ASSOCIAZIONE EUROPEA OPERATORI
Inviato: mer lug 18, 2012 6:04 pm
16/07/2012 201206438 Sentenza 1T
N. 06438/2012 REG.PROV.COLL.
N. 07434/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n.7434/2010–R.G. proposto dall’Associazione Europea Operatori di Polizia, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’ avv. G.C. Pizzi, presso il cui studio in Roma, via Archimede 138, è elettivamente domiciliata;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato di Roma;
per l'annullamento
del decreto del Questore di Roma in data 31.5.2010, successivamente notificato;
e per il risarcimento del danno
subito e subendo dall’Associazione ricorrente in conseguenza del comportamento dell’amministrazione e dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 14.6.2012 la relazione del Consigliere Pietro Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Premette in fatto parte ricorrente:
- di essere un sodalizio il cui fine statutario (art.2) è quello di tutelare, sull’intero territorio italiano ed all’estero, gli operatori di polizia diffondendone i valori morali, sociali ed economici e promuovendo il loro continuo “rinnovamento tecnico ed operativo, creando anche gruppi di volontariato, protezione civile, soccorso sanitario, vigilanza ambientale, antincendio boschivo ed un corpo di vigilanza ittica”
- di essere iscritta nell’elenco delle organizzazioni di Volontariato del Dip. to della Protezione civile, sin dal 2004;
- di essere stata autorizzata all’uso della divisa e del distintivo in dotazione ai propri associati, con provvedimento del 17.11.2000 adottato dal Questore di Roma all’esito di un’articolata istruttoria mediata dal parere favorevole delle autorità ministeriali, militari e della Polizia Penitenziaria sentiti in tale occasione;
- che detta autorizzazione è stata oggetto di un primo provvedimento di revoca in data 9.3.2005 che è stato impugnato e sospeso dal Cons. St. con Ord. nr.128/2006 del 13.1.2006 che ha fornito “illuminanti chiarimenti circa l’estensione territoriale” di tale titolo di p.s.;
- che in esito alla nuova disciplina apportata:1) dalla legge 49 del 2006 (in materia di produzione, detenzione ed uso dei segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso pressoi Corpi di polizia), introduttiva dell’art.497 ter del c.p.; 2) dalle prescrizioni contenute nelle circolari, ministeriale del 22.2.2007 e del Questore di Roma del 5.5.2008; 3) dall’art. 3, commi da 40 a 44 della legge n.94 del 2009 nonché dal d.m. 8.8.2009 attuativo di dette disposizioni, il Questore di Roma, evocando anche dei presunti comportamenti irregolari da parte dell’Associazione, ha revocato l’autorizzazione concessa il 17.11.2000.
Avverso detto provvedimento è stato promosso il ricorso in epigrafe che è affidato ai seguenti motivi di diritto:
1) errore sui presupposti di fatto e di diritto del provvedimento amministrativo impugnato e conseguente totale illogicità e contraddittorietà della motivazione;
2) ulteriore errore sui presupposti di fatto e di diritto del provvedimento amministrativo impugnato e conseguente totale illogicità e contraddittorietà della motivazione;
3) eccesso di potere per sviamento.
L’intimata amministrazione, costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio, ha contestato le doglianze avversarie in una memoria di controdeduzioni che è stata depositata con corredo di un consistente carteggio di atti d’ufficio relativi all’Associazione ricorrente.
Nella camera di consiglio del 02.9.2010, la Sezione ha respinto l’istanza, inclusa nel ricorso introduttivo, di sospensione interinale dell’atto avversato, con Ordinanza nr.3930/2010 avverso la quale non risulta interposto appello nei termini di rito.
All’udienza del 14.6.2012 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
I)- Col primo motivo di diritto, parte ricorrente denuncia una illogica distonia tra le premesse e le conclusioni del provvedimento avversato nel cui seno sono evocate delle novelle legislative e regolamentari nonché una serie di prescrizioni provenienti da circolari amministrative non pertinenti alla fattispecie in esame e dunque inidonee a giustificare il potere revocatorio concretamente esercitato.
Le norme e prescrizioni sopravvenute, aggiunge la ricorrente, non possono essere intese come introduttive di un generale divieto di utilizzo di divise e stemmi anche con riguardo agli enti già, come essa ricorrente, dotati di apposita autorizzazione e i cui segni e fregi distintivi, riportati nelle uniformi in dotazione agli appartenenti al sodalizio, pur se contengono la denominazione “polizia” sono assolutamente inidonei a ingenerare confusioni con le uniformi in dotazione agli altri Corpi di polizia civili o militari. Al più, osserva l’Associazione, essa avrebbe dovuto essere diffidata a cambiare denominazione e non, invece, subire la revoca dell’autorizzazione rilasciata col parere favorevole delle autorità militari e civili compulsate.
