GERRY54 ha scritto: ↑mar mar 12, 2019 4:07 pm
Mi dispiace ma il link non si apre, comunque questa è la notizia:
Il Luogotenente dei carabinieri, assistito dall’avvocato Michele Cipriani, ha vinto in primo grado (scontato il ricorso in appello delle amministrazioni battute) e così è riuscito a farsi riconoscere quattro anni di servizio in più pari agli anni in cui, in diversi mesi per volta, è stato impegnato in missioni all’estero sotto l’egida dell’Onu.
Il Luogotenente dei carabinieri ha battuto ministero della Difesa, Comando generale dell’Arma dei carabinieri e Inps perché la Corte dei Conti (Pasquale Fava è il consigliere che ha pronunciato la sentenza), ha sottolineato come con gli interventi sul tema la Corte Costituzionale «ha dichiarato la ragionevolezza nel complesso del sistema legislativo che progressivamente nel tempo ha attribuito ai militari all’estero benefici stipendiali e previdenziali specifici, circostanza che implica la non necessità di estendere ai militari all’estero “non per conto Onu”, i benefici attribuiti ai combattenti nelle campagne di guerra tra il 1940 e il 1945, a cui possono essere equiparati solo i miliari all’estero per conto dell’Onu.
Quindi per la Corte dei Conti «il ricorrente ha svolto, per quattro anni, un periodo di servizio militare all’estero per conto Onu superiore a tre mesi da equipararsi, ex lege, alle campagne di guerra, con consequenziale maturazione del diritto all’aumento all’anzianità di servizio.
Nell’opporsi alla richiesta di una pensione più ricca, tra l’altro, il Comando generale dell’Arma, nella ricostruzione fatta dalla sentenza della Corte dei Conti, ha spiegato che la corretta interpretazione della legge su cui si è giocata la sfida doveva riferirsi non ai militari attivi all’estero per conto delle Forze armate italiane, ma per chi ha operato nelle forze multinazionali come fanno i caschi blu.
Questa sentenza in appello non ha scampo:
Sezione
: SEZIONI RIUNITE
Esito: SENTENZA
Numero: 21
Anno: 2018
Materia: PENSIONI
Data pubblicazione: 02/07/2018
Sentenza n. 21/2018/QM
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE
composta dai signori magistrati:
Mario PISCHEDDA Presidente
Tommaso BRANCATO Consigliere
Domenico GUZZI Consigliere
Elena TOMASSINI Consigliere relatore
Luisa de PETRIS Consigliere
Chiara VETRO Consigliere
Maria Rita MICCI Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio iscritto al n. 602/SR/QM del registro di Segreteria delle Sezioni
Riunite, ai sensi degli artt. 11 e 114 e seguenti del codice di giustizia
contabile, promosso con ordinanza n. 013/2018 del 20 febbraio 2018,
depositata l'11 aprile 2018, della I Sezione giurisdizionale centrale d'Appello,
nell’ambito del giudizio n. 51891 del Ruolo Generale Appelli, proposto dal
Ministero della Difesa, avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale
regionale per il Friuli Venezia Giulia n. 2/2016, depositata il 19 gennaio 2016,
contro B., assistito e difeso dall' Avvocato Carlo Borello ed elettivamente
domiciliato presso il suo studio in Roma, via San Tommaso D'Aquino n. 116,
giusta procura speciale allegata alla memoria di costituzione nel presente
giudizio.
Vista l'ordinanza del Presidente della Corte dei conti con la quale è stata
determinata la composizione delle Sezioni Riunite;
Visti i decreti presidenziali n.42 del 20 aprile 2018,di composizione del
Collegio, n. 43 in data 23 aprile 2018, di fissazione dell'udienza en. 53, del 10
maggio 2018, di nomina del relatore;
Vista l'ordinanza n. 13/2018, depositata l'11 aprile 2018, della I Sezione
giurisdizionale centrale di Appello e tutti gli atti e documenti di causa;
Uditi, all'udienza del 6 giugno 2018, con l'assistenza della Segretaria, signora
Adele Mei, il relatore Consigliere Elena Tomassini, i dr. Alfredo Venditti e
Michele Grisolia per il Ministero della Difesa, l'Avv. Carlo Borello per il sig. B.
G. e il Vice Procuratore Generale Antongiulio Martina.
Ritenuto in
FATTO
Con l'ordinanza indicata in epigrafe la I Sezione giurisdizionale d'Appello di
questa Corte dei conti ha deferito a queste Sezioni Riunite la seguente
Questione di Massima:
“Se ai militari che hanno prestato servizio per conto dell'ONU in zone di
intervento, spettino, ai fini pensionistici, i benefici combattentistici di cui al
combinato disposto dell'articolo unico della legge n. 1746/1962, dell'art. 18 del
d.p.r. n. 1092 del 1973 e dell'art. 3 della legge 390/1950”.
La questione di massima è stata sollevata nel giudizio di appello, proposto dal
Ministero della Difesa, avverso la sentenza n. 2 del 2016 della Sezione
giurisdizionale regionale del Friuli Venezia Giulia.
Il Giudice di primo grado, in parziale accoglimento del ricorso del sig. B. G.,
ufficiale dell'Esercito in quiescenza, dopo aver declinato la propria
giurisdizione per quanto riguarda l'indennità di buonuscita, pure oggetto della
pretesa, in favore del Giudice amministrativo, ha dichiarato l’avvenuto
decorso del termine prescrizionale quinquennale dei ratei antecedenti il primo
atto interruttivo.
Nel merito, ha riconosciuto il diritto del ricorrente, ai fini pensionistici e
previdenziali, ai benefici combattentistici e, in particolare, alla
supervalutazione dei periodi di servizio svolti in missioni all'estero, per conto
dell'ONU, in zone d'intervento ricomprese nell'elenco allegato alle apposite
determinazioni dello Stato Maggiore della Difesa.
Per la decisione impugnata, l’interprete non può arbitrariamente restringere il
perimetro applicativo dell’art. unico della legge n. 1746 del 1962 ai soli
benefici stipendiali, in assenza di un’espressa previsione in tal senso.
