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Attività difensiva al collega e trattamento di missione

Inviato: lun apr 30, 2012 11:44 am
da panorama
Sicuramente questa sentenza può interessare anche a qualche collega dell'Arma e non solo la PolStato.

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20 d.p.r. n. 737/1981;
Art. 6 D.P.R. 170/07;

Il Tar di Milano ha precisato:

1)- La questione se al dipendente appartenente all’amministrazione della Pubblica sicurezza, nominato difensore in un procedimento di disciplinare a carico di altro dipendente, spetti o meno il trattamento di missione, è stata già affrontata dal T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 5 maggio 2010 n. 465, con argomenti che Collegio condivide e fa propri.

2)- In particolare, non è condivisibile il cuore del ragionamento svolto dalla difesa erariale, alla cui stregua lo svolgimento dell’attività difensiva non potrebbe essere assimilato all’assolvimento di una pubblica funzione, poiché la difesa avanti i consigli provinciali di disciplina, a differenza del processo penale, sarebbe una mera facoltà dell’inquisito nel suo esclusivo interesse e non una garanzia posta nell’interesse generale.

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N. 01244/2012 REG.PROV.COLL.
N. 01019/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1019 del 2010, proposto da:
OMISSIS, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanbattista Cefalì, con domicilio eletto presso l’avv.to Carlo Cioppa in Milano, via Morosini n. 39;

contro
MINISTERO DELL’INTERNO - QUESTURA DI MILANO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Milano, via Freguglia n. 1;

per l’accertamento
della illegittimità dell’azione amministrativa posta in essere dall'Ufficio Amministrativo Contabile della Questura di Milano volta al recupero forzoso delle somme corrisposte all'odierno ricorrente a titolo di trattamento di missione; nonché l’accertamento della illegittimità delle trattenute effettuate sullo stipendio del ricorrente, con conseguente condanna alla restituzione delle somme già detratte dallo stipendio;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del MINISTERO DELL’INTERNO;
OMISSIS;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente, agente scelto della polizia di Stato in servizio presso la questura di OMISSIS, nell’agosto del 2005 è stato nominato difensore, ai sensi dell’articolo 20 d.p.r. n. 737/1981, nell’ambito di un procedimento disciplinare instaurato nei confronti di un collega in servizio presso la Questura di Cosenza.

Con riguardo alle riunioni tenutesi innanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina di Cosenza, volte per l’appunto alla trattazione del citato procedimento disciplinare, il ricorrente aveva in un primo momento ricevuto l’autorizzazione al rimborso delle spese sostenute a titolo di trattamento di missione (disciplinato dall’art. 6 D.P.R. 170/07). Per contro, successivamente, in data 27 marzo 2006, l’ufficio contabile della Questura di Milano aveva richiesto all’istante la restituzione delle predette somme motivando che, a seguito di quesito formulato al Ministero dell’Interno, era emerso che siffatto trattamento economico non dovesse competere e, pertanto, doveva ritenersi erroneamente corrisposto. Con missiva del 30 giugno 2009, il medesimo ufficio contabile ha informato il ricorrente che l’amministrazione avrebbe provveduto al recupero della somma di € ……., a mezzo di 15 trattenute mensili sullo stipendio per un importo pari ad € ……. cadauna; a decorrere dal mese di agosto 2009, veniva effettivamente avviato il procedimento di recupero forzoso.

1.1. Con ricorso depositato il 7 maggio 2010, il ricorrente adiva il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia chiedendo l’accertamento della illegittimità dell’azione amministrativa volta al recupero forzoso delle somme corrispostegli a titolo di trattamento di missione, con conseguente condanna dell’amministrazione alla restituzione delle somme già detratte dallo stipendio.
Con ordinanza del 21 maggio 2010, il Tribunale, ha rigettato la domanda cautelare, ritenendo insussistente l’irreparabilità del pregiudizio.
Il Ministero dell’Interno ha controdedotto con memoria per l’infondatezza del ricorso.
Il ricorrente ha insistito con memorie.
Sul contraddittorio così istauratosi, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva all’odierna udienza, nelle forme semplificate di cui all’art. 74 c.p.a.

