T.U.L.P.S. art. 43 Regio Decreto 773/1931
Inviato: lun lug 11, 2016 7:28 pm
CAPO IV
DELLE ARMI
Quesito.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201601620 - Public 2016-07-11 -
Numero 01620/2016 e data 11/07/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 6 luglio 2016
NUMERO AFFARE 00275/2016
OGGETTO:
Ministero dell’interno.
Quesito sull’interpretazione dell’art. 43 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
LA SEZIONE
Vista la relazione del 27 gennaio 2016 con la quale il ministero dell’interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha posto il quesito sopra indicato;
esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Raffaele Carboni.
Premesso.
L’art. 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inserito nel titolo I “Dei provvedimenti di polizia e della loro esecuzione”, capo terzo “Delle autorizzazioni di polizia”, al primo comma recita, per la parte che interessa:
«Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: 1° a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione»; e al terzo comma: «Le autorizzazioni devono essere revocate … quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
Le autorizzazioni di polizia sono previste dalla legge e riguardano varî e disparati campi d’attività dei privati.
L’art. 43, inserito nel capo IV, “Delle armi”, del titolo II, “Disposizioni relative all’ordine pubblico e alla incolumità pubblica”, al I comma dispone:
«Oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi».
In giurisprudenza si sono verificati contrasti sull’interpretazione dell’art. 43, nel senso che alcune pronunce, applicando l’art. 43 in combinato disposto con l’art. 11, hanno affermato che quando vi sia stata la riabilitazione del condannato viene eliso l’automatismo del primo comma dell’articolo 43, sicché in tal caso possono essere, previa valutazione discrezionale di tutte le circostanze, rilasciate licenze di portare le armi a chi ha riportato condanne del tipo previsto dall’art. 43 (e viceversa è illegittimo il diniego fondato soltanto su pregresse condanne di tale tipo).
Perciò il Ministero il 24 giugno 2014 aveva posto al Consiglio di Stato il quesito seguente:
se l’art. 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nella sua formulazione attuale, osti al rilascio di porto d’armi e imponga la revoca della licenza di porto d’armi nei confronti di coloro che siano stati condannati per i reati di cui al primo comma anche se sia intervenuta la riabilitazione.
Sul quesito la Sezione nell’adunanza del 16 luglio 2014 ha reso il parere n. 1191/2014 concludendo che la riabilitazione non influisce sulle disposizioni dell’art. 43.
Non essendo cessata l’incertezza giurisprudenziale, il Ministero chiede ora un approfondimento degli effetti della riabilitazione sulle condanne elencate nel primo comma dell’art. 43, ossia ripropone il quesito sopra riportato. Aggiunge i quesiti seguenti:
- quale sia la sorte delle licenze di porto d’armi rilasciate in adesione all’interpretazione “evolutiva” della disposizione di legge e che andrebbero revocati in adesione al parere del 16 luglio 2014;
- se alle persone che siano state beneficiarie di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbano essere applicate le disposizioni ostative previste nel primo comma dell’art. 43, o se si debbano valutare la loro situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato;
- se la condanna con effetto preclusivo della licenza di porto d’armi sia quella “espressa con sentenza passata in giudicato” o se debba intendersi riferita (anche) a quella conseguente a patteggiamento pronunciato ai sensi dell’articolo 445 del codice di procedura penale nonché nei casi in cui la pena è stata condizionalmente sospesa.
Considerato.
Sul quesito principale, sopra trascritto dalla relazione ministeriale del 24 giugno 2014, in primo luogo va osservato che non è possibile applicare la deroga al divieto, contenuto nel primo comma dell’art. 11 del testo unico (possibilità di concedere le autorizzazioni di polizia, in deroga al fatto ostativo costituito da determinate condanne, quando sia intervenuta la riabilitazione), perché, come risulta dalla stessa sistematica del testo unico che si è sopra evidenziata, le autorizzazioni di polizia, concernenti svariate attività assoggettate a controllo di polizia, e la materia delle armi, nella quale vige il generale divieto di circolare armati e la licenza di porto d’armi costituisce eccezione a tale divieto, sono materie distinte e soggiacciono a normative diverse.
Va poi rilevato che la tesi secondo cui la riabilitazione toglie l’effetto preclusivo al rilascio del porto d’armi, stabilito dall’art. 43 per determinate condanne, si fonda sulla lettura dell’art. 178 del codice penale, secondo cui «La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti», e contiene un fraintendimento circa la nozione di «effetti penali della condanna».