Il secondo motivo di diritto ha riguardo a quella parte del provvedimento impugnato in cui si rappresenta che la ricorrente si sarebbe servita in modo improprio dei contenuti dell’Ordinanza nr.128/2006 del Consiglio di Stato ( nella quale sono espresse perplessità in ordine all’efficacia territoriale nella sola provincia di Roma dell’autorizzazione del 17.11.2000), invocando (come risulta dalla corrispondenza intercorsa tra la Questura di Roma e diverse Prefetture) proprio il provvedimento di tale Giudice (che non è competente a rilasciare autorizzazioni) quale titolo legittimante l’utilizzo dell’uniforme in più parti del territorio nazionale.
Sostiene al riguardo l’Associazione ricorrente che l’indicazione fornita dal Consiglio di Stato è del tutto ovvia, essendo inconcepibile la richiesta di autorizzazione all’uso della divisa e dei relativi fregi e distintivi, in ciascuna singola provincia.
Quanto poi a quella parte del provvedimento impugnato in cui si lamenta che le condotte irregolari dell’Associazione avrebbero causato una continua attività di controllo e vigilanza da parte degli Uffici preposti con serio aggravio di lavoro, la ricorrente – che si dichiara un’associazione di volontariato benemerita e composta solo da soggetti animati da spirito altruistico e di servizio – ritiene tale componente motiva espressiva di un contegno persecutorio serbato dall’Autorità nei propri confronti.
Tale condotta – come prospettato nell’ultimo motivo di censura – è sintomo di sviamento di potere, e cioè di un accanimento ed un comportamento vessatorio solo ad essa riservato; e tanto nonostante le denunce sporte nei confronti di alcuni dei propri soci negli anni 2000, 2006 e 2008 (per l’utilizzo dell’uniforme in dotazione in cui è riportata la dicitura “polizia”) si sono definite:
- con un decreto di archiviazione del Prefetto di Roma, adito in via gerarchica dall’Associazione avverso il verbale di accertamento di violazione amministrativa elevato dalla Questura di Roma;
- col dissequestro dei tesserini in dotazione “non recanti la dicitura operatore ex art.134 TULPS”;
- con la pronuncia del Giudice di pace di Agrigento del 23.9.2008 che ha preso atto che la ricorrente “era stata autorizzata dalla Questura di Roma ad utilizzare sia la divisa che lo stemma”.
II)- Prima di procedere allo scrutinio delle doglianze sopra sintetizzate, ritiene opportuno il Collegio rilevare preliminarmente due distinti elementi che caratterizzano il provvedimento impugnato.
II.1)- In primo luogo tale atto è totalmente diverso, nei presupposti fattuali e giuridici, da quello, parimenti revocatorio, adottato dalla medesima Autorità il 9.3.2005 ed avverso il quale la ricorrente ha promosso la domanda di giustizia (ric. n. 6110/2005 – RG, ancora sub iudice) la cui istanza cautelare è stata accolta dal Consiglio di Stato con l’Ordinanza sopra richiamata. In tale circostanza è venuta in considerazione, oltre all’utilizzazione della divisa ( senza previa autorizzazione) nella provincia di Firenze, l’uso da parte di un associato del segnale distintivo della paletta (di regolamentazione della circolazione stradale) riservato, ex lege, solo agli operatori di Polizia; ed il Consiglio di Stato, disattendo l’avviso del Giudice di prime cure, ha ritenuto che un ragionevole ed equilibrato esercizio del potere pubblico di controllo non consente di addebitare al sodalizio nel suo complesso l’abuso consumato da un associato. Detto Giudice poi, ha manifestato dei dubbi circa l’efficacia territoriale in ambito solo provinciale dell’autorizzazione revocata rilevando, in ogni caso, la concreta possibilità dell’Amministrazione di verificare il ricorso comportamenti abusivi.