2. La questione se al dipendente appartenente all’amministrazione della Pubblica sicurezza, nominato difensore in un procedimento di disciplinare a carico di altro dipendente, spetti o meno il trattamento di missione, è stata già affrontata dal T.A.R. Reggio Calabria, sez. I, 5 maggio 2010 n. 465, con argomenti che Collegio condivide e fa propri.

2.1. In particolare, non è condivisibile il cuore del ragionamento svolto dalla difesa erariale, alla cui stregua lo svolgimento dell’attività difensiva non potrebbe essere assimilato all’assolvimento di una pubblica funzione, poiché la difesa avanti i consigli provinciali di disciplina, a differenza del processo penale, sarebbe una mera facoltà dell’inquisito nel suo esclusivo interesse e non una garanzia posta nell’interesse generale.

2.2. In senso contrario, a favore della soluzione ammissiva è dirimente la circostanza per la quale, nell’ordinamento della Polizia di Stato, l’incolpato può farsi assistere esclusivamente da un appartenente alla medesima amministrazione (cfr. art. 20, comma 2, D.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737); tale peculiare scelta normativa è stata ritenuta dal Giudice delle Leggi conforme a Costituzione in quanto giustificata dalla considerazione della funzione svolta, ovvero la tutela dell’ordine pubblico (cfr. Corte Cost., sentenza 30 maggio 2008 n. 182). Orbene, proprio il fatto che la speciale normativa in esame sia dettata e si giustifichi per il particolare assetto ordinamentale della Polizia di Stato e in considerazione dell’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, fa sì che il compito svolto dal dipendente-difensore non sia più riconducibile al solo interesse personale dell'incolpato, ma miri alla salvaguardia dell'interesse generale e complessivo dell’amministrazione; e, pertanto, debba farsi rientrare tra le attività di servizio in vista delle quali l’art. 6 D.P.R. n. 170/70 destina l’emolumento per cui è causa.

3. Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
ACCOGLIE il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento indicato in epigrafe;
ACCERTA l’illegittimità della pretesa di ripetizione patrimoniale avanzata della p.a. con l’atto impugnato; CONDANNA l’amministrazione resistente alla restituzione delle somme già trattenute forzosamente dallo stipendio del ricorrente;
CONDANNA l’amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite in favore del ricorrente che si liquida in € 1.400,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 12 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario
Dario Simeoli, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2012

Re: Attività difensiva al collega e trattamento di missione

Inviato: lun apr 30, 2012 2:09 pm
da panorama
Questa la sentenza richiamata dal Tar Lombardia di cui sopra.

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05/05/2010 201000465 Sentenza 1


N. 00465/2010 REG.SEN.
N. 00338/2005 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente

SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 338 del 2005, proposto da:
C. P. F., rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Barbaro, con domicilio eletto presso Pietro Barbaro Avv. in Reggio Calabria, via S. Francesco da Paola, 94
contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici siti in Reggio Calabria, via del Plebiscito, 15, è per legge domiciliato
nei confronti di

