Ricorso perso.
La sentenza qui sotto pubblicata, richiama anche quella della Sardegna n. 93/2014, da me qui postata in data 13/11/2014, nonché quella n. 87/2017.
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1) - ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995.
2) - arruolato il 7.1.1981 e posto in quiescenza il 18.11.2017.
3) - Tale trattamento era motivato dall'Istituto per non avere il D.., alla data del 31.12.1995, maturato un'anzianità contributiva pari a 18 anni e quindi per non trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.
4) - Sostiene, invece, parte ricorrente di aver maturato a detta data un servizio contributivo utile alla quiescenza di anni 17 mesi 11 e giorni 23 e di avere, pertanto, diritto a che tale periodo sia considerato pari a 18 anni, in forza dell’art. 3 della legge 274/1991, del quale chiede l'applicazione.
5) - Sulla base di tale previsione, dunque, il sig. D.. chiede che la propria anzianità contributiva sia quantificata alla suddetta data in 18 anni, dovendo arrotondarsi la quota residua di 23 giorni ad un mese intero, portando così l’anzianità contributiva al periodo richiesto dall’art. 1 comma 13 L. 1995/335 per l’applicazione del sistema retributivo anche oltre la data del 31.12.1995.
6) - Tale lettura troverebbe conferma, sempre secondo il ricorrente, nella circolare INPDAP n. 14 16/03/1998 ed in alcune pronunce delle Sezioni giurisdizionali di questa Corte (in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017) che hanno ritenuto corretta l’applicazione analogica dell’art. 3 della legge 274/91 con conseguente arrotondamento a mese intero della frazione di mese superiore a quindici giorni.
N.B.: leggete il tutto qui sotto.
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LOMBARDIA SENTENZA 54 20/03/2018
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SEZIONE ESITO NUMERO ANNO MATERIA PUBBLICAZIONE
LOMBARDIA SENTENZA 54 2018 PENSIONI 20/03/2018
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SENT. N. 54/2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE REGIONALE PER LA LOMBARDIA
IL GIUDICE UNICO DELLE PENSIONI
Primo Referendario Dott. ssa Giuseppina Veccia
in esito alla pubblica udienza del 6 febbraio 2018 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28982 del registro di Segreteria promosso da GIUSEPPE D.., nato a ….. (TP) il ……… 1963, C.F. …………., residente a Milano in via ……., assistito e rappresentato dall’Avv. Vincenzo A. Spezziga, presso lo studio del quale in Milano, Piazzetta Guastalla n. 1, FAX 031.300664, indirizzo PEC
vincenzo.spezziga@como.pecavvocati.it, ha eletto domicilio;
contro
INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale - sede di Roma e sede di Milano, in persona del legale rappresentante p.t.;
per
il riconoscimento del diritto del ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995;
,
Visti gli atti di causa;
Udite, alla pubblica udienza del 6 febbraio 2018, le parti comparse, come da verbale;
Premesso in
FATTO
Con il presente giudizio D.. Giuseppe, ex dipendente dell’Ente Centro Unico Stipendiale Esercito, arruolato il 7.1.1981 e posto in quiescenza il 18.11.2017 - ha presentato ricorso avverso la determinazione INPS - sede di Milano, prot. n.4900.24/10/2017.0421493 del 24.10.2017 con cui l'Istituto ha liquidato la pensione, intestata al medesimo ricorrente, applicandovi il sistema misto, vale a dire retributivo per la quota di pensione corrispondente alla parte di servizio prestata fino al 31.12.1995 e contributivo per la quota di pensione corrispondente alla parte di servizio prestato successivamente alla predetta data.
Tale trattamento era motivato dall'Istituto per non avere il D.., alla data del 31.12.1995, maturato un'anzianità contributiva pari a 18 anni e quindi per non trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.
Sostiene, invece, parte ricorrente di aver maturato a detta data un servizio contributivo utile alla quiescenza di anni 17 mesi 11 e giorni 23 e di avere, pertanto, diritto a che tale periodo sia considerato pari a 18 anni, in forza dell’art. 3 della legge 274/1991, del quale chiede l'applicazione.
