Ricorso per il riordino delle carriere dei ruoli “Esecutivo”
Inviato: dom set 16, 2012 6:30 pm
Nel 1981 il Governo si inventò una delle leggi più squassanti nella storia Repubblicana: la legge 121, eliminò il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, istituendo la Polizia di Stato, il cui personale venne sindacalizzato e smilitarizzato. Senza nulla, però, preoccuparsi delle conseguenze e degli sconvolgimenti istituzionali che si sarebbero creati negli altri Corpi armati dello Stato.
Il Governo, peraltro, non fece quello che i cittadini maggiormente chiedevano: l’abrogazione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di matrice fascista - approvata nel 1931 per tutelare beni e incolumità di persone di una società prevalentemente agricola - che oltre a non essere più aderente alle mutate esigenze di una collettività ispirata a ben altri principi, quelli democratici costituzionali, continua a conferire assoluto potere nel campo della prevenzione del crimine e nella salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica a prefetti e questori, che gestiscono ancor oggi il tutto in totale autonomia rispetto alle istituzioni dello Stato, elette dal popolo con voto democratico.
Tale discrasia tuttora permane e crea quell’incertezza nella gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, generatrice dell’attuale confusione nello specifico campo.
La legge 121 del 1981, frettolosamente elaborata per dare maggiori poteri al governo in modo che esso avesse alle dipendenze forze di polizia, pienamente asservite al regime del momento, creò, peraltro, una nuova categoria di operatori di polizia, che si ponevano fra gli esecutivi e i direttivi: gli ispettori, che venivano così a costituire quella carriera di concetto che esiste nel pubblico impiego civile, ma non in quello militare.
Gli ispettori, però, svolgevano compiti di gran lunga inferiori ai marescialli dei corpi armati e, in particolar modo, di quelli dell’Arma, che, al comando di circa 5.000 Stazioni, da tempo immemorabile esercitano compiti e funzioni direttive, senza averne alcun riconoscimento.
Fu tale l’indignazione dei Marescialli dell’Arma che nel 1989 partì un ricorso amministrativo, sostenuto dal COCER Carabinieri, al quale aderirono, in fasi successive, ben 23.000 marescialli dell’Arma e 9.000 della Guardia di Finanza.
Il ricorso venne vinto nel 1991 nel momento in cui la Corte Costituzionale riconobbe i maggiori compiti dei Marescialli dell’Arma, che vennero addirittura sovra ordinati agli Ispettori di Polizia.
Ovviamente questi ultimi non rimasero con le mani in mano. Si rivolsero ai loro sindacati che, d’intesa con le diverse amministrazioni, compreso il Comando Generale dell’Arma, si accordarono per creare il ruolo di concetto anche nelle Forze armate e di Polizia, che si sarebbe chiamato “Ruolo degli Ispettori” nella Polizia di Stato, “Ruolo dei Luogotenenti” nell’Arma dei Carabinieri e nella Guardia di Finanza, e “Ruolo degli Aiutanti” nelle Forze Armate.
Fu approntato un disegno di legge, che venne inopinatamente bloccato in Commissione Difesa del Senato.
Da quel momento sono iniziate le peripezie di una categoria di militari e poliziotti, ai quali non è riconosciuto quanto è stato sancito dalla Corte Costituzionale. Il ruolo di concetto non è stato concesso e i marescialli dell’Arma, pur svolgendo funzioni direttive, tuttora permangono nella categoria degli esecutivi, con i relativi trattamenti economici.
Peraltro, la Corte Costituzionale, intervenendo in merito ad un ricorso per la sindacalizzazione dei Carabinieri e delle Forze Armate, lo rigettò, invitando però il Legislatore a creare un rapporto di specialità fra lo Stato e i militari, che, attesa il loro particolare servizio a difesa della Patria e dei suoi valori fondamentali, dovevano essere privati della maggior tutela dei propri interessi attraverso un sindacato.
In tale contesto, i militari venivano caricati di obblighi e di attribuzioni, con relative responsabilità, che l’impiegato civile dello Stato non aveva, senza però ricevere alcun corrispettivo economico. Anzi, veniva ad essi negato - come detto - il ruolo di concetto, fra gli esecutivi e i direttivi.
La discriminazione era evidente e intollerabile e comunque, in contrasto con l’art. 36 della Costituzione, in cui è sancito che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.
Il Comando Generale dell’Arma, anche su continua pressione del proprio COCER, alla fine si decideva a presentare in Parlamento una legge di riordino dei Carabinieri, che fu approvata il 31 marzo del 2000.