Il Ministero della Difesa, con l’appello, ha denunciato, quali motivi di diritto,
l’erronea e falsa applicazione dell’art. unico della legge n. 1746 del 1962 e
dell’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092del 1973, nonché dell’art. 3 della
legge n. 390 del 1950. L’Amministrazione ha dedotto che le missioni svolte
per conto dell'ONU non possono essere valorizzate ai fini pensionistici, non
essendo qualificabili come “campagne di guerra”. Ha, quindi, chiesto la
riforma della decisione impugnata con il conseguente diniego dei benefici
richiesti.
Il Giudice di appello, con l’ordinanza di rimessione, ha dato atto dell’esistenza
di un contrasto orizzontale, sia in primo che in secondo grado, in analoghe
fattispecie.
Il remittente ha dedotto che per una parte della giurisprudenza (Sezione I
centr. App., sentenze nn. 552/2015 e 230/2016, Sez. Giur. Veneto n.
172/2016 Sezione giur. Puglia nn. 160 e 377 del 2016, sez. Emilia Romagna
n. 113 del 2016, Sez. Giur. Lazio n. 388 del 2014) il servizio prestato dai
militari impegnati per conto dell'ONU in zone di intervento non è meritevole
dei predetti benefici, perché la legge n. 390 del 1950 individua tassativamente
il periodo temporale di svolgimento delle campagne di guerra (11 giugno
1940-8 maggio 1945), oltre ad indicare le modalità del relativo computo.
Secondo la richiamata giurisprudenza, sotto altro profilo, il servizio prestato
per conto dell'ONU non sarebbe, neppure, ontologicamente assimilabile alle
“campagne di guerra”, trattandosi di missioni “di pace”. Per il riconoscimento
del computo delle campagne di guerra ai fini dei benefici pensionistici,
dunque, occorrerebbe il riconoscimento formale da parte del Ministero della
Difesa, con iscrizione nei documenti caratteristici dei militari, che, quindi,
presupporrebbe obbligatoriamente la sussistenza dello “stato di guerra”,
formalmente dichiarato ai sensi della Carta costituzionale.
Per altra parte della giurisprudenza, definita maggioritaria dalla Sezione
remittente, il chiaro disposto della legge 11 dicembre 1962, n. 1746, invece,
consente l’equiparazione del servizio prestato dal militare “in zone di
intervento per conto dell'ONU” al servizio di guerra; per effetto dell’estensione
operata dalla legge n. 1746 del 1962, dunque, i benefici combattentistici di
ogni natura (non solo stipendiali, ma anche pensionistici) spettano al
personale in questione (Sezione I Centr. App., n. 845 del 2013, Sez. Giur.
Piemonte, n. 234/2009, Sez. Giur. Sardegna, n. 325 del 2015, Sez. Giur.
Puglia n. 456/2015, Sez. Giur. Emilia Romagna n. 78 del 2015, sez. Giur.
Valle d'Aosta n. 1 del 2010, sez. Giur. Friuli Venezia Giulia n. 242/2011).
L’ordinanza ha dato anche atto dell'intervento, nel periodo intercorso tra il
deposito della sentenza di primo grado e l'impugnazione, della sentenza della
Corte costituzionale n. 240 del 2016, che ha dichiarato non fondata la
questione di legittimità costituzionale della legge n. 1746 del 1962, nella parte
in cui esclude i benefici in questione a favore dei militari impegnati in missioni
per conto dell'ONU, pur non ritenendo abrogata la citata norma.
Tuttavia, stante la natura “interpretativa di rigetto” della decisione, non
vincolante erga omnes, per il Giudice remittente essa non può ritenersi utile a
dirimere, in via definitiva, l’indicato contrasto e, di conseguenza, ha chiesto a
queste Sezioni riunite di esprimersi sulla questione di massima prima
enunciata.
Nel presente giudizio si sono costituiti la Procura Generale in data 23 maggio
2018, la parte appellata, signor B. G., rappresentato e difeso dall'Avv. Carlo
Borello, il 24 maggio 2018 e il Ministero della difesa, con memoria depositata
il 28 maggio 2018, rappresentato e difeso dal Direttore generale, Dr.ssa
Maura Paolotti e/o da un suo delegato.
La Procura Generale, dopo aver ricostruito la vicenda, ha preliminarmente
dato atto, ai fini dello scrutinio di ammissibilità della questione, della
sussistenza di un contrasto giurisprudenziale orizzontale in secondo grado,
tale da richiedere la pronuncia delle Sezioni adite in punto di diritto.
Ha negato, invece, la rilevanza della questione dedotta. Secondo il
Requirente, infatti, l'appellato ha svolto servizi per conto di una forza
multinazionale – IFOR – Inplementation Force a comando NATO – NAC –
North Atlantic Council, subentrata alla Forza multinazionale dell'ONU
(UNIPRO-FOR – United Nations Protection Force) con funzioni di peace
keeping, nonché per conto della Forza multinazionale SFOR – Stabilization
Force – a comando NATO. Entrambe le missioni di pace, autorizzate
dall'ONU, sono peraltro ricomprese nell'elenco di cui alla determinazione del
Capo di Stato Maggiore della Difesa in data 10 maggio 2013 e altresì coperte
dal d.l. 1 luglio 1996, n. 346, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge n. 428 del 1996 e dall'art. 4-bis del d.l. 31.01.1997, n.
12.
Dunque, tutte le operazioni svolte dall’appellato non sarebbero qualificabili
come operazioni di “polizia internazionale dell'ONU”, previste dall'art. 53 dello
Statuto della suddetta Organizzazione. Detta disposizione normativa, infatti,
distingue nettamente le azioni coercitive esercitate dall'ONU sotto la sua
direzione da quelle – come nella specie – subordinate alla mera
autorizzazione dell'Organizzazione internazionale e condotte sotto la
direzione del Consiglio Atlantico.
È, quindi, da escludere la sussistenza del necessario presupposto dello
svolgimento del servizio “per conto dell'ONU” e pertanto da disapplicare, in
quanto illegittima, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 2248/1865, all. E, la
determinazione dello Stato Maggiore della Difesa che ha ricompreso nelle
zone di intervento dell'ONU – ai sensi della legge n. 1746 del 1962 – le
suddette operazioni.