Effetti penali della condanna sono gli effetti di una condanna sulla successiva applicazione della legge penale, sostanziale o processuale: ostacolo a una nuova concessione della sospensione condizionale, della non menzione e delle sanzioni sostitutive, aumento di pena per la recidiva, aumento di pena per l’ubriachezza, punibilità per i c.d. reati di sospetto (articoli 707 e 708 del codice penale: l’essere stati condannati per certi reati costituisce elemento costitutivo di quei due reati), possibilità di dichiarare il condannato delinquente abituale o professionale, possibilità o obbligo di emettere mandato di cattura, procedibilità d’ufficio per reati altrimenti procedibili a querela, e così via.
Il divieto di concedere (o l’obbligo di revocare) il porto d’armi, come l’esclusione da concorsi, da impieghi o da gare o la perdita del diritto elettorale per chi ha riportato certe condanne, sono bensì effetti della condanna, ma non effetti penali della condanna; e la riabilitazione di per sé, salvo cioè diverse disposizioni della normativa che regge la materia, come appunto l’art. 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, non elimina tali effetti. In definitiva quindi, secondo le chiare disposizioni legislative dei citati articoli 11 e 43, in presenza di condanne per reati preclusivi la riabilitazione consente di rilasciare al riabilitato le autorizzazioni di polizia in generale, mentre non consente di rilasciargli la licenza di porto d’armi. In altre parole gli effetti della riabilitazione si esauriscono nell’àmbito dell’applicazione della legge penale ma, salvo diverse, specifiche disposizioni di legge, essa non ha rilievo su altre conseguenze giuridiche delle condanne.
Le considerazioni che precedono sono risolutive del quesito. Non meno risolutiva, peraltro, è la lettura dell’art. 66 del regolamento d’esecuzione del testo unico, emanato con regio decreto 6 maggio 1940 n. 635.
Al riguardo va premesso che:
a) secondo l’articolo 689, comma 1, alinea 4 del codice di procedura penale vigente, corrispondente all’articolo 608, alinea 6 del codice del 1931, le condanne per le quali è stata dichiarata la riabilitazione non vengono riportate - né viene riportata la riabilitazione, che paleserebbe l’esistenza di condanne - nel certificato di casellario richiesto dall’interessato;
b) i certificati del casellario rilasciati a richiesta delle pubbliche amministrazione contengono invece tutte le iscrizioni esistenti al nome della persona (articoli rispettivamente 688 e 606);
c) la domanda di licenza di porto d’armi, secondo l’art. 62 del regolamento del 1940, dev’essere corredata dal certificato del casellario giudiziario (richiesto, evidentemente, dall’interessato). Ciò premesso, l’articolo 66 dispone: «Qualora vi sia motivo di ritenere che il richiedente la licenza sia stato colpito da condanna che non figuri nel certificato ai sensi dell’art. 608 del codice di procedura penale, e che produca l’incapacità ad [di] ottenere la licenza, l’autorità di pubblica sicurezza competente richiede il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome dell’interessato, a termini dell’art. 606 dello stesso codice». Poiché, come si è detto, nel certificato di casellario richiesto dall’interessato - prodotto con la domanda di licenza di porto d’armi - non vengono riportate le condanne in relazione alle quali è stata dichiarata la riabilitazione, è evidente che la riabilitazione non elimina il divieto di rilascio della licenza, e che il legislatore non ha mai neppur concepito - né la cittadinanza comprenderebbe - che si possa rilasciare una licenza di porto d’armi a una persona che, riabilitata o meno, è stata condannata per delitti come l’omicidio, le lesioni, il furto, la rapina, l’estorsione, il sequestro di persona a scopo di rapina o d’estorsione.
In conclusione sul quesito principale, a chi è stato condannato per i reati previsti come preclusivi dal citato articolo 43 non può essere rilasciata, e dev’essere revocata se sia stata rilasciata, la licenza di porto d’armi senza che possa aver rilievo la conseguita riabilitazione.