La legge, che porta il numero progressivo 78, “Delega al Governo per il riordino dell’Arma dei Carabinieri”, prevede, “al fine di assicurare economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse delle attività istituzionali, una delega al Governo per adeguare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, l’ordinamento e i compiti militari dell’Arma dei Carabinieri, in ottemperanza ad alcuni principi e criteri direttivi, tassativamente indicati. Tale delega in seguito è stata estesa anche a favore degli appartenenti agli altri Corpi armati dello Stato.
Di interesse ai fini del ricorso in argomento è l’art. 1, comma 2 della legge, lettera b) che così recita: “realizzazione di una efficace ripartizione della funzione di comando e controllo mediante definizione dei livelli generali di dipendenza delle articolazioni ordinamentali con la previsione del ricorso a provvedimenti amministrativi per i conseguenti adeguamenti che si rendessero necessari” e lettera c), in cui così è scritto: “revisione delle norme sul reclutamento, lo stato giuridico e l’avanzamento degli ufficiali”.
Il governo della Repubblica, per colpevole inerzia del Comando Generale dell’Arma, emanò un solo decreto legislativo, quello del 5 ottobre 2000, n. 297, che nonostante dovesse disciplinare “il riordino della struttura organizzativa e funzionale dell’Arma”, si limitò a dettare norme a carattere generale sui compiti dell’Arma e sulla sua organizzazione, stabilendo le specifiche attribuzioni del Comandante Generale dell’Arma, del Vice Comandante e dei Generali di Corpo d’Armata.
Per gli altri Ufficiali si indicavano compiti in modo approssimativo e generico.
Per il rimanente personale si prevedeva il loro inserimento nei ruoli degli ispettori, dei sovrintendenti, appuntati e carabinieri, senza indicare alcuna attribuzione.
Per cui oggi non esiste una normativa che stabilisca quali compiti debbano essere da loro esercitati a seguito di questa loro catalogazione.
Eppure il Capo IV, che li comprende, ha per titolo “Personale e attribuzioni”.
La lacuna è del tutto evidente e, nonostante le continue richieste degli Organi di Rappresentanza militare, sia il Comando Generale dell’Arma che il governo non hanno inteso colmare questa inadempienza di legge. Sono trascorsi ben 12 anni e il personale opera senza specifiche attribuzioni e con trattamenti economici non adeguati alla quantità e qualità di lavoro che presta, dal grado di carabiniere a quello di Tenente Colonnello.
E’ ben evidente che il Governo non ha ottemperato alla delega, sopra indicata, e che deve essere, pertanto, ritenuto responsabile dei mancati riconoscimenti normativi ed economici. Il personale ricorrente ha diritto alla corresponsione degli arretrati.
In analoga situazione versa il personale dei corrispondenti gradi degli altri Corpi armati dello Stato.
Il Governo, peraltro, non fece quello che i cittadini maggiormente chiedevano: l’abrogazione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, di matrice fascista - approvata nel 1931 per tutelare beni e incolumità di persone di una società prevalentemente agricola - che oltre a non essere più aderente alle mutate esigenze di una collettività ispirata a ben altri principi, quelli democratici costituzionali, continua a conferire assoluto potere nel campo della prevenzione del crimine e nella salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica a prefetti e questori, che gestiscono ancor oggi il tutto in totale autonomia rispetto alle istituzioni dello Stato, elette dal popolo con voto democratico.
Tale discrasia tuttora permane e crea quell’incertezza nella gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica, generatrice dell’attuale confusione nello specifico campo.
La legge 121 del 1981, frettolosamente elaborata per dare maggiori poteri al governo in modo che esso avesse alle dipendenze forze di polizia, pienamente asservite al regime del momento, creò, peraltro, una nuova categoria di operatori di polizia, che si ponevano fra gli esecutivi e i direttivi: gli ispettori, che venivano così a costituire quella carriera di concetto che esiste nel pubblico impiego civile, ma non in quello militare.
Gli ispettori, però, svolgevano compiti di gran lunga inferiori ai marescialli dei corpi armati e, in particolar modo, di quelli dell’Arma, che, al comando di circa 5.000 Stazioni, da tempo immemorabile esercitano compiti e funzioni direttive, senza averne alcun riconoscimento.
Fu tale l’indignazione dei Marescialli dell’Arma che nel 1989 partì un ricorso amministrativo, sostenuto dal COCER Carabinieri, al quale aderirono, in fasi successive, ben 23.000 marescialli dell’Arma e 9.000 della Guardia di Finanza.
Il ricorso venne vinto nel 1991 nel momento in cui la Corte Costituzionale riconobbe i maggiori compiti dei Marescialli dell’Arma, che vennero addirittura sovra ordinati agli Ispettori di Polizia.
Ovviamente questi ultimi non rimasero con le mani in mano. Si rivolsero ai loro sindacati che, d’intesa con le diverse amministrazioni, compreso il Comando Generale dell’Arma, si accordarono per creare il ruolo di concetto anche nelle Forze armate e di Polizia, che si sarebbe chiamato “Ruolo degli Ispettori” nella Polizia di Stato, “Ruolo dei Luogotenenti” nell’Arma dei Carabinieri e nella Guardia di Finanza, e “Ruolo degli Aiutanti” nelle Forze Armate.
Fu approntato un disegno di legge, che venne inopinatamente bloccato in Commissione Difesa del Senato.
Da quel momento sono iniziate le peripezie di una categoria di militari e poliziotti, ai quali non è riconosciuto quanto è stato sancito dalla Corte Costituzionale. Il ruolo di concetto non è stato concesso e i marescialli dell’Arma, pur svolgendo funzioni direttive, tuttora permangono nella categoria degli esecutivi, con i relativi trattamenti economici.
Peraltro, la Corte Costituzionale, intervenendo in merito ad un ricorso per la sindacalizzazione dei Carabinieri e delle Forze Armate, lo rigettò, invitando però il Legislatore a creare un rapporto di specialità fra lo Stato e i militari, che, attesa il loro particolare servizio a difesa della Patria e dei suoi valori fondamentali, dovevano essere privati della maggior tutela dei propri interessi attraverso un sindacato.
In tale contesto, i militari venivano caricati di obblighi e di attribuzioni, con relative responsabilità, che l’impiegato civile dello Stato non aveva, senza però ricevere alcun corrispettivo economico. Anzi, veniva ad essi negato - come detto - il ruolo di concetto, fra gli esecutivi e i direttivi.
La discriminazione era evidente e intollerabile e comunque, in contrasto con l’art. 36 della Costituzione, in cui è sancito che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro”.
Il Comando Generale dell’Arma, anche su continua pressione del proprio COCER, alla fine si decideva a presentare in Parlamento una legge di riordino dei Carabinieri, che fu approvata il 31 marzo del 2000.
La legge, che porta il numero progressivo 78, “Delega al Governo per il riordino dell’Arma dei Carabinieri”, prevede, “al fine di assicurare economicità, speditezza e rispondenza al pubblico interesse delle attività istituzionali, una delega al Governo per adeguare, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge, l’ordinamento e i compiti militari dell’Arma dei Carabinieri, in ottemperanza ad alcuni principi e criteri direttivi, tassativamente indicati. Tale delega in seguito è stata estesa anche a favore degli appartenenti agli altri Corpi armati dello Stato.
Di interesse ai fini del ricorso in argomento è l’art. 1, comma 2 della legge, lettera b) che così recita: “realizzazione di una efficace ripartizione della funzione di comando e controllo mediante definizione dei livelli generali di dipendenza delle articolazioni ordinamentali con la previsione del ricorso a provvedimenti amministrativi per i conseguenti adeguamenti che si rendessero necessari” e lettera c), in cui così è scritto: “revisione delle norme sul reclutamento, lo stato giuridico e l’avanzamento degli ufficiali”.
Il governo della Repubblica, per colpevole inerzia del Comando Generale dell’Arma, emanò un solo decreto legislativo, quello del 5 ottobre 2000, n. 297, che nonostante dovesse disciplinare “il riordino della struttura organizzativa e funzionale dell’Arma”, si limitò a dettare norme a carattere generale sui compiti dell’Arma e sulla sua organizzazione, stabilendo le specifiche attribuzioni del Comandante Generale dell’Arma, del Vice Comandante e dei Generali di Corpo d’Armata.
Per gli altri Ufficiali si indicavano compiti in modo approssimativo e generico.
Per il rimanente personale si prevedeva il loro inserimento nei ruoli degli ispettori, dei sovrintendenti, appuntati e carabinieri, senza indicare alcuna attribuzione.
Per cui oggi non esiste una normativa che stabilisca quali compiti debbano essere da loro esercitati a seguito di questa loro catalogazione.
Eppure il Capo IV, che li comprende, ha per titolo “Personale e attribuzioni”.
La lacuna è del tutto evidente e, nonostante le continue richieste degli Organi di Rappresentanza militare, sia il Comando Generale dell’Arma che il governo non hanno inteso colmare questa inadempienza di legge. Sono trascorsi ben 12 anni e il personale opera senza specifiche attribuzioni e con trattamenti economici non adeguati alla quantità e qualità di lavoro che presta, dal grado di carabiniere a quello di Tenente Colonnello.
E’ ben evidente che il Governo non ha ottemperato alla delega, sopra indicata, e che deve essere, pertanto, ritenuto responsabile dei mancati riconoscimenti normativi ed economici. Il personale ricorrente ha diritto alla corresponsione degli arretrati.
In analoga situazione versa il personale dei corrispondenti gradi degli altri Corpi armati dello Stato.