In via subordinata, il Requirente ha chiesto di dare alla formulata questione di
massima una soluzione negativa, sulla base delle approfondite esegesi e
interpretazione della normativa di riferimento (art. 18 del d.P.R. n. 1092 del
1973, art. 3 della legge n. 390 del 1953 e art. 1868 del d. lgs. n. 66 del 2010
(Codice dell'ordinamento Militare).
Il riconoscimento di un periodo di servizio come “campagna di guerra” deve,
infatti, essere stabilito da un'apposita previsione normativa, che, nella specie,
manca, poiché le campagne di guerra sono state individuate esclusivamente
– in base ad appositi provvedimenti legislativi – in relazione a conflitti specifici
(prima guerra mondiale, guerra di Etiopia, guerra di Spagna e seconda guerra
mondiale), che quindi costituiscono, in assenza di successivi interventi del
legislatore, un numerus clausus.
La normativa citata dal remittente, secondo il Requirente, non è dunque
risolutiva ai fini ermeneutici: infatti, l'art. 3 della legge n. 390 del 1950 si limita
a disciplinare i requisiti di ordine temporale per il riconoscimento, come
campagne di guerra, dei periodi di partecipazione al secondo conflitto
mondiale, mentre l'articolo unico della legge n. 1746 del 1962 stabilisce
l’estensione dei benefici previsti per i “combattenti” al personale militare che
abbia prestato o presti servizio in zone di intervento.
Ha evidenziato, poi, la Procura che, per l'art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973,
l'aumento di valutazione del servizio riguarda esclusivamente i periodi,
debitamente computati, delle campagne di guerra “riconosciute ai sensi delle
disposizioni vigenti in materia”. Per i benefici combattentistici è prevista,
invece, altra disciplina, di cui all'art. 1 della legge n. 336 del 1970 e alla legge
n. 824 del 1971. Quest'ultima norma, peraltro, esclude espressamente
l'applicabilità dei benefici combattentistici al personale di cui alla legge
n. 1746 del 1962.
Trattandosi di norme di stretta interpretazione, non sarebbe neppure possibile
utilizzare l’analogia per riconoscere i benefici anche al personale militare
impegnato nelle operazioni per conto dell'ONU. Infatti, le missioni svolte per
tale Organizzazione internazionale sono dirette al mantenimento della pace,
quindi, svolte in assenza della dichiarazione dello stato di guerra, subordinata
alla deliberazione delle Camere, su proposta del Presidente della Repubblica,
a norma degli artt. 78 e 87 della Costituzione.
La soluzione propugnata, secondo la Procura Generale, troverebbe, poi,
ulteriore conforto nella giurisprudenza amministrativa di vertice e, da ultimo,
nella sentenza della Corte Costituzionale n. 240 del 2016, che ha dichiarato
non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, con riferimento
all'articolo unico della legge n. 1746 del 1962, dal T.A.R. del Friuli Venezia
Giulia.
La Consulta ha, infatti, sottolineato la distinzione tra le campagne di guerra e
le missioni ONU; in tale contesto, i partecipanti a tali ultime operazioni sono
contemplati da alcune disposizioni speciali, come l'art. 2, comma 3, del d.P.R.
n. 1092 del 1973, che hanno esteso loro le provvidenze riservate ai
partecipanti alle campagne di guerra. È stato, altresì, preso atto del mutato
quadro normativo dopo l’approvazione della legge n. 1746 del 1962, in
ragione del quale sono stati graduati gli emolumenti aggiuntivi e le indennità
attribuiti non in maniera generalizzata, ma tenendo conto dello specifico
teatro operativo e degli obiettivi della singola missione.
Nel valorizzare la citata pronuncia, ancorché di rigetto e non vincolante erga
omnes, il Requirente ha evidenziato che, a differenza da quanto ritenuto dal
Giudice di primae curae, la disposizione di cui all'art. unico della legge n.
1746 del 1962, oltre a spiegare effetti sul trattamento di attività in termini di
anticipata progressione economica - ai sensi degli artt. 7 e 9 del R.D.L. n.
1427 del 1922 - sul trattamento degli ufficiali con qualifica dirigenziale, dà
diritto, per i suddetti militari, alla maggiorazione del trattamento pensionistico
per gli ex combattenti ai sensi dell'art. 6 della legge n. 140 del 1985.
Conclusivamente, la Procura Generale ha chiesto di dichiarare
l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza e, in via subordinata,
di dare soluzione negativa al quesito.
Si è costituito, anche nel presente giudizio, l'appellato B. G., con l’Avv.
Borello.
Dopo aver ricostruito la normativa di riferimento, ha sostenuto che, ai sensi
dell'art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'articolo unico della legge n. 1746
del 1962 i benefici – non solo retributivi, ma anche pensionistici di
supervalutazione del servizio prestato – si riferiscono alle “campagne di
guerra”. Tra esse rientrerebbero, a suo avviso, anche le missioni svolte per
conto dell'ONU nelle zone di intervento, individuate ogni due anni dallo Stato
maggiore della Difesa.
Nel richiamare la giurisprudenza amministrativa favorevole, ha altresì
sottolineato che la decisione del Consiglio di Stato n. 5172 del 2014, di segno
contrario, offre un'interpretazione contrastante con l'art. 3 della Costituzione.
Deve quindi ritenersi, per evitare un evidente vulnus al principio di
eguaglianza tra i vari destinatari dei benefici combattentistici, che rientrino
nella platea degli aventi diritto i militari, anche di qualifica non dirigenziale,
che abbiano svolto servizio per conto dell'ONU nell'ambito delle zone di
operazioni, individuate dallo Stato Maggiore della Difesa.
Ha concluso, pertanto, per la soluzione della proposta questione di massima
nel senso del riconoscimento, per i militari che hanno prestato servizio per
conto dell'ONU in zone di intervento, dei benefici combattentistici di cui al
combinato disposto dell'articolo unico della legge n. 1746/1962, dell'articolo
18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'art. 3 della legge n. 390 del 1950, con
vittoria di spese, onorari e rimborso forfettario delle spese.