II.2)- In secondo luogo il provvedimento, in questa sede, avversato si sorregge sulla base di una duplice, autonoma e distinta componente motivazionale. Nel proprio preambolo, difatti, oltre a dare atto della vicenda riportata nel precedente paragrafo II.1), si sofferma sulle innovazioni legislative apportate dalla legge n.49 del 2006 [ che ha introdotto l’art.497 ter del c.p.: norma che estende le pene sancite dall’art.497 bis anche, rispettivamente: 1) a chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione; 2) a chiunque illecitamente fabbrica o comunque forma gli oggetti e i documenti indicati nel numero precedente, ovvero illecitamente ne fa uso], nonché dalla legge n.94 del 2009 (che ha accordato ai Sindaci la possibilità di avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale) e dal d.m. attuativo 8.8.2009, per giungere ad una prima conclusione che, già in base a tale quadro normativo ( i cui contenuti sono stati chiariti con le circolari ministeriali del 2007 e del Questore di Roma del 2008, entrambe evocate nel provvedimento de quo), deve, oggi, non ritenersi più consentito ai sodalizi associativi l’utilizzo di capi che riportino segni distintivi simili a riservati ai Corpi di polizia ed idonei ad ingenerare nei terzi la convinzione che chi li indossa sia un militare ovvero un tutore dell’ordine.
La seconda parte del preambolo del provvedimento è invece riservata alle menzione delle illiceità consumate dall’ente ricorrente che – pur se notificatario della circolare del Questore del 2008 che sanciva la decadenza dei pregressi titoli autorizzatori all’uso di uniformi recanti la dicitura “polizia” – ha continuato non solo a consentire ai propri associati l’uso della divisa in dotazione ma anche l’uso (presso altre province) di modelli di uniforme difformi da quelli approvati; e tanto avvalendosi, in occasione di ogni controllo, dell’Ordinanza del Consiglio di Stato sopra richiamata, volta per volta, addotta come titolo giustificativo all’uso, nel territorio nazionale, dell’uniforme.
Detto contegno viene reputato idoneo a legittimare – per ragioni dunque, diverse ed autonome da quelle evocate nella prima parte del preambolo - la misura revocatoria adottata.
III)- Ora delle due componenti motive sopra delineate certamente la seconda resiste alle censure, in parte qua, prospettate dalla ricorrente.
Al riguardo, difatti, la resistente amministrazione ha depositato un nutrito carteggio, quasi interamente relativo all’anno 2010, composto - oltre che da copia di corrispondenza intercorsa tra uffici periferici (Prefetture e Questure) e l’amministrazione dell’Interno e la Questura di Roma ( in cui si segnala che soci dell’Associazione svolgono, nelle relative province, servizio in uniforme astenendosi, nonostante invitati, dal richiedere la prescritta autorizzazione e sostenendo di essere in possesso di titolo, rilasciato dal Questore di Roma, valido in tutto il territorio nazionale “come chiarito con propria ordinanza dall’illustre Consiglio di Stato”) – da alcune informative in cui:
- si dà atto, con supporto fotografico, dell’utilizzo, in occasione di specificati eventi, di uniformi o di vestiario dell’Associazione con contrassegni in cui il termine “Polizia” è notevolmente più grande della rimanente scritta “Associazione Europa Operatori”; il porta tesserino di riconoscimento con placca AEOP ha dimensioni e forma del tutto confondibili col porta tesserino e relativa placca della Polizia di Stato. Le divise, dotate di alamari riportano i gradi da ufficiale o da sottufficiale; in ogni indumento indossato (basco, camicia, giacca a vento, ecc.) la denominazione “polizia” è manifestamente più grande, e quindi immediatamente visibile e percepibile, rispetto alla rimanente parte della denominazione del sodalizio (cfr. informativa di reato della Questura di Padova del 22.3.2010, in all. n.17 della resistente) ;
- si comunica l’utilizzo di autovettura riportante nelle fiancate la denominazione, con caratteri cubitali, dell’Associazione e dotata di un lampeggiante blu in tutto simile a quello in uso alle specialità della Polizia di Stato che prevedono l’utilizzo di tale dispositivo sulle vetture di serie; rappresentando ulteriormente che gli occupanti dell’autovettura indossavano uniformi – (dotate di alamari somiglianti a quelli in uso alla Polizia Municipale e di controspalline, con appositi distintivi di qualifica o gradi, ricalcanti in toto quelli utilizzati dalla Polizia Penitenziaria) - recanti sul braccio sinistro una toppa in tessuto riportante uno stemma simile a quello della Polizia di Stato, intorno al quale le parole “ASSOCIAZIONE EUROPEA OPERATORI” sono ricamate “molto in piccolo” mentre la parola “POLIZIA” presentava carattere più grande e, a qualche metro di distanza, era la sola parola visibile sul fregio (cfr. informativa della Questura di Torino, in all. N.18 della resistente);
- si comunica, da parte del Dip. to dell’amministrazione Penitenziaria (ved. nota del 29.4.2010 in all. n.19), che si è constatato che alcuni capi dell’Associazione “sono uguali a quelli in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria” e difformi da quelli in relazione ai quali lo stesso Dip. to espresse, il 29.5.2000, alla Questura di Roma parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione (poi adottata col provvedimento del 17.11.2000 in narrativa richiamato).
