Re: Dal 2011 ci vorranno 41 anni contributivi.
Inviato: gio ott 14, 2010 10:27 pm
da lino
LEGGETE E COMMENTATE SE VOLETE.
DOMENICO SI ANDRA' UN ANNO DOPO, PURTROPPO.LINO
La manovra - Le misure sulla previdenza/Salvi. Tra le categorie escluse anche la scuola e chi è già in preavviso - Benefici . Più anni in servizio aumenteranno l'importo dei trattamenti
Corsa frenata alla pensione
da Il Sole 24 Ore
Partirà in questi giorni una nuova "corsa alla pensione"? Il decreto legge che sposta in avanti la data di decorrenza dell'assegno rappresenterà una spinta a lasciare il lavoro prima possibile, come talvolta è accaduto in passato? In realtà, il Dl n. 78 del 31 maggio 2010 non consente di mettere in atto strategie particolari per evitare tempi di attesa più lunghi. Tempi di attesa che, rispetto alle regole attuali, possono arrivare a 9 mesi in più per i dipendenti e ben 12 mesi per gli autonomi. Impossibile, quindi, immaginare una fuga in massa, anche se è plausibile ipotizzare che quanti sono già ora nelle condizioni di lasciare il lavoro (o lo saranno entro fine anno) sceglieranno di accelerare la propria "uscita". Le nuove decorrenze della pensione sono legate al momento in cui si maturano i requisiti. Lo spartiacque è il 1° gennaio 2011. Chi taglia il traguardo dei requisiti a partire da questa data dovrà applicare le nuove regole. Restano naturalmente fatti salvi i casi espressamente esclusi dal decreto legge stesso: il personale della scuola, che continua a usufruire dell'unica finestra del 1° settembre dell'anno in cui si maturano i requisiti; chi al 30 giugno aveva già in corso il periodo di preavviso con raggiungimento dei requisiti entro la data di cessazione del rapporto di lavoro; riguarda anche il pubblico impiego. Dove, peraltro, i dipendenti si trovano a fare i conti anche con la norma sulla rateizzazione della liquidazione ( in effetti, potranno sfuggire alla dilazione solo quanti raggiungeranno i limiti di età entro il 30 novembre). Insomma, forse una fuga vera e propria non ci sarà. Ma certamente chi sarà nelle condizioni di lasciare il lavoro cercherà di accelerare l'uscita. Altro aspetto rilevante riguarda il periodo che intercorrerà tra la data di maturazione dei requisiti e la decorrenza vera e propria della pensione. Il decreto legge fissa questo arco temporale in 12 mesi per i lavoratori dipendenti e in 18 mesi per gli autonomi. Ma che succede in quel lasso di tempo? Di norma, il dipendente continuerà a lavorare, sia nel caso di pensione di anzianità sia per la vecchiaia, fino al mese precedente l'apertura della finestra. In proposito, va sottolineato che il datore del lavoro può avvalersi della facoltà di licenziamento del lavoratore non al raggiungimento dell'età pensionabile ma, appunto, dal mese precedente l'apertura della finestra. E ciò per evitare che il lavoratore interessato possa rimanere senza lavoro e pensione. Per gli autonomi, anche se penalizzati rispetto ai lavoratori dipendenti per l'allungamento delle finestre dopo 18 mesi, la normativa prevede la possibilità della pensione di vecchiaia o di anzianità senza la cessazione dell'attività lavorativa autonoma. Il commerciante, tanto per fare un esempio, può percepire la pensione e continuare la sua attività autonoma. Attenzione, però: se si tratta di un commerciante che svolge anche lavoro dipendente, allora occorre la cessazione di quest'ultima tipologia di lavoro. Va comunque aggiunto che, a parziale consolazione per la maggiore attesa della pensione, il prolungamento dell'attività lavorativa produrrà almeno il beneficio di una pensione un po' più pesante, visto che i contributi versati in quel periodo avranno valore ai fini del calcolo della prestazione. Beneficio sul quale, in linea di massima, non potranno contare i lavoratori che accedono alla pensione di anzianità in virtù di 40 anni di contributi. In questo caso, si continueranno