Il Ministero della Difesa, con memoria depositata lo scorso 28 maggio,
ha eccepito, preliminarmente, l’assenza di un contrasto giurisprudenziale
orizzontale tra le Sezioni di Appello. Infatti, alla decisione favorevole
all’interpretazione estensiva dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962,
citata dal remittente, hanno fatto seguito numerose pronunce di secondo
grado di segno contrario. Di conseguenza, attesa l’inesistenza di un contrasto
nella giurisprudenza di vertice, che si è attestata per la soluzione negativa,
non è sufficiente una pronuncia, rimasta isolata, a configurare il presupposto
necessario per la rimessione della questione in sede di Q.M..
L’interpretazione data alla questione dalla Corte costituzionale, poi, ha
escluso che la mancata estensione dei benefici previsti per i combattenti nelle
campagne di guerra ai partecipanti alle missioni svolte per conto dell’ONU sia
in contrasto con l’art. 3 della Costituzione.
Il conflitto con l’art. 11 della Carta fondamentale, ad avviso
dell’Amministrazione, sarebbe, invece, rinvenibile nel caso in cui i benefici
fossero riconosciuti, in assenza, per di più, del necessario presupposto della
dichiarazione dello stato di guerra, deliberata dai competenti organi.
Dunque, poiché il servizio svolto sotto l’egida dell’ONU è volto a ristabilire la
pace, mancherebbero i presupposti per il riconoscimento degli aumenti
previsti esclusivamente per le campagne di guerra.
Di conseguenza, il Ministero ha concluso perché queste Sezioni Riunite diano
una soluzione negativa alla questione di massima proposta.
All'udienza del 6 giugno 2018 il dr. Grisolia, presente, unitamente al dr.
Venditti, per il Ministero della Difesa, pur dando atto della sussistenza di
un’ulteriore pronuncia della Sezione I di appello favorevole al riconoscimento
dei benefici, ha dedotto che il contrasto è, al più, sussistente all’interno della
Sezione I centrale e non costituisce presupposto giustificativo della questione
di massima proposta, con conseguente inammissibilità. Ha, poi, ribadito, a
sostegno della soluzione negativa del quesito proposto, l’autorevolezza
ermeneutica della sentenza della Corte costituzionale n. 240 del 2016, della
decisione del Consiglio di Stato, nonché il contrasto con le norme
costituzionali che presuppongono la necessaria deliberazione dello stato di
guerra per la sussistenza delle relative campagne.
Nel merito, ha negato l’estensione dei benefici di supervalutazione del
servizio svolto per conto dell’ONU, trattandosi di operazioni di stabilizzazione
della pace e al di fuori dall’ambito delle campagne di guerra. Accedendo alla
soluzione positiva, peraltro, si porrebbe un problema della duplice
considerazione del servizio reso ai medesimi fini, essendo già previste norme
che considerano ulteriori benefici per detti servizi, ai sensi dell’art. 59, comma
1, lett. a) della legge n. 449 del 1997 che stabilisce il limite massimo in cinque
anni. Ha, dunque, chiesto al Collegio di dare soluzione negativa alla
questione.
Ha preso, poi, la parola il dr. Venditti, il quale ha ribadito l’insussistenza delle
condizioni per una supervalutazione dei servizi svolti per conto dell’ONU,
richiamando la giurisprudenza del Consiglio di Stato, intervenuta
sull’indennità di buonuscita, e la decisione della Corte costituzionale; ha poi
sostenuto, alla luce della legge n. 449 del 1997, l’impossibilità di superare i
cinque anni di supervalutazione del servizio. Conclusivamente, ha chiesto di
dichiarare l’inammissibilità della questione e, e nel merito, di dare al quesito
una soluzione negativa.
L’avv. Borello, per l’appellato, si è riportato alla memoria depositata,
chiedendo, invece, di dare al quesito una soluzione favorevole al
riconoscimento dei benefici.
Il V.P.G. Martina ha richiamato i propri scritti, ribadendo la sussistenza di un
contrasto giurisprudenziale in secondo grado, anche a seguito della decisione
del 2017 della I Sezione Centrale e, di conseguenza, l’ammissibilità della
deferita questione sotto questo profilo.
Ne ha sostenuto, invece, l’irrilevanza, perché le missioni svolte dall’appellato
sono missioni NATO e non “per conto dell’ONU”.
Ha concluso, in ordine al merito, per una soluzione negativa della questione,
mancando i presupposti per il riconoscimento delle campagne di guerra, in
assenza di un’equiparazione di dette missioni. In virtù della natura
eccezionale dell’istituto della supervalutazione dei servizi, non ne è possibile
un’interpretazione analogica al di fuori dei casi espressamente previsti dal
legislatore, in disparte la necessaria risoluzione di problemi pratici, poiché per
ogni conflitto è stata prevista un’apposita disciplina legislativa.
Ha, poi, precisato, che, contrariamente a quanto ritenuto da alcune pronunce,
vi è un’apposita disposizione per coloro che non hanno titolo ai benefici
combattentistici, con conseguente maggiorazione pensionistica; quindi,
l’argomentazione cardine di molte decisioni favorevoli è destituita di
fondamento.
Ha, quindi, concluso in via preliminare per una dichiarazione di inammissibilità
della questione per irrilevanza e, in via subordinata e nel merito, ha chiesto
che alla stessa venga data soluzione negativa.
La causa è stata, quindi, rimessa in decisione.
DIRITTO
1. Le Sezioni Riunite devono preliminarmente valutare se il quesito sottoposto
alla loro attenzione sia ammissibile e rilevante.
1.1 Circa il primo profilo, va innanzitutto valutata l’eccezione sollevata dal
Ministero della Difesa, che ha negato la sussistenza di un contrasto
orizzontale in secondo grado.