Dirigente Uff. Amm.vo Contabile Questura di Reggio Calabria
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. …. del 22 febbraio 2005 con il quale è stato disposto il recupero della somma di € 200,00, anticipata a titolo di missione disposta ed autorizzata dal Dirigente la Squadra Mobile della Questura di Reggio Calabria
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
OMISSIS;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, Vice Sovraintendente della Polizia di Stato, in data 5 marzo 2004 veniva convocato, per il successivo giorno 11, innanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina della Questura di Frosinone in qualità di difensore per la trattazione orale in un procedimento disciplinare instaurato a carico di un Ispettore Superiore.
Riceveva il 9 marzo 2004 formale ordine di missione di due giorni e autorizzazione al rimborso forfetario ex art. 7, co. 9, DPR n.164/02 (€ 100 al giorno). Al termine della missione provvedeva all’inoltro della documentazione comprovante le spese sostenute e richiedeva la liquidazione della differenza tra quanto percepito a titolo di anticipo e le maggiori spese sostenute per lo svolgimento dell’incarico, comprensivo dell’indennità di missione.
Il 22 aprile 2005 l’Ufficio amministrativo contabile della Questura di Reggio restituiva l’intera documentazione, comunicando che il servizio svolto non dà “diritto al pagamento di indennità e compensi per il lavoro straordinario e di quelli collegati all’effettivo svolgimento delle prestazioni” e veniva, altresì, comunicato che la somma anticipata di € 200,00 doveva essere recuperata mediante procedura automatizzata sulle competenze stipendiali del mese di marzo 2005, come è effettivamente avvenuto.
Ritiene l’interessato che tale determinazione sia illegittima, in quanto non è spiegata esaustivamente la ragione per cui non sussista diritto al rimborso delle spese ed in più manca l’avvertimento che i costi della missione sarebbero ricaduti interamente su di lui. Egli ha, invece, ricevuto formale convocazione dalla Questura di Frosinone e formale ordine di missione, che lo ha indotto in errore, facendogli subire un ingiustificabile nocumento economico.
Inoltre egli rileva, col secondo motivo di ricorso, che altri dipendenti e lui stesso, in casi analoghi, hanno ottenuto l’anticipazione e la successiva liquidazione della missione.
Si costituisce l’amministrazione, deducendo che la trasferta compiuta dal ricorrente non costituisce affatto una “missione” espletata per conto dell’Amministrazione di appartenenza, e per la quale, dunque, spettano il trattamento ed i relativi rimborsi, bensì un’attività svolta nell’interesse esclusivo di un collega sottoposto a procedimento disciplinare.
Aggiunge la difesa erariale che la designazione del C… è stata effettuata con ogni probabilità anche in considerazione del particolare ruolo di dirigente sindacale ricoperto dal ricorrente, e che dunque in relazione a ciò si deve piuttosto fare applicazione dell’art. 32 DPR n. 164/02.
In ordine all’asserita disparità di trattamento la difesa dell’amministrazione rileva la sua non configurabilità, non trattandosi di esercizio di attività discrezionale.
Con memoria del’11 marzo 2010 il ricorrente ha contestato i rilievi di parte avversa ed ha ribadito la propria domanda.
All’udienza pubblica del 24 marzo 2010, sentite le parti, la causa è stata posta in decisione.
Al di là del particolare iter procedimentale seguito dall’Amministrazione dell’interno e dell’impostazione del ricorso in termini impugnatori, di cui si darà conto in ultimo, l’odierna controversia pone una questione di carattere generale, ossia se al dipendente appartenente all’amministrazione della Pubblica sicurezza, nominato difensore in un procedimento di disciplinare a carico di altro dipendente, spetti o meno il trattamento di missione.
Il Tribunale, che esercita nei confronti del rapporto di lavoro del personale c.d. non contrattualizzato giurisdizione esclusiva, ritiene che il problema relativo alla spettanza o meno del trattamento di missione debba essere risolto in senso affermativo.
Milita a favore di tale soluzione la circostanza che nell’ordinamento della Polizia di Stato l’incolpato può farsi assistere esclusivamente da un appartenente alla medesima amministrazione.
Ai sensi del co. 2 dell’art. 20 Dpr 25 ottobre 1981 n. 737, infatti, “il segretario, appena terminata la prima riunione, notifica per iscritto all'inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina nel giorno e nell'ora fissati, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere da un difensore appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni”.
