Esclusione 12° corso allievi Vicebrigadieri Arma
Inviato: mar mag 03, 2016 7:42 pm
Per tutti gli utenti del forum comunico la bellissima vittoria ottenuta per mio conto innanzi al Tar Lazio (Sez. 1^ bis), contro il Ministero della Difesa - Comando Generale Arma dei Carabinieri da parte dell'Avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta e Giuseppe Piscitelli (sono stati dei grandi professionisti che ancora una volta hanno dato voce a chi voce non l'aveva piú).
N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
Giuseppe Terracciano, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Antonino Verrecchia;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.
Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
N. 05027/2016 REG.PROV.COLL.
N. 07532/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7532 del 2013, proposto da:
Giuseppe Terracciano, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta, Giovanni Carta, Giuseppe Piscitelli, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Parioli, 55;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
Antonino Verrecchia;
per l'annullamento
della determinazione n. 61/4-43-4-2012 di protocollo del 26 giugno 2013 (notificata l'8 luglio 2013), con la quale il Direttore dell'Ufficio concorsi e contenzioso del Centro nazionale di selezione e reclutamento del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha escluso il ricorrente "dal concorso, per titoli, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 350 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri, poichè privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. d) del relativo bando; del decreto n. 203 di protocollo del 19 novembre 2012 (divenuto lesivo per il ricorrente soltanto il 18 maggio 2013), con il quale il Direttore generale della Direzione generale per il personale militare del Ministero della Difesa ha bandito il concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri; di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e/o conseguenti ai predetti provvedimenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 2 marzo 2016 la dott.ssa Floriana Rizzetto e uditi l’avv. Piscitelli e l’avv. dello Stato Marina Russo per l’Amministrazione resistente.
Il ricorrente premette di aver partecipato al concorso interno, per titoli, riservato agli Appuntati scelti, per l'ammissione al 12° corso trimestrale di aggiornamento e formazione professionale di 315 Allievi Vicebrigadieri del ruolo Sovrintendenti dell'Arma dei Carabinieri indetto con decreto n. 203 del 19.11.2012. Espone altresì di essere stato escluso una prima volta dal concorso in parola con decreto del 19.4.2013 in quanto risultava privo del requisito di partecipazione di cui all'art.3, comma 1, lett. b) del relativo bando poiché alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande (31.12.2012) risultava essere imputato in un procedimento penale pendente dinanzi al Tribunale di Nola per effetto dell’atto di citazione diretta in giudizio del 22.11.2012; atto che, tuttavia, successivamente è stato ritenuto non idoneo a far acquistare al ricorrente la qualità di indagato sicchè l’Amministrazione ha annullato in autotutela il provvedimento di esclusione ed ha inserito il ricorrente nella graduatoria finale del concorso tra i vincitori con decreto n. 69 del 16.5.2013.
Con il ricorso in esame egli impugna il decreto del 26.6.2013 con cui è stato nuovamente escluso dal concorso in parola per i medesimi motivi in quanto, nelle more, era stato emesso decreto di rinvio a giudizio in data 22.4.2013 per i medesimi fatti; impugna altresì, quale atto presupposto, la medesima clausola del predetto bando (art.3, comma 1, lett. d) che prescriveva che il requisito in questione dovessero essere posseduto “fino alla data di effettivo inizio del corso di formazione”
Il ricorso è affidato a censure con cui si denuncia l’illogicità, irragionevolezza ed illegittimità costituzionale della previsione del bando in questione e dell’art. 635 del COM da esso riprodotta per contrasto con gli artt. 27 co. 2 e 3 co. 1 della Costituzione in quanto, nella sostanza, finisce con l’equiparare l’imputato (e quindi un soggetto che si deve presumere innocente) al medesimo trattamento giuridico del condannato.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con memoria difensiva.
Con ordinanza n. 3339/2013 l’istanza di sospensiva è stata respinta per difetto di fumus boni iuris sulla base dei precedenti della Sezione (TAR Lazio, Sez. I bis N. 7277/2014 E 11519/2014) che avevano disatteso i dubbi sulla legittimità costituzionale prospettati dal ricorrente.