L’attuale disciplina in materia dei requisiti per la proposizione delle questioni
di massima a queste Sezioni Riunite, di cui agli artt. 114 e seguenti del codice
di giustizia contabile, dispone testualmente, al primo comma, che “Le Sezioni
giurisdizionali di appello possono deferire alle sezioni riunite in sede
giurisdizionale la soluzione di questioni di massima, d’ufficio o anche a
seguito di istanza formulata dal procuratore generale o da ciascuna delle parti
del giudizio di impugnazione”. La sussistenza di indirizzi interpretativi o
applicativi difformi è, invece, prevista al comma terzo del citato articolo, che
riguarda la legittimazione del Presidente della Corte dei conti e del
Procuratore generale a deferire la risoluzione di questioni di massima o di
“questioni di diritto”.
La norma del C.g.c. segue la precedente disciplina dell’art. 1, comma 7, del
d.l. n. 453 del 15.11.1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 19 del
14.01.1994, come integrato dal II comma dell’art. 42 della legge 18 giugno
2009, n 69.
1.2 Alla luce dell’esame della disciplina attualmente vigente deve, quindi,
escludersi che, secondo un’interpretazione strettamente letterale del testo
normativo, sia prevista, ai fini del deferimento della questione di massima in
grado di appello, la sussistenza di contrasti giurisprudenziali; tale condizione
era, invece, espressamente contemplata dall’art. 4 della legge n. 161 del
21.03.1953 (“Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”).
La giurisprudenza formatasi anche sotto la vigenza della disciplina
precedente all’entrata in vigore del codice odierno, tuttavia, che, come sopra
riportato, analogamente a quella attuale, non prevedeva la sussistenza del
contrasto, aveva sempre ribadito la possibilità di deferire la risoluzione della
questione di massima nel caso di un contrasto orizzontale tra sezioni di
appello; esse svolgono infatti “un primo essenziale ruolo nomofilattico di
armonizzazione e di consolidamento interpretativo del diritto vivente” (Sezioni
Riunite, n. 10/Q.M./2011; n. 1/Q.M./2010 e n. 8/Q.M./2010).
Anche di recente, comunque, pur dandosi atto della mancanza di un’espressa
previsione normativa, si è ribadita la necessità di intervento delle Sezioni
Riunite sia nel caso di un contrasto orizzontale in appello, sia nel caso di
“difficoltà interpretative di particolare rilevanza per la necessità di risolvere un
punto di diritto specificamente controverso” (cfr. Sezioni riunite, n.
2/2018/Q.M.).
Deve, quindi ritenersi che anche se il legislatore non ha previsto expressis
verbis la sussistenza di un contrasto orizzontale in secondo grado, detta
condizione costituisca un elemento imprescindibile per la proposizione delle
questioni di massima alle Sezioni Riunite; diversamente opinando, il comma 1
dell’art. 114 c.g.c. sarebbe privo di ogni contenuto. Il contrasto, infatti, non fa
altro che evidenziare quella che è, poi, il presupposto previsto dal comma 3
dell’art. 114, ossia la difficoltà interpretativa della questione.
1.3 Venendo all’esame della questione proposta, contrariamente a quanto
eccepito dal Ministero della Difesa, sussiste, effettivamente, un contrasto
orizzontale in secondo grado, tale da evidenziare un’evidente difficoltà
interpretativa della normativa richiamata e che impone una soluzione
uniforme, “al fine di evitare inammissibili differenziazioni tra vicende
processuali identiche” (Sezioni riunite, n. 4/2010/Q.M.; Id., 13/2011/Q.M.; Id.
n. 2/2018, cit.).
Le sentenze ricordate nell'ordinanza di rimessione (Sez. I centrale di Appello
nn. 552/2015 e 230/2016, ma anche la sentenza 941 del 2017 della Sezione
II Centrale di appello per l'esclusione dei benefici pensionistici; in senso
contrario, non solo la sentenza n. 845 del 2013 della Sezione I Centrale di
Appello, che quindi non è rimasta affatto isolata, ma anche la più recente n.
518 del 2017, del medesimo Giudice) interpretano in maniera opposta la
normativa di cui all'art. 1 unico della legge n. 1746 del 1962, l'art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973 e l'art. 3 della legge n. 390 del 1950, richiamati
nell'ordinanza di rimessione.
Il contrasto, sussistente in primo grado, e di cui alle numerose sentenze pure
menzionate nell’ordinanza di rimessione, non è stato, dunque, composto dalle
sezioni di II grado, che svolgono il ricordato ruolo di “armonizzazione e di
consolidamento interpretativo del diritto vivente” (Sezioni riunite,
nn. 1/2010/Q.M.; Id. n. 10/2011/Q.M., cit.)
1.4 Una parte della giurisprudenza di appello – e di primo grado – nega
l'applicabilità dei benefici della supervalutazione del servizio ai militari
impegnati “per conto dell'ONU” in zone di intervento, sulla base di un duplice
ordine di ragioni. Secondo tale orientamento, infatti, la legge n. 390 del 1950
individua tassativamente il periodo temporale entro il quale deve svolgersi la
“campagna di guerra” il cui solo svolgimento dà diritto alla supervalutazione
del servizio ai fini pensionistici. Alla luce della ricordata normativa, il periodo
di svolgimento delle campagne di guerra deve collocarsi, necessariamente,
nell’arco temporale tra il 1940-1945, periodo della II Guerra mondiale, ovvero
negli altri periodi indicati dalla legislazione vigente in materia, che richiama i
vari conflitti che hanno interessato l'Italia nel secolo scorso.
In secondo luogo, i servizi svolti per conto dell'ONU non sarebbero
“campagne di guerra”, difettandone, ontologicamente, la natura; le missioni
compiute per l'Organizzazione internazionale sono infatti volte a ristabilire la
pace e l'ordine nelle regioni interessate e non costituiscono atti di belligeranza
dell’Italia, in difetto, per giunta, della deliberazione dello stato di guerra
previsto dai competenti Organi costituzionali.
Seguendo tale percorso logico-interpretativo, va ricordata, per tutte, la
decisione n. 230 del 2016 della I Sezione Centrale di Appello, per la quale “
Nell’ordinamento non esiste una normativa che preveda espressamente il
riconoscimento dei benefici previsti per le campagne di guerra in favore del
personale in servizio per conto dell’ONU, espresso riconoscimento
necessario in quanto detto servizio consiste in missioni “di pace” e quindi non
rientra nelle fattispecie di impiego che danno titolo all’attribuzione delle
campagne di guerra”; da tale affermazione discende il corollario che detto
riconoscimento “non può avvenire in base ad una mera determinazione
amministrativa, svincolata dalla sussistenza dello stato di guerra formalmente
dichiarato”.