a versare i contributi ma l'assegno potrà crescere solo se negli anni successivi ai 40 anni di contribuzione si percepiscono retribuzioni più elevate rispetto a quelle registrate fino al quarantesimo anno. DOMANDE & RISPOSTE Slittamento differenziato per dipendenti e autonomi Raggiungerò i 40 anni di contributi nel mese di febbraio 2016, quindi avrei dovuto percepire la pensione dal 1° luglio 2016. Quando, invece, avrò diritto a percepire la pensione tenendo conto delle nuove finestre? R In base alle nuove norme, è previsto uno slittamento della decorrenza della pensione di 12 mesi o 18 mesi rispettivamente per i lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi che maturano il diritto successivamente al 31 dicembre 2010. Pertanto, il lettore conseguirà il diritto a percepire il trattamento di anzianità con decorrenza dal 1° marzo 2017, se è lavoratore dipendente, o dal 1?settembre 2017, se è lavoratore autonomo. È salva l'invalidità al 76% già riconosciuta Mia moglie ha problemi mentali e si trova tuttora in cura nel centro di igiene mentale della nostra Asl. Dal 2003 percepisce assegno di invalidità al 76 per cento: le verrà revocato? R L'articolo 10 del decreto legge 78 del 31 maggio 2010 si applica per le domande di assegno di invalidità civile presentate dal 1° giugno 2010 e, quindi, non ha effetto retroattivo. L'assegno di invalidità civile già concesso, perciò, non verrà revocato, salvo che da una verifica si accerti che non permane più il requisito sanitario (nel caso esposto dal lettore, l'invalidità dovrebbe scendere al di sotto della vecchia percentuale del 74%). Contributi da versare anche oltre i quarant'anni A dicembre del 2011 maturerò 40 anni di contributi. Se, nell'ipotesi peggiore, mi allungano la finestra di 9 mesi, posso richiedere lo storno dell'imposta del 9,49% dell'imponibile previdenziale, visto che dopo i 40 anni non si matura più nulla? Non vedo perché si debba pagare una tassa per niente. R Il lettore si riferisce al fatto che le contribuzioni successive ai 40 anni di versamenti non " fanno crescere"l'importo della pensione. Tuttavia, l'ipotesi avanzata nel quesito non è percorribile: allo stato attuale i contributi vanno regolarmente versati. I vecchi diritti di uscita per la dipendente Pa di 61 anni Come dipendente della Pa, maturo il requisito della pensione di vecchiaia (anni 61) entro il primo semestre 2010. Se presento la domanda di pensione di vecchiaia il 1° gennaio 2011, quale sarà la decorrenza della pensione e come verrà calcolata la mia liquidazione? R Anche per i trattamenti di vecchiaia le nuove disposizioni prevedono dal 2011 il trattamento dopo 12 mesi dalla maturazione del diritto. Tuttavia la lettrice, avendo raggiunto il requisito dei 61 anni di età entro il 30 giugno 2010, andrà in pensione con la vecchia finestra del 1° ottobre 2010. Pertanto, se presenterà domanda il 1° gennaio 2011, andrà in pensione il 1° febbraio 2011. La liquidazione viene calcolata solamente dal 2011 con il sistema del Tfr (che dunque, nel caso della lettrice, verrà applicato solo per il mese di gennaio 2011), mentre è invariato il calcolo per gli anni precedenti (80% dello stipendio degli ultimi 12 mesi diviso 12, per ogni anno di servizio). Agli statali il criterio del Tfr solo per periodi dal 2011 in poi Supponiamo che uno statale cessi dal servizio il 31 marzo 2011 dopo aver maturato la massima anzianità contributiva. La sua liquidazione verrà calcolata in base al meno vantaggioso criterio del Tfr solo per il periodo 1° gennaio-31 marzo 2011 o per l'intero periodo lavorativo? R Il comma 10 dell'articolo 12 del decreto legge 78 prevede che le modifiche riguardino le anzianità contributive maturate dopo il 1° gennaio 2011. Pertanto, nel caso del lettore, il calcolo in base al criterio del Tfr sarà applicato solo per i tre mesi del 2011. Donne in Pa, possibile nuovo aumento dell'età pensionabile