ad avviso del giudice rimettente – non elide la rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale del blocco della contrattazione.

Il sindacato, difatti, avrebbe comunque titolo a sostenere le domande degli iscritti, che presuppongono l’accertamento dell’illegittimità costituzionale di tale blocco.

In punto di rilevanza, il giudice rimettente evidenzia che la normativa censurata preclude l’accoglimento delle domande dei ricorrenti.

Per quel che attiene alla non manifesta infondatezza, le disposizioni impugnate contrasterebbero con il principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), poiché si rivolgerebbero ai soli pubblici dipendenti “contrattualizzati”, senza coinvolgere altre categorie del lavoro pubblico (appartenenti al comparto scuola, forze armate, prefetti, ambasciatori, magistrati).

Tali misure confliggerebbero con l’art. 3, primo comma, Cost., anche sotto il profilo dell’irragionevolezza intrinseca, giacché sarebbero irrispettose dei caratteri di transitorietà e di eccezionalità, che la giurisprudenza costituzionale ha indicato come parametri di legittimità di provvedimenti affini.

Il giudice rimettente scorge un altro profilo d’illegittimità costituzionale nel contrasto con la gradualità dei sacrifici imposti (art. 53 Cost.) e la solidarietà (art. 2 Cost.).

La disciplina censurata, secondo questa prospettazione, penalizzerebbe i dipendenti pubblici che percepiscono gli stipendi più bassi, preservando la posizione di quelli con redditi più elevati.

Il giudice rimettente segnala, inoltre, la violazione dell’art. 36, primo comma, Cost., rilevando che il blocco contrattuale e stipendiale, protraendosi dal 2010, pregiudicherebbe il diritto a una retribuzione adeguata e proporzionata al lavoro svolto. Il pregiudizio si aggraverebbe per effetto del blocco del turn over.

Il blocco contrattuale sarebbe lesivo dei princípi consacrati dagli artt. 35, primo comma, e 39, primo comma, Cost., visto che andrebbe a detrimento dell’autonomia negoziale e della libertà sindacale riservata alle parti nell’àmbito della contrattazione collettiva.

Gli interventi normativi, che limitano al 2013/2014 la riapertura delle procedure contrattuali soltanto per la parte normativa, non varrebbero a mutare il quadro appena delineato.

2.2.– Nel giudizio sono intervenuti i lavoratori, ricorrenti nel giudizio a quo, e la Confederazione CONFSAL-UNSA, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, sotto tutti i profili evocati (violazione della libertà sindacale e dell’autonomia collettiva, tutelate dall’art. 39, primo comma, Cost., violazione degli artt. 35, primo comma, e 36, primo comma, Cost., violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza).

2.3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con una memoria corredata anche da una nota del Dipartimento della funzione pubblica, chiedendo di respingere le questioni di legittimità costituzionale proposte dal Tribunale ordinario di Ravenna, in quanto irrilevanti, inammissibili e manifestamente infondate.

L’Avvocatura generale dello Stato adombra, in via pregiudiziale, la carenza d’interesse dell’organizzazione sindacale, che non ha impugnato gli atti lesivi applicativi.

Per quel che concerne il merito delle questioni, la difesa dello Stato ribadisce che le disposizioni censurate mirano a ridurre la spesa pubblica, in adempimento degli obblighi che derivano dall’appartenenza all’Unione europea e dell’obbligo, costituzionalmente sancito, di raggiungere l’equilibrio strutturale delle entrate e delle spese del bilancio.

Sarebbe legittima, alla luce delle enunciazioni di principio della giurisprudenza costituzionale, l’introduzione di misure eccezionali, transitorie, non arbitrarie e consentanee allo scopo prefisso, volte a fissare limiti di compatibilità della contrattazione collettiva con le finanze pubbliche.

Tali misure non sarebbero irragionevoli, in quanto salvaguarderebbero l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale e non assoggetterebbero al vincolo né le componenti retributive legate ad eventi straordinari della dinamica retributiva individuale, né la parte accessoria variabile.

Tali peculiarità garantirebbero il rispetto del principio di parità di trattamento, del vincolo sinallagmatico, tutelato dall’art. 36, primo comma, Cost., del diritto di azione sindacale e dell’autonomia negoziale, che non sarebbe stata affatto esclusa in radice, come dimostrerebbe l’esplicarsi della contrattazione integrativa e della contrattazione nazionale.