Sulla base di tale previsione, dunque, il sig. D.. chiede che la propria anzianità contributiva sia quantificata alla suddetta data in 18 anni, dovendo arrotondarsi la quota residua di 23 giorni ad un mese intero, portando così l’anzianità contributiva al periodo richiesto dall’art. 1 comma 13 L. 1995/335 per l’applicazione del sistema retributivo anche oltre la data del 31.12.1995.
Detta conclusione non sarebbe inficiata, per il ricorrente, dalla circostanza che l’art. 59, comma primo, lettera b) della legge 27 dicembre 1997, n.449 ha escluso, a partire dal 2 gennaio 1998, arrotondamenti per eccesso o per difetto della frazione di anno dell'anzianità contributiva e ciò sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, previsione che, nella prospettazione attorea, si riferirebbe esclusivamente al disposto dell’art. 40 comma secondo del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 senza alcuna incidenza, dunque, sulla possibilità di arrotondamento al mese intero della frazione di servizio superiore ai 15 giorni, previsto, ai fini pensionistici, dall’art. 3 della legge 274/1991.
Tale lettura troverebbe conferma, sempre secondo il ricorrente, nella circolare INPDAP n. 14 16/03/1998 ed in alcune pronunce delle Sezioni giurisdizionali di questa Corte (in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017) che hanno ritenuto corretta l’applicazione analogica dell’art. 3 della legge 274/91 con conseguente arrotondamento a mese intero della frazione di mese superiore a quindici giorni.
Pertanto, le conclusioni del ricorso sono per il riconoscimento e la dichiarazione, nei confronti dell’INPS, del diritto del ricorrente al calcolo e alla percezione della pensione con il cosiddetto sistema “retributivo” fino alla data del 31 dicembre 2011 e non solo fino al 31 dicembre 1995, con conseguente annullamento del provvedimento adottato da INPS - sede di Milano, prot. n.4900.24/10/2017.0421493 del 24.10.2017, nella parte in cui ha liquidato la pensione del Sig. D.. Giuseppe con il sistema contributivo e non con il sistema retributivo, per la quota corrispondente al servizio prestato dal 31.12.1995 al 31.12.2011, con condanna dello stesso Istituto ad effettuare il ricalcolo della pensione secondo il criterio retributivo fino al 31.12.2011.
Con memoria depositata il 26 gennaio 2018 si è costituito l'INPS opponendo di aver dato mera applicazione alla lettera dell’art. 1, commi 12 e 13, della legge 1995 n. 335, espliciti nell'escludere dal regime retributivo puro coloro che alla data del 31/12/1995 non avessero ancora maturato 18 anni di anzianità di servizio.
Ogni altra lettura sarebbe, per l'Istituto previdenziale, impedita dall'art. 59, comma 1, lett. b) , della legge 1997 n. 449 che ha espressamente escluso l'arrotondamento per le frazioni di anno e dunque - ritiene l'Amministrazione - anche dei giorni e delle settimane che sono, come i mesi, anch'essi frazioni di anno.
Inoltre, la legge 1991 n. 274, art. 3, che prevede l’arrotondamento, essendo anteriore sia alla riforma del 1995 sia alla legge del 1997, sarebbe da ritenersi tacitamente abrogata.
In ogni caso l'interpretazione propugnata dal ricorrente avrebbe il vizio - rileva ancora l'INPS - di dovere essere esclusa in eventuale fattispecie opposta a quella in esame, in cui un ricorrente, avendo maggiore interesse a che il proprio trattamento pensionistico sia calcolato con il sistema contributivo, invochi l'applicazione delle legge secondo il testo letterale, con esclusione, dunque, di ogni arrotondamento. Per tali argomentazioni, quindi, l'INPS ha chiesto il rigetto del ricorso promosso dal sig. D.., in quanto infondato in fatto ed in diritto, con vittoria di spese ed onorari di causa.
All'udienza del 6 febbraio 2018, l’avv. Vincenzo Angelo Spezziga per la parte attrice e l'avv. Giulio Peco per l'INPS, si sono riportati alle rispettive conclusioni in atti e la causa è stata posta in decisione – provvedendosi all’esito della camera di consiglio a dare lettura in udienza del dispositivo e ad esporre le ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione depositata nell’ordinario termine di legge.