Sono nata il 25 novembre 1950, lavoro al comune di Milano dal 1° novembre 1978 e non ho altri contributi. Prima del decreto Brunetta sarei potuto andare in pensione ad aprile 2011, dopo Brunetta nell'aprile 2012. Con la manovra appena varata, quando andrò? R La lettrice compirà i 61 anni (requisito ora richiesto per la pensione di vecchiaia nel pubblico impiego) nel novembre 2011. La pensione decorrerà dodici mesi dopo la maturazione del diritto, cioè il 1° dicembre 2012. Va tenuto presente, tuttavia, che, in sede di conversione del decreto legge, potrebbe essere inserita una norma per "accelerare" l'aumento dell'età pensionabile delle donne della Pa verso i 65 anni. Il controllo potrebbe «limare» la percentuale di invalidità Le persone con una invalidità civile del 74%, che percepiscono da molti anni il relativo assegno, continueranno a prenderlo? R L'assegno di invalidità civile continuerà ad essere erogato alle persone in questione, in quanto l'articolo 10 del decreto legge 78 del 31 maggio 2010 non ha effetto retroattivo. Sotto questo punto di vista, dunque, non ci saranno cambiamenti e ? per chi ha già acquisito il diritto ? non avverrà l'innalzamento della soglia dal 74 all'85 per cento. Il pericolo, però, potrebbe essere dietro l'angolo se il titolare dell'assegno di invalidità venisse sottoposto a un controllo ordinario o straordinario da parte dell'Inps e, nell'ambito di questa verifica, si accertasse che la percentuale di invalidità, all'epoca del 74%, sia invece diventata inferiore.
Liquidazioni a dieta nel pubblico impiego
da Il Sole 24 Ore
Non ci sono solo le rate per gli importi sopra i 90mila euro a complicare i conti delle buonuscite dei dipendenti pubblici. La manovra correttiva entrata in vigore la settimana scorsa cambia anche le regole con cui gli stipendi attuali si trasformeranno nella liquidazione per chi è stato assunto prima del 2001, e quindi contava su un assegno di addio calcolato secondo i vecchi, generosi, parametri del pubblico impiego. Dal 1° gennaio dall'anno prossimo, se le previsioni contenute nel decreto con la manovra supereranno indenni l'esame del parlamento, a tutte le buonuscite dei dipendenti pubblici si applicherà il meccanismo di calcolo che regola il trattamento di fine rapporto nelle aziende private. Una volta a regime, per chi fa più carriera la differenza fra vecchio e nuovo modello potrebbe costare anche oltre 200mila euro. La novità ovviamente non è retroattiva, e opera pro rata sulle tranche di liquidazione post 2011, ma una volta a regime l'equiparazione con i privati potrebbe essere solo teorica, e nascondere qualche insidia in più per chi lavora nella pubblica amministrazione. Andiamo con ordine per capire il perché. Il colpo esclude gli assunti post-2001,dunque ancora lontanissimi dall'uscita, e riguarda invece gli altri, che finora progettavano di condurre la loro carriera fino al porto di una buonuscita calcolata in rapporto all'ultima retribuzione annua. L'unità di misura per l'assegno di questi dipendenti è l' 80% delle voci fisse lorde dell'ultimo anno, divise per 12: basta moltiplicare il risultato per gli anni di anzianità, e si ottiene l'importo lordo con cui la pubblica amministrazione saluta i propri lavoratori. In regioni ed enti locali il sistema è da sempre un po' meno generoso, perché l'80% del lordo fisso annuale va diviso per 15 e non per 12, ma l'impostazione è la stessa. Nei grafici in pagina si stimano- in base alle retribuzioni medie 2008 censite dalla ragioneria generale - gli importi lordi complessivi che un sistema di questo tipo è in grado di determinare: per un dirigente di I fascia in un ente pubblico non economico (si tratta di Istat, Inail, Aci, Inpdap e via siglando) con un reddito di 202mila euro, la liquidazione può arrivare, con le vecchie regole, vicino a quota 540mila euro, i 150mila euro di un primario si possono trasformare