La difesa dello Stato revoca in dubbio il carattere pregiudizievole della mancata applicazione dell’indicatore d’inflazione IPCA (indice dei prezzi al consumo armonizzato europeo) e della conseguente applicazione, per la rivalutazione dello stipendio, del tasso d’inflazione programmata.

I dipendenti pubblici, inoltre, avrebbero percepito quote aggiuntive di salario in misura percentualmente maggiore rispetto al settore privato, erogate dalla contrattazione integrativa. Le retribuzioni di fatto del pubblico impiego beneficerebbero di una dinamica superiore al TIP (tasso di inflazione programmata) e resisterebbero all’inflazione reale registrata a consuntivo.

Non sarebbero, dunque, fondati i rilievi sulla disparità di trattamento tra il settore pubblico e il settore privato, anche perché pretermettono la specialità del rapporto di lavoro pubblico e le esigenze di perseguimento di interessi generali, coessenziali a tale àmbito.

A fronte di una misura sfornita di ogni carattere tributario, non parrebbero aver pregio neppure le censure di violazione degli artt. 2 e 53 Cost.

La normativa, pertanto, ripromettendosi di neutralizzare gli effetti della crisi economica, in un’ottica di razionalizzazione e di riduzione della spesa pubblica, non presterebbe il fianco alle censure proposte.

2.4.– Nella memoria, depositata in prossimità dell’udienza, il Presidente del Consiglio dei ministri ha passato in rassegna le argomentazioni già spese nel giudizio r.o. n. 76 del 2014 (si veda supra punto 1.7. del Ritenuto in fatto).

2.5.– In vista dell’udienza, hanno depositato una memoria illustrativa anche i dipendenti del Ministero della giustizia e la CONFSAL-UNSA, confutando le tesi propugnate dalla difesa dello Stato e puntualizzando che, con la legge di stabilità per il 2015, il blocco della contrattazione economica è stato esteso fino al 31 dicembre 2015.

Le parti intervenute lamentano che la normativa abbia bilanciato in maniera irragionevole e sproporzionata i diritti sociali fondamentali (artt. 35, primo comma, 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost.) e gli obiettivi di pareggio di bilancio e di risanamento economico (art. 81 Cost.).

La reiterazione delle misure, così come congegnata in questi anni, implicherebbe una deroga costante al meccanismo di adeguamento retributivo, pregiudizievole per i dipendenti che percepiscono una retribuzione modesta e sono costretti, in conseguenza del blocco del turn over, a un carico di lavoro superiore.

Quanto ai contratti integrativi, enumerati dalla difesa dello Stato, riguarderebbero aspetti estranei al trattamento retributivo, sottoposto, con il decorrere del tempo, a una rilevante erosione del potere d’acquisto, dovuta anche al temporaneo abbandono del meccanismo di adeguamento secondo l’indice IPCA, che registra dati costantemente superiori al tasso d’inflazione programmata.

3.– All’udienza pubblica, le parti costituite nel giudizio e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni formulate nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 1 e 17, primo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, e dell’art. 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53 Cost.

La normativa impugnata, che determina per i lavoratori di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) una prolungata sospensione delle procedure negoziali e dell’ordinaria dinamica retributiva, si porrebbe in contrasto con i princípi di eguaglianza, di tutela del lavoro, di proporzionalità della retribuzione al lavoro svolto, di libertà di contrattazione collettiva.

Le limitazioni, imposte dal legislatore per il periodo 2010-2014, introdurrebbero una disciplina irragionevole e sproporzionata, discriminando, per un periodo tutt’altro che transitorio ed eccezionale, i lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori del settore privato.

2.– Il Tribunale ordinario di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, sospetta di illegittimità costituzionale l’art. 9, commi 1, 2-bis, 17, primo periodo, e 21, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, e l’art. 16, comma 1, lettere b) e c), del d.l. n. 98 del 2011, in riferimento agli artt. 2, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, primo comma, 39, primo comma, e 53 Cost.

Il giudice rimettente assume che il “congelamento” delle retribuzioni dei pubblici dipendenti rientranti nel regime della contrattazione collettiva, prolungatosi per il periodo 2010-2014, senza alcuna possibilità di recupero, riveli molteplici profili di contrasto con la Carta costituzionale.

Tale disciplina, destinata ad applicarsi per un periodo apprezzabile, comprometterebbe irreparabilmente lo svolgersi della contrattazione collettiva e il diritto dei lavoratori pubblici, sottoposti ad un carico di lavoro sempre più gravoso, a percepire una retribuzione proporzionata al lavoro svolto.