Questa peculiare normativa sull’assistenza nel procedimento disciplinare a carico del personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza è stata di recente posta al vaglio della Corte Costituzionale, che con sentenza 30 maggio 2008 n. 182, chiamata a valutarne la compatibilità con gli artt. 24 e 3 Cost., ha ritenuto che “non possa considerarsi manifestamente irragionevole la decisione del legislatore di consentire che l'accusato ricorra ad un difensore, ma di limitare, in considerazione della funzione svolta (tutela dell'ordine pubblico), la sua scelta ai dipendenti della stessa amministrazione”. Non è, dunque, rilevabile una violazione dell’art. 24 Cost., in quanto, “«anche se il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità prevederla seguendo un modello di più elevata garanzia» (sentenza n. 356 del 1995)”, la mancata previsione di nominare quale difensore un avvocato “non viola né il diritto di difesa, né il principio di ragionevolezza, considerato che la stessa norma consente all'inquisito di partecipare al procedimento e di difendere le proprie ragioni”.
Né è stata riscontrata la dedotta violazione dell’art. 3 Cost., in particolare rispetto alla disciplina del procedimento a carico degli impiegati civili dello Stato (art. 55, co. 5, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), ed a quella prevista per il personale del Corpo di polizia penitenziaria (art. 16 D.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449), “attesa la disomogeneità delle categorie poste a confronto, caratterizzate da assetti ordinamentali molto diversi”.
Se queste sono le ragioni che giustificano e rendono costituzionalmente compatibile una scelta legislativa siffatta (in tal senso già Tar Trentino Alto Adige, 27 novembre 1992 n. 273), appare errata la tesi qui espressa dall’Amministrazione dell’Interno, secondo cui non è erogabile il trattamento di missione per il fatto che l’allontanamento del dipendente non sarebbe correlato ad esigenze funzionali ed operative dell’amministrazione.
Al contrario, proprio il fatto che la speciale normativa in esame sia dettata e si giustifichi per il particolare assetto ordinamentale della Polizia di Stato e in considerazione dell’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, fa sì che il compito svolto dal dipendente-difensore non sia più riconducibile al solo interesse personale dell’incolpato, ma miri alla salvaguardia dell’interesse generale e complessivo dell’amministrazione.
Né conduce a riflessioni diverse la giurisprudenza citata dalla difesa erariale sul concetto amministrativo di missione. Essa si riferisce, infatti, a vicende affatto differenti da quella in esame, (come il caso dell’agente temporaneamente assegnato ad altra sede di servizio a seguito della candidatura alle elezioni amministrative del Comune ove era la sua sede di appartenenza: Cons. St., IV, 4 settembre 1996 n. 1019) o inconducenti (come il caso dei trasferimenti illegittimamente adottati per consentire la temporanea assegnazione degli interessati alla sede nella quale essi erano tenuti a partecipare al corso, per evitare la corresponsione dell’indennità di missione: Tar Lazio I, 12 maggio 1987 n. 1025; id 3 settembre 1986 n. 1166), né, in verità, risultano edite pronunce che si siano occupate specificatamente della questione odierna .
Non si giustifica neppure il richiamo, per di più ex post, all’art. 32 DPR 164/02, non trattandosi di compiti sindacali o ad essi equiparabili. La circostanza che il ricorrente rivestisse anche la qualifica di dirigente sindacale non connota, sul piano del trattamento giudico ed economico, l’attività difensiva che egli è stato chiamato a svolgere.
Quanto sin qui affermato in termini generali, non può che valere ancor di più nel caso in esame ove, come opportunamente rilevato in ricorso, al sovraintendente C… è stato formalmente comandato ed autorizzato dal suo Dirigente l’incarico di missione col preciso motivo “Consiglio provinciale disciplina” .
Tale preventiva autorizzazione, frutto di una autonoma valutazione dell’amministrazione che ha evidentemente così inteso e qualificato l’incarico in questione, ha indotto a sua volta il dipendente a qualificarlo come missione di servizio, con tutte le ovvie conseguenze anche in ordine alle spese necessarie per lo spostamento e la permanenza nel luogo della missione.
Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
In considerazione della particolarità della fattispecie, le spese della lite possono essere interamente compensate.