in 400mila euro di buonuscita, e gli importi scendono insieme ai livelli retributivi. Le somme reali dipendono ovviamente dal mix di voci fisse e variabili che compongono la busta paga, un fattore importante soprattutto nel caso dei dirigenti; il grafico propone ovviamente le differenze fra gli assegni calcolati con il vecchio metodo e quelli interamente disciplinati dal nuovo. Il taglio effettivo potrà essere mitigato dagli anni già maturati prima della riforma, ma la loro influenza sarà limitata, La sostanza, infatti, è data dall'abbandono della caratteristica chiave del vecchio sistema, cioè l'ancoraggio della liquidazione alla retribuzione finale. Questo elemento spiega la pratica diffusa negli uffici pubblici di assegnare uno «scalone » retributivo ai dipendenti vicini all'uscita, moltiplicando in extremis l'assegno finale. La riforma Brunetta, e soprattutto il congelamento triennale degli stipendi introdotto dalla manovra, avrebbero impedito l'escamotage almeno per il futuro prossimo; il governo però ha scelto la soluzione più radicale, che estende al mondo pubblico le regole del Tfr privato. Dal 2011, insomma, tutte le liquidazioni viaggeranno sulla stessa barca. Dietro a questa uguaglianza, però, si può nascondere qualche disparità, proprio per l'esclusione accennata prima delle voci variabili dal calcolo del trattamento finale. Il Tfr dei lavoratori privati abbraccia come base di calcolo quasi tutta la busta paga, mentre negli uffici pubblici le voci variabili ininfluenti sulla buonuscita, sono destinate ad assumere sempre più peso anche per le previsioni della riforma del pubblico impiego. Nel prossimo triennio questa evoluzione è resa difficile dal congelamento di salari e contratti, ma in campo previdenziale si ragiona per tempi lunghi e con i meccanismi a regime il problema può emergere. Il cambio di regole che scatterà l'anno prossimo spinge ad anticipare l'uscita i dipendenti pubblici che hanno i requisiti per farlo; nella stessa direzione gioca la rateizzazione delle buonuscite «alte», che per le cessazioni successive al 30 novembre dilazionerà in due rate annuali gli assegni sopra i 90mila euro e spezzetterà in tre tranche quelli sopra i 150mila.
Congelati gli importi delle retribuzioni di tutti i dipendenti pubblici, dirigenti compresi, fino a tutto il 2013. L'articolo 9, comma 1 del Dl 78/2010 stabilisce che i lavoratori pubblici non possono percepire, nel triennio 2011/2013, più di quanto è stato riconosciuto loro nel 2010. Unica eccezione consentita è l'indennità di vacanza contrattuale, che quest'anno è stata erogata da aprile nella misura del 30% del tasso di inflazione programmata, e da luglio nella misura del 50%, e dal 2011 si dovrà corrispondere per tutto l'anno in quest'ultimo importo. La norma fa riferimento al trattamento del singolo dipendente, sia fondamentale sia accessorio. In pratica vengono bloccati lo stipendio, la progressione economica e l'indennità prevista per ogni comparto, che formano la parte fissa della retribuzione, e tutti gli altri elementi legati alla quantità e qualità della prestazione, che formano la parte accessoria. Il limite va quantificato in riferimento alla retribuzione 2010 per ogni dipendente, e non a livello complessivo di amministrazione. Questo significa che, alla fine di quest'anno, per ogni lavoratore si dovrà determinare l'importo del trattamento economico percepito, che rappresenterà il limite invalicabile della sua retribuzione per i tre anni successivi. In questo contesto la gestione delle risorse umane diventa sempre più difficoltosa: ad esempio, al lavoratore non si potrà più riconoscere la progressione di carriera, in quanto questa fa aumentare il «trattamento economico complessivo ». Se si vuole ricorrere a questo premio, si dovrà avviare un'operazione certosina, riducendo di pari importo il relativo salario accessorio. Un meccanismo impraticabile