Successivamente all’ intervenuta sentenza di assoluzione del ricorrente in data 28.1.2015, il predetto ha ripresentato l’istanza cautelare che è stata tuttavia nuovamente respinta con ordinanza n. 2233 del 28.5.2015. Il Consiglio di Stato con ordinanza n.3781 del 28.8.2015 ha accolto l’appello cautelare solo “ai fini della fissazione della udienza di discussione ai sensi dell’art. 55 vo. 10 CPA” ritenendo immediatamente ravvisabile il fumus boni iuris (ed infatti specifica che “la questione di legittimità costituzionale dell'art. 635 comma 1 lettera g) del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 in relazione all'evocato contrasto con gli art. 3 comma 1 e 27 comma 2 Cost. richiede delibazione nella sede propria del merito”).
In vista dell’udienza di trattazione del merito il ricorrente ha presentato memoria conclusionale.
All’udienza pubblica del 2.3.2016 la causa è stata trattenuta in decisione.
La questione sottoposta all’esame del Collegio è stata inizialmente affrontata dalla Sezione con sentenza n. 10943/2015 che ha disatteso la richiesta di “un’interpretazione costituzionalmente orientata delle clausole del bando di concorso in contestazione, finalizzata a renderlo compatibile con l'art. 27 della Costituzione” - che sancisce la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva – ritenendo tale lettura non pertinente in quanto la controversia in esame concerne i requisiti di partecipazione a un concorso e di ammissione a un pubblico impiego, sicchè risultava “del tutto estranea la questione della responsabilità penale e della presunzione di non colpevolezza” sancita dall'art. 27, secondo comma, Cost. e dell'analoga normativa europea e internazionale, come chiarito dalla costante giurisprudenza in materia (vedi, per tutte Cons. Stato, sez. IV, 18.4.2013 n. 2181).
Con la medesima sentenza inoltre veniva affrontata la questione della valenza della sentenza di assoluzione – che determina la sopravvenuta perdita della valenza ostativa degli atti di imputazione penale – recentemente intervenuta a favore di parte ricorrente, riepilogando i tre diversi orientamenti giurisprudenziali volti a riconoscere diversi effetti alla sentenza di assoluzione a seconda delle diverse fasi in cui questa sia intervenuta, in particolare ricordando quello che riteneva irrilevante la sentenza di assoluzione intervenuta in epoca successiva all’adozione del provvedimento espulsivo, la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze di fatto esistenti al momento della situazione; deve quindi ritenersi legittimo se, a quella data, il concorrente manteneva la condizione di imputato ((TAR Lazio, Sez. I bis, sentenza n. 770 del 23.1.2013 e, da ultimo, TAR Lazio, I bis, 19 maggio 2015 n. 7277).
La sentenza in parola dava atto anche del recente, più favorevole orientamento giurisprudenziale, inaugurato dal Cons. St., Sez. IV, n. 965 del 26/02/2015, secondo cui “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”. In tale ottica è stato annullato il provvedimento di decadenza del 17 giugno 2010, adottato un anno e mezzo prima della sentenza di assoluzione, intervenuta in data 14 dicembre 2011, in considerazione dell“l’illogicità derivante dalla mancata considerazione dell’esito del procedimento penale in cui era coinvolto l’appellante”.