Orbene l’esame di detti documenti ed il loro raffronto con quelli uniti all’autorizzazione rilasciata il 17.11.2000 (ved. all. n. 3 della resistente), evidenzia chiaramente e marcatamente che l’associazione ha utilizzato dei modelli di uniforme difformi da quelli a suo tempo autorizzati e idonei, per la loro similitudine a quelli in uso a Forze di Polizia, ad ingenerare inganno nei terzi sulle reali qualità professionali di chi li indossa.
Né a giustificazione della condotta tenuta è consentito alla ricorrente evocare l’Ordinanza del Cons. Stato più volte sopra richiamata; e ciò in quanto detta decisione:
- ha ritenuto non proporzionata la determinazione revocatoria in tale sede impugnata (venendo con la stessa addebitata all’Associazione nel suo complesso la condotta abusiva di un socio), rimanendo del tutto estranea dai suoi contenuti ogni questione relativa all’eventuale utilizzo, da parte degli associati, di divise difformi da quelle approvate dal Questore di Roma;
- le perplessità manifestate in detta Ordinanze in ordine alla possibile efficacia ultraprovinciale dell’autorizzazione rilasciata, non possono essere intese nel senso (indeducibile da detta pronuncia) di consentire anche l’utilizzazione di modelli di divise ( e loro accessori) difformi (come accaduto nel caso di specie) da quelli debitamente autorizzati. E tanto a prescindere dalla circostanza che i dubbi raffigurati in detta pronuncia sono stati colti, ma in senso diametralmente opposto, anche in altre decisioni del Giudice amministrativo evidenziando che detti dubbi non appaiono (contrariamente all’avviso reso in sede cautelare dal Consiglio di Stato) superabili con il solo richiamo all’oggetto statutario dell’Associazione ricorrente (cfr. Tar PA, ord. n. 439 del 18.4. 2008, che ha respinto l’istanza cautelare del ricorso della medesima Associazione qui esponente avverso una nota del 18/01/2008 del Prefetto di Agrigento con cui veniva affermata la necessità di una richiesta di assenso ex artt. 230 e 254 R.D. n.635/40, ai fini dell’utilizzo delle divise dell’Associazione nel territorio della provincia di Agrigento e si ribadiva il divieto di utilizzo delle divise in difetto di tale autorizzazione prefettizia; Cons. Giust. Amm. R.S. n. 626 del 2008, che ha confermato detta pronuncia cautelare).
Parimenti priva di pregio in quanto smentita apertamente dalla documentazione sopra richiamata, è la denuncia incentrata sulla sussistenza di controlli persecutori e quindi sullo sviamento di potere inficiante l’atto gravato.
L’idoneità della componente motiva sopra tracciata a sostenere, autonomamente, la determinazione revocatoria adottata col provvedimento impugnato e l’infondatezza delle doglianze in parte qua azionate, rende improcedibile lo scrutinio delle residue censure, in ordine alle quali, comunque, non può non rilevarsi che le norme richiamate nell’atto revocatorio di cui trattasi ( a supporto della sua ulteriore ed autonoma componente motiva), quand’anche ritenute (in parte) non direttamente applicabili alle Associazioni di volontariato che operano nel settore di protezione civile, appaiono, in ogni caso e contrariamente all’assunto d parte ricorrente, espressive di un principio generale – quello della riconoscibilità dei militari e delle forze dell’ordine in servizio come tali, e della loro distinguibilità dai civili- posto a tutela dell’ordine pubblico ed idoneo a legittimare il potere in concreto esercitato.