P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria – sezione staccata di Reggio Calabria – definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 24/03/2010 con l'intervento dei Magistrati:
Italo Vitellio, Presidente
Caterina Criscenti, Consigliere, Estensore
Desirèe Zonno, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/05/2010

Re: Attività difensiva al collega e trattamento di missione

Inviato: lun apr 30, 2012 2:14 pm
da panorama
Questa è la sentenza della Corte Costituzionale richiamata dai Tar di cui sopra.
Inoltre, questa sentenza è rintracciabile sul sito dell'Arma dei Carabinieri inserendo appunto il seguente testo abbreviato.

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Corte Cost., sentenza 30 maggio 2008 n. 182

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Sentenza 182/2008
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente BILE - Redattore CASSESE
Camera di Consiglio del 16/04/2008 Decisione del 19/05/2008
Deposito del 30/05/2008 Pubblicazione in G. U. 04/06/2008
Norme impugnate: Art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 25/10/1981, n. 737.
Massime: 32509 32510 32511
Atti decisi: ord. 756/2007


SENTENZA N. 182 ANNO 2008


LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco BILE; Giudici: Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Franco GALLO, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO,


ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), promosso con ordinanza del 2 aprile 2007 dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia – sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Russello Natalino nei confronti del Ministero dell'Interno ed altro, iscritta al n. 756 del registro ordinanze del 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2007.
Visto l'atto intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese.


Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio introdotto da un dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza per l'annullamento del decreto n. 333-D/0166145 del 15 dicembre 2000, con cui il capo della polizia – direttore generale del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno – ha disposto la sua destituzione, a decorrere dal 28 settembre 2000, il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti).
La norma impugnata prevede che, nel corso del procedimento dinanzi al Consiglio di disciplina, «Il segretario, appena terminata la prima riunione, notifica per iscritto all'inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina nel giorno e nell'ora fissati, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere da un difensore appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo avverte inoltre che, se non si presenterà, né darà notizia di essere legittimamente impedito, si procederà in sua assenza».
Il Tribunale rimettente denuncia la norma nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima.
Il Tribunale dà conto che il procedimento disciplinare a carico del ricorrente è stato promosso a seguito della sentenza di condanna del Tribunale di Agrigento che lo ha riconosciuto responsabile del reato di falso, previsto dall'art. 479 del codice penale, per aver redatto una falsa relazione di servizio, che, successivamente, la condanna è stata confermata dalla Corte d'appello di Palermo e che il ricorso per cassazione avverso quest'ultima decisione è stato dichiarato inammissibile.
Il Tribunale rimettente riporta le numerose censure mosse dal ricorrente nel giudizio principale avverso il decreto disciplinare impugnato e riferisce che l'amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
In punto di non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale ritiene che la norma impugnata, oltre a violare l'art. 3 Cost., «sarebbe incompatibile con il pieno esercizio del diritto di difesa riconosciuto dall'art. 24 Cost. che lo estende alla garanzia dell'assistenza tecnica che può, tipicamente e professionalmente, essere assicurata da un avvocato del libero Foro oltre che da un dipendente della P.A.».
Al riguardo, il Tribunale rammenta che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 497 del 2000, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 34 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura) che, al pari della norma oggetto di censura, imponeva all'incolpato di farsi assistere soltanto da un difensore appartenente alla propria amministrazione e che, pertanto, le motivazioni addotte allora dalla Corte costituzionale possono essere «sovrapponibili» per la decisione del caso in esame. Richiama, in proposito, quanto dalla Corte costituzionale precisato nella citata pronuncia in ordine alla «pienezza della tutela paragiurisdizionale» che – secondo il Tribunale rimettente – sarebbe funzionale al corretto e regolare svolgimento delle funzioni dell'amministrazione di pubblica sicurezza e al suo prestigio.
Il Tribunale ritiene, inoltre, la norma impugnata illegittima tenuto conto che, da un lato, l'art. 16 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449 (Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell'art. 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), prevede, per il personale appartenente al Corpo della polizia penitenziaria, sottoposto a procedimento disciplinare, la possibilità che lo stesso si possa fare assistere anche da un avvocato e che, dall'altro, l'art. 55, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), con riguardo al personale del settore del pubblico impiego contrattualizzato, non pone limiti alla nomina di un difensore.
Infine, il Tribunale rimettente, in punto di rilevanza, osserva che la questione di costituzionalità «va ritenuta rilevante per la definizione del presente giudizio […] nei termini di cui in motivazione».
2. – È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
In via preliminare, la difesa erariale eccepisce l'insufficienza della motivazione dell'ordinanza di remissione in ordine alla rilevanza della questione e, nel merito, sostiene l'infondatezza della questione proposta, con riferimento al principio di eguaglianza, quanto al termine di paragone costituito dal procedimento disciplinare dei magistrati (art. 34 del regio decreto legislativo n. 511 del 1946), attesa la diversità tra i due procedimenti disciplinari posti in comparazione e considerato il peculiare carattere giurisdizionale di quello relativo ai magistrati (sentenza n. 497 del 2000).
La difesa erariale sostiene peraltro l'infondatezza della questione, con riferimento all'asserita violazione dell'art. 3 Cost., anche quanto alle altre due categorie indicate dal rimettente, stante la diversità delle discipline dei procedimenti poste a confronto.
Quanto alla dedotta violazione dell'art. 24 Cost., la difesa erariale esclude che la mancanza nella norma denunciata di una previsione esplicita della possibilità di avvalersi dell'assistenza di un avvocato possa costituire di per sé motivo di illegittimità costituzionale per violazione del principio di difesa, considerato che la garanzia sancita dall'art. 24 Cost. si riferisce «al procedimento giurisdizionale» (sentenze nn. 122 e 32 del 1974). Richiama in proposito il costante orientamento della Corte costituzionale secondo cui «l'esercizio della funzione disciplinare nell'ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni, si esprime con modalità diverse, in conseguenza dell'ampia discrezionalità legislativa in materia» (sentenze n. 351 del 1989 e nn. 202 e 119 del 1995).
Conclude l'Avvocatura sostenendo che, nel caso in esame, il diritto di difesa è comunque assicurato in quanto al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, la norma non impedisce una piena ed efficace possibilità di contraddittorio, essendo consentito l'accesso agli atti ed essendo prevista la facoltà di depositare, nel giorno fissato per la trattazione orale, una memoria scritta, con la possibilità di produrre anche nuovi elementi di prova. Del resto, ribadisce l'Avvocatura generale dello Stato, l'interessato può esperire i mezzi di tutela giurisdizionale previsti dalla legge avverso il provvedimento disciplinare adottato dall'amministrazione.