Le norme impugnate, che trascendono i limiti della transitorietà e dell’eccezionalità tracciati dalla giurisprudenza costituzionale per gli interventi di contenimento della spesa, introdurrebbero un prelievo tributario a carico dei pubblici dipendenti, in spregio all’universale dovere di solidarietà economica (art. 2 Cost.) e al principio di gradualità dei sacrifici imposti (art. 53 Cost.).

La disciplina in esame discriminerebbe i lavoratori pubblici rispetto ai lavoratori privati e introdurrebbe disparità di trattamento arbitrarie anche tra le varie categorie di dipendenti pubblici.

3.– Alle censure dei giudici rimettenti la difesa dello Stato ha contrapposto l’eccezionalità dell’intervento normativo, che, in armonia con le esigenze costituzionalmente imposte di salvaguardia della stabilità di bilancio, si articola comunque in un periodo di tempo circoscritto e impone un sacrificio ragionevole all’autonomia collettiva e ai diritti tutelati dall’art. 36, primo comma, Cost., senza introdurre alcun prelievo tributario e senza ingenerare discriminazioni di sorta con altre categorie di lavoratori.

4.– I due giudizi, in ragione dell’omogeneità delle questioni e dell’intima connessione delle censure, devono essere riuniti e decisi con un’unica sentenza.

5.– In via preliminare, dev’essere confermata l’ordinanza letta nel corso dell’udienza pubblica e qui allegata, che ha dichiarato ammissibile l’intervento della Confederazione indipendente sindacati europei (CSE) e inammissibili gli interventi spiegati dalla Federazione GILDA-UNAMS e dalla Confederazione autonoma dei dirigenti, quadri e direttivi della pubblica amministrazione (CONFEDIR), nel giudizio iscritto al n. 76 del registro ordinanze 2014.

6.– La normativa impugnata, nei termini esposti dai giudici rimettenti, concerne le previsioni del d.l. n. 78 del 2010 e del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui sacrificano la libertà di accedere alla contrattazione collettiva e circondano di limiti rigorosi l’incremento delle retribuzioni nel lavoro pubblico.

Il d.l. n. 78 del 2010 stabilisce che non si dia luogo, senza possibilità di recupero, «alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all’articolo 2, comma 2 […] del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni» e salvaguarda l’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale «nelle misure previste a decorrere dall’anno 2010 in applicazione dell’articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203» (art. 9, comma 17).

Alla sospensione delle «procedure contrattuali e negoziali» si associa la previsione del “congelamento” dei trattamenti retributivi, che, per gli anni 2011, 2012, 2013, non possono superare, neppure nelle componenti accessorie, «il trattamento ordinariamente spettante per l’anno 2010» (art. 9, comma 1).

Anche il trattamento accessorio del personale, ivi compreso quello di livello dirigenziale, e il trattamento retributivo delle progressioni di carriera soggiacciono a limitazioni drastiche, che sono fatte segno delle specifiche censure del Tribunale ordinario di Ravenna.

Quanto al trattamento accessorio del personale, l’art. 9, comma 2-bis, del d.l. n. 78 del 2010 sancisce che «non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».

L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 attribuisce alle progressioni di carriera, per gli anni 2011, 2012, 2013, una valenza esclusivamente giuridica.

A prolungare gli effetti di tali misure di contenimento della spesa, interviene il d.l. n. 98 del 2011, che persegue l’obiettivo di assicurare il consolidamento delle misure di razionalizzazione e contenimento della spesa in materia di pubblico impiego adottate nell’àmbito della manovra di finanza pubblica per gli anni 2011-2013, indicando ulteriori risparmi in termini di indebitamento netto che si spingono fino al 2016 (art. 16, comma 1).

In tale ottica, il legislatore ha demandato a uno o più regolamenti, da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), previa proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l’innovazione e dell’economia e delle finanze, la previsione della «proroga fino al 31 dicembre 2014 delle vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni previste dalle disposizioni medesime» (art. 16, comma 1, lettera b), e «la fissazione delle modalità di calcolo relative all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017» (art. 16, comma 1, lettera c).

Il d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) si colloca nel solco di tali indicazioni normative.

L’art. 1, comma 1, lettera a), proroga sino al 31 dicembre 2014 le disposizioni di cui all’art. 9, commi 1, 2-bis e 21 del d.l. n. 78 del 2010, in tema di trattamenti economici individuali, di trattamenti accessori, di progressioni di carriera. L’art. 1, comma 1, lettera c), precisa che «si dà luogo, alle procedure contrattuali e negoziali ricadenti negli anni 2013-2014 del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche così come individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, per la sola parte normativa e senza possibilità di recupero per la parte economica».