Per altra parte delle Sezioni di Appello, tra cui pronunce della stessa I
Sezione, invece, nonché per numerose Corti territoriali, il chiaro disposto
dell'art. unico della legge n. 1746 del 1962 depone per la sicura estensibilità
dei benefici combattentistici (sia retributivi, che pensionistici) ai militari che
svolgono il servizio in zone di intervento per conto dell'ONU.
Anche in questo caso va ricordata, exempli gratia, la decisione n. 845/2013/A
della Sezione Prima Giurisdizionale centrale di Appello, per la quale “E’ del
tutto evidente che l’estensione dei benefici combattentistici ai militari
impegnati nelle missioni ONU ha la sua fonte nel chiaro disposto della legge
11 dicembre 1962, n. 1746, e per il quale il servizio prestato dal militare in
zone d’intervento per conto dell’ONU…è da ritenersi equiparato, agli effetti
pensionistici, al servizio di guerra”.
1.5 Deve inoltre evidenziarsi che la questione è stata oggetto di intervento
anche del Giudice Amministrativo, ovviamente nell’ambito retributivo, sia in
primo che in secondo grado, nonché del Consiglio di Stato in sede consultiva,
adito dalle Amministrazioni interessate.
Anche davanti al G.A. si sono evidenziate opposte soluzioni, in primo e in
secondo grado, sopite con la pronuncia del Consiglio di Stato n. 5172/2014,
che ha negato i benefici degli incrementi stipendiali di cui agli artt. 9 e 7 del
r.d. 27 ottobre 1922, n. 1427 ai militari – personale non dirigenziale - che
hanno svolto missioni per conto dell’ONU, mentre i dubbi palesatisi
nell'ambito amministrativo hanno dato luogo a interpretazioni contrastanti
delle amministrazioni interessate. Sono agli atti del giudizio, prodotte dal
Ministero appellante, numerose note della Direzione Generale per il
Personale Militare Difesa che evidenziano sia le differenti soluzioni offerte
dalla stessa Amministrazione (note del 7 aprile 2009, del 24 maggio 2010, del
15 marzo 2011), sia del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Anche l’INPDAP, con la nota operativa in data 17 marzo 2008, ha impartito
istruzioni per il calcolo della supervalutazione dei periodi oggetto di servizio
svolto per conto dell’ONU in zona di intervento, dando, quindi, per scontata
l’attribuzione dei benefici.
Le difficoltà sopra evidenziate hanno condotto, quindi, alle richieste di parere
al Consiglio di Stato, nella materia della determinazione dello stipendio del
personale interessato, in varie occasioni, che hanno condotto a numerose
pronunce, pure prodotte agli atti, di segno negativo.
Infine, è stata proposta anche l'interrogazione parlamentare n. 3-01197, di cui
al resoconto sommario degli atti del Senato n. 93 in data 22 ottobre 2014,
volta a chiarire la platea dei beneficiari.
1.6 Si tratta, quindi, a tutta evidenza, di una questione ermeneutica di
particolare complessità alla luce delle norme intervenute in subjecta materia,
tra loro confliggenti e non coordinate, e dell'evoluzione – ben indicata nelle
conclusioni della Procura Generale – delle modalità di intervento dell'ONU e
delle altre forze internazionali nel teatro post bellico delle regioni interessate
dai numerosi conflitti susseguitisi, senza sosta, dalla conclusione della II
Guerra mondiale.
Deve, quindi, ritenersi l’ammissibilità del quesito sotto il duplice profilo del
contrasto giurisprudenziale e delle difficoltà ermeneutiche della normativa.
2. In ordine alla rilevanza nel giudizio a quo, presupposto pacificamente
richiesto dalla legge e ben delineato da queste Sezioni riunite nelle decisioni
nn. 1/QM/1994, 5/98/QM, 26/99/QM, 7/2001/QM, 6/2003/QM, 8/2006/QM,
17/2011/QM, 2/2017/Q.M., anche a tale aspetto deve darsi risposta positiva.
Contrariamente a quanto dedotto dalla Procura Generale, infatti, la
risoluzione del quesito è decisiva per stabilire se l'appellato abbia o meno
diritto ai benefici di cui si verte.
Infatti, il Ministero della Difesa appellante non ha contestato, neppure nel
corso dell’udienza davanti a queste Sezioni, lo svolgimento del servizio “per
conto dell'ONU”, né si è mai dubitato, nel giudizio di primo grado o in quello di
appello, che l'appellato rientri – in punto di fatto - nell'ambito di applicazione
dell'art. unico della legge n. 1746 del 1962.
Il Ministero appellante, infatti, pur contestando l'interpretazione e applicazione
degli artt. 1 della legge n. 1746 del 1962, 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del
1973 e. 3 della legge n. 390 del 1950 offerta dal giudice di primo grado, non
ha mai posto in dubbio che l'appellato abbia prestato servizio “per conto
dell'ONU” o in “zona di intervento ONU”; ha unicamente dedotto, nell'atto di
gravame, che detti servizi non rientrano ontologicamente nel genus
“campagne di guerra” sottolineandone la natura di “peace keeping” e
l’assenza di una formale dichiarazione di guerra da parte dello Stato Italiano
ai sensi del dettato costituzionale.
2.1 L'approfondita ricostruzione contenuta nella memoria della Procura
Generale, per la quale il sig. B. non ha svolto servizi “per conto dell'ONU”, ma
missioni per Organizzazioni internazionali interforze semplicemente
“autorizzate” dall'ONU, se pur condivisibile in astratto, non costituisce, quindi,
punto controverso nel giudizio a quo, né è rilevabile di ufficio dal Giudice di
appello, ai sensi degli artt. 193 e 195 c.g.c.
Conseguentemente, deve ritenersi questione non contestata tra le parti che il
sig. B. abbia svolto servizi “per conto” dell'ONU; e, dunque, è rilevante, ai fini
della decisione sull'impugnazione proposta dal Ministero della Difesa, la
risoluzione della questione di massima all’esame del Collegio.
3. Venendo, poi, al merito del presente giudizio, il quesito presuppone, a tutta
evidenza, l'esame della normativa di riferimento.
3.1 L'art. unico della legge n. 1746 dell'11 dicembre del 1962 (“Estensione al
personale militare, in servizio per conto dell'ONU in zone di intervento, dei
benefici combattentistici”) stabilisce che “Al personale militare che, per conto
dell'ONU, abbia prestato o presti servizio in zone di intervento, sono estesi i
benefici previsti dalle norme in favore dei combattenti. Le zone di intervento
sono indicate con apposite disposizioni dello Stato Maggiore della Difesa”.
In primo luogo, quindi, per espressa previsione legislativa, i richiedenti i
benefici devono rientrare nelle categorie di coloro che hanno prestato o
prestano servizio “per conto dell'ONU”, locuzione che, forse chiara all'epoca
di promulgazione della legge n. 14746 del 1962, presenta attualmente la
risoluzione di questioni complesse, come approfonditamente illustrato dalla
Procura Generale, alla luce della molteplicità delle tipologie di intervento delle
varie Forze internazionali “di pace” nello scenario mondiale; infatti, nelle
disposizioni dello Stato Maggiore del Ministero della Difesa vengono incluse
operazioni di diversa natura, come, per esempio, quelle svolte dall'appellato,
svolte da forze multinazionali subentrate alla gestione dell'ONU (IFOR,
UNPROFOR, SFOR, KFOR) a conduzione e comando unificato -NATO o
NAC oppure UE - EUROFOR - e autorizzate dal Consiglio di sicurezza con
apposite risoluzioni. La questione, come detto innanzi, non è peraltro oggetto
della presente questione di massima perché nel giudizio a quo non è
contestato lo svolgimento di operazioni “per conto dell'ONU”.
3.2 Viene quindi all'esame la seconda parte della norma, che “estende” a detti
militari i “benefici” previsti “dalle norme in favore dei combattenti”. La lettera
della norma quindi è chiara, in primo luogo, nel non identificare i militari come
“combattenti” o “ex combattenti” ma nel prevedere unicamente l'”estensione”
ad essi dei benefici previsti per i combattenti.
Peraltro, in contraddizione con l’art. unico della legge in commento, l'art. 5,
comma 2, della legge n. 824 del 1971, successivamente intervenuta, esclude
espressamente i benefici combattentistici, di cui agli artt. 1 e 2 della legge
n. 336 del 1970, “al personale di cui alla legge 11 dicembre 1962, n. 1746”.
Stante l’inequivoca disposizione normativa testé menzionata, dunque, occorre
individuare altre possibili disposizioni favorevoli alla luce della normativa,
anche sopravvenuta, di riferimento e verificarne poi la concreta applicazione
ai militari che svolgono o hanno svolto operazioni “per conto dell'ONU”.
3.3 L'ordinanza di rimessione circoscrive i “benefici combattentistici” al
combinato disposto dell'art. unico della legge in commento, dell'art. 18 del
d.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'art. 3 della legge n. 390 del 1950.
Restano, quindi, al di fuori del perimetro della questione di massima in
disamina altre disposizioni favorevoli, che pacificamente ricomprendono tra i
destinatari i militari impegnati in operazioni di intervento “per conto dell'ONU”
nelle zone individuate dal Ministero della Difesa, e cioè la pensione, assegno
o indennità di guerra di cui all'art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 915 del 1978 o
l'aumento figurativo del servizio prestato sulla costa in tempo di guerra (oltre,
ovviamente, ai benefici retributivi, al di fuori della giurisdizione della Corte dei
conti).
Viene, dunque, in rilievo l'art. 18, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973,
per il quale “il servizio computabile è aumentato di un anno per ogni
campagna di guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia”.
Trattasi, quindi, di aumento figurativo del servizio, rapportato ad ogni
campagna di guerra. Tale ultimo concetto è, poi, delineato “ai sensi delle
disposizioni vigenti in materia”.
3.4 A tale ultimo riguardo, l'art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390 (“Computo
delle campagne di guerra 1940-1945”), pure richiamata nell'ordinanza di
rimessione, circoscrive le “campagne di guerra”, sostanzialmente, al periodo
di belligeranza dell’allora Regno d’Italia durante la seconda guerra mondiale
(1940-1945), fermo rimanendo il periodo minimo di servizio, anche non
continuativo, previsto nel periodo successivo. Le ulteriori disposizioni di legge
utili a delimitare il perimetro del concetto di “campagna di guerra” sono poi il
d. lgt. n. 1207 del 1916, il R.d. n. 1496 del 1938 il R.d. n. 1452 del 1942 per il
periodo 1936/1939 che riguardano specifici eventi bellici (I guerra mondiale,
guerra di Etiopia, guerra di Spagna).
Deve, quindi, ritenersi che sono computabili come servizi valutabili, ai fini
dell’aumento figurativo del servizio ai fini pensionistici, le campagne di guerra
individuate da dette disposizioni legislative e secondo il computo previsto
dall’art. 18 del T.U. degli impiegati civili e militari dello Stato.
3.5
Così delineato il quadro normativo di riferimento, va notato che il
legislatore, che pure successivamente ha emanato il Codice dell'ordinamento
militare di cui al D. lgs. n. 66 del 2010, nulla ha previsto in ordine alle missioni
operative svolte da militari per conto dell'ONU nelle zone di intervento
individuate da provvedimenti dello S.M.I.; detto articolo si limita a richiamare,
con una sorta di interpretazione “circolare”, il citato art. 18 del T.U. in materia
di pensioni civili e militari, che a sua volta richiama il concetto di “campagna di
guerra”.
Deve quindi escludersi che vi siano disposizioni vigenti nella specifica materia
dei servizi svolti “per conto dell'ONU” che prevedano espressamente una
supervalutazione del tempo impiegato dai militari nelle missioni.