Considerato in diritto
1. – Il Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), per violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui consente al dipendente dell'amministrazione di pubblica sicurezza, sottoposto a procedimento disciplinare, di essere assistito esclusivamente da un difensore appartenente all'amministrazione medesima.
2. – In via preliminare, va disattesa l'eccezione di inammissibilità prospettata dalla difesa erariale atteso che il Tribunale rimettente ha indicato in modo sufficiente le ragioni per le quali ritiene di dover fare applicazione della norma censurata nella fattispecie oggetto del giudizio principale.
3. – La questione non è fondata in relazione agli artt. 24 e 3 della Costituzione.
La Corte ha affermato che la garanzia costituzionale del diritto di difesa (art. 24 Cost.) è limitata al procedimento giurisdizionale e non può, quindi, essere invocata in materia di procedimento disciplinare che, viceversa, ha natura amministrativa e sfocia in un provvedimento non giurisdizionale (sentenze n. 289 del 1992 e nn. 122 e 32 del 1974).
Ha, tuttavia, sottolineato che l'art. 24 Cost. se indubbiamente si dispiega nella pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento ai procedimenti giurisdizionali, non manca tuttavia di riflettersi in maniera più attenuata sui procedimenti amministrativi, in relazione ai quali, in compenso, si impongono al più alto grado le garanzie di imparzialità e di trasparenza che circondano l'agire amministrativo (sentenze n. 460 del 2000 e n. 505 del 1995).
Un procedimento disciplinare che, come quello in esame, può concludersi con la destituzione, tocca le condizioni di vita della persona, incidendo sulla sua sfera lavorativa, e richiede perciò il rispetto di garanzie procedurali per la contestazione degli addebiti e per la partecipazione dell'interessato al procedimento.
In tale ambito, secondo i principi che ispirano la disciplina del «patrimonio costituzionale comune» relativo al procedimento amministrativo (sentenza n. 104 del 2006), desumibili dagli obblighi internazionali, dall'ordinamento comunitario e dalla legislazione nazionale (art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, recante «Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952», art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, nonché la legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente «Nuove norme sul procedimento amministrativo»), vanno garantiti all'interessato alcuni essenziali strumenti di difesa, quali la conoscenza degli atti che lo riguardano, la partecipazione alla formazione dei medesimi e la facoltà di contestarne il fondamento e di difendersi dagli addebiti (sentenze n. 460 del 2000 e nn. 505 e 126 del 1995). Nello stesso senso, secondo l'interpretazione della Corte di giustizia delle Comunità europee, il diritto di difesa «impone che i destinatari di decisioni che pregiudichino in maniera sensibile i loro interessi siano messi in condizione di far conoscere utilmente il loro punto di vista» (Corte di giustizia, sentenza 24 ottobre 1996, C-32/95 P., Commissione Comunità europea c. Lisrestal).
Con particolare riferimento al procedimento disciplinare relativo ai dipendenti delle forze armate, questa Corte ha ribadito che «deve essere salvaguardata una possibilità di contraddittorio che garantisca il nucleo essenziale di valori inerenti ai diritti inviolabili della persona […] quando possono derivare per essa sanzioni che incidono su beni, quale il mantenimento del rapporto di servizio o di lavoro, che hanno rilievo costituzionale» (sentenza n. 356 del 1995).
Da quanto osservato si evince che il diritto di difesa non ha una applicazione piena, nell'ambito dei procedimenti amministrativi. Donde consegue che non possa considerarsi manifestamente irragionevole la decisione del legislatore di consentire che l'accusato ricorra ad un difensore, ma di limitare, in considerazione della funzione svolta (tutela dell'ordine pubblico), la sua scelta ai dipendenti della stessa amministrazione.