IV)- Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida, forfetariamente, in €.2000,00 a beneficio della resistente Amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente, Estensore
Roberto Proietti, Consigliere
Antonella Mangia, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/07/2012
N. 06438/2012 REG.PROV.COLL.
N. 07434/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n.7434/2010–R.G. proposto dall’Associazione Europea Operatori di Polizia, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’ avv. G.C. Pizzi, presso il cui studio in Roma, via Archimede 138, è elettivamente domiciliata;
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato di Roma;
per l'annullamento
del decreto del Questore di Roma in data 31.5.2010, successivamente notificato;
e per il risarcimento del danno
subito e subendo dall’Associazione ricorrente in conseguenza del comportamento dell’amministrazione e dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti gli atti tutti della causa;
Data per letta alla pubblica udienza del 14.6.2012 la relazione del Consigliere Pietro Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO
Premette in fatto parte ricorrente:
- di essere un sodalizio il cui fine statutario (art.2) è quello di tutelare, sull’intero territorio italiano ed all’estero, gli operatori di polizia diffondendone i valori morali, sociali ed economici e promuovendo il loro continuo “rinnovamento tecnico ed operativo, creando anche gruppi di volontariato, protezione civile, soccorso sanitario, vigilanza ambientale, antincendio boschivo ed un corpo di vigilanza ittica”
- di essere iscritta nell’elenco delle organizzazioni di Volontariato del Dip. to della Protezione civile, sin dal 2004;
- di essere stata autorizzata all’uso della divisa e del distintivo in dotazione ai propri associati, con provvedimento del 17.11.2000 adottato dal Questore di Roma all’esito di un’articolata istruttoria mediata dal parere favorevole delle autorità ministeriali, militari e della Polizia Penitenziaria sentiti in tale occasione;
- che detta autorizzazione è stata oggetto di un primo provvedimento di revoca in data 9.3.2005 che è stato impugnato e sospeso dal Cons. St. con Ord. nr.128/2006 del 13.1.2006 che ha fornito “illuminanti chiarimenti circa l’estensione territoriale” di tale titolo di p.s.;
- che in esito alla nuova disciplina apportata:1) dalla legge 49 del 2006 (in materia di produzione, detenzione ed uso dei segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso pressoi Corpi di polizia), introduttiva dell’art.497 ter del c.p.; 2) dalle prescrizioni contenute nelle circolari, ministeriale del 22.2.2007 e del Questore di Roma del 5.5.2008; 3) dall’art. 3, commi da 40 a 44 della legge n.94 del 2009 nonché dal d.m. 8.8.2009 attuativo di dette disposizioni, il Questore di Roma, evocando anche dei presunti comportamenti irregolari da parte dell’Associazione, ha revocato l’autorizzazione concessa il 17.11.2000.
Avverso detto provvedimento è stato promosso il ricorso in epigrafe che è affidato ai seguenti motivi di diritto:
1) errore sui presupposti di fatto e di diritto del provvedimento amministrativo impugnato e conseguente totale illogicità e contraddittorietà della motivazione;
2) ulteriore errore sui presupposti di fatto e di diritto del provvedimento amministrativo impugnato e conseguente totale illogicità e contraddittorietà della motivazione;
3) eccesso di potere per sviamento.
L’intimata amministrazione, costituitasi in giudizio per il tramite del Pubblico Patrocinio, ha contestato le doglianze avversarie in una memoria di controdeduzioni che è stata depositata con corredo di un consistente carteggio di atti d’ufficio relativi all’Associazione ricorrente.
Nella camera di consiglio del 02.9.2010, la Sezione ha respinto l’istanza, inclusa nel ricorso introduttivo, di sospensione interinale dell’atto avversato, con Ordinanza nr.3930/2010 avverso la quale non risulta interposto appello nei termini di rito.
All’udienza del 14.6.2012 la causa è stata trattenuta per la relativa decisione.
DIRITTO
I)- Col primo motivo di diritto, parte ricorrente denuncia una illogica distonia tra le premesse e le conclusioni del provvedimento avversato nel cui seno sono evocate delle novelle legislative e regolamentari nonché una serie di prescrizioni provenienti da circolari amministrative non pertinenti alla fattispecie in esame e dunque inidonee a giustificare il potere revocatorio concretamente esercitato.
Le norme e prescrizioni sopravvenute, aggiunge la ricorrente, non possono essere intese come introduttive di un generale divieto di utilizzo di divise e stemmi anche con riguardo agli enti già, come essa ricorrente, dotati di apposita autorizzazione e i cui segni e fregi distintivi, riportati nelle uniformi in dotazione agli appartenenti al sodalizio, pur se contengono la denominazione “polizia” sono assolutamente inidonei a ingenerare confusioni con le uniformi in dotazione agli altri Corpi di polizia civili o militari. Al più, osserva l’Associazione, essa avrebbe dovuto essere diffidata a cambiare denominazione e non, invece, subire la revoca dell’autorizzazione rilasciata col parere favorevole delle autorità militari e civili compulsate.