Quanto all’indennità di vacanza contrattuale, l’art. 1, comma 1, lettera d), esclude che, per il periodo 2013-2014, siano dovuti incrementi. Per la tornata 2015-2017, l’indennità è dovuta «secondo le modalità ed i parametri individuati dai protocolli e dalla normativa vigenti».

Le previsioni regolamentari sono state trasfuse in una fonte di rango legislativo (legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014»), con riguardo all’indennità di vacanza contrattuale per il periodo 2015-2017 (art. 1, comma 452), alla sospensione delle procedure negoziali inerenti alla parte economica per il periodo 2013-2014 (art. 1, comma 453), all’ammontare dei trattamenti accessori (art. 1, comma 456). Per effetto dell’art. 1, comma 254, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2015), la sospensione delle procedure negoziali è destinata a protrarsi, per la parte economica, fino al 31 dicembre 2015.

A tale sospensione non fa riscontro alcun incremento dell’indennità di vacanza contrattuale, ancorata, fino al 2018, ai valori del 31 dicembre 2013 (art. 1, comma 255, della legge n. 190 del 2014).

7.– Le questioni di legittimità costituzionale devono essere esaminate alla stregua del quadro normativo appena delineato, caratterizzato da disposizioni susseguitesi nel tempo, legate da un evidente nesso di continuità, al fine di perseguire un dichiarato obiettivo di contenimento della spesa.

7.1.– La difesa dello Stato formula alcune eccezioni preliminari.

Quanto al paventato difetto di incidentalità, si deve rilevare che entrambi i giudizi non si esauriscono nell’accertamento dell’illegittimità costituzionale della normativa censurata.

Nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, le organizzazioni sindacali, oltre all’accertamento del diritto di accedere alla contrattazione collettiva, hanno chiesto la condanna dell’ARAN ad avviare le trattative. Nel contenzioso ravennate il giudice è investito delle questioni concernenti le pretese retributive dei lavoratori ricorrenti, nonché delle domande di natura indennitaria e risarcitoria.

Da tali considerazioni si evince che il petitum del giudizio principale, in ambedue i casi, ha una maggiore latitudine rispetto all’oggetto della questione di legittimità costituzionale e involge un tema di indagine più complesso, che impone ai giudici rimettenti, dopo la soluzione del dubbio di costituzionalità, di orientare su aspetti diversi il dibattito processuale. Nei giudizi a quibus, pertanto, non è dato discernere quella perfetta sovrapponibilità del petitum del giudizio principale rispetto all’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale (sentenza n. 84 del 2006), che snatura il carattere incidentale del giudizio.

7.2.– La difesa dello Stato, nel giudizio iscritto al n. 125 del registro ordinanze 2014, adombra una carenza d’interesse delle organizzazioni sindacali ricorrenti, desumendola dalla mancata impugnazione degli atti lesivi, chiamati a dare applicazione alle norme censurate.

Tale rilievo non può essere condiviso.

È palese l’interesse delle organizzazioni ricorrenti a reclamare l’effettiva tutela di prerogative costituzionali, ad esse riconoscibili, che si ritiene siano messe a repentaglio dalle norme impugnate.

7.3.– Nelle memorie integrative, depositate il 29 maggio 2015, la difesa dello Stato lamenta che i giudici rimettenti abbiano omesso di esplorare la praticabilità di un’interpretazione conforme al dettato costituzionale e di offrire una motivazione esaustiva sulla rilevanza della questione.

Le ordinanze di rimessione superano, anche da tale angolo visuale, il vaglio di ammissibilità, sollecitato a questa Corte. Le censure di illegittimità costituzionale si appuntano contro una normativa con un significato letterale e sistematico inequivocabile, che non offre alcun appiglio ad una interpretazione alternativa, rispettosa dei princípi della Carta fondamentale.

8.– Le ordinanze di rimessione, nondimeno, non appaiono scevre da lacune, che ridondano sul piano dell’inammissibilità di alcune delle questioni proposte.

8.1.– Presentano, anzitutto, profili di inammissibilità le censure riguardanti l’indennità di vacanza contrattuale.

I giudici rimettenti, nell’impugnare l’art. 16, comma 1, lettera c), del d.l. n. 98 del 2011, non spiegano per quale ragione sia rilevante ratione temporis, alla luce delle domande proposte dalle parti sindacali e dai lavoratori, una normativa che riguarda specificamente le modalità di calcolo relative all’erogazione dell’indennità di vacanza contrattuale per gli anni 2015-2017.