Pertanto, la mancata previsione, nella norma censurata, della possibilità di nominare quale difensore un avvocato, «anche se il legislatore potrebbe nella sua discrezionalità prevederla seguendo un modello di più elevata garanzia» (sentenza n. 356 del 1995), non viola né il diritto di difesa, né il principio di ragionevolezza, considerato che la stessa norma consente all'inquisito di partecipare al procedimento e di difendere le proprie ragioni.
3.2. – Neppure risulta violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento della categoria dei dipendenti dell'amministrazione di pubblica sicurezza rispetto alle tre categorie evocate in comparazione.
In premessa va ricordato che «l'esercizio della funzione disciplinare nell'ambito del pubblico impiego, della magistratura e delle libere professioni si esprime con modalità diverse che caratterizzano i relativi procedimenti a volte come amministrativi, altre volte come giurisdizionali, […] in rispondenza a scelte del legislatore, la cui discrezionalità in materia di responsabilità disciplinare spazia entro un ambito molto ampio» (sentenza n. 145 del 1976).
In primo luogo, a differenza di quanto sostiene il giudice rimettente, le argomentazioni della Corte costituzionale formulate nella sentenza n. 497 del 2000 in relazione alla disciplina del procedimento a carico dei magistrati incolpati, prevista dall'art. 34 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), non sono affatto «sovrapponibili» alla decisione della questione in esame. Secondo quanto più volte affermato da questa Corte, tale procedimento «si svolge secondo moduli giurisdizionali» (sentenza n. 145 del 1976) in base al principio costituzionale di garanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura sancito dall'art. 101 della Costituzione. Quindi, esso non è comparabile con il procedimento disciplinare degli altri settori della pubblica amministrazione (sentenza n. 289 del 1992).
In secondo luogo, la norma censurata non è comparabile né con la disciplina del procedimento a carico degli impiegati civili dello Stato prevista dall'art. 55, comma 5, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), né con quella prevista per il personale del Corpo di polizia penitenziaria dall'art. 16 del decreto legislativo 30 ottobre 1992, n. 449 (Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell'art. 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395), attesa la disomogeneità delle categorie poste a confronto, caratterizzate da assetti ordinamentali molto diversi.


per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti), sollevata, con riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Sicilia - sezione staccata di Catania, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2008.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA

Re: Attività difensiva al collega e trattamento di missione

Inviato: lun apr 30, 2012 2:18 pm
da panorama
Ecco il tutto

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"Ecco un breve anticipo"

Corte Costituzionale
Massime e sentenze tratte dal sito http://www.cortecostituzionale.it" onclick="window.open(this.href);return false;
Impiego pubblico - Procedimento disciplinare a carico di agente di P.S. -Obbligo dell'incolpato di avvalersi esclusivamente di un difensore appartenente all'amministrazione della P.S. - Ingiustificato deteriore trattamento degli agenti di P.S. rispetto ai magistrati, a seguito della sentenza della corte n. 497/2000 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma di analogo contenuto riguardante i magistrati stessi.

omissis
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