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Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: mer ott 28, 2015 2:45 pm
da jonnidread
Foglio due

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: mer ott 28, 2015 3:09 pm
da jonnidread
Ragazzi aprite l'altro post perche ho messo un foglio per parte un po di casino ma leggetelo

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: mer ott 28, 2015 4:43 pm
da ariete17
ciao jonnidread guarda che ti ho risposto in privato

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: mer ott 28, 2015 5:40 pm
da avt8
Collega la sentenza di cui parli e stata appellata dal Ministero e La Corte di Conti sezioni Appello,ha accolto il ricorso del Ministero annullando la sentenza di primo grado, ed il carabiniedre deve restituire tutto indietro-

Modestamente : Qui ci sta un giurista che controlla leggi la sentenza:





Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

La Corte dei Conti

Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana

composta dai magistrati:

dott. SALVATORE CILIA Presidente

dott. SALVATORE CULTRERA Consigliere

dott. PINO ZINGALE Consigliere

dott.ssa ANNA LUISA CARRA Consigliere

dott. VALTER DEL ROSARIO Consigliere- relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA N.331/A/2013

nel giudizio d’appello in materia pensionistica iscritto al n. 4442/AM del registro di segreteria, promosso dal Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare avverso Laganà Sebastiano, nato a Palagonia (CT) il Omissis, residente ad Aci Sant’Antonio (CT), in via Collegio Pennisi, n.18, difeso dall’avv. Angelo Fiore Tartaglia (con domicilio eletto presso lo studio legale dell’avv. Fabio Falcone, in via Montepellegrino, n.135, Palermo), per la riforma della sentenza n.2443/2012, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Siciliana in data 8.8.2012;

visti tutti gli atti e documenti di causa;

uditi nella pubblica udienza del 26 settembre 2013 il relatore dott. Valter Del Rosario e l’avv. Tartaglia per il sig. Laganà; non comparso alcuno per il Ministero della Difesa.

FATTO

Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale si evince che:

nei confronti del maresciallo maggiore aiutante dei carabinieri Laganà Sebastiano (in servizio nell’Arma dal 27.9.1978) venne promosso nell’anno 2003 un procedimento penale per il reato di “peculato militare” (v. la richiesta di rinvio a giudizio formulata il 22.9.2003 dalla Procura Militare della Repubblica di Palermo);

in pendenza di tale procedimento penale, il Laganà, nel gennaio 2004, venne riscontrato affetto da infermità cardiaca, ragion per cui, dopo aver fruito di vari periodi di licenza straordinaria e di convalescenza, venne collocato in congedo per inabilità fisica assoluta e permanente in data 28.1.2005 (in conformità al giudizio espresso dalla Commissione Medica presso l’ospedale militare di Messina);

rilevato che il Laganà era in possesso dei requisiti minimi di anzianità (almeno venti anni di servizio effettivo) previsti dalla normativa vigente per l’accesso al trattamento di quiescenza nei casi di cessazione dal servizio per inabilità fisica (requisiti assai più favorevoli rispetto a quelli stabiliti, in via generale, per tutte le altre tipologie di pensionamento anticipato rispetto al limite d’età), il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo, con provvedimento n.580 del 4.4.2005, attribuì al Laganà la pensione provvisoria calcolata sulla base di un’anzianità utile di anni 31, mesi 4 e giorni 25;

il procedimento penale, già pendente a carico del Laganà sin dal 2003, proseguì il suo corso e si concluse con la condanna definitiva del medesimo, riconosciuto colpevole del reato di “peculato militare”, alla pena di anni uno di reclusione, cui si aggiunse la sanzione accessoria della “perdita del grado”, ai sensi dell’art. 219 del c.p.m.p. (v. la sentenza n.39/2007 della Corte d’Appello Militare di Napoli, divenuta irrevocabile il 22.9.2007, confermativa della sentenza n.45/2005 emessa dal Tribunale Militare di Palermo);

a seguito del procedimento disciplinare instaurato a suo carico per il comportamento delittuoso da lui tenuto, al Laganà venne irrogata, con effetti dal 28.1.2005 (stessa data in cui era cessato dal servizio), la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, in base al combinato disposto degli artt. 60, n.6, e 37 della L. 31.7.1954, n.599 (v. il decreto del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare n.140 del 14.4.2008).

Tenuto conto di tali circostanze, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo- Ufficio Trattamento di Quiescenza rilevò che alla fattispecie concernente il maresciallo maggiore aiutante Laganà Sebastiano risultavano pienamente applicabili le specifiche disposizioni dettate dall’art. 37 della L. n.599/1954, secondo cui:

“Il sottufficiale dei carabinieri, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo (tra cui l’inabilità fisica assoluta e permanente per infermità o lesioni), cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di una commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata, a suo tempo, disposta”.