A quel momento, tuttavia, la Sezione aveva ritenuto di potersi discostare da quella che, allora pareva costituire una isolata decisione osservando che “pur considerando l’intento garantistico del giudice di appello sotteso all’orientamento sopra richiamato, che si colloca sul cruciale crinale della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sulla legittimità dell’atto a giudizio sul rapporto – che trova numerosi precedenti nella materia del permesso di soggiorno degli stranieri (settore in cui però la rilevanza giuridica dei fatti sopravvenuti trova espressa “copertura legislativa” nell’art. 5 co. 5 del D.Lgs. n. 286/98) - ritiene di non poter aderire a tale (per ora isolato) precedente. In tal modo, infatti, si finirebbe per snaturare il giudizio di legittimità sul provvedimento amministrativo – così come è conosciuto nel nostro ordinamento giuridico - e trasformare i TAR in organi di amministrazione attiva in cui l’impugnativa del provvedimento costituisce un mero pretesto per stabilire l’esatta posizione giuridica del ricorrente, ben oltre la porzione di rapporto esaminata dall’Amministrazione in stridente contrasto con il divieto posto dall’art. 34 CPA. Vero è che la normativa che disciplina il procedimento in parola “necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio” e che “l’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme”. Ciononostante, il giudice amministrativo non può far altro che applicare quelle norme - oppure, se le ritenga contrarie ai principi ed ai valori costituzionali, sollevare la questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale – non potendo disapplicarle (né pretendere la loro disapplicazione da parte dell’autorità amministrativa annullando i provvedimenti espulsivi adottati sulla base dell’automatismo “formalistico” del riscontro della sottoposizione del candidato a procedimento penale) in nome dei richiamati principi di ragionevolezza e proporzionalità (che trovano applicazione solo nel caso dell’esercizio della discrezionalità e quindi non sono invocabili nel caso di specie in cui l’attività amministrativa ha natura tipicamente “vincolata” essendo già “rigidamente” disciplinata dagli artt. 635 e 638 del d.lo n. 66/2010)” (TAR Lazio, Sez. I bis n. 10943/2015).
In quell’occasione, pertanto, la Sezione ha ritenuto che la sentenza di assoluzione pronunciata dopo l’adozione del decreto di esclusione dalla procedura concorsuale non potesse operare retroattivamente con l’effetto di far venir meno “ora per allora” il difetto del requisito prescritto dal bando e che pertanto non valesse ad inficiare la legittimità del provvedimento di esclusione adottato ben tre anni prima; potendosi semmai configurare come causa di “illegittimità sopravvenuta” atta a giustificare l’eliminazione dell’atto ad opera della stessa Amministrazione ma non l’annullamento giurisdizionale del provvedimento in esame la cui legittimità deve essere valutata alla stregua delle circostanze esistenti al momento della sua adozione, in tal modo ribadendo l’orientamento tradizionale del giudice di appello (cfr., relativamente al trasferimento per incompatibilità di personale già in servizio, Cons. St., Sez. III, 3411/2015, nel senso che “ai fini dello scrutinio di legittimità del provvedimento stesso, in base al principio tempus regit actum, deve aversi riguardo alla situazione in fatto ed in diritto esistente al momento dell’adozione dell’atto (…). A quella data il processo penale per reati connessi ai compiti della qualifica era ancora in corso e della sua pendenza l’ Amministrazione (…) poteva tenere pienamente conto, in ordine ai riflessi sull’immagine dell’ufficio di originaria applicazione del ricorrente e sul sereno adempimento da parte dell’interessato dei compiti di istituto. La sentenza di assoluzione non determina, quindi, illegittimità sopravvenuta del provvedimento di trasferimento in precedenza adottato e tantomeno la sua inefficacia. Il giudizio assolutorio può, tutt’al più, costituire presupposto per un’istanza di riesame del provvedimento di assegnazione di sede da ultimo adottato, rimesso in ogni caso all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione).
Successivamente, tuttavia, la Sezione ha ritenuto di adeguarsi all’orientamento interpretativo del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, IV, n. 965/2015) ritenendo “irragionevole e sproporzionata l’esclusione del ricorrente dalla selezione indicata in epigrafe, tenuto conto che seppure ex post è venuto meno ogni formale motivo ostativo alla sua partecipazione, con effetto retroattivo” (cfr. T.A.R. Lazio, I bis, 19/11/2015 n. 13098).
