Foglio di via obbligatorio
Inviato: ven gen 17, 2020 11:24 am
ricorso al Tar accolto,
1) - partecipazione nel corso dei mesi di novembre e dicembre 2018 e gennaio 2019 a numerose manifestazioni non autorizzate davanti lo stabilimento della Italpizza S.p.A. sita in Modena, organizzate dal sindacato S.I.Cobas,
2) - Il ricorrente è attualmente in pensione ed è stato quando lavorava delegato FIOM per il Partito della Rifondazione Comunista.
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SENTENZA BREVE sede di BOLOGNA, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 202000022,
Pubblicato il 15/01/2020
N. 00022/2020 REG. PROV. COLL.
N. 00989/2019 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 989 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Marina Prosperi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Cesare Battisti 33;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
per l'annullamento
del provvedimento di foglio di via obbligatorio ex artt. 1 e 2 D. Lgs 159/2011 con diffida dal fare ritorno nel Comune di Modena per la durata di due anni dalla data di notifica del provvedimento, salvo specifica e preventiva autorizzazione, emesso dal Questore di Modena in data 22.10.2019;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2020 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori Marina Prosperi e Mario Zito;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente impugnava il provvedimento indicato in epigrafe con il quale veniva diffidato dal fare ritorno nel Territorio del Comune di Modena, per la durata di tre anni tre.
L’atto impugnato veniva motivato sulla scorta della sua partecipazione nel corso dei mesi di novembre e dicembre 2018 e gennaio 2019 a numerose manifestazioni non autorizzate davanti lo stabilimento della Italpizza S.p.A. sita in Modena, organizzate dal sindacato S.I.Cobas, nel corso delle quali i partecipanti avrebbero attuato un blocco di merci, ostacolando gli automezzi in entrata e in uscita dal suddetto stabilimento, con l'effetto di provocare il congestionamento del traffico; inoltre nelle stesse circostanze, si sarebbe creato un clima di tensione sempre crescente con le Forze di Polizia presenti, che in alcuni casi sarebbe sfociata in vera e propria violenza nei confronti delle stesse;
In conseguenza di ciò il ricorrente era stato denunciato in relazione all’episodio del 21.1.2019 per i reati previsti dagli artt. 110 c.p. e 18 TULPS; in passato era stato condannato per un episodio risalente al 18.4.1975 per il reato di cui all’art. 336 c.p.
Inoltre il ricorrente non avrebbe alcun legittimo motivo di rimanere a Modena dove non ha la residenza anagrafica, nè prossimi congiunti in grado di provvedere alla sua sussistenza e ove non svolge, in detta città, alcuna attività lavorativa.
Il ricorrente è attualmente in pensione ed è stato quando lavorava delegato FIOM per il Partito della Rifondazione Comunista.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 3 e 10 L. 241/1990.
Il provvedimento impugnato afferma che il ricorrente non ha fatto pervenire alcuno scritto difensivo che invece era stato presentato tramite posta elettronica in data 24.7.2019.
Rispetto alle considerazioni ivi svolte non vi era alcuna confutazione nel provvedimento che avrebbe dovuto riportare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione alle risultanze istruttorie.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1 e 2 D.lgs. 159/2011.
Il provvedimento impugnato si fonda su una serie di denunce per i reati indicati in precedenza peraltro tutti commessi fuori dal Comune di Modena, tranne in un caso. Manca, inoltre, una valutazione specifica delle condotte pose in essere in concreto dal ricorrente.
Si tratta di denunce, di cui peraltro non si conosce l’esito, presentate nei confronti di un soggetto che riveste un ruolo attivo dal punto di vista sindacale e solo in occasione di manifestazioni di protesta contro la parte datoriale. Il ricorrente sarebbe stato identificato solo due volte nell'arco di diverse manifestazioni indette dal Sindacato Intercategoriale Cobas.
In alcuni procedimenti penali sorti nelle stesse circostanza, le denunce per violenza privata sono state archiviate dal Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta anche della Procura competente, sulla base del fatto che la condotta contestata sarebbe scriminata dall'art. 51 c.p.
Requisito imprenscindibile per irrogare la misura di prevenzione contestata, è l’essere dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica e il provvedimento del Questore deve quindi fondarsi necessariamente su circostanze concrete che, oltre ad essere provate, devono anche essere ritenute significative e concludenti, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento.
Nel caso di specie gli elementi posti a fondamento del provvedimento impugnato non sono ed idonei a far ritenere il ricorrente dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica, anche perché quest’ultimo non appare riconducibile ad una delle categoria cui possono applicarsi le misure di prevenzione.