L’Amministrazione affermò, pertanto, che:

il titolo di cessazione dal servizio del Laganà era giuridicamente costituito, a tutti gli effetti, dal provvedimento che ne aveva sancito la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” (susseguente al comportamento illecito da lui tenuto, accertato con sentenza penale definitiva di condanna);

in tale peculiare contesto il Laganà (nato il Omissis) non poteva vantare, con riferimento alla data (28.1.2005) in cui venne posto in congedo, né il requisito anagrafico d’età né l’anzianità minima di servizio utile che erano prescritti, in linea generale, dalla normativa vigente (art. 6 del D.L.vo n.165/1997, come modificato dall’art. 59, commi 6 e ss., della L. n.449/1997) per poter fruire della pensione in tutti i casi di collocamento a riposo anticipato rispetto ai limiti d’età (ad eccezione di quello disposto per inabilità fisica).

Conseguentemente, il Centro Nazionale Amministrativo:

dispose l’interruzione dell’erogazione della pensione, che era stata liquidata in via provvisoria in favore del Laganà con decorrenza dall’epoca in cui egli era stato collocato in congedo dopo essere stato dichiarato permanentemente inabile al servizio per infermità;

avviò la procedura per il recupero dei ratei di pensione che il Laganà aveva nel frattempo percepito nonchè per la costituzione in favore del medesimo della posizione assicurativa presso l’I.N.P.S., ai sensi della L. n.322/1958 (v. le note emesse nel luglio 2008).

* * * * *

Avverso i provvedimenti emessi dal Ministero della Difesa e dal Centro Nazionale Amministrativo dell’Arma dei Carabinieri il Laganà inoltrò ricorso alla Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione siciliana, chiedendo che:

fosse riconosciuto il suo diritto a percepire la pensione che gli era stata attribuita per accertata inidoneità fisica al servizio, prima che venisse emanato il provvedimento con cui era stato sancito il suo collocamento in congedo per “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

fosse, pertanto, dichiarata l’illegittimità sia dell’interruzione dell’erogazione della pensione sia della procedura di recupero dei ratei che erano stati da lui nel frattempo percepiti.

* * * * *

Con la sentenza n.2443/2012 il Giudice di primo grado ha accolto il ricorso proposto dal Laganà, sostenendo quanto segue.

In primo luogo, nella predetta sentenza è stato rilevato che il Laganà era cessato dal servizio in data 28.1.2005, con un’anzianità utile di anni 31, mesi 4 e giorni 25, sicuramente inferiore a quella prescritta, in linea generale, dal regime pensionistico di riferimento (art. 6 del D.L.vo n.165/1997, come modificato dall’art. 59 della L. n.449/1997) per poter fruire del trattamento di quiescenza anticipato rispetto al limite d’età.

In secondo luogo, nella medesima sentenza è stato evidenziato che nella fattispecie riguardante il Laganà dovrebbero trovare applicazione le disposizioni che sanciscono, in sede d’individuazione del titolo giuridico di cessazione dal servizio, il principio della prevalenza di quello della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” rispetto a qualsiasi altro titolo (ivi compreso il collocamento in congedo per inabilità fisica).

Tuttavia, secondo il Giudice di primo grado:

“la sanzione disciplinare della perdita del grado non potrebbe incidere retroattivamente ed in pejus sui diritti previdenziali acquisiti dal pensionato”, dato che “i requisiti per l’accesso alla pensione sono cristallizzati al momento del collocamento in congedo”;

d’altro canto, “il provvedimento disciplinare incide ordinariamente sul rapporto di servizio, avendo la finalità di sanzionare comportamenti illeciti tenuti dal dipendente pubblico in attività”;

“il provvedimento disciplinare della perdita del grado (decreto n.140 del 14.4.2008), avente efficacia, per <fictio juris>, dalla stessa data in cui l’interessato era stato collocato in congedo per infermità, verrebbe ad incidere su una situazione giuridica già consolidata per fatto stesso dell’Amministrazione (quale quella concernente il trattamento pensionistico a suo tempo concesso al Laganà)”.

Pertanto, “non potendo reputarsi plausibile la revoca del trattamento pensionistico già attribuito al Laganà”, il Giudice di primo grado ha ritenuto di dover riconoscere il diritto del medesimo a percepire la pensione che gli era stata liquidata a seguito dell’accertamento dell’inabilità fisica al servizio, constatazione intervenuta prima dell’emanazione del provvedimento di “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”.