Ritenuto in
DIRITTO
La questione oggetto del presente giudizio è il riconoscimento del diritto del ricorrente al ricalcolo del proprio trattamento pensionistico con il cosiddetto sistema “retributivo” fino al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995, a seguito dell'applicazione, in via analogica, della disposizione di cui all'art.3, comma 1, della L. 8 agosto 1991, n.274, c.d "arrotondamento" che così dispone: "Per le cessazioni dal servizio a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell'articolo 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965 , il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore".
Ora, di tale norma, che riguarda le pensioni degli iscritti alle (non più esistenti) casse pensioni degli Istituti di previdenza, il ricorrente chiede l'applicazione anche al proprio trattamento pensionistico. Questo giudice non ignora che fattispecie analoghe sono state già poste al vaglio di questa Corte, pronunciatasi con sentenze favorevoli all'accoglimento della tesi attorea ( in particolare, Sezione Giurisdizionale Sardegna n. 93/2014 e n. 87/2017 e, per ultimo questa sez. Lombardia con sentenza n.16/2018 ).
Tuttavia la prospettazione ivi espressa non appare condivisibile per argomentazioni che trovano fondamento nei principi generali dell'ordinamento e qui di seguito esposte.
Infatti, l’orientamento favorevole ad una persistente applicazione del c.d. arrotondamento di cui allart.3, della L.n.274/91 - pure affermato dall’INPDAP nella circolare del 1998 invocata dal ricorrente e poi ritenuto dallo stesso Istituto previdenziale superato dalle riforme del sistema pensionistico intervenute nel 2007 e nel 2011 - è stato condiviso nei precedenti giurisprudenziali citati, sulla base della considerazione che, non avendo il legislatore mai esteso ai dipendenti pubblici il sistema di calcolo dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore privato, in cui il periodo di base a detti fini è costituito dalla settimana coperta da contribuzione obbligatoria, ed in difetto di norma direttamente disciplinante la fattispecie, sarebbe giustificato il ricorso all’analogia, facendo applicazione di una norma dettata per un regime previdenziale (quello degli iscritti alle ex Casse pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma comunque a quest’ultimo più assimilabile rispetto a quello vigente per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria.
Tale orientamento non convince in ragione dei principi generali in materia di interpretazione delle leggi.
Prendendo, infatti, le mosse dall'art.12 preleggi, il ricorso all'analogia è consentito quando, esclusa l'interpretazione letterale, volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate, e la c.d. interpretazione logica, che mira a definire il contenuto della norma in base allo scopo che il legislatore ha inteso realizzare nell'emenarla, permangano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche e per le quali il giudice deve far riferimento alle regole della fattispecie simile (analogia legis).
I presupposti, dunque per l'applicazione analogica, sub specie di analogia legis risiedono, anzitutto, nel difetto di norme che regolino il caso in questione ed, in secondo luogo, nella ravvisabile somiglianza tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non prevista, che consenta di applicare anche all'ipotasi non disciplinata, l'eadem ratio.
Ove, poi, il caso rimanga ancora privo di un dettato normativo, il giudice farà riferimento ai principi generali dell'ordinamento giuridico (analogia iuris).
In entrambe le ipotesi, dunque, l'applicazione analogica presuppone una lacuna normativa.
Nel caso in esame alcun vuoto normativo è ravvisabile.
Dispone, infatti, l'art. 1, commi 12 e 13 della L.335/95 che per i lavoratori iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 del medesimo articolo che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione è determinata dalla somma della quota a) calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data e dalla quota b) di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive, calcolato secondo il sistema contributivo.
Solo per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al comma 6 che alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, il successivo comma 13 prevede che la pensione sia interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo.