Sul punto, occorre sottolineare che con la sentenza 24/2019 la Corte Costituzionale ha sottolineato l'esigenza di rispettare, anche per il diritto per la prevenzione, essenziali esigenze di garanzie di tassatività sostanziale, inerente alla precisione, alla determinatezza e alla prevedibilità degli elementi costituitivi della fattispecie legale, che costituisce oggetto di prova, ed altrettanti essenziali garanzie di tassatività processuale, attinenti invece alle modalità di accertamento probatorio in giudizio.
Nel provvedimento impugnato, dunque, non vengono indicate specificamente le modalità aggressive per la sicurezza e la tranquillità pubblica, in quanto la semplice presenza del ricorrente sul luogo della manifestazione e in alcune fasi concitate della vertenza sindacale non possono ritenersi sufficienti per l'irrogazione del foglio di via obbligatorio.
Il provvedimento impugnato, inoltre, è carente nella motivazione per il suo generico richiamo alle mere segnalazioni di polizia senza un'indagine sulle effettive conseguenze che le stesse hanno avuto presso l'Autorità Giudiziaria.
Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno che concludeva per il rigetto del ricorso.
Il ricorso è fondato.
Questo Collegio si era già espresso su un ricorso che può considerarsi perfettamente sovrapponibile a quello in esame quanto a presupposti di fatto e di diritto. Si tratta della sentenza 653/2019 dove è stato affermato che “Il presupposto per applicare una misura prevenzione è l'appartenenza ad una delle categorie dell'art. 1: la sola delle categorie che astrattamente potrebbe applicarsi alla ricorrente è al terza (c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Ma l'appartenere a movimenti sindacali che siano particolarmente attivi sul piano delle manifestazioni pubbliche a difesa dei lavoratori che talvolta possono trascendere in manifestazioni caratterizzate dall'uso di una qualche forma di violenza che possono costituire reato non può automaticamente far attribuire alla persona la categoria di persona pericolosa per l'ordine pubblico.
La ricorrente (....) non ha precedenti penali e gli unici procedimenti pendenti riguardano condotte tenute in occasione di manifestazioni sindacali tutt'ora sub iudice. Non vi è alcuna prova che la ricorrente appartenga ad una delle categorie, individuate dall'art. 1 D.lgs 159/2011, per classificare le persone socialmente pericolose; la stessa svolge il suo compito di rappresentante sindacale e se talvolta nel corso di manifestazioni a tutela dei lavori la sua condotta sia uscita o dovesse uscire dai canoni di legalità, sarà denunciata per la sua condotta, ma ciò non rileverà ai fini di una difesa sociale da attuarsi da una misura di prevenzione.
Le misure di prevenzione debbono essere irrogate a persone che vivono abitualmente di reati e la cui presenza in un certo territorio è l'occasione per commetterli.
Non è uno strumento per colpire i soggetti che, per motivi politici o sindacali, possono assumere atteggiamenti oppositivi con le forze dell'ordine”.
Tale pronunciamento è stato confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 7575/2019 di cui è opportuno riportare alcuni passaggi: “per l'adottabilità del foglio di via obbligatorio sono richiesti elementi di fatto, attuali e concreti, sulla base dei quali può essere formulato un giudizio prognostico sulla probabilità che il soggetto commetta reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica, perchè, diversamente, si finirebbe per fondare la misura sulla responsabilità collettiva per fatti addebitabili ad anonimi esponenti di un gruppo o, come nel caso di specie, di un movimento sindacale”, affermando successivamente che “la semplice presenza in un picchetto di molte persone finalizzato ad ostacolare gli automezzi in entrata e in uscita dallo stabilimento industriale, non connotata da elementi fattuali che consentono di tracciare specifici e individuali condotte di violenza o minaccia da parte di un determinato soggetto, non può integrare da solo sintomo di pericolosità sociale a carico di questo, se non si vuole trasformare il diritto di prevenzione e, in particolare, il foglio di via obbligatorio in un surrettizio, indebito, strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica….il picchettaggio non può ritenersi attività in sé vietata o pericolosa, rientrando nel legittimo esercizio del diritto di sciopero, purché non avvenga con modalità violente o minacciose tali da condizionare la libertà dei lavoratori non scioperanti o da mettere in repentaglio, appunto, la pubblica sicurezza.
Il picchettaggio è definibile come un complesso di comportamenti materiali di diversa natura, aventi come carattere comune la tendenza a rafforzare la partecipazione la riuscita, l'efficacia di uno sciopero e più specificamente si è detto che “sotto la nozione di picchettaggio si ricomprendono tutte le quelle attività e quei metodi posti in essere per gli scioperanti per indurre i lavoratori dissenzienti a non accedere nei luoghi di lavoro per fornire la prestazione lavorativa.