Sui restanti quesiti si risponde:
1) la sorte delle licenze di porto d’armi rilasciate in adesione all’interpretazione “evolutiva” dell’art. 43 dipende dai singoli casi. Se c’è un giudicato, o un decreto presidenziale su ricorso straordinario, che ha obbligato l’Amministrazione a rilasciare senz’altro la licenza, la licenza non può essere revocata; e lo stesso deve dirsi se, come sembra, ci sono stati giudicati che hanno obbligato l’Amministrazione a valutare discrezionalmente la domanda di porto d’armi presentata da persona condannata per reati ostativi, e l’Amministrazione ha rilasciato la licenza motivando sull’affidabilità del richiedente: in ambo i casi il porto d’armi è stato rilasciato in esecuzione di un giudicato. Diverso è il caso di licenze rilasciate a persone che si trovano nelle condizioni preclusive previste dall’art. 43, alle quali sia stata rilasciata la licenza senza che avessero impugnato un precedente diniego: in tal caso ben può l’Amministrazione, tornando sull’interpretazione dell’art. 43, che non ammette deroghe, revocare la licenza; con l’avvertenza però che, quando la licenza sia stata rilasciata motivando sull’attuale affidabilità del richiedente, la revoca non è esente dal rischio d’annullamento.
2) Alle persone che siano state beneficiarie di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbono essere applicate, con il diniego o con la revoca, le disposizioni dell’art. 43 del regio decreto 17 giugno 1931 n. 773, senza considerare la loro situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato; d’altra parte in casi del genere, tenendo presenti le considerazioni esposte a proposito dell’art. 66 del regolamento del 1940, è ben verisimile che l’Amministrazione di pubblica sicurezza non abbia conosciuto per tempo le condanne ostative proprio a causa dell’intervenuta riabilitazione.
3) L’applicazione della pena su richiesta, c.d. patteggiamento o pena patteggiata, introdotta dal codice di procedura penale del 1988, è pur sempre una condanna (art. 445, comma -bis introdotto dalla legge 12 giugno 2003 n. 134: «Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna»), e i suoi effetti vantaggiosi per il condannato, ulteriori alla riduzione della pena, si esauriscono nell’àmbito degli effetti penali (vedasi l’art. 445, comma 2), dei quali si è già detto. Essa pertanto non influisce sulle disposizioni dell’articolo 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Men che meno rileva, ai fini che interessano, la sospensione condizionale della pena.
P.Q.M.
nelle suesposte considerazioni è il parere del Consiglio di Stato.
IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Raffaele Carboni
IL SEGRETARIO
Maria Cristina Manuppelli
DELLE ARMI
Quesito.
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PARERE ,sede di CONSIGLIO DI STATO ,sezione SEZIONE 1 ,numero provv.: 201601620 - Public 2016-07-11 -
Numero 01620/2016 e data 11/07/2016
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 6 luglio 2016
NUMERO AFFARE 00275/2016
OGGETTO:
Ministero dell’interno.
Quesito sull’interpretazione dell’art. 43 del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
LA SEZIONE
Vista la relazione del 27 gennaio 2016 con la quale il ministero dell’interno, dipartimento della pubblica sicurezza, ha posto il quesito sopra indicato;
esaminati gli atti e udito il relatore, presidente Raffaele Carboni.
Premesso.
L’art. 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, inserito nel titolo I “Dei provvedimenti di polizia e della loro esecuzione”, capo terzo “Delle autorizzazioni di polizia”, al primo comma recita, per la parte che interessa:
«Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: 1° a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione»; e al terzo comma: «Le autorizzazioni devono essere revocate … quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
Le autorizzazioni di polizia sono previste dalla legge e riguardano varî e disparati campi d’attività dei privati.
L’art. 43, inserito nel capo IV, “Delle armi”, del titolo II, “Disposizioni relative all’ordine pubblico e alla incolumità pubblica”, al I comma dispone:
«Oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi».
In giurisprudenza si sono verificati contrasti sull’interpretazione dell’art. 43, nel senso che alcune pronunce, applicando l’art. 43 in combinato disposto con l’art. 11, hanno affermato che quando vi sia stata la riabilitazione del condannato viene eliso l’automatismo del primo comma dell’articolo 43, sicché in tal caso possono essere, previa valutazione discrezionale di tutte le circostanze, rilasciate licenze di portare le armi a chi ha riportato condanne del tipo previsto dall’art. 43 (e viceversa è illegittimo il diniego fondato soltanto su pregresse condanne di tale tipo).
Perciò il Ministero il 24 giugno 2014 aveva posto al Consiglio di Stato il quesito seguente:
se l’art. 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nella sua formulazione attuale, osti al rilascio di porto d’armi e imponga la revoca della licenza di porto d’armi nei confronti di coloro che siano stati condannati per i reati di cui al primo comma anche se sia intervenuta la riabilitazione.
Sul quesito la Sezione nell’adunanza del 16 luglio 2014 ha reso il parere n. 1191/2014 concludendo che la riabilitazione non influisce sulle disposizioni dell’art. 43.