Le ordinanze non chiariscono, inoltre, il profilo attinente alla non manifesta infondatezza, incentrato sulla violazione dell’art. 36, primo comma, Cost.

I giudici a quibus, nell’esaminare la disciplina che concerne la determinazione dell’indennità di vacanza contrattuale e l’esclusione degli incrementi di questa voce fino al 2017 (e poi, nella pendenza della lite, fino al 2018), non enunciano le ragioni del contrasto della normativa con il canone della proporzionalità della retribuzione (art. 36, primo comma, Cost.).

Secondo l’insegnamento costante di questa Corte, la conformità della retribuzione ai requisiti di proporzionalità e sufficienza indicati dall’art. 36, primo comma, Cost. deve essere valutata in relazione alla retribuzione nel suo complesso, non già alle singole componenti di essa (fra le tante, sentenze n. 366 del 2006 e n. 164 del 1994).

Le ordinanze non si soffermano su tale valutazione complessiva.

8.2.– Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 35, primo comma, Cost., le ordinanze di rimessione non offrono, a sostegno dei dubbi di costituzionalità, argomentazioni autonome, che valgano ad affrancare il richiamo al precetto costituzionale dalla sua funzione ancillare rispetto alle censure fondate sugli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost.

8.3.– Sono inammissibili anche le questioni proposte dal Tribunale ordinario di Roma in riferimento all’art. 53 Cost.

Su tale profilo, l’ordinanza di rimessione è parca di riferimenti circostanziati e – come la difesa dello Stato non ha mancato di eccepire – si limita a menzionare nel dispositivo il parametro costituzionale, omettendo di fornire un’argomentazione esaustiva sulle ragioni del contrasto con le norme invocate.

9.– Così delimitato l’àmbito del giudizio, occorre esaminare le censure che postulano l’illegittimità radicale dei provvedimenti legislativi restrittivi della dinamica contrattuale e salariale nel lavoro pubblico, senza annettere alcun rilievo al fattore della durata di tali misure.

9.1.– Il Tribunale ordinario di Ravenna ritiene di argomentare tale illegittimità sulla scorta del richiamo all’art. 53 Cost. e configura, per il caso di specie, un prelievo tributario a tutti gli effetti. Il giudice rimettente raccorda il principio di “gradualità dei sacrifici imposti”, di progressività dell’imposizione e di capacità contributiva (art. 53 Cost.) al più generale dovere di solidarietà, prescritto dall’art. 2 Cost.

Le censure, così articolate, muovono dall’erroneo presupposto interpretativo che il meccanismo di “blocco” si sostanzi, in ultima analisi, nell’imposizione di un tributo.

Le caratteristiche delle misure impugnate, che si traducono in un mero risparmio di spesa e non si atteggiano come decurtazione definitiva del patrimonio del soggetto passivo e come atto autoritativo di carattere ablatorio, diretto a reperire risorse per l’erario, divergono dagli elementi distintivi del prelievo tributario (fra le tante, sentenza n. 70 del 2015, punto 4. del Considerato in diritto).

Gli elementi indefettibili della prestazione tributaria, enucleati dalla costante giurisprudenza di questa Corte, si identificano, per un verso, nella presenza di una disciplina legale, finalizzata in via prevalente a provocare una decurtazione patrimoniale del soggetto passivo, svincolata da ogni modificazione del rapporto sinallagmatico. Per altro verso, a definire la natura tributaria concorre l’elemento teleologico.

In particolare, le risorse derivanti dal prelievo e connesse a un presupposto economicamente rilevante, idoneo a porsi come indice della capacità contributiva, devono essere destinate a «sovvenire le pubbliche spese» (sentenza n. 310 del 2013, punto 11. del Considerato in diritto). Caduta la premessa che si tratti di un tributo, anche le censure di violazione dell’art. 53 Cost. perdono consistenza.

9.2.– Altre censure sono accomunate dal riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., evocato dal Tribunale ordinario di Roma anche in rapporto ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e additano, in prima istanza, un’ingiustificata disparità di trattamento tra il lavoro pubblico e il lavoro privato.

Il Tribunale ordinario di Ravenna, dal canto suo, evidenzia altre sperequazioni con riferimento a diversi pubblici dipendenti, lungo il discrimine che corre, da un lato, tra il lavoro pubblico assoggettato a una disciplina contrattuale e, dall’altro, il lavoro pubblico escluso da tale disciplina. Disparità di trattamento sarebbero anche ravvisabili tra i diversi comparti del lavoro pubblico regolato dalla fonte contrattuale.