A fronte del chiaro e compiuto disposto normativo che prevede, per l'applicazione del sistema retributivo puro, un'anzianità contributiva di "almeno 18 anni", intendendo con tale espressione un periodo contributivo certo e determinato, alcuno spazio interpretativo si apre per consentire l'applicazione di una norma che, in altro ambito (ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell'articolo 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965) permette di calcolare il complessivo servizio utile arrotondando a mese intero la frazione del mese superiore a quindici giorni.
In assenza di lacuna normativa, non vi è luogo per l'applicazione, in via analogica, della disposizione più volte richiamata.
Né tantomeno, potrebbe giungersi al risultato auspicato dal ricorrente mediante l'applicazione analogica dei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, essendo evidente che non esiste alcun principio generale che imponga di superare il tenore letterale della norma ove prevede "almeno 18 anni" sostituendovi il diverso contenuto "almeno 17 anni 11 mesi e 15 giorni".
Né, inoltre, una tale lettura risponderebbe a criteri di interpretazione c.d. funzionale che, talvolta, ha indotto la giurisprudenza a forzare il tenore letterale delle norme in osservanza di principi generali dell'ordinamento nazionale o di derivazione comunitaria.
Una tale ipotesi è agevolmente rinvenibile, sempre in ambito pensionistico, nell'opera nomofilattica delle Sezioni Riunite che hanno introdotto temperamenti alla regola generale della ripetibilità dell'indebito pensionistico in ragione della tutela dell'affidamento del pensionato (cfr. SS.RR. 2/2012/QM).
Nel caso di specie, invece, alcun interesse superiore potrebbe giustificare una forzatura del chiaro ed inequivoco dettato normativo di cui ai citati commi 12 e 13 dell'art.1 , L,335/95 , atteso che la lettura auspicata dal ricorrente non risponde neanche ad un generale principio di favor del pensionato, potendo verificarsi, come correttamente evidenziato dall'Istituto resistente, un caso opposto in cui un altro pensionato, con un medesimo periodo contributivo del ricorrente, abbia maggiore interesse all'applicazione al proprio trattamento pensionistico del sistema contributivo e, dunque, certo non vorrebbe che - facendo dire al legislatore ciò che non ha detto - si applicasse al suo caso il c.d. arrotondamento.
Da escludere, infine, è anche un'applicazione estensiva allart. 3, della L. n. 274/91 che consentisse di estenderne la portata a disciplinare anche fattispecie per le quali sia ravvisabile una eadem ratio.
Tale operazione è preclusa, ad avviso di questo Giudice, dall'art. 14 delle preleggi che vieta di applicare oltre i casi ed i tempi in esse considerati le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali.
Ed il rapporto che esite tra una norma che prevede un termine certo ed un'altra che, in uno specifico ambito, ne consente una riduzione per arrotondamento, è ben riconducibile alla relazione regola-eccezione di cui al richiamato art. 14 delle preleggi. Detta conclusione, peraltro, risulta suffragata dalla circostanza che l’art. 59, comma primo, lettera b) della legge 27 dicembre 1997, n.449 ha escluso, a partire dal 2 gennaio 1998, arrotondamenti per eccesso o per difetto della frazione di anno dell'anzianità contributiva e ciò sia ai fini del diritto che della misura della prestazione, a conferma di una regola generale che, nel computo dell'anzianità contributiva, non ammette se non il dato letterale.
In conclusione, per le argomentazioni sopra esposte, non avendo il ricorrente D.. maturato, alla data del 31.12.1995, un'anzianità contributiva pari ad anni 18, bensì pari ad anni 17, mesi 11 e giorni 23, non può trovare applicazione al suo caso la norma di cui all’art. 1, comma 13 della L. 8.8.1995 n. 335.
Il ricorso, pertanto, non trova accoglimento e deve essere respinto.
La particolarità della questione e l'esistenza di un non univoco orientamento giurisprudenziale costituiscono giusto motivo per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
la Sezione giurisdizionale regionale per la Lombardia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando,
RESPINGE
il ricorso promosso da GIUSEPPE D.. ed indicato al n.28982 del Registro di segreteria. Spese compensate.
Così deciso in Milano, il 6 febbraio 2018.
IL GIUDICE
Giuseppina Veccia
DEPOSITO IN SEGRETERIA IL 20/03/2018