In tal modo la Sezione ha condiviso il percorso argomentativo del Supremo Consesso che ha chiarito che la ratio della disposizione del bando in contestazione “può essere riferita all’esigenza di reclutamento nell’Esercito di individui che garantiscano un adeguato livello di moralità e professionalità: proprio in virtù di ciò, deriva che la decisione di escludere il ricorrente dalla procedura di selezione risulta irragionevole sotto diversi profili. Innanzitutto, è necessario rilevare che l’atto di approvazione della graduatoria, relativa alla procedura concorsuale, implica un preventivo esame, da parte dell’amministrazione, delle singole domande degli aspiranti volontari in servizio permanente: pertanto, è in tale sede che dovrebbero emergere eventuali criticità e carenze di requisiti tali da escludere taluno dei partecipanti. (…). Ulteriori dubbi circa la coerenza con i principi costituzionali sorgono in relazione al periodo di tempo, indicato dall’art. 2 co. 2 del bando, entro il quale i candidati devono possedere e mantenere i requisiti di moralità. A ben vedere, una rigorosa applicazione della disposizione in esame determinerebbe una disparità di trattamento in violazione dell’art. 3 Cost.: in effetti mentre, correttamente, nessuna possibilità di esclusione sussiste nei confronti di chi non subisce un procedimento penale, viceversa dovrebbero essere esclusi dalla procedura i concorrenti nei cui confronti pende un procedimento penale nel periodo di tempo contemplato dalla norma, ancorché lo stesso si concluda con un’assoluzione (…). Inoltre, con la conclusione del processo penale, da un lato, è venuto meno ex post ogni formale motivo ostativo alla partecipazione dell’appellante alla procedura concorsuale indetta dalla Direzione Generale per il Personale Militare (…) In definitiva, la disposizione in virtù della quale è stato adottato il provvedimento impugnato in primo grado, necessita di una lettura costituzionalmente orientata, al fine di poterne esplicitare al meglio la ratio: l’inizio di un procedimento penale, infatti, non consente di emettere un giudizio definitivo circa la moralità e la professionalità di un aspirante volontario in ferma permanente, in coerenza con quanto disposto dall’art. 27 co. 2 Cost.. Di conseguenza, venuta meno l’imputazione a carico di un individuo, nessun dubbio può essere sollevato circa la sua idoneità morale a ricoprire quel determinato ruolo. L’esclusione di un candidato, motivata con riferimento alla mera pendenza di un procedimento penale al momento della presentazione della domanda di partecipazione ad una procedura concorsuale, adottata prescindendo del tutto dalla valutazione circa l’esito di tale procedimento, quand’esso - come nella specie - sia favorevole al candidato, nel frattempo pure immesso in servizio, si inserisce in un’ottica di rigida applicazione delle norme: ne deriva una lettura formalistica della documentazione, avulsa dal riscontro oggettivo dei fatti, che si risolve, in ultima analisi, in una distorsione dei canoni di legittimità e buon andamento dell’azione amministrativa”.
Da tale impostazione ermeneutica il Collegio non intende discostarsi nel caso in esame in cui il ricorrente è stato rinviato a giudizio per lesioni personali a seguito di una vicenda scaturita da una lite condominiale per l’uso esclusivo di pertinenze comuni in cui non ha avuto ruolo di colpevole, bensì di ausilio, come si evince dalla sentenza di assoluzione, con formula pienamente liberatoria, che ha ritenuto il ricorrente «totalmente estraneo a tale aggressione (…) in considerazione non solo del fatto che questi è certamente sopraggiunto quando già l’aggressione era conclusa, ma anche dell’atteggiamento del tutto diverso che questi ha assunto … a fronte della patita aggressione della omissis, essendosi cioè subito prestato a darle aiuto».
Ne consegue che il ricorso deve essere accolto, in applicazione dei principi sanciti dall’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente (considerato pure che “la durata del processo penale non può andare a danno dell’imputato”) che merita di essere applicato nel caso in esame, in cui, all’esito del procedimento penale, il ricorrente è stato assolto con formula piena.
Sussistono tuttavia giusti motivi vista la natura interpretativa della controversia per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis) accoglie il ricorso in esame e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 2 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente FF
Nicola D'Angelo, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.