Neppure tali censure sono fondate.

La disciplina impugnata, che non lascia indenne il personale della carriera diplomatica (sentenza n. 304 del 2013) menzionato come termine di paragone dal giudice ravennate, persegue l’obiettivo di un risparmio di spesa, che «opera riguardo a tutto il comparto del pubblico impiego, in una dimensione solidaristica – sia pure con le differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle categorie che vi appartengono» (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del Considerato in diritto).

I giudici rimettenti non tengono conto della diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico e comparano fattispecie dissimili, che non possono fungere da utile termine di raffronto.

Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere in tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in séguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. Tale eterogeneità preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul versante dell’art. 3, primo comma, Cost. e risalta ancor più netta in ragione dell’irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del contratto e indicati dal giudice ravennate come tertia comparationis. Si valorizza in tal modo una funzione solidaristica delle misure adottate, strettamente collegata all’eccezionalità della situazione economica generale, in piena armonia con il dettato dell’art. 2 Cost.

Con riguardo al trattamento differenziato riservato al personale della scuola, il Tribunale ordinario di Ravenna non offre ragguagli di sorta in merito alle peculiarità di tale disciplina e all’irragionevolezza intrinseca delle differenze che intercorrono tra il genus del lavoro pubblico, disciplinato dal contratto, e la species del comparto della scuola che, pur nella comune matrice negoziale della disciplina del rapporto, serba intatta la sua particolarità.

10.– Sgombrato il campo dalle censure che presuppongono l’indiscriminata illegittimità della sospensione delle procedure negoziali, l’analisi non può che riguardare ciascun provvedimento legislativo, ricostruendone la ratio e le finalità, allo scopo di saggiarne la compatibilità con i parametri costituzionali richiamati.

10.1.– In tal modo si è mossa la giurisprudenza di questa Corte, sin dalle pronunce sulla legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 3, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438 (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del 1999).

Nella disamina di una normativa che, per l’anno 1993, disconosceva ogni incremento retributivo, questa Corte ha mostrato di ponderare le finalità particolari, che ispiravano quei provvedimenti di contenimento della spesa. Le misure a quel tempo adottate non trasmodavano in una disciplina arbitraria, proprio perché circoscritte entro un anno (sentenza n. 245 del 1997, punto 3. del Considerato in diritto).

10.2.– Quanto ai vincoli legali all’autonomia collettiva, volti a garantire la «compatibilità con obiettivi generali di politica economica», questa Corte ne ha riconosciuto la legittimità, giustificando in «situazioni eccezionali» ed eminentemente transitorie, allorché sia in gioco la «salvaguardia di superiori interessi generali», la compressione della libertà tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost. (sentenza n. 124 del 1991, punto 6. del Considerato in diritto).

Anche tali rilievi sottendono una valutazione particolare, condotta caso per caso, e non si accordano con la tesi che sia per ciò stesso illegittima ogni misura che precluda, per un arco di tempo comunque definito, gli incrementi salariali e arresti lo svolgimento delle procedure negoziali.

10.3.– Tale valutazione si incentra sul contemperamento dei diritti, tutelati dagli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., con «l’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica», che deve essere adeguatamente ponderato «in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica» (sentenza n. 361 del 1996, punto 3. del Considerato in diritto).

Si tratta di misure oggi più stringenti, in séguito all’introduzione nella Carta fondamentale dell’obbligo di pareggio di bilancio (art. 81, primo comma, Cost., come sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»).

Il sistema della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, inteso nella sua interezza, contempla la pianificazione degli oneri connessi al suo svolgersi nel tempo, secondo un modello dinamico, «in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni» (art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).

11.– Ciò posto, l’analisi deve muovere dalle disposizioni dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che reca l’eloquente rubrica «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico» e, in ossequio a tale linea programmatica, preclude ogni incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni 2011, 2012, 2013 (comma 1), ogni efficacia economica delle progressioni di carriera (comma 21), e – per il periodo che dal 1° gennaio 2011 giunge fino al 31 dicembre 2013 – vieta ogni incremento dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale (comma 2-bis).

La scelta di adottare disposizioni restrittive culmina nella sospensione dello svolgimento delle procedure “contrattuali e negoziali” per il triennio 2010-2012 (comma 17).

FINE PRIMA PARTE
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