a livello di grandi numeri. Un aumento di retribuzione fondamentale può essere effettuato solo se, contemporaneamente, vi è una riduzione pari della retribuzione accessoria. Non si può sostenere, però, la regola contraria, nel senso che non si può aumentare la retribuzione accessoria a scapito della fissa, in quanto quest'ultima non è suscettibile di decurtazione. L'amministrazione, nel 2011/13, non potrà chiedere al dipendente nemmeno un turno o una reperibilità in più rispetto al numero prestato nel 2010, perché non sarebbe possibile corrispondere la relativa indennità, che fa aumentare il trattamento economico. D'altro canto, l'articolo 7, comma 5, del Dlgs 165/2001, prevede che la Pa non possa erogare compensi accessori che non corrispondano a prestazioni effettive. Letto al contrario, a fronte delle prestazioni spetta il trattamento economico; senza compenso non possono quindi essere pretese le prestazioni. Ancora una volta a risentirne sarà l'organizzazione dei servizi. Un discorso particolare riguarda lo straordinario, a fronte del quale si può avere sia il compenso sia il riposo compensativo. Il congelamento potrebbe colpire il compenso straordinario, senza intaccare però il riposo. In questo contesto, anche gli incrementi del fondo per le risorse decentrate hanno vita dura. Ad esempio, all'articolo 15, comma 5, del contratto nazionale del 1° aprile 1999 di regioni e autonomie locali, si prevede che gli incrementi siano legati all'accrescimento dei servizi a cui corrispondono maggiori prestazioni dei dipendenti. Se gli aumenti del fondo servono a sostenere i maggiori oneri del trattamento economico accessorio, ma questo non può essere incrementato, non possono essere richieste prestazioni ulteriori ai lavoratori. Anche su questo versante la Pa rimane bloccata. In sostanza, quindi, la manovra non inchioda solo gli stipendi, ma una buona parte della discrezione organizzativa delle singole amministrazioni.
Re: Dal 2011 ci vorranno 41 anni contributivi.
Inviato: ven ott 15, 2010 4:31 pm
da etrusco57
L’INPDAP ha chiarito a riguardo che il personale per il quale sono previsti, per le pensioni per limiti d’età, requisiti anagrafici diversi da quelli richiamati dal D.L. n. 78/2010 ovvero per il quale non trovano applicazione, per le pensioni di anzianità, le disposizioni di cui alla legge n. 243/2004, (disposizioni che non riguardano FF.AA, FF.PP. e VV.FF.) mantiene il previgente regime di accesso al pensionamento, anche in presenza di requisiti maturati dal 2011 (nota divulgativa n. 7627/2010 reperibile sito INPDAP). In conseguenza di ciò, le predette disposizioni non si applicano al personale militare, il cui trattamento pensionistico continua ad essere disciplinato dalla normativa speciale vigente. (SPERIAMO). In conclusione per noi non si dovrebbe applicare la finestra mobile.
Salute a tutti.
Re: Dal 2011 ci vorranno 41 anni contributivi.
Inviato: ven ott 15, 2010 6:59 pm
da domengio
Non era una circolare ma l'ultimo ritrovato del Governo.
Si Lino, bisogna spettare un altro anno ma non è cambiato nulla circa il requisito dei 40 anni co ntributivi.
Bisogna vedere quando uno arriva ai 40 anni contributivi e capire quale finestra, balcone, ripiano, sottoscala puoi prendere, con l'unica certezza che devi lavorare circa un altro anno.
Quello che più mi preoccupa è il nuovo sistema di liquidazione della buonuscita.
Il governo non vuole cambiare la legge per non incorrere nelle ire dei dipendenti si è inventato questo escamotage ha messo questo scivolo per andare via.
Credono che nessuno si accorga di tali cambiamenti.
Lino, mentre il Ministero non si decide per Noi, abbiamo Noi il tempo di decidere.
Più passano i gg e più ci sono dubbi. Vedrò.
Ciao Domenico
P.S. come la giri o come la volti sempre lì va a finire.
Comunque uno si può anche riformare nel ruolo civile!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!