* * * * *

Avverso la sentenza n.2443/2012 ha proposto appello il Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare, contestando analiticamente le argomentazioni con le quali il Giudice di primo grado aveva accolto il ricorso del Laganà.

In particolare, nell’atto d’appello e nella successiva memoria conclusionale l’Amministrazione ha sostenuto che i provvedimenti in materia pensionistica emessi nei riguardi del Laganà erano stati, di volta in volta, pienamente conformi alla normativa vigente.

Infatti, in un primo tempo, rilevato che il Laganà (nei cui confronti era già pendente procedimento penale) in data 28.1.2005 era stato dichiarato dai competenti organi sanitari permanentemente inabile al servizio per infermità ed era, altresì, in possesso dell’anzianità minima (almeno venti anni di servizio effettivo) specificamente richiesta dagli artt. 28 e 29 della L. n.599/1954 per poter fruire del trattamento di quiescenza in caso di collocamento in congedo per inabilità fisica, l’Amministrazione aveva correttamente liquidato a suo favore la pensione provvisoria (calcolata sulla base di un’anzianità utile di anni 31, mesi 4 e giorni 25).

Successivamente, però, rilevato che era stato emesso nei confronti del Laganà il decreto del Ministero della Difesa- Direzione Generale per il Personale Militare n.140 del 14.4.2008 (con cui, a seguito del procedimento disciplinare instaurato a suo carico per il comportamento delittuoso da lui tenuto, al medesimo era stata inflitta, con effetti dal 28.1.2005, stessa data in cui era cessato dal servizio, la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”), l’Amministrazione aveva constatato che il Laganà (da ritenersi giuridicamente cessato dal servizio, a tutti gli effetti, per “perdita del grado per rimozione”, in base alle chiare disposizioni contenute nell’art. 37 della L. n.599/1954, anzichè per inabilità fisica) non risultava in possesso né del requisito anagrafico d’età (almeno 52 anni) né dell’anzianità minima di servizio, che erano prescritti, in linea generale, dalla normativa vigente (art. 6 del D.L.vo n.165/1997, modificato dall’art. 59 della L. n.449/1997) per poter fruire della pensione nei casi di collocamento a riposo anticipato.

In sostanza, risultava del tutto evidente che:

tenuto conto dell’evoluzione della vicenda sopra descritta, al Laganà non spettava, sin dall’origine, il trattamento pensionistico che gli era stato attribuito, in via provvisoria (sulla base degli elementi di cui l’Amministrazione era all’epoca in possesso), a partire dal collocamento in congedo;

nei suoi confronti occorreva, quindi, recuperare i ratei pensionistici nel frattempo corrisposti.

Secondo il Ministero della Difesa, il Giudice di primo grado non avrebbe adeguatamente valutato tali circostanze di fatto e non avrebbe, altresì, correttamente interpretato ed applicato le norme di diritto in materia, pervenendo a conclusioni contrastanti con il quadro normativo vigente nonché difformi rispetto all’indirizzo giurisprudenziale ormai consolidatosi nell’ambito delle Sezioni regionali e d’appello della Corte dei Conti.

D’altro canto, le disposizioni contenute nell’art. 37 della L. n.599/1954 sono state recentemente riprodotte nell’art. 923 del D.L.vo 15.3.2010, n.66 (Codice dell’ordinamento militare), in cui il legislatore, dopo aver elencato le cause che possono determinare la risoluzione del rapporto d’impiego dei militari, ha ribadito che: “Il militare cessa dal servizio nel momento in cui nei suoi riguardi si verifichi una delle predette cause (tra cui l’inabilità fisica permanente dovuta ad infermità), anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare. Se detto procedimento si conclude successivamente con un provvedimento che sancisce la perdita del grado, la cessazione dal servizio si considera avvenuta per tale causa”.

Il Ministero della Difesa ha conclusivamente chiesto l’integrale riforma della sentenza impugnata, con conseguenziale riconoscimento della legittimità del proprio operato, dato che:

il titolo giuridico di cessazione dal servizio del Laganà risulta indiscutibilmente costituito dalla “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”;

il Laganà (nato il Omissis) non poteva vantare, con riferimento alla data (28.1.2005) in cui era stato posto in congedo, né il requisito anagrafico di età né l’anzianità minima di servizio, che erano prescritti, in linea generale, dalla normativa vigente (D.L.vo n.165/1997, modificato dalla L. n.449/1997) per poter fruire della pensione in tutti i casi di collocamento a riposo anticipato rispetto ai limiti d’età (ad eccezione di quello disposto per inabilità fisica).

* * * * *

Il Laganà s’è costituito nel giudizio d’appello con il patrocinio dell’avv. Tartaglia.