Il secondo motivo di diritto ha riguardo a quella parte del provvedimento impugnato in cui si rappresenta che la ricorrente si sarebbe servita in modo improprio dei contenuti dell’Ordinanza nr.128/2006 del Consiglio di Stato ( nella quale sono espresse perplessità in ordine all’efficacia territoriale nella sola provincia di Roma dell’autorizzazione del 17.11.2000), invocando (come risulta dalla corrispondenza intercorsa tra la Questura di Roma e diverse Prefetture) proprio il provvedimento di tale Giudice (che non è competente a rilasciare autorizzazioni) quale titolo legittimante l’utilizzo dell’uniforme in più parti del territorio nazionale.
Sostiene al riguardo l’Associazione ricorrente che l’indicazione fornita dal Consiglio di Stato è del tutto ovvia, essendo inconcepibile la richiesta di autorizzazione all’uso della divisa e dei relativi fregi e distintivi, in ciascuna singola provincia.
Quanto poi a quella parte del provvedimento impugnato in cui si lamenta che le condotte irregolari dell’Associazione avrebbero causato una continua attività di controllo e vigilanza da parte degli Uffici preposti con serio aggravio di lavoro, la ricorrente – che si dichiara un’associazione di volontariato benemerita e composta solo da soggetti animati da spirito altruistico e di servizio – ritiene tale componente motiva espressiva di un contegno persecutorio serbato dall’Autorità nei propri confronti.
Tale condotta – come prospettato nell’ultimo motivo di censura – è sintomo di sviamento di potere, e cioè di un accanimento ed un comportamento vessatorio solo ad essa riservato; e tanto nonostante le denunce sporte nei confronti di alcuni dei propri soci negli anni 2000, 2006 e 2008 (per l’utilizzo dell’uniforme in dotazione in cui è riportata la dicitura “polizia”) si sono definite:
- con un decreto di archiviazione del Prefetto di Roma, adito in via gerarchica dall’Associazione avverso il verbale di accertamento di violazione amministrativa elevato dalla Questura di Roma;
- col dissequestro dei tesserini in dotazione “non recanti la dicitura operatore ex art.134 TULPS”;
- con la pronuncia del Giudice di pace di Agrigento del 23.9.2008 che ha preso atto che la ricorrente “era stata autorizzata dalla Questura di Roma ad utilizzare sia la divisa che lo stemma”.
II)- Prima di procedere allo scrutinio delle doglianze sopra sintetizzate, ritiene opportuno il Collegio rilevare preliminarmente due distinti elementi che caratterizzano il provvedimento impugnato.
II.1)- In primo luogo tale atto è totalmente diverso, nei presupposti fattuali e giuridici, da quello, parimenti revocatorio, adottato dalla medesima Autorità il 9.3.2005 ed avverso il quale la ricorrente ha promosso la domanda di giustizia (ric. n. 6110/2005 – RG, ancora sub iudice) la cui istanza cautelare è stata accolta dal Consiglio di Stato con l’Ordinanza sopra richiamata. In tale circostanza è venuta in considerazione, oltre all’utilizzazione della divisa ( senza previa autorizzazione) nella provincia di Firenze, l’uso da parte di un associato del segnale distintivo della paletta (di regolamentazione della circolazione stradale) riservato, ex lege, solo agli operatori di Polizia; ed il Consiglio di Stato, disattendo l’avviso del Giudice di prime cure, ha ritenuto che un ragionevole ed equilibrato esercizio del potere pubblico di controllo non consente di addebitare al sodalizio nel suo complesso l’abuso consumato da un associato. Detto Giudice poi, ha manifestato dei dubbi circa l’efficacia territoriale in ambito solo provinciale dell’autorizzazione revocata rilevando, in ogni caso, la concreta possibilità dell’Amministrazione di verificare il ricorso comportamenti abusivi.