(... .) Non è questa la sede per esaminare, in astratto, la complessa natura del diritto del picchettaggio, quale forma del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), e l'altrettanto complesso problema che investe i limiti della sua liceità penale, con particolare riferimento al blocco di merci e/o della circolazione stradale, né, come detto, è questa la sede, in concreto, per valutare se i fatti siano penalmente sanzionabili”.
Nel caso di specie è sufficiente riportarsi a tali valutazioni per osservare quell’obbligo di sinteticità imposto dall’art. 3 c.p.a. limitandosi a fare una precisazione per chiarire che non il Collegio non esprime una giurisprudenza ondivaga. Dopo il ricorso deciso con l’accoglimento nella sentenza richiamata 653/2019, questo giudice ha esaminato un’altra vicenda che presentava caratteristiche analoghe decidendo, con la sentenza 781/2019, di confermare il provvedimento del Questore.
In quel caso, però, vi erano state molte più denunce e condanne per condotte pregresse tanto da far ritenere che l’attività sindacale fosse costantemente condotta ricorrendo a modalità illecite; si tratta comunque di un’eccezione ad un’impostazione sempre osservata da questo Collegio anche nel caso di appartenenti a movimenti politici antagonisti come nel caso della sentenza 667/2017 che annullò il provvedimento preventivo in quanto “Nel caso in esame vi è un generico riferimento a condotte che astrattamente possono essere considerate reato ma che sono poste in essere per ragioni politiche e senza profitto personale”.
Il provvedimento va, in conclusione, annullato con condanna dell’Amministrazione alle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Ministero dell’Interno a rifondere le spese di giudizio che liquida in € 2.000 oltre accessori ed alla restituzione del contributo unificato ove versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Umberto Giovannini, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ugo De Carlo Giuseppe Di Nunzio
IL SEGRETARIO
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N.B.: - Non si sa se ci sarà appello.
1) - partecipazione nel corso dei mesi di novembre e dicembre 2018 e gennaio 2019 a numerose manifestazioni non autorizzate davanti lo stabilimento della Italpizza S.p.A. sita in Modena, organizzate dal sindacato S.I.Cobas,
2) - Il ricorrente è attualmente in pensione ed è stato quando lavorava delegato FIOM per il Partito della Rifondazione Comunista.
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SENTENZA BREVE sede di BOLOGNA, sezione SEZIONE 1, numero provv.: 202000022,
Pubblicato il 15/01/2020
N. 00022/2020 REG. PROV. COLL.
N. 00989/2019 REG. RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 989 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avv. Marina Prosperi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Bologna, via Cesare Battisti 33;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Bologna, domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
per l'annullamento
del provvedimento di foglio di via obbligatorio ex artt. 1 e 2 D. Lgs 159/2011 con diffida dal fare ritorno nel Comune di Modena per la durata di due anni dalla data di notifica del provvedimento, salvo specifica e preventiva autorizzazione, emesso dal Questore di Modena in data 22.10.2019;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2020 il dott. Ugo De Carlo e uditi per le parti i difensori Marina Prosperi e Mario Zito;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente impugnava il provvedimento indicato in epigrafe con il quale veniva diffidato dal fare ritorno nel Territorio del Comune di Modena, per la durata di tre anni tre.
L’atto impugnato veniva motivato sulla scorta della sua partecipazione nel corso dei mesi di novembre e dicembre 2018 e gennaio 2019 a numerose manifestazioni non autorizzate davanti lo stabilimento della Italpizza S.p.A. sita in Modena, organizzate dal sindacato S.I.Cobas, nel corso delle quali i partecipanti avrebbero attuato un blocco di merci, ostacolando gli automezzi in entrata e in uscita dal suddetto stabilimento, con l'effetto di provocare il congestionamento del traffico; inoltre nelle stesse circostanze, si sarebbe creato un clima di tensione sempre crescente con le Forze di Polizia presenti, che in alcuni casi sarebbe sfociata in vera e propria violenza nei confronti delle stesse;
In conseguenza di ciò il ricorrente era stato denunciato in relazione all’episodio del 21.1.2019 per i reati previsti dagli artt. 110 c.p. e 18 TULPS; in passato era stato condannato per un episodio risalente al 18.4.1975 per il reato di cui all’art. 336 c.p.