Non essendo cessata l’incertezza giurisprudenziale, il Ministero chiede ora un approfondimento degli effetti della riabilitazione sulle condanne elencate nel primo comma dell’art. 43, ossia ripropone il quesito sopra riportato. Aggiunge i quesiti seguenti:
- quale sia la sorte delle licenze di porto d’armi rilasciate in adesione all’interpretazione “evolutiva” della disposizione di legge e che andrebbero revocati in adesione al parere del 16 luglio 2014;
- se alle persone che siano state beneficiarie di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbano essere applicate le disposizioni ostative previste nel primo comma dell’art. 43, o se si debbano valutare la loro situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato;
- se la condanna con effetto preclusivo della licenza di porto d’armi sia quella “espressa con sentenza passata in giudicato” o se debba intendersi riferita (anche) a quella conseguente a patteggiamento pronunciato ai sensi dell’articolo 445 del codice di procedura penale nonché nei casi in cui la pena è stata condizionalmente sospesa.
Considerato.
Sul quesito principale, sopra trascritto dalla relazione ministeriale del 24 giugno 2014, in primo luogo va osservato che non è possibile applicare la deroga al divieto, contenuto nel primo comma dell’art. 11 del testo unico (possibilità di concedere le autorizzazioni di polizia, in deroga al fatto ostativo costituito da determinate condanne, quando sia intervenuta la riabilitazione), perché, come risulta dalla stessa sistematica del testo unico che si è sopra evidenziata, le autorizzazioni di polizia, concernenti svariate attività assoggettate a controllo di polizia, e la materia delle armi, nella quale vige il generale divieto di circolare armati e la licenza di porto d’armi costituisce eccezione a tale divieto, sono materie distinte e soggiacciono a normative diverse.
Va poi rilevato che la tesi secondo cui la riabilitazione toglie l’effetto preclusivo al rilascio del porto d’armi, stabilito dall’art. 43 per determinate condanne, si fonda sulla lettura dell’art. 178 del codice penale, secondo cui «La riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti», e contiene un fraintendimento circa la nozione di «effetti penali della condanna».
Effetti penali della condanna sono gli effetti di una condanna sulla successiva applicazione della legge penale, sostanziale o processuale: ostacolo a una nuova concessione della sospensione condizionale, della non menzione e delle sanzioni sostitutive, aumento di pena per la recidiva, aumento di pena per l’ubriachezza, punibilità per i c.d. reati di sospetto (articoli 707 e 708 del codice penale: l’essere stati condannati per certi reati costituisce elemento costitutivo di quei due reati), possibilità di dichiarare il condannato delinquente abituale o professionale, possibilità o obbligo di emettere mandato di cattura, procedibilità d’ufficio per reati altrimenti procedibili a querela, e così via.
Il divieto di concedere (o l’obbligo di revocare) il porto d’armi, come l’esclusione da concorsi, da impieghi o da gare o la perdita del diritto elettorale per chi ha riportato certe condanne, sono bensì effetti della condanna, ma non effetti penali della condanna; e la riabilitazione di per sé, salvo cioè diverse disposizioni della normativa che regge la materia, come appunto l’art. 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, non elimina tali effetti. In definitiva quindi, secondo le chiare disposizioni legislative dei citati articoli 11 e 43, in presenza di condanne per reati preclusivi la riabilitazione consente di rilasciare al riabilitato le autorizzazioni di polizia in generale, mentre non consente di rilasciargli la licenza di porto d’armi. In altre parole gli effetti della riabilitazione si esauriscono nell’àmbito dell’applicazione della legge penale ma, salvo diverse, specifiche disposizioni di legge, essa non ha rilievo su altre conseguenze giuridiche delle condanne.
Le considerazioni che precedono sono risolutive del quesito. Non meno risolutiva, peraltro, è la lettura dell’art. 66 del regolamento d’esecuzione del testo unico, emanato con regio decreto 6 maggio 1940 n. 635.