II.2)- In secondo luogo il provvedimento, in questa sede, avversato si sorregge sulla base di una duplice, autonoma e distinta componente motivazionale. Nel proprio preambolo, difatti, oltre a dare atto della vicenda riportata nel precedente paragrafo II.1), si sofferma sulle innovazioni legislative apportate dalla legge n.49 del 2006 [ che ha introdotto l’art.497 ter del c.p.: norma che estende le pene sancite dall’art.497 bis anche, rispettivamente: 1) a chiunque illecitamente detiene segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai Corpi di polizia, ovvero oggetti o documenti che ne simulano la funzione; 2) a chiunque illecitamente fabbrica o comunque forma gli oggetti e i documenti indicati nel numero precedente, ovvero illecitamente ne fa uso], nonché dalla legge n.94 del 2009 (che ha accordato ai Sindaci la possibilità di avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale) e dal d.m. attuativo 8.8.2009, per giungere ad una prima conclusione che, già in base a tale quadro normativo ( i cui contenuti sono stati chiariti con le circolari ministeriali del 2007 e del Questore di Roma del 2008, entrambe evocate nel provvedimento de quo), deve, oggi, non ritenersi più consentito ai sodalizi associativi l’utilizzo di capi che riportino segni distintivi simili a riservati ai Corpi di polizia ed idonei ad ingenerare nei terzi la convinzione che chi li indossa sia un militare ovvero un tutore dell’ordine.
La seconda parte del preambolo del provvedimento è invece riservata alle menzione delle illiceità consumate dall’ente ricorrente che – pur se notificatario della circolare del Questore del 2008 che sanciva la decadenza dei pregressi titoli autorizzatori all’uso di uniformi recanti la dicitura “polizia” – ha continuato non solo a consentire ai propri associati l’uso della divisa in dotazione ma anche l’uso (presso altre province) di modelli di uniforme difformi da quelli approvati; e tanto avvalendosi, in occasione di ogni controllo, dell’Ordinanza del Consiglio di Stato sopra richiamata, volta per volta, addotta come titolo giustificativo all’uso, nel territorio nazionale, dell’uniforme.
Detto contegno viene reputato idoneo a legittimare – per ragioni dunque, diverse ed autonome da quelle evocate nella prima parte del preambolo - la misura revocatoria adottata.
III)- Ora delle due componenti motive sopra delineate certamente la seconda resiste alle censure, in parte qua, prospettate dalla ricorrente.
Al riguardo, difatti, la resistente amministrazione ha depositato un nutrito carteggio, quasi interamente relativo all’anno 2010, composto - oltre che da copia di corrispondenza intercorsa tra uffici periferici (Prefetture e Questure) e l’amministrazione dell’Interno e la Questura di Roma ( in cui si segnala che soci dell’Associazione svolgono, nelle relative province, servizio in uniforme astenendosi, nonostante invitati, dal richiedere la prescritta autorizzazione e sostenendo di essere in possesso di titolo, rilasciato dal Questore di Roma, valido in tutto il territorio nazionale “come chiarito con propria ordinanza dall’illustre Consiglio di Stato”) – da alcune informative in cui:
- si dà atto, con supporto fotografico, dell’utilizzo, in occasione di specificati eventi, di uniformi o di vestiario dell’Associazione con contrassegni in cui il termine “Polizia” è notevolmente più grande della rimanente scritta “Associazione Europa Operatori”; il porta tesserino di riconoscimento con placca AEOP ha dimensioni e forma del tutto confondibili col porta tesserino e relativa placca della Polizia di Stato. Le divise, dotate di alamari riportano i gradi da ufficiale o da sottufficiale; in ogni indumento indossato (basco, camicia, giacca a vento, ecc.) la denominazione “polizia” è manifestamente più grande, e quindi immediatamente visibile e percepibile, rispetto alla rimanente parte della denominazione del sodalizio (cfr. informativa di reato della Questura di Padova del 22.3.2010, in all. n.17 della resistente) ;
- si comunica l’utilizzo di autovettura riportante nelle fiancate la denominazione, con caratteri cubitali, dell’Associazione e dotata di un lampeggiante blu in tutto simile a quello in uso alle specialità della Polizia di Stato che prevedono l’utilizzo di tale dispositivo sulle vetture di serie; rappresentando ulteriormente che gli occupanti dell’autovettura indossavano uniformi – (dotate di alamari somiglianti a quelli in uso alla Polizia Municipale e di controspalline, con appositi distintivi di qualifica o gradi, ricalcanti in toto quelli utilizzati dalla Polizia Penitenziaria) - recanti sul braccio sinistro una toppa in tessuto riportante uno stemma simile a quello della Polizia di Stato, intorno al quale le parole “ASSOCIAZIONE EUROPEA OPERATORI” sono ricamate “molto in piccolo” mentre la parola “POLIZIA” presentava carattere più grande e, a qualche metro di distanza, era la sola parola visibile sul fregio (cfr. informativa della Questura di Torino, in all. N.18 della resistente);
- si comunica, da parte del Dip. to dell’amministrazione Penitenziaria (ved. nota del 29.4.2010 in all. n.19), che si è constatato che alcuni capi dell’Associazione “sono uguali a quelli in dotazione al Corpo di Polizia penitenziaria” e difformi da quelli in relazione ai quali lo stesso Dip. to espresse, il 29.5.2000, alla Questura di Roma parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione (poi adottata col provvedimento del 17.11.2000 in narrativa richiamato).