Inoltre il ricorrente non avrebbe alcun legittimo motivo di rimanere a Modena dove non ha la residenza anagrafica, nè prossimi congiunti in grado di provvedere alla sua sussistenza e ove non svolge, in detta città, alcuna attività lavorativa.
Il ricorrente è attualmente in pensione ed è stato quando lavorava delegato FIOM per il Partito della Rifondazione Comunista.
Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 3 e 10 L. 241/1990.
Il provvedimento impugnato afferma che il ricorrente non ha fatto pervenire alcuno scritto difensivo che invece era stato presentato tramite posta elettronica in data 24.7.2019.
Rispetto alle considerazioni ivi svolte non vi era alcuna confutazione nel provvedimento che avrebbe dovuto riportare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche in relazione alle risultanze istruttorie.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 1 e 2 D.lgs. 159/2011.
Il provvedimento impugnato si fonda su una serie di denunce per i reati indicati in precedenza peraltro tutti commessi fuori dal Comune di Modena, tranne in un caso. Manca, inoltre, una valutazione specifica delle condotte pose in essere in concreto dal ricorrente.
Si tratta di denunce, di cui peraltro non si conosce l’esito, presentate nei confronti di un soggetto che riveste un ruolo attivo dal punto di vista sindacale e solo in occasione di manifestazioni di protesta contro la parte datoriale. Il ricorrente sarebbe stato identificato solo due volte nell'arco di diverse manifestazioni indette dal Sindacato Intercategoriale Cobas.
In alcuni procedimenti penali sorti nelle stesse circostanza, le denunce per violenza privata sono state archiviate dal Giudice per le Indagini Preliminari, su richiesta anche della Procura competente, sulla base del fatto che la condotta contestata sarebbe scriminata dall'art. 51 c.p.
Requisito imprenscindibile per irrogare la misura di prevenzione contestata, è l’essere dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica e il provvedimento del Questore deve quindi fondarsi necessariamente su circostanze concrete che, oltre ad essere provate, devono anche essere ritenute significative e concludenti, ai fini del giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento.
Nel caso di specie gli elementi posti a fondamento del provvedimento impugnato non sono ed idonei a far ritenere il ricorrente dedito alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica, anche perché quest’ultimo non appare riconducibile ad una delle categoria cui possono applicarsi le misure di prevenzione.
Sul punto, occorre sottolineare che con la sentenza 24/2019 la Corte Costituzionale ha sottolineato l'esigenza di rispettare, anche per il diritto per la prevenzione, essenziali esigenze di garanzie di tassatività sostanziale, inerente alla precisione, alla determinatezza e alla prevedibilità degli elementi costituitivi della fattispecie legale, che costituisce oggetto di prova, ed altrettanti essenziali garanzie di tassatività processuale, attinenti invece alle modalità di accertamento probatorio in giudizio.
Nel provvedimento impugnato, dunque, non vengono indicate specificamente le modalità aggressive per la sicurezza e la tranquillità pubblica, in quanto la semplice presenza del ricorrente sul luogo della manifestazione e in alcune fasi concitate della vertenza sindacale non possono ritenersi sufficienti per l'irrogazione del foglio di via obbligatorio.
Il provvedimento impugnato, inoltre, è carente nella motivazione per il suo generico richiamo alle mere segnalazioni di polizia senza un'indagine sulle effettive conseguenze che le stesse hanno avuto presso l'Autorità Giudiziaria.
Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno che concludeva per il rigetto del ricorso.
Il ricorso è fondato.
Questo Collegio si era già espresso su un ricorso che può considerarsi perfettamente sovrapponibile a quello in esame quanto a presupposti di fatto e di diritto. Si tratta della sentenza 653/2019 dove è stato affermato che “Il presupposto per applicare una misura prevenzione è l'appartenenza ad una delle categorie dell'art. 1: la sola delle categorie che astrattamente potrebbe applicarsi alla ricorrente è al terza (c) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sicurezza o la tranquillità pubblica.
Ma l'appartenere a movimenti sindacali che siano particolarmente attivi sul piano delle manifestazioni pubbliche a difesa dei lavoratori che talvolta possono trascendere in manifestazioni caratterizzate dall'uso di una qualche forma di violenza che possono costituire reato non può automaticamente far attribuire alla persona la categoria di persona pericolosa per l'ordine pubblico.
La ricorrente (....) non ha precedenti penali e gli unici procedimenti pendenti riguardano condotte tenute in occasione di manifestazioni sindacali tutt'ora sub iudice. Non vi è alcuna prova che la ricorrente appartenga ad una delle categorie, individuate dall'art. 1 D.lgs 159/2011, per classificare le persone socialmente pericolose; la stessa svolge il suo compito di rappresentante sindacale e se talvolta nel corso di manifestazioni a tutela dei lavori la sua condotta sia uscita o dovesse uscire dai canoni di legalità, sarà denunciata per la sua condotta, ma ciò non rileverà ai fini di una difesa sociale da attuarsi da una misura di prevenzione.