Preliminarmente, il Laganà ha eccepito che il gravame del Ministero della Difesa sarebbe inammissibile, in quanto proposto dal dirigente del reparto “contenzioso” della Direzione Generale della Previdenza Militare (dott. Alfredo Venditti), che non risulta essere avvocato cassazionista.

Nel merito, il Laganà ha sostenuto che:

il provvedimento ministeriale n.140 del 14.4.2008, con cui gli era stata irrogata la sanzione della “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” con decorrenza, a tutti gli effetti, dal 28.1.2005, sarebbe illegittimo, in quanto non potrebbe avere efficacia retroattiva rispetto alla data della sua notifica all’interessato;

egli dovrebbe, quindi, continuare ad essere considerato, ai fini pensionistici, cessato dal servizio per inabilità fisica e non per perdita del grado;

essendo egli in possesso dei requisiti minimi previsti dalla L. n.599/1954 per l’accesso al trattamento di quiescenza in caso di collocamento a riposo per inabilità fisica, sarebbero illegittimi i provvedimenti con cui l’Amministrazione aveva disposto l’interruzione dell’erogazione della pensione, ritenendo giuridicamente prevalente la causale della cessazione dal servizio per “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”.

Sotto altro profilo, il Laganà ha affermato che, in ogni caso, egli avrebbe comunque diritto a percepire la pensione, in quanto sarebbe applicabile nei suoi confronti la normativa speciale contenuta nell’art. 1, comma 27, lett. B, della L. 8.8.1995, n.335, che sarebbe rimasta in vigore anche dopo l’introduzione delle nuove disposizioni recate dall’art. 59 della L. n.449/1997 (che avevano modificato l’art. 6 del D.L.vo n.165/1997).

In particolare, in base all’art. 1, comma 27, lett. B, della L. n.335/1995, il requisito minimo di anzianità per l’accesso alla pensione anticipata da parte dei militari sarebbe tuttora quello di anni 30 di servizio utile, anzianità già posseduta dal Laganà al momento del collocamento in congedo.

Il Laganà ha infine sostenuto che:

in ogni caso, l’Amministrazione non potrebbe recuperare a suo carico i ratei pensionistici già corrisposti, considerato che egli li avrebbe percepiti in buona fede;

sarebbe, comunque, maturata la prescrizione del diritto dell’Amministrazione di procedere al recupero di tali somme.

* * * * *

Con ordinanza n.30/2013, pubblicata il 23.5.2013, questa Sezione d’Appello ha respinto l’istanza con cui il Ministero della Difesa aveva chiesto la sospensiva dell’esecutività della sentenza di primo grado, non ravvisando la sussistenza del pericolo di un “danno grave ed irreparabile” incombente sull’Amministrazione.

* * * * *

All’odierna udienza, il difensore del Laganà ha insistito per il rigetto dell’appello del Ministero della Difesa e per la conferma della sentenza n.2443/2012.

DIRITTO

Il Collegio Giudicante rileva preliminarmente che (contrariamente a quanto eccepito dal difensore del Laganà) l’appello del Ministero della Difesa risulta pienamente ammissibile, essendo stato ritualmente proposto dal dirigente del reparto “contenzioso” della Direzione Generale della Previdenza Militare (dott. Alfredo Venditti), appositamente delegato dal competente dirigente generale.

Ciò è avvenuto in conformità all’art. 1, comma 5-bis, ultimo capoverso, della L. 14.1.1994, n.19 (nel testo vigente dopo le integrazioni ad esso apportate dalla L. 20.12.1996, n.639), il quale dispone espressamente che: “La facoltà attribuita all’Amministrazione dall’art. 6, comma 4 (secondo cui essa nei processi in materia pensionistica, ove non ritenga di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, può farsi rappresentare in giudizio da un proprio dirigente o da un funzionario appositamente delegato) si applica anche nei giudizi d’appello e ricomprende il potere di proposizione del gravame”.

* * * * *

Passando alla disamina delle questioni di merito, il Collegio Giudicante reputa necessario sottolineare che (contrariamente a quanto prospettato dal Laganà nella memoria di costituzione) non appare ammissibile in questa sede alcuna contestazione in ordine alla legittimità e/od all’efficacia del decreto n.140 del 14.4.2008, con cui il Ministero della Difesa ha disposto nei riguardi del maresciallo maggiore aiutante Laganà Sebastiano (già dichiarato inabile al servizio per infermità), con effetti dal 28.1.2005 (ultimo giorno di servizio effettivo), la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” (a seguito di condanna penale definitiva per il reato di “peculato militare”).

Trattasi, infatti, di un provvedimento concernente lo “status” giuridico del militare, con particolare riferimento al titolo di risoluