Vittime della criminalità"-Dovere ed Equiparati

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Re: Vittime della criminalità"-Dovere ed Equiparati

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SENTENZA ,sede di NAPOLI ,sezione SEZIONE 7 ,numero provv.: 201406535 Public 2014-12-12
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N. 06535/2014 REG.PROV.COLL.
N. 04176/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Settima)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4176 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. A. B., con domicilio eletto presso la stessa in Napoli, piazza Giuseppe Zanardelli n. 17;

contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la stessa domiciliata per legge in Napoli, via Diaz, n. 11;

per l'annullamento
del decreto n. -OMISSIS-, recante il diniego dei benefici previsti dal d.P.R. n. 243 del 2006; del verbale della Commissione Medica Ospedaliera mod. BL/G n. …. del 29/10/2012; del parere del Comitato di Verifica n. …./2012 del 5/3/2013 (adunanza n. … del 29/1/2013); con accertamento del diritto del ricorrente al riconoscimento dei suddetti benefici e del risarcimento del danno biologico derivante dall’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio e condanna dell’amministrazione al pagamento di quanto dovuto maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le produzioni delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 dicembre 2014 il dott. Fabio Donadono e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato il 29/7/2013, -OMISSIS-, caporal maggiore capo dell’Esercito Italiano, riferiva che:

- il ricorrente ha operato in molteplici missioni in teatri operativi in Bosnia Herzegovina dal 19/10/2001 al 25/2/2002 e dal 28/6 al 24/10/2002, in Kosovo dal 8/4 al 30/7/2003, in Iraq dal 29/3 al 24/8/2005;

- con decreto n. -OMISSIS-, su conforme parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio espresso nell’adunanza n. 521 del 6/11/2009, veniva riconosciuta la dipendenza da causa di servizio dell’infermità relativa ad esiti di pregressa -OMISSIS- sottoposto a terapia-OMISSIS- denunciata dal ricorrente e riscontrata dalla Commissione Medica Ospedaliera;

- con determinazione R-E-…. del 19/1/2011 veniva altresì conferito il distintivo d’onore di “ferito in servizio”;

- sennonché, con decreto n. -OMISSIS-, previo parere del Comitato di verifica per le cause di servizio, veniva respinta l’istanza presentata dal ricorrente (in data 3/5/2010) per la concessione dei benefici di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 243 del 2006, concernente l’estensione alle vittime del dovere ed ai soggetti equiparati delle provvidenze in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo.

A seguito di ciò il ricorrente proponeva l’impugnativa in epigrafe.

Il Ministero della Difesa si costituiva in giudizio.

DIRITTO

1. Nel merito il ricorrente deduce che:

- dai rapporti informativi in atti emergerebbero elementi idonei a dimostrare il nesso causale tra la patologia ed i fatti di servizio, attesa la prolungata esposizione del ricorrente all’uranio impoverito durante le missioni in Bosnia e nel Kosovo; la dipendenza da causa di servizio risulta già riconosciuta nel 2009; con l’art. 4-bis della legge n. 27 del 2001 sarebbe disposto il monitoraggio sanitario dei soggetti che avrebbero operato nei Balcani;

- l’infermità permanente andrebbe quantificata, in base al decreto ministeriale del 5/2/1992, nella misura del 50%; la CMO avrebbe riconosciuto una percentuale di invalidità del 67%;

- in base all’art. 5 del d.P.R. n. 243 del 2006 ed al decreto ministeriale del 12/7/2000, il danno biologico andrebbe calcolato in misura pari al 22%;

- comunque spetterebbe al ricorrente, in base all’art. 2087 c.c., il risarcimento del danno biologico subito a causa del servizio prestato, senza protezione ed in condizioni di stress incidenti sulle difese immunitarie, in zone contaminate che avrebbero provocato il -OMISSIS-

1.1. Il Tribunale giudica il ricorso fondato per quanto di ragione.

In base all’art. 1, co. 562 e ss., della legge n. 266 del 2005, è disposta l’estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a tutte le vittime del dovere che abbiano subìto un'invalidità permanente in attività di servizio per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di particolari eventi ed ai soggetti “equiparati”, ivi compresi i militari che “abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti … in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali, e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

Con l’art. 1 del d.P.R. n. 243 del 2006, recante il relativo regolamento, è precisato che rientrano nei presupposti per la concessione delle provvidenze tutte le missioni autorizzate dall'autorità sopraordinata al dipendente e tutte le condizioni comunque implicanti l'esistenza o la sopravvenienza “di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Ai sensi dell’art. 6 dello stesso d.P.R. n. 243/2006, la dipendenza da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative di missione è accertata, con le procedure di cui al d.P.R. n. 461 del 2001, su parere vincolante specificamente motivato del Comitato di verifica per le cause di servizio, allorché le suddette “straordinarie circostanze e i fatti di servizio” sono stati la causa ovvero la concausa efficiente e determinante dell’infermità invalidante.

Giova soggiungere che gli artt. 603 e 1907 del codice dell'ordinamento militare (d.P.R. n. 66 del 2010), nel testo originario anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 5, co. 3-bis, lett. b), del decreto-legge n. 228 del 2010, facevano espresso riferimento alle “infermità -OMISSIS- connesse all’esposizione e all’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e alla dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico”. Tale formulazione deriva dal recepimento delle disposizioni dettate dal d.P.R. n. 37 del 2009, recante il regolamento per il riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, in attuazione dell'art. 2, co. 78 e 79, della legge n. 244 del 2007, disposizioni abrogate appunto a seguito dell’entrata in vigore del Codice dell'ordinamento militare.

Nel testo attualmente vigente l’art. 603 del citato d.P.R. n. 66 del 2010 espressamente prevede l’erogazione delle provvidenze di cui alle leggi n. 466 del 1980 (speciali elargizioni a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche), n. 302 del 1990 (norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata), n. 407 del 1998 (nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata) e n. 206 del 2004 (nuove norme in favore delle vittime del terrorismo e delle stragi di tale matrice) “al personale italiano che, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura effettuate entro e fuori i confini nazionali, abbia contratto infermità -OMISSIS- per le particolari condizioni ambientali od operative, al personale impiegato nei poligoni di tiro e nei siti dove vengono stoccati munizionamenti …”.

Sennonché il venir meno del riferimento specifico all’uranio impoverito, sostituito dal più generico riferimento alle “particolari condizioni ambientali od operative” non significa certamente che l’esposizione all’uranio impoverito viene considerato estraneo all’insorgenza delle infermità e patologie tumorali.

Tant’è che l’art. 2185 dello stesso d.P.R. n. 66 del 2010 tuttora disciplina la speciale elargizione per il personale civile e cittadini italiani esposti all’uranio impoverito e ad altro materiale bellico.

Del resto la definizione delle “particolari condizioni ambientali od operative” dettata dagli artt. 1078 e 1079 del d.P.R. n. 90 del 2010, recante il testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, fa ampio e generale riferimento a tutte “le condizioni comunque implicanti l'esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie o fatti di servizio che, anche per effetto di successivi riscontri, hanno esposto il personale militare e civile a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto ... ivi comprese l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico”.

E’ opportuno notare che tale definizione corrisponde sostanzialmente a quella dettata dall’art. 1 del d.P.R. n. 243 del 2006, riguardante appunto “le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto”.

Ne consegue che i militari affetti da patologie causate dall’esposizione a sostanze tossiche (ivi compreso l’uranio impoverito), anche dopo la scadenza dei termini previsti dall’art. 1080 del d.P.R. n. 90 del 2010, continuano a trovare tutela nell’art. 1, co. 564, della legge n. 266 del 2005, applicabile appunto ai soggetti equiparati alle vittime del dovere che abbiano contratto invalidità permanenti riconosciute dipendenti da causa di servizio “per le particolari condizioni ambientali e operative”, come definite dall’art. 1 del d.P.R. n. 243 del 2006 coincidente come si è visto con gli artt. 1078 e 1079 del d. P.R. n. 90 del 2010.

1.2. Orbene nella specie risulta pacificamente dagli atti di causa che:

- il ricorrente, impiegato in missioni operative in Bosnia e Kosovo, è affetto dagli esiti di -OMISSIS- per -OMISSIS--OMISSIS-

- la dipendenza da causa di servizio dell’infermità è stata già accertata su parere del Comitato di verifica per le cause di servizio espresso nell’adunanza n. -OMISSIS-

- il ricorrente è stato altresì autorizzato a fregiarsi del distintivo d’onore di ferito in servizio ai sensi del regio-decreto n. 1820 del 1935.

Sennonché il parere negativo del Comitato di verifica per le cause di servizio espresso nell’adunanza n. .. del 29/1/2013, in base al quale è stato adottato l’impugnato diniego dei benefici previsti per le vittime del dovere e soggetti equiparati, è motivato dal ritenuto difetto di evidenze sulla sussistenza di condizioni ambientali ed operative implicanti circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il ricorrente a maggiori disagi o fatiche rispetto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, in rapporto di causa o concausa efficiente e determinante con l’infermità riscontrata.

Al riguardo va in primo luogo rilevato, ad avviso del Tribunale, che il quadro normativo non fa riferimento a “disagi”, ma piuttosto a “rischi”.

Inoltre non risulta che l’impugnata determinazione abbia tenuto in debito conto la circostanza, evidenziata anche nel parere medico-legale prodotto in giudizio dal ricorrente, che l’attività di militare svolta nelle missioni operative all’estero abbiano appunto comportato i “rischi” derivanti dall’esposizione all’uranio impoverito impiegato negli armamenti impiegati durante l’intervento nei Balcani.

Neppure risulta espressamente escluso nell’impugnato parere che l’infermità sofferta dal ricorrente sia associabile alla contaminazione derivante dall’inquinamento bellico.

L’impugnato diniego risulta altresì in contraddizione con il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, già disposto nel 2009 con il parere favorevole del Comitato di verifica. Infatti il nesso di causalità tra la patologia -OMISSIS- e l’attività svolta non è stato imputato a ragioni diverse dai rischi associati alle specifiche condizioni ambientali dei suddetti contesti operativi.

Ne consegue che gli atti impugnati risultano viziati per difetto di istruttoria, difetto di motivazione e contraddittorietà rispetto a precedenti determinazioni.

1.3. Va ancora soggiunto che le provvidenze previste dall’art. 4 del d.P.R. n. 243 del 2006 comprendono la speciale elargizione di cui alla legge n. 302 del 1990.

Il danno biologico è considerato nel computo dell’invalidità, ai sensi dell’art. 5 del ripetuto d.P.R. n. 243, e viene calcolato in conformità del d.P.R. n. 181 del 2009, regolante i criteri medico-legali per l'accertamento e la determinazione dell'invalidità e del danno biologico e morale a carico delle vittime del terrorismo e delle stragi (estendibile alle vittime del dovere, tant’è che nel preambolo è richiamato anche il d.P.R. n. 243/2006), a norma dell'articolo 6 della legge n. 206 del 2004 che impone la rivalutazione delle indennità tenendo conto anche del danno biologico.

2. Le domande di accertamento e di condanna sono, per contro, inammissibili.

Infatti, a seguito dell’annullamento degli atti impugnati l'autorità amministrativa dovrà pronunciarsi sull'istanza avanzata dal ricorrente sulla base di un nuovo parere, emendato dei vizi rilevati nella presente sede giudiziale, del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio, il quale dovrà valutare tutti i presupposti di fatto rilevanti, ivi compresi quelli risultanti dalla documentazione allegata dal ricorrente nel presente giudizio e da apposita relazione informativa in merito dell’amministrazione di appartenenza.

3. Le spese seguono, come di norma, la soccombenza.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), in accoglimento per quanto di ragione del ricorso in epigrafe, annulla gli atti impugnati.

Dichiara inammissibili le domande di accertamento e di condanna.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento, in favore di -OMISSIS-, delle spese di giudizio liquidate in misura di euro 2.000,00= (duemila), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Alessandro Pagano, Presidente
Fabio Donadono, Consigliere, Estensore
Luca De Gennaro, Primo Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/12/2014


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Re: Vittime della criminalità"-Dovere ed Equiparati

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Se può interessare a qualcuno.
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Cosa si intende per invalidità permanente e quando spetta, lo spiega la Cassazione
(Corte di Cassazione - III Sezione Civile Sentenza 17 marzo 2015, n.5197)
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Con la sentenza che di seguito si riporta, la Corte di Cassazione ha esaminato un interessante caso in cui si parla di invalidità permanente e, più nello specifico, ha spiegato che con questa espressione deve intendersi “uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all’esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna invalidità permanente“

Nel caso in esame, la Corte di Cassazione era stata chiamata ad esprimere il proprio giudizio poichè era stata stipulata una polizza assicurativa che copriva anche il rischio di invalidità permanente causata da malattia e, il contraente, dopo qualche tempo decedeva per aver contratto un tumore allo stomaco.

L’assicurazione rifiutava il pagamento sia dell’indennizzo che per l’invalidità permanente e, pertanto, dopo i due gradi di giudizio in cui veniva accolta parzialmente la domanda attorea e, quindi, si rendeva necessario instaurare un giudizio innanzi ai giudici di Piazza Cavour affinchè si pronunciasse sulla richiesta di condanna al pagamento anche dell’indennizzo dovuto per l’invalidità permanente che la Corte di merito aveva rigettato.
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Per conoscere le motivazioni della decisione



invalidità permanente

Corte di Cassazione – III Sezione Civile
Sentenza 17 marzo 2015, n.5197
Pres. Russo – est. Rossetti


Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.. Assumono violati gli artt. 1325 e 1882 c.c..
Espongono, al riguardo, che il contratto di assicurazione stipulato da F.R. copriva il rischio di ‘invalidità permanente’, definito nelle condizioni generali come la ‘perdita o diminuzione, definitiva irrimediabile, della capacità dell’esercizio della propria professione (…) e di ogni altro lavoro (…), conseguente a malattia’.

Nel caso di specie l’assicurato, a causa del tumore, perse la capacità di lavoro: e dunque si era avverato il rischio assicurato.

La Corte d’appello invece, aveva – errando – ritenuto che nella specie nessuna ‘invalidità permanente’ fosse insorta, perché quest’ultima è concepibile solo quando, guarita la malattia, questa abbia lasciato postumi permanenti all’ammalato.

1.2. Il motivo è inammissibile.

Ad onta della sua intitolazione formale, infatti, il motivo pone esclusivamente una questione di interpretazione del contratto: ovvero quale dovesse essere il senso da attribuire all’espressione ‘invalidità permanente’ in esso contenuta.

Le norme che i ricorrenti assumono violate (gli artt. 1325 e 1882 c.c.) sono del tutto irrilevanti nel presente giudizio, nel quale mai si è fatta questione né di quali fossero gli elementi essenziali del contratto (art. 1325 c.c.), né del fatto che quello stipulato tra le parti fosse un contratto di assicurazione (art. 1882 c.c.).

Né ovviamente è consentito a questa Corte supplire a carenze motivazionali dei ricorsi, andando a ricercare d’ufficio quali fossero le norme che il ricorrente intendeva assumere come violate.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., che la sentenza impugnata abbia violato le regole legali di ermeneutica di cui agli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c..

2.1.1. Il criterio di interpretazione letterale sarebbe stato violato a causa del senso attribuito dalla Corte d’appello all’espressione ‘invalidità permanente’. Espongono i ricorrenti che secondo l’interpretazione del giudice di merito una invalidità permanente può concepirsi solo quando la malattia sia esaurita ed il paziente sia guarito con postumi: ma tale interpretazione sarebbe in contrasto con la chiara lettera del contratto, che definiva l’invalidità come la perdita definitiva della capacità di lavoro, perdita che nel caso di specie si è verificata già nel corso della malattia patita dall’assicurato, a nulla rilevando che la malattia stessa fosse inguaribile ed abbia condotto a morte l’assicurato, e quindi che non sia mai avvenuta una guarigione clinica.

2.1.2. La Corte d’appello avrebbe trascurato, poi, di valutare la condotta delle parti successiva alla conclusione del contratto: ed infatti nella fase stragiudiziale la Helvetia aveva rifiutato il pagamento dell’indennizzo assumendo che il diritto all’indennizzo non fosse trasferibile agli eredi, mentre nulla aveva eccepito circa la sussistenza nella specie d’un danno da invalidità temporanea.

2.1.3. La Corte d’appello avrebbe violato altresì il criterio di interpretazione complessiva del contratto (art. 1363 c.c.), là dove ha desunto la nozione di ‘invalidità permanente’ posta a fondamento della decisione dalla clausola contrattuale che impediva l’accertamento della suddetta invalidità prima del decorso d’un anno dalla denuncia della malattia: clausola che, secondo i ricorrenti, disciplinava il quantum dell’indennizzo e non l’indennizzabilità dell’infortunio.

2.1.4. Infine, i ricorrenti lamentano che la decisione del Tribunale abbia violato il criterio di interpretazione del contratto secondo buona fede (art. 1366 c.c.), perché escluderebbe l’indennizzabilità di tutte le malattie ad esito infausto, alterando l’equilibrio contrattuale e ‘l’equo contemperamento degli interessi delle parti’.

2.2. Il motivo è manifestamente infondato in tutti e quattro i profili in cui si articola.

Non vi è stata, in primo luogo, alcuna violazione del criterio di interpretazione letterale.

La Corte d’appello era chiamata infatti ad interpretare un contratto di assicurazione contro le malattie.
L’assicuratore, in forza di tale contratto, si era obbligato al pagamento in favore dell’assicurato d’un indennizzo nel caso in cui la malattia avesse causato una ‘invalidità permanente’.

Quest’ultima era contrattualmente definita come la ‘perdita o diminuzione, definitiva e irrimediabile, della capacità dell’esercizio della propria professione (…) e di ogni altro lavoro (…), conseguente a malattia’.

Secondo la Corte d’appello, la suddetta ‘perdita o diminuzione’ non potrebbe che concepirsi una volta esaurita la fase acuta della malattia.

Secondo i ricorrenti, invece, una ‘invalidità permanente’ potrebbe concepirsi anche a malattia in corso, quando questa sia destinata ad avere un esito infausto.

2.3. L’interpretazione letterale propugnata dai ricorrenti è erronea.

Un contratto è un testo giuridico.

Le espressioni in esso contenute, se potenzialmente ambivalenti, vanno interpretate secondo il senso che è loro proprio nel contesto giuridico, non certo secondo il buon senso od il linguaggio comune.

Il lemma ‘invalidità’ è un lemma tecnico. Esso è frutto di una elaborazione ormai quasi secolare in ambito medico legale.

Essa designa uno stato menomativo che può essere transeunte (invalidità temporanea) o permanente (invalidità permanente).

L’espressione ‘invalidità temporanea’ designa lo stato menomativo causato da una malattia, durante il decorso di questa.

L’espressione ‘invalidità permanente’ designa lo stato menomativo che residua dopo la cessazione d’una malattia.

L’esistenza d’una malattia in atto e l’esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili: sinché durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, ma non v’è ancora invalidità permanente; se la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più invalidità temporanea; se la malattia dovesse condurre a morte l’ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea.

2.4. I principi appena esposti sono stati mutuati dal legislatore in numerosissime norme. Per tutte, basterà ricordare:

(a) l’art. 137, comma 1, d.lgs. 7.9.2005 n. 209 (codice delle assicurazioni), il quale distinguendo il danno patrimoniale da inabilità temporanea rispetto a quello da invalidità permanente, implicitamente conferma che quest’ultima presuppone l’avvenuta guarigione, con postumi, della vittima;

(b) l’art. 138, comma 2, d.lgs. 209/05, cit., il quale distingue anch’esso il danno non patrimoniale temporaneo da quello permanente (definito ‘invalidità permanente’), in tal modo dimostrando che l’invalidità permanente non può cominciare a computarsi sinché duri l’invalidità temporanea;

(c) le infinite norme assicurative e previdenziali che, stabilendo la misura della invalidità permanente oltre la quale è dovuto il trattamento indennitario (due terzi, quattro quinti, eco), lasciano anch’esse intendere che in tanto è concepibile e misurabile una ‘invalidità permanente’, in quanto la malattia che l’ha causata sia cessata ed i postumi si siano stabilizzati: sarebbe infatti concepibile misurare i ‘due terzi’ d’una validità instabile ed in divenire (cfr., ex permultis, l’art. 302, comma 2, cod. ass., in tema di danni indennizzabili dal fondo di garanzia vittime della caccia; l’art. 1, comma 1, l. 20.10.1990 n. 302, in tema di provvidenze alle vittime del terrorismo).

2.5. I principi appena esposti, infine, sono già stati affermati da questa Corte, sia pure in fattispecie concrete diverse.

Infatti, chiamata a stabilire se spettasse o meno il risarcimento del danno biologico da invalidità permanente in un caso in cui le lesioni patite dalla vittima avevano causato la morte di questa a distanza di tempo dall’infortunio, questa Corte ha già stabilito che ‘se la morte [della vittima] è stata causata dalle lesioni, l’unico danno biologico risarcibile è quello correlato dall’inabilità temporanea, in quanto per definizione non è in questo caso concepibile un danno biologico da invalidità permanente. Infatti, secondo i principi medico-legali, a qualsiasi lesione dell’integrità psicofisica consegue sempre un periodo di invalidità temporanea, alla quale può conseguire talora un’invalidità permanente. Per l’esattezza l’invalidità permanente si considera insorta allorché, dopo che la malattia ha compiuto il suo decorso, l’individuo non sia riuscito a riacquistare la sua completa validità.

Il consolidarsi di postumi permanenti può quindi mancare in due casi: o quando, cessata la malattia, questa risulti guarita senza reliquati; ovvero quando la malattia si risolva con esito letale. La nozione medicolegale di invalidità permanente presuppone, dunque, che la malattia sia cessata, e che l’organismo abbia riacquistato il suo equilibrio, magari alterato, ma stabile.

Si intende, pertanto, come nell’ipotesi di morte causata dalla lesione, non sia configurabile alcuna invalidità permanente in senso medicolegale: la malattia, infatti, non si risolve con esiti permanenti, ma determina la morte dell’individuo’ (sono parole di Sez. 3, Sentenza n. 7632 del 16/05/2003, Rv. 563159, p.3.3 dei ‘Motivi della decisione’).

A tale decisione possono, infine, affiancarsi tutte le altre – numerosissime – le quali hanno negato che l’invalidità permanente e quella temporanea possano sovrapporsi (ad es., ai fini del decorso della prescrizione o della quantificazione del risarcimento): in tutte queste decisioni si è costantemente affermato che sino a quando perdura l’invalidità temporanea, non sorge quella permanente; e quando viene ad esistenza quest’ultima, è necessariamente cessata la prima (così, ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 3806 del 25/02/2004, Rv. 570534, secondo cui ‘in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno’).

L’interpretazione del contratto adottata dalla Corte d’appello, in conclusione, lungi dall’essere arbitraria rispetto al testo della polizza, è la sola coerente con quello, alla luce del seguente principio di diritto:

L’espressione ‘invalidità permanente’ designa uno stato menomativo divenuto stabile ed irremissibile, consolidatosi all’esito di un periodo di malattia: pertanto, prima della cessazione di questa, non può esistere alcuna ‘invalidità permanente’. Ne consegue che, ove in un contratto di assicurazione contro i rischi di malattia, sia previsto il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, alcun indennizzo è dovuto nel caso in cui la malattia patita dall’assicurato, senza mai pervenire a guarigione clinica, abbia esito letale.

2.6. Nemmeno sussiste la violazione, da parte della Corte d’appello, del criterio di interpretazione fondato sulla condotta tenuta dalle parti dopo la stipula del contratto.

La circostanza che la Helvetia, nella fase delle trattative stragiudiziali, non abbia ritenuto di sollevare l’eccezione di non indennizzabilità del danno da invalidità permanente, è infatti irrilevante ai fini dell’interpretazione del contratto:

- sia perché tale scelta costituisce frutto di una facoltà del debitore, ovviamente non preclusiva della facoltà di sollevare la suddetta eccezione in giudizio;

- sia perché la ‘condotta delle parti’ cui fa riferimento l’art. 1362 c.c. è quella esecutiva del contratto, non certo quella consistita nel replicare alla pretesa di adempimento formulata ex adverso;

- sia, soprattutto, perché la condotta delle parti quale criterio interpretativo del contratto può venire in rilievo quando il testo non sia sufficientemente chiaro, e come si è visto nel caso di specie il testo contrattuale era chiarissimo.

2.7. Inammissibile, per difetto di concreta rilevanza, è poi l’allegazione secondo cui la Corte avrebbe violato il criterio dell’interpretazione complessiva (art. 1363 c.c.), là dove ha ritenuto di suffragare la propria decisione facendo leva sulla clausola contrattuale che impediva l’accertamento dell’invalidità permanente prima d’un anno dalla denuncia della malattia.

Nella struttura della sentenza impugnata, infatti, tale argomento viene utilizzato dalla Corte d’appello ad abundantiam, e dunque quale che ne fosse la correttezza, l’espunzione di esso dalla motivazione della sentenza, impugnata non renderebbe quest’ultima immotivata.

2.8. Insussistente, infine, è la violazione del criterio di interpretazione secondo buona fede: sia perché anche tale criterio è suppletivo, e non viene in rilievo quando la lettera del contratto sia inequivoca; sia perché è proprio l’interpretazione propugnata dai ricorrente a sovvertire l’equilibrio contrattuale, pretendendo il pagamento dell’indennizzo dovuto per l’invalidità permanente in un caso in cui la malattia dell’assicurato aveva causato la morte dell’assicurato, non la sua invalidità: così trasformando una polizza malattia in una polizza vita.

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sia affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c..

Espongono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe adottato una motivazione lacunosa, non indicando la fonte della nozione di ‘invalidità permanente’ da essa adottata.

3.2. Il motivo è tanto inammissibile quanto infondato.

È inammissibile perché il vizio di motivazione è concepibile solo con riferimento all’accertamento di fatti, e nel presente giudizio non si controverte sull’accertamento del contenuto oggettivo del contratto (il quale soltanto costituirebbe un accertamento di fatto), ma sul senso da attribuire ad una clausola contrattuale il cui terso non è in discussione e sul rispetto, da parte del giudicante, dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.: il che costituisce una questione di diritto, rispetto alla quale non è concepibile il vizio di motivazione, ma solo la violazione di legge.

Il motivo è tuttavia anche infondato, giacché per quanto detto la nozione di ‘invalidità permanente’ fatta propria dalla Corte d’appello è quella condivisa dalla unanime dottrina medico legale, dal legislatore e da questa Corte.

4. Le spese.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c..

P.Q.M.

la Corte di cassazione:
-) rigetta il ricorso;
-) condanna F.C. , F.A. e F.G. , in solido, alla rifusione in favore di Helvetia Compagnia Svizzera di Assicurazioni S.A. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di Euro 7.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A. ed accessori di legge.
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Re: Vittime della criminalità"-Dovere ed Equiparati

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Il TAR con questa sentenza ha dato un chiarimento inerente la "tardività della produzione documentale", infatti scrive quanto sotto:

1) - Preliminarmente, occorre muovere dalla dedotta tardività della produzione documentale del Ministero intimato, ritenendo parte ricorrente che il termine di 40 giorni liberi ex art.73, comma 1, cod. proc. amm., sarebbe scaduto il sabato 24 gennaio 2015 e non il lunedì successivo.

1.1.) Il rilievo è fondato, atteso che, come evidenziato anche da recente giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 30 giugno 2014, n.14767), ai fini di un corretto conteggio dei termini a ritroso, il dies ad quem va individuato nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di un’abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo.

1.2) - Orbene, con riferimento all’udienza pubblica del 6 marzo 2015 (dies a quo), il termine di 40 giorni liberi cadeva il giorno di sabato 24 gennaio e non il lunedì, pertanto la produzione documentale in esame risulta tardiva e quindi inutilizzabile.
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Per altri fattori sempre il TAR scrive:

1) - Nel merito il ricorso è fondato.

2) - Tanto premesso, ad avviso del Collegio, nel caso, le dedotte censure di difetto di istruttoria e di motivazione degli atti impugnati, in relazione alla fattispecie di “equiparato alle vittime del dovere”, colgono nel segno.

3) - Quali siano stati questi “elementi” esaminati, e come lo siano stati in relazione alle concrete condizioni ambientali ed operative, non è dato capire.

4) - Resta, inoltre, oscuro il ragionamento seguito dall’Amministrazione per escludere il nesso eziologico tra l’aver svolto l’attività di -OMISSIS- alla “-OMISSIS-” nei -OMISSIS- e l’evento che ha colpito il dipendente; così come priva di adeguata motivazione è l’asserzione che il ricorrente avrebbe svolto attività di pilota osservatore in zone non contaminate da fattori tossici o radioattivi, a fronte della circostanza che risulta essere stata svolta tale attività nelle dette zone.

Per comprendere la parte che interessa, leggete direttamente a partire dal punto 4.2. in poi, della presente sentenza postata.
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SENTENZA ,sede di CATANZARO ,sezione SEZIONE 2 ,numero provv.: 201500608 - Public 2015-04-08 -


N. 00608/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01068/2012 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1068 del 2012, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. G. B., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M. G. in Catanzaro, Via Cortese N 12;

contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distr.le Catanzaro, domiciliata in Catanzaro, Via G.Da Fiore, 34;

per l'annullamento
a) del decreto negativo n.57 del 04.06.2012, emesso dal Ministero della Difesa – Direzione Generale della previdenza militare, della leva e del collocamento al lavoro dei volontari congedati;

b) di ogni atto presupposto, connesso e dipendente, ivi compresi i pareri del Comitato di Verifica per le causa di servizio-OMISSIS-

e per la declaratoria
del diritto del ricorrente di avere accesso ai benefici previsti per le vittime del dovere ed i soggetti alle stesse equiparati, con conseguente condanna del resistente Ministero al pagamento delle relative spettanze.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2015 la dott.ssa Giuseppina Alessandra Sidoti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il -OMISSIS--OMISSIS- ha impugnato gli atti in epigrafe con cui è stata respinta l’istanza volta all’ottenimento dei benefici previsti dal D.P.R. n. 243 del 2006 e ss.mm.ii. per l’infermità “OMISSIS”, ritenuta non dipendente da causa di servizio.

Avverso tale diniego ha dedotto i seguenti motivi:

a) “Violazione dell’art.10 bis della L. n. 241/1990 e ss.mm.ii.”: a seguito di nota del -OMISSIS-, con cui si comunicava il parere negativo del Comitato -OMISSIS- e si invitava a presentare osservazioni, il ricorrente ha inoltrato propria memoria, di cui, però, né il Ministero né il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio hanno tenuto conto, omettendo in particolare di considerare il parere del C.M.O.- OMISSIS- e la circostanza che il -OMISSIS- ha partecipato a numerose esercitazioni e missioni operative sia in Italia che all’estero, tra cui quella nei -OMISSIS-, territorio contaminato da fattori tossici e radioattivi;

b) “Violazione dell’art.1, c. 563 e 564 della L. n. 266/2005. Violazione degli artt. 1, 3, 5 e 6 del D.P.R. n.243/2006. Violazione dell’art.7 del D.P.R. n.461/2001”: il ricorrente sarebbe annoverabile tra le vittime del dovere di cui all’art.1, c.563, della L.n.266/2005, per il riconoscimento del cui status non sarebbe necessario il parere del Comitato di Verifica delle Cause di servizio, essendo sufficiente unicamente il parere della Commissione Medica Ospedaliera; comunque, anche ove dovesse considerarsi soggetto “equiparato” alle vittime del dovere, ex art.1 c.564 L. n. 266/2005, sarebbero state violate le norme procedimentali che disciplinano l’ottenimento dei benefici di cui al D.P.R. n.243 del 2006; senza recesso dai superiori rilievi, comunque il Comitato avrebbe omesso di valutare la sussistenza delle particolari condizioni ambientali od operative di missione in cui ha operato il ricorrente e, limitandosi a rendere il parere di cui all’art.6, c.4 del d.p.r. n.243/2006, avrebbe omesso quello, pure dovuto, di cui all’art.11 del d.p.r. n.461/2001;

c) “Eccesso di potere. Erronea e/o travisata valutazione dei fatti. Erroneità nei presupposti. Difetto di istruttoria. Contraddittorietà estrinseca ed intrinseca. Difetto di motivazione. Ingiustizia manifesta”: il parere si porrebbe in contrasto con il precedente Decreto n.1969/2008 del Ministero della Difesa con cui, ritenendo plausibile l’avvenuta contaminazione da radioattività del ricorrente in zone d’impiego all’estero, è stato stanziato, in favore dello stesso, uno specifico contributo economico; sarebbe affetto da carenza di istruttoria, essendosi limitato il Comitato di Verifica, nella prima parte, a riportare una generica indicazione di una presunta eziopatogenesi della patologia in questione e, nella seconda parte, a dimostrare di non avere alcuna conoscenza dell’attività prestata da -OMISSIS- -OMISSIS- in seno all’esercito; la carenza di istruttoria sarebbe dimostrata anche dalla circostanza di non avere preso in considerazione il parere della C.M.O. -OMISSIS-, nonostante la sollecitazione del ricorrente; la giurisprudenza, inoltre, avrebbe più volte riscontrato la sussistenza di un legame deterministico tra l’insorgenza di patologie tumorali e l’esposizione ai fattori tossici e radioattivi presenti in Albania e Kosovo; il decreto di rigetto sarebbe illegittimo in quanto avrebbe acriticamente e senza alcuna motivazione richiamato il parere del Comitato di Verifica; gli atti impugnati sarebbero carenti di motivazione.

Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa per resistere al gravame.

In data 26 gennaio 2015, l’amministrazione resistente ha prodotto documentazione.

In data 2 febbraio 2015, parte ricorrente ha sostenuto l’irricevibilità della documentazione da ultimo prodotta dall’amministrazione.

Alla pubblica udienza del 6 marzo 2015, il ricorso è stato posto in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorrente si duole dell’illegittimità dei pareri negativi espressi dal Comitato di Verifica e del conseguente provvedimento dell’amministrazione che ha respinto l’istanza volta all’ottenimento dei benefici previsti dal d.p.r. n.243/2006 sotto molteplici profili.

2. Preliminarmente, occorre muovere dalla dedotta tardività della produzione documentale del Ministero intimato, ritenendo parte ricorrente che il termine di 40 giorni liberi ex art.73, comma 1, cod. proc. amm., sarebbe scaduto il sabato 24 gennaio 2015 e non il lunedì successivo.

2.1. Il rilievo è fondato, atteso che, come evidenziato anche da recente giurisprudenza (Cass. Civ., sez. III, 30 giugno 2014, n.14767), ai fini di un corretto conteggio dei termini a ritroso, il dies ad quem va individuato nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di un’abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio per le esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo.

Orbene, con riferimento all’udienza pubblica del 6 marzo 2015 (dies a quo), il termine di 40 giorni liberi cadeva il giorno di sabato 24 gennaio e non il lunedì, pertanto la produzione documentale in esame risulta tardiva e quindi inutilizzabile.

3. Nel merito il ricorso è fondato.

3.1. Il Collegio ritiene di procedere, per ragioni logico-giuridiche, all’esame della doglianza con cui il ricorrente, ritenendosi annoverabile nella categoria di vittima del dovere di cui all’art.1, c.563, della l. n. 266/2005, ritiene la sufficienza del parere della Commissione Medica Ospedaliera, non essendo, per tale fattispecie, necessario il parere del Comitato per la Verifica.

3.2. La doglianza è infondata.

Secondo quanto disposto dall’art. 1 della l. 23 dicembre 2005 n. 266, al comma 563: “per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subìto un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:
a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità;
b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;
c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari;
d) in operazioni di soccorso;
e) in attività di tutela della pubblica incolumità;
f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità”; per il comma 564: “Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative”.

Il successivo D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243, recante il “Regolamento concernente termini e modalità di corresponsione delle provvidenze alle vittime del dovere e ai soggetti equiparati, ai fini della progressiva estensione dei benefici già previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo, a norma dell’articolo 1, comma 565, della L. 23 dicembre 2005, n. 266”, specifica che “si intendono: … c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l’esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto” (art. 1).

3.2.1. Ebbene, il ricorrente ritiene che le attività per le quali ha contratto la patologia lamentata rientrerebbero, “oltre che nelle “missioni di qualunque natura” di cui al comma 564 del medesimo articolo di legge, nelle situazioni previste dal comma precedente”, ma non dice in quale delle dette ipotesi la sua situazione sarebbe da ascrivere.

Giova ricordare che la giurisprudenza più recente ha specificato (Sez. I parere n. 02324/2011 del 09.06.2011; Consiglio di Stato, sez. III, 11 aprile 2014, n.1794), in merito alla definizione ora contenuta nell’art. 1 comma 563 della l. 266 del 2005, che “Il concetto di vittima del dovere presenta caratteristiche speciali rispetto al genus della causa di servizio e deve quindi essere tenuto distinto dal decesso in o per causa di servizio; quindi, per il sorgere del diritto alla speciale elargizione prevista dalla legge per le vittime del dovere, non basta che l’evento letale sia connesso all’espletamento di funzioni d’istituto, ma occorre pure che sia dipendente “da rischi specificamente attinenti a operazioni di polizia preventiva o repressiva o all’espletamento di attività di soccorso” (art. 3 comma 2 l. 27 ottobre 1973 n. 629, aggiunto dall'art. 1 l. 13 agosto 1980 n. 466), occorrendo in sostanza che il rischio affrontato vada oltre quello ordinario connesso all’attività di istituto” (Consiglio Stato, sez. IV, 12 marzo 2001 , n. 1404).

Lo stesso è a dirsi allorquando si prospetti un’invalidità permanente.

Insomma, l’ordinamento riconosce la speciale elargizione di cui si discute come espressione del dovere di solidarietà sociale che incombe in presenza di fatti dai quali alcuni cittadini (militari o civili) sono colpiti nell’adempimento di doveri specifici o particolari che travalicano quelli propri d’istituto e che sono svolti a difesa degli interessi dell’intera comunità per un gesto che rasenta l’eroicità, al fine di evitare un male oramai imminente (Consiglio di Stato, sez. I, 31 gennaio 2013, n.7595; T.A.R. Lazio Roma sez. I ter, 2 agosto 2013, n.7807; sez. I bis 6 novembre 2014, n.1147).

Dette condizioni, però, non risultano essere state dedotte né nell’istanza del 16.11.2007 con cui il ricorrente chiedeva genericamente i benefici previsti dal d.p.r. n.243/2006 per l’infermità denunciata, né peraltro in sede di ricorso, tali non potendosi considerare i fatti esposti.

4. Nel procedere all’esame delle censure, in relazione alla fattispecie di “equiparato alle vittime del dovere”, occorre innanzitutto premettere che, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il giudizio del Comitato di verifica per le cause di servizio è espressione di discrezionalità tecnica e, come tale, non è sindacabile nel merito e può essere censurato solo in caso di carenza assoluta di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva (ex plurimis Consiglio di Stato, Sezione III, 27 gennaio 2012, n.404; IV, 18 febbraio 2003, n.877).

4.1. Tanto premesso, ad avviso del Collegio, nel caso, le dedotte censure di difetto di istruttoria e di motivazione degli atti impugnati, in relazione alla fattispecie di “equiparato alle vittime del dovere”, colgono nel segno.

4.2. Occorre, intanto, ricordare che l’art. 6 del D.P.R. n. 243/2006 statuisce che “L'accertamento della dipendenza da causa di servizio, per particolari condizioni ambientali od operative di missione, delle infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegue il decesso, nei casi previsti dall’art. 1, c. 564 della legge 23/12/2005, n. 266, è effettuato secondo le procedure di cui al D.P.R. 29/10/2001, n. 461 …”; l’articolo in questione è chiaro ed inequivoco nel suo tenore testuale, oltre che logico-funzionale, nel senso di richiamare, ai fini del riconoscimento dei benefici in parola, le modalità e le procedure previste per il riconoscimento (ordinario) della dipendenza dell’infermità da causa di servizio ma non anche, invece, gli atti ed i provvedimenti a quel fine licenziati dall’amministrazione.

In altri termini, ai sensi della normativa di settore (art. 6, D.P.R. n. 243/2006), l’Amministrazione (rectius, il Comitato per le verifiche delle cause di servizio), instata per la concessione dei benefici in questione, è tenuta ad esprimersi in ordine al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio in relazione ad uno specifico nesso eziologico autonomo e diverso, ontologicamente e funzionalmente, rispetto a quello contemplato dalla procedura di cui al D.P.R. 29.10.2001, n. 461, da valutarsi in relazione all’accertata sussistenza, in concreto, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il militare ad un maggior rischio rispetto alle condizioni ordinarie di servizio (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 16 agosto 2012, n.7363).

A tal fine, l’Amministrazione è vincolata ad uno stringente onere motivazionale ed istruttorio dovendo avviare, su istanza di parte, un apposito ed autonomo procedimento amministrativo nell’ambito del quale le è fatto onere di acquisire e riconsiderare tutti gli elementi di fatto connessi al servizio prestato dal dipendente, esplicitando una motivazione adeguata e congruente rispetto ai presupposti contemplati dal paradigma normativo di riferimento, in grado di far comprendere, a fronte dell’ampia discrezionalità valutativa di cui essa dispone, l’iter logico decisionale seguito.

4.3. Senonchè, nel caso, il Comitato per le verifiche delle cause di servizio, nell’impugnato parere, menziona il parere della C.M.O. -OMISSIS-, che sarebbe stato reso in altro procedimento antecedente rispetto al ricevimento della domanda del ricorrente da parte del Ministero della Difesa (avvenuto il -OMISSIS-), e non l’altro parere della C.M.O. di cui riferisce il ricorrente (-OMISSIS-) - emesso a seguito della richiesta ai fini dei benefici in questione ed a seguito di apposita visita medica presso la C.M.O. di-OMISSIS- –, nonostante le segnalazioni dello stesso in sede di osservazioni ex art.10 bis L. n. 241/1990.
Sul punto nulla controdeduce la difesa dell’Amministrazione resistente.

Ciò evidentemente inficia la legittimità del procedimento di concessione dei benefici di cui alla l. n.243/2006 e del provvedimento finale, dal momento che non risulta essere stato preso in considerazione un documento previsto dalla legge ai fini della validità del procedimento stesso, evidenziato in sede di osservazioni dal ricorrente, senza che a tale specifica circostanza sia stato dato riscontro.

5. Inoltre, l’intimata Amministrazione non risulta si sia rappresentata né abbia adeguatamente valutato tutti gli elementi di fatto della fattispecie, inclusi quelli rappresentati dal ricorrente in seno al procedimento de quo, ai fini del giudizio sulla sussistenza delle circostanze straordinarie e dei fatti di servizio che avrebbero esposto il dipendente a maggiori rischi in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto, tali da porsi come causa ovvero concausa efficiente e determinante dell’evento.

Ed invero, mal si comprende, sotto questo profilo, l’iter logico decisionale seguito dal Comitato per le verifiche, poi riversato nel decreto impugnato, essendosi limitato l’organo valutativo a rilevare che “…nel caso specifico l’attività svolta dal militare come -OMISSIS- non sembra aver potuto assumere ruolo predominante nella genesi della malattia tumorale. Inoltre l’attività quale -OMISSIS- è stata svolta come risulta dai rapporti normativi allegati agli atti in basi militari o in zone in cui non è stata comunicata/accertata la presenza di materiali tossici o radioattivi”.

Non v’è dubbio che la motivazione risulta, in parte qua, del tutto inadeguata ed insufficiente, oltre che tautologica, laddove l’Amministrazione conclude per il parere negativo “dopo aver esaminato e valutato, senza tralasciarne alcuno, gli elementi connessi con lo svolgimento del servizio da parte del dipendente risultanti dagli atti”.

Quali siano stati questi “elementi” esaminati, e come lo siano stati in relazione alle concrete condizioni ambientali ed operative, non è dato capire.

Resta, inoltre, oscuro il ragionamento seguito dall’Amministrazione per escludere il nesso eziologico tra l’aver svolto l’attività di -OMISSIS- alla “-OMISSIS-” nei -OMISSIS- e l’evento che ha colpito il dipendente; così come priva di adeguata motivazione è l’asserzione che il ricorrente avrebbe svolto attività di pilota osservatore in zone non contaminate da fattori tossici o radioattivi, a fronte della circostanza che risulta essere stata svolta tale attività nelle dette zone.

Quantomeno, a fronte di circostanze quali la notorietà che i -OMISSIS- rappresentano un territorio contaminato da sostanze tossiche e radioattive e quali il Decreto -OMISSIS- con cui lo stesso Ministero della Difesa riconosceva al ricorrente l’intervento assistenziale, ai sensi della circolare DGPM/308 del 19.1.2001 recante “Presunta contaminazione da radioattività del personale militare in zone d’impiego all’estero.

Interventi assistenziali a favore del personale dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica”, il Comitato avrebbe dovuto adeguatamente motivare le ragioni per cui, nel caso, non riteneva sussistere il detto nesso eziologico.

Al riguardo, secondo un nuovo filone giurisprudenziale, nelle fattispecie caratterizzate dalla contrazione di patologie tumorali durante missioni all’estero in cui non è possibile stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto, e per il riconoscimento del concorso di altri fattori collegati ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei Teatri Operativi ove i soggetti operano, non deve essere richiesta la dimostrazione dell'esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta, essendo sufficiente la dimostrazione, in termini probabilistico-statistici (cfr: T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 2 ottobre 2014, n.1568; T.A.R. Piemonte, Torino sez. I, 6 marzo 2015, n.429).

Inoltre, come sottolineato dalla giurisprudenza citata, occorre verificare se l’attività sia stata svolta senza il previo apprestamento delle misure di protezione, come, nel caso, sostenuto dalla difesa di parte ricorrente.

6. L’accoglimento delle superiori censure comporta l’assorbimento delle altre sollevate in giudizio.

7. Il Collegio non ritiene, invece, di accogliere la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio, tenuto conto, altresì, dei limiti che, per costante giurisprudenza, connotano l’utilizzo di questo mezzo istruttorio nel processo amministrativo, specialmente in relazione a valutazioni - quali quelle in questione – che, comunque, l’ordinamento riserva a determinati organi tecnici (C.G.A. in sede giurisd., 4 novembre 2008, n. 873; Consiglio di Stato, IV, 7 luglio 2008, n. 3380; T.a.r. Lazio, Roma, n. 1494/2012 cit.; T.a.r. Friuli Venezia Giulia, 15 dicembre 2005, n. 1028).

8. In conclusione, per quanto sopra argomentato, dalla fondatezza delle assorbenti e trancianti censure sopra scrutinate deriva l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento degli atti impugnati, facendo obbligo all’amministrazione resistente di riesaminare la fattispecie tenendo conto delle motivazioni svolte.

9. Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi tra le parti tenuto conto degli specifici profili della presente controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla, per quanto di ragione, gli atti impugnati, facendo obbligo all’amministrazione di riesaminare la fattispecie.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Schillaci, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere
Giuseppina Alessandra Sidoti, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2015
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Re: Vittime della criminalità"-Dovere ed Equiparati

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DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 marzo 2009 , n. 37
Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di particolari infermità' da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali, a norma dell'articolo 2, commi 78 e 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.


giusto per notizia,

ricorso Straordinario al PdR, dichiarato irricevibile.

1) - Il ricorso è stato avviato a notifica (vedi relazione di notifica in calce all’atto) in data 20 ottobre 2012, ben oltre quindi il termine di centoventi giorni previsti dall’art. 9 del D.P.R. n. 119/1971

2) - Al ricorso straordinario, difatti, non si applica la sospensione dei termini feriali di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 (v., oggi, art. 54, comma 2, c.p.a.), che è riferibile solo ai termini processuali.

3) - La sospensione feriale, pertanto, non ha ragione di essere nell’ambito di procedimenti per i quali non è prevista e/o richiesta l’assistenza di un legale professionista (Cons. Stato, Sez. II, n. 2912-2018).

N.B.: leggete altri dati nel contesto.
------------------------------------------------------

PARERE DEFINITIVO sede di CONSIGLIO DI STATO, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 201901328

Numero 01328/2019 e data 30/04/2019 Spedizione

REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 17 aprile 2019


NUMERO AFFARE 03103/2013

OGGETTO:
Ministero della difesa.


Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto da -OMISSIS- contro Ministero della difesa avverso il decreto del Ministero della difesa, Direzione generale della prevenzione militare, n.166 del 18 aprile 2012, con il quale “l’infermità OMISSIS” è stata ritenuta “non dipendente da causa di servizio”.

LA SEZIONE
Vista la relazione n. 36771, datata 08 aprile 2013, con la quale il Ministero della difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare consultivo in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Giuseppe Rotondo;


Premesso e Considerato

Il ricorrente, con il ricorso in esame, chiede l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Ministero della difesa, Direzione generale della prevenzione militare, n. 166 del 18 aprile 2012, con il quale “l’infermità OMISSIS ” è stata ritenuta “non dipendente da causa di servizio”.

L’interessato espone, in punto di fatto, che nel settembre del 2006 gli venne diagnosticata un'insufficienza OMISSIS, infermità invalidante che lo costringe al trattamento OMISSIS. Per questo motivo egli, nell'ottobre del 2009, presentò al Ministero della difesa istanza per il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di infermità da esposizione a particolari sostanze nocive ai fini della speciale elargizione ai sensi dell'art. 2, commi 78 e 79, Legge 24 dicembre 2007, n. 244 e del Regolamento Applicativo approvato con DPR 3 marzo 2009 n. 37; ciò sul presupposto che la causa o la concausa efficiente e determinante dell'insorgenza dell'infermità fosse dovuta alla esposizione e utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e alla dispersione nell'ambiente di nano-particelle di minerali pesanti prodotte da esplosioni di materiale bellico.

Sennonché, conclude il ricorrente, nel maggio del 2012 il Ministero della difesa ha respinto l'istanza in quanto l'infermità "Insufficienza OMISSIS " non può ritenersi dipendente da causa di servizio, né riconducibile alle particolari condizioni ambientati od operative, ovvero a particolari fattori di rischio.

-OMISSIS-, la sezione “impregiudicata ogni questione in rito e nel merito” ha sospeso l’esame e disposto che, “in ordine alla relazione istruttoria predisposta dal Ministero e trasmessa al ricorrente, vada fissato, ove non già accaduto, un congruo termine per produrre eventuali repliche e che debba darsi notizia in merito all’avvenuta, o meno, presentazione di atti controdeduttivi”.

L’incombente è stato assolto dal Ministero. Il ricorrente non ha fatto pervenire scritti difensivi.

-OMISSIS-, il ricorso è stato trattenuto per la deliberazione del parere.

Il ricorso è irricevibile.

Il provvedimento impugnato è stato notificato al ricorrente il giorno 11 maggio 2012.

Il ricorso è stato avviato a notifica (vedi relazione di notifica in calce all’atto) in data 20 ottobre 2012, ben oltre quindi il termine di centoventi giorni previsti dall’art. 9 del D.P.R. n. 119/1971, decorrenti dalla piena conoscenza legale del provvedimento lesivo (termine giunto a scadenza il giorno 8 settembre 2012).

Al ricorso straordinario, difatti, non si applica la sospensione dei termini feriali di cui alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 (v., oggi, art. 54, comma 2, c.p.a.), che è riferibile solo ai termini processuali.

L’elemento dirimente si ricava dalla circostanza che non è obbligatorio, per la proposizione del gravame de quo, il patrocinio di avvocato.

Sul piano funzionale, la ratio della sospensione risiede(va) nella necessità di consentire agli avvocati di usufruire di un effettivo riposo nel periodo feriale (v. lavori preparatori alla legge n. 742 del 1969).

La sospensione feriale, pertanto, non ha ragione di essere nell’ambito di procedimenti per i quali non è prevista e/o richiesta l’assistenza di un legale professionista (Cons. Stato, Sez. II, n. 2912-2018).

In conclusione, il ricorso in esame è irricevibile.

P.Q.M.

La Sezione esprime il parere che il ricorso debba essere dichiarato irricevibile.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art.22, comma 8 D.lg.s. 196/2003, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.




L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giuseppe Rotondo Mario Luigi Torsello




IL SEGRETARIO
Giuseppe Testa



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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