Al riguardo va premesso che:
a) secondo l’articolo 689, comma 1, alinea 4 del codice di procedura penale vigente, corrispondente all’articolo 608, alinea 6 del codice del 1931, le condanne per le quali è stata dichiarata la riabilitazione non vengono riportate - né viene riportata la riabilitazione, che paleserebbe l’esistenza di condanne - nel certificato di casellario richiesto dall’interessato;
b) i certificati del casellario rilasciati a richiesta delle pubbliche amministrazione contengono invece tutte le iscrizioni esistenti al nome della persona (articoli rispettivamente 688 e 606);
c) la domanda di licenza di porto d’armi, secondo l’art. 62 del regolamento del 1940, dev’essere corredata dal certificato del casellario giudiziario (richiesto, evidentemente, dall’interessato). Ciò premesso, l’articolo 66 dispone: «Qualora vi sia motivo di ritenere che il richiedente la licenza sia stato colpito da condanna che non figuri nel certificato ai sensi dell’art. 608 del codice di procedura penale, e che produca l’incapacità ad [di] ottenere la licenza, l’autorità di pubblica sicurezza competente richiede il certificato di tutte le iscrizioni esistenti al nome dell’interessato, a termini dell’art. 606 dello stesso codice». Poiché, come si è detto, nel certificato di casellario richiesto dall’interessato - prodotto con la domanda di licenza di porto d’armi - non vengono riportate le condanne in relazione alle quali è stata dichiarata la riabilitazione, è evidente che la riabilitazione non elimina il divieto di rilascio della licenza, e che il legislatore non ha mai neppur concepito - né la cittadinanza comprenderebbe - che si possa rilasciare una licenza di porto d’armi a una persona che, riabilitata o meno, è stata condannata per delitti come l’omicidio, le lesioni, il furto, la rapina, l’estorsione, il sequestro di persona a scopo di rapina o d’estorsione.
In conclusione sul quesito principale, a chi è stato condannato per i reati previsti come preclusivi dal citato articolo 43 non può essere rilasciata, e dev’essere revocata se sia stata rilasciata, la licenza di porto d’armi senza che possa aver rilievo la conseguita riabilitazione.
Sui restanti quesiti si risponde:
1) la sorte delle licenze di porto d’armi rilasciate in adesione all’interpretazione “evolutiva” dell’art. 43 dipende dai singoli casi. Se c’è un giudicato, o un decreto presidenziale su ricorso straordinario, che ha obbligato l’Amministrazione a rilasciare senz’altro la licenza, la licenza non può essere revocata; e lo stesso deve dirsi se, come sembra, ci sono stati giudicati che hanno obbligato l’Amministrazione a valutare discrezionalmente la domanda di porto d’armi presentata da persona condannata per reati ostativi, e l’Amministrazione ha rilasciato la licenza motivando sull’affidabilità del richiedente: in ambo i casi il porto d’armi è stato rilasciato in esecuzione di un giudicato. Diverso è il caso di licenze rilasciate a persone che si trovano nelle condizioni preclusive previste dall’art. 43, alle quali sia stata rilasciata la licenza senza che avessero impugnato un precedente diniego: in tal caso ben può l’Amministrazione, tornando sull’interpretazione dell’art. 43, che non ammette deroghe, revocare la licenza; con l’avvertenza però che, quando la licenza sia stata rilasciata motivando sull’attuale affidabilità del richiedente, la revoca non è esente dal rischio d’annullamento.
2) Alle persone che siano state beneficiarie di reiterati rinnovi del titolo di polizia debbono essere applicate, con il diniego o con la revoca, le disposizioni dell’art. 43 del regio decreto 17 giugno 1931 n. 773, senza considerare la loro situazione personale e la loro condotta successiva al compimento del reato; d’altra parte in casi del genere, tenendo presenti le considerazioni esposte a proposito dell’art. 66 del regolamento del 1940, è ben verisimile che l’Amministrazione di pubblica sicurezza non abbia conosciuto per tempo le condanne ostative proprio a causa dell’intervenuta riabilitazione.
3) L’applicazione della pena su richiesta, c.d. patteggiamento o pena patteggiata, introdotta dal codice di procedura penale del 1988, è pur sempre una condanna (art. 445, comma -bis introdotto dalla legge 12 giugno 2003 n. 134: «Salve diverse disposizioni di legge, la sentenza è equiparata a una pronuncia di condanna»), e i suoi effetti vantaggiosi per il condannato, ulteriori alla riduzione della pena, si esauriscono nell’àmbito degli effetti penali (vedasi l’art. 445, comma 2), dei quali si è già detto. Essa pertanto non influisce sulle disposizioni dell’articolo 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza.
Men che meno rileva, ai fini che interessano, la sospensione condizionale della pena.
P.Q.M.
nelle suesposte considerazioni è il parere del Consiglio di Stato.
IL PRESIDENTE ED ESTENSORE
Raffaele Carboni
IL SEGRETARIO
Maria Cristina Manuppelli