3.6 Va, quindi, ulteriormente valutato, ai fini interpretativi della complessa
materia, se i servizi prestati nelle missioni ONU nelle zone di intervento siano
assimilabili alle campagne di guerra.
Quale indispensabile ausilio ermeneutico il Collegio non può, ovviamente,
non tener conto della recente decisione n. 240 del 2016 della Corte
costituzionale, sul giudizio di legittimità vertente sull’ articolo unico della legge
n. 1746 del 1962.
La Consulta, al riguardo, sulla base della ricostruzione del quadro normativo
di riferimento, ha sottolineato le profonde, ontologiche differenze tra le
campagne di guerra, così come identificate dal legislatore, e le missioni svolte
per conto dell'ONU o delle altre organizzazioni internazionali.
Pur non negando la rischiosità e la gravosità di detti ultimi servizi, il Giudice
delle Leggi ha delineato un netto spartiacque tra le campagne belliche e
quelle svolte, in tempo di pace, dai militari nei suddetti servizi svolti all’estero.
Ha poi sottolineato che, nel vigente quadro normativo, i militari de quibus non
rimangono certamente privi di adeguata considerazione dei gravosi servizi
prestati nelle zone di intervento, che indubbiamente li pongono in una
posizione ben diversa rispetto al personale che svolge l’usuale servizio
all’interno del territorio dello Stato; in considerazione di tale rilevante profilo,
essi, infatti, hanno diritto alla pensione, assegno o indennità di guerra ai sensi
dell'art. 2, comma 3, del d.P.R. n. 915 del 1978, con evidenti superiori
vantaggi, anche di carattere fiscale, rispetto ai corrispondenti benefici militari.
Tuttavia, proprio in considerazione della profonda differenza tra le campagne
di guerra e le missioni ONU, ha ricordato la Consulta che, per queste ultime, il
legislatore ha individuato varie ed ulteriori modalità di compensazione,
soprattutto di carattere retributivo, per il servizio prestato, in ragione del
particolare contesto e delle zone teatro dell'intervento, di volta in volta
differente e oggetto, pertanto, di apposite previsioni legislative ed
amministrative (determinazioni dello Stato maggiore della Difesa).
3.7
La Corte, la cui autorevole interpretazione queste Sezioni Riunite
intendono seguire, ha altresì fugato ogni dubbio in ordine a possibili contrasti
con il principio di eguaglianza delle norme che dispongono differenti
trattamenti pensionistici, esaminando, quindi, i benefici riservati ai soli, veri,
combattenti.
In tale contesto ha definitivamente chiarito che detti particolari benefici di
supervalutazione dal servizio spettano esclusivamente a coloro che hanno
svolto le “campagne di guerra” come sopra delineate e circoscritte dal
legislatore, il quale, tra l’altro, ha già espressamente escluso la spettanza, per
i militari che svolgono missioni per conto dell’ONU, dei benefici previsti dagli
artt. 1 e 2 della legge n. 336 del 1970 in favore degli “ex combattenti”.
Infatti, e condivisibilmente, ha sottolineato la diversità di posizione tra il
soggetto arruolato in tempo di guerra, in base a provvedimenti autoritativi e
con un ingaggio poco più che simbolico (il “soldo”) rispetto a coloro che
scelgono volontariamente di partecipare a missioni internazionali, con
aumenti retributivi e stipendiali.
3.8 Da ultimo, e non per ultimo, non va sottaciuta la più volte ricordata e
ribadita diversità ontologica tra le missioni svolte per conto dell'ONU e le
campagne di guerra.
Al di là, infatti, dell'assenza di una dichiarazione formale dello Stato di guerra
di cui all'art. 87 della Costituzione, previa conforme deliberazione delle
Camere (ai sensi dell'art. 78) è evidente che i militari inquadrati nei
contingenti ONU hanno funzioni del tutto diverse rispetto ai soldati
belligeranti, volte a ristabilire la pace e la democrazia nei paesi teatro di
precedenti e sanguinosi conflitti, anche se, ovviamente, anch’essi, a causa
dell’instabilità politica di tali regioni, possono incorrere in gravi rischi per
l'incolumità individuale.
3.9 Deve, quindi, convenirsi con la Consulta nel senso che la normativa in
materia di missioni ONU si è evoluta nel tempo rispetto all'iniziale previsione
della legge n. 1746 del 1962, senza che il legislatore abbia equiparato le
operazioni, con espressi provvedimenti, alle campagne di guerra, concetto
che, quindi, rimane circoscritto, con i relativi benefici di supervalutazione del
servizio, unicamente ai conflitti del secolo scorso.
4.
E in questo senso, deve darsi soluzione al proposto quesito: “Ai militari che
hanno prestato servizio per conto dell'ONU in zone di intervento non
spettano, ai fini pensionistici, i benefici di cui al combinato disposto dell'art.
unico della legge n. 1746 del 1962, dell'art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e
dell'art. 3 della legge n. 390 del 1950 ossia della supervalutazione dei servizi
prestati nelle campagne di guerra”.
Per quanto riguarda il regime delle spese del presente giudizio, esse
troveranno disciplina da parte del Giudice remittente, cui si rinviano gli atti per
la definizione del giudizio di merito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONI RIUNITE IN SEDE GIURISDIZIONALE
sul quesito proposto dalla I Sezione giurisdizionale di Appello della Corte dei
conti, con ordinanza n. 13/2018 del 20/02-11/04/2018, così decide:
Dichiara l'ammissibilità e la rilevanza del quesito e enuncia il presente
principio di diritto:
“Ai militari che hanno prestato servizio per conto dell'ONU in zone di
intervento non spettano, ai fini pensionistici, i benefici previsti dalle norme in
favore dei combattenti che abbiano partecipato alle campagne di guerra,
individuate dalle disposizioni vigenti in materia”.
Spese al definitivo.
Dispone il rinvio al giudice remittente.
Così deciso in Roma, all'esito della camera di consiglio del 6 giugno 2018.
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
(Elena TOMASSINI) (Mario PISCHEDDA)
Depositato in Segreteria in data2 luglio 2018
Il Direttore della Segreteria
Maria Laura IORIO