Le misure di prevenzione debbono essere irrogate a persone che vivono abitualmente di reati e la cui presenza in un certo territorio è l'occasione per commetterli.
Non è uno strumento per colpire i soggetti che, per motivi politici o sindacali, possono assumere atteggiamenti oppositivi con le forze dell'ordine”.
Tale pronunciamento è stato confermato dal Consiglio di Stato con la sentenza 7575/2019 di cui è opportuno riportare alcuni passaggi: “per l'adottabilità del foglio di via obbligatorio sono richiesti elementi di fatto, attuali e concreti, sulla base dei quali può essere formulato un giudizio prognostico sulla probabilità che il soggetto commetta reati che offendono o mettono in pericolo la tranquillità e la sicurezza pubblica, perchè, diversamente, si finirebbe per fondare la misura sulla responsabilità collettiva per fatti addebitabili ad anonimi esponenti di un gruppo o, come nel caso di specie, di un movimento sindacale”, affermando successivamente che “la semplice presenza in un picchetto di molte persone finalizzato ad ostacolare gli automezzi in entrata e in uscita dallo stabilimento industriale, non connotata da elementi fattuali che consentono di tracciare specifici e individuali condotte di violenza o minaccia da parte di un determinato soggetto, non può integrare da solo sintomo di pericolosità sociale a carico di questo, se non si vuole trasformare il diritto di prevenzione e, in particolare, il foglio di via obbligatorio in un surrettizio, indebito, strumento di repressione della libertà sindacale e del diritto di sciopero e, in ultima analisi, in una misura antidemocratica….il picchettaggio non può ritenersi attività in sé vietata o pericolosa, rientrando nel legittimo esercizio del diritto di sciopero, purché non avvenga con modalità violente o minacciose tali da condizionare la libertà dei lavoratori non scioperanti o da mettere in repentaglio, appunto, la pubblica sicurezza.
Il picchettaggio è definibile come un complesso di comportamenti materiali di diversa natura, aventi come carattere comune la tendenza a rafforzare la partecipazione la riuscita, l'efficacia di uno sciopero e più specificamente si è detto che “sotto la nozione di picchettaggio si ricomprendono tutte le quelle attività e quei metodi posti in essere per gli scioperanti per indurre i lavoratori dissenzienti a non accedere nei luoghi di lavoro per fornire la prestazione lavorativa.
(... .) Non è questa la sede per esaminare, in astratto, la complessa natura del diritto del picchettaggio, quale forma del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), e l'altrettanto complesso problema che investe i limiti della sua liceità penale, con particolare riferimento al blocco di merci e/o della circolazione stradale, né, come detto, è questa la sede, in concreto, per valutare se i fatti siano penalmente sanzionabili”.
Nel caso di specie è sufficiente riportarsi a tali valutazioni per osservare quell’obbligo di sinteticità imposto dall’art. 3 c.p.a. limitandosi a fare una precisazione per chiarire che non il Collegio non esprime una giurisprudenza ondivaga. Dopo il ricorso deciso con l’accoglimento nella sentenza richiamata 653/2019, questo giudice ha esaminato un’altra vicenda che presentava caratteristiche analoghe decidendo, con la sentenza 781/2019, di confermare il provvedimento del Questore.
In quel caso, però, vi erano state molte più denunce e condanne per condotte pregresse tanto da far ritenere che l’attività sindacale fosse costantemente condotta ricorrendo a modalità illecite; si tratta comunque di un’eccezione ad un’impostazione sempre osservata da questo Collegio anche nel caso di appartenenti a movimenti politici antagonisti come nel caso della sentenza 667/2017 che annullò il provvedimento preventivo in quanto “Nel caso in esame vi è un generico riferimento a condotte che astrattamente possono essere considerate reato ma che sono poste in essere per ragioni politiche e senza profitto personale”.
Il provvedimento va, in conclusione, annullato con condanna dell’Amministrazione alle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Ministero dell’Interno a rifondere le spese di giudizio che liquida in € 2.000 oltre accessori ed alla restituzione del contributo unificato ove versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2020 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Di Nunzio, Presidente
Umberto Giovannini, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Ugo De Carlo Giuseppe Di Nunzio
IL SEGRETARIO
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N.B.: - Non si sa se ci sarà appello.