Orbene l’esame di detti documenti ed il loro raffronto con quelli uniti all’autorizzazione rilasciata il 17.11.2000 (ved. all. n. 3 della resistente), evidenzia chiaramente e marcatamente che l’associazione ha utilizzato dei modelli di uniforme difformi da quelli a suo tempo autorizzati e idonei, per la loro similitudine a quelli in uso a Forze di Polizia, ad ingenerare inganno nei terzi sulle reali qualità professionali di chi li indossa.
Né a giustificazione della condotta tenuta è consentito alla ricorrente evocare l’Ordinanza del Cons. Stato più volte sopra richiamata; e ciò in quanto detta decisione:
- ha ritenuto non proporzionata la determinazione revocatoria in tale sede impugnata (venendo con la stessa addebitata all’Associazione nel suo complesso la condotta abusiva di un socio), rimanendo del tutto estranea dai suoi contenuti ogni questione relativa all’eventuale utilizzo, da parte degli associati, di divise difformi da quelle approvate dal Questore di Roma;
- le perplessità manifestate in detta Ordinanze in ordine alla possibile efficacia ultraprovinciale dell’autorizzazione rilasciata, non possono essere intese nel senso (indeducibile da detta pronuncia) di consentire anche l’utilizzazione di modelli di divise ( e loro accessori) difformi (come accaduto nel caso di specie) da quelli debitamente autorizzati. E tanto a prescindere dalla circostanza che i dubbi raffigurati in detta pronuncia sono stati colti, ma in senso diametralmente opposto, anche in altre decisioni del Giudice amministrativo evidenziando che detti dubbi non appaiono (contrariamente all’avviso reso in sede cautelare dal Consiglio di Stato) superabili con il solo richiamo all’oggetto statutario dell’Associazione ricorrente (cfr. Tar PA, ord. n. 439 del 18.4. 2008, che ha respinto l’istanza cautelare del ricorso della medesima Associazione qui esponente avverso una nota del 18/01/2008 del Prefetto di Agrigento con cui veniva affermata la necessità di una richiesta di assenso ex artt. 230 e 254 R.D. n.635/40, ai fini dell’utilizzo delle divise dell’Associazione nel territorio della provincia di Agrigento e si ribadiva il divieto di utilizzo delle divise in difetto di tale autorizzazione prefettizia; Cons. Giust. Amm. R.S. n. 626 del 2008, che ha confermato detta pronuncia cautelare).
Parimenti priva di pregio in quanto smentita apertamente dalla documentazione sopra richiamata, è la denuncia incentrata sulla sussistenza di controlli persecutori e quindi sullo sviamento di potere inficiante l’atto gravato.
L’idoneità della componente motiva sopra tracciata a sostenere, autonomamente, la determinazione revocatoria adottata col provvedimento impugnato e l’infondatezza delle doglianze in parte qua azionate, rende improcedibile lo scrutinio delle residue censure, in ordine alle quali, comunque, non può non rilevarsi che le norme richiamate nell’atto revocatorio di cui trattasi ( a supporto della sua ulteriore ed autonoma componente motiva), quand’anche ritenute (in parte) non direttamente applicabili alle Associazioni di volontariato che operano nel settore di protezione civile, appaiono, in ogni caso e contrariamente all’assunto d parte ricorrente, espressive di un principio generale – quello della riconoscibilità dei militari e delle forze dell’ordine in servizio come tali, e della loro distinguibilità dai civili- posto a tutela dell’ordine pubblico ed idoneo a legittimare il potere in concreto esercitato.
IV)- Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter) respinge il ricorso in epigrafe.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida, forfetariamente, in €.2000,00 a beneficio della resistente Amministrazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente, Estensore
Roberto Proietti, Consigliere
Antonella Mangia, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/07/2012