Notizia pubblicata in data odierna da uno dei maggiori quotidiani economici Nazionali
Buona lettura
confronto all’interno della maggioranza sulla manovra sta entrando nel vivo. Anche perché manca ormai meno di un mese alla presentazione della Nota di aggiornamento al Def con cui verrà di fatto stabilito il perimetro della prossima legge di bilancio. E quello delle pensioni è uno dei capitoli
sui quali la tensione nel centrodestra
potrebbe salire notevolmente nei
prossimi giorni, e non solo perché Fi
continua a insistere sull’aumento
delle minime. Uno dei possibili snodi
nevralgici della manovra è rappresentato
dall’indicizzazione degli assegni
pensionistici alla corsa dell’inflazione,
che sta leggermente rallentando
ma viaggia ancora con un’andatura
sostenuta. Già lo scorso anno
il governo Meloni ha fatto scattare
una stretta garantendo l’adeguamento
solo ai trattamenti fino a quattro
volte il minimo (2.101,52 euro) e
penalizzando progressivamente quelli
più elevati attraverso un meccanismo
a cinque fasce. Il tutto ha consentito
di ridurre la spesa di circa 10 miliardi
già nel triennio.
E sempre per la necessità
di recuperare nuove risorse
sembra ora destinata a scattare una
stretta bis, che colpirebbe le tre fasce
più “ricche”: quelle superiori a sei volte
il minimo (tra i 3.152,28 e 4.203 euro),
a sette volte (tra 4.203 e 5.253,38
euro) e a otto volte il minimo (oltre i
5.253,38 euro) per le quali la perequazione
è al momento fissata, rispettivamente,
al 47%, al 37% e al 32%.
La decisione non è stata ancora
presa. Ma l’ipotesi è sul tavolo già da
qualche settimana e i tecnici di Inps e
Ragioneria generale dello Stato hanno
cominciato a elaborare le prime simulazioni.
Un nuovo taglio all’indicizzazione
sarebbe una scelta che potrebbe
avere una ricaduta negativa in
termini di consensi per il governo, soprattutto
in vista delle elezioni europee
del giugno 2024. Ma ha come ha
più volte detto il ministro dell’Economia,
Giancarlo Giorgetti, e come ha
anche lasciato intendere la stessa
premier Giorgia Meloni, la coperta
della prossima manovra si presenta
abbastanza corta.
Nonostante la Lega abbia più volte
ripetuto che una delle priorità della
legge di bilancio dovrà essere
l'aumento di stipendi e pensioni, un
nuovo taglio, seppure non troppo
marcato, consentirebbe di recuperare
il solo prossimo anno almeno un
miliardo. Anche se l’obiettivo non
troppo nascosto tra i tecnici dell’esecutivo
è di ricavare non meno di 1,5-2
miliardi. Che tra l’altro consentirebbero
di finanziare tutto il pacchetto
pensioni (proroga di Quota 103, Ape
sociale e Opzione donna in una versione
rivisitata) e di garantire una
piccola dote di partenza per l’aumento
delle pensioni più basse. E se l’impianto
delle coperture della legge di
bilancio non dovesse rivelarsi adeguato,
a finire nel mirino sarebbe anche
la fascia degli assegni tra le quattro
e le cinque volte il minimo (da
2.101,53 a 2.627 euro), che al momento
è “indicizzata” all’85%.
Il quadro sarà più chiaro in prossimità
dell’approvazione della Nadef.
Per gli aumenti delle pensioni minime
potrebbe invece andare in scena
un’operazione in due tappe. In prima
battuta la conferma dell’aumento a
600 euro degli over 75, che si dovrebbe
esaurire a fine anno, accompagnato
da un ritocco dell’assegno e durante
la navigazione parlamentare della
manovra l’eventuale irrobustimento
(risorse permettendo) di tutti gli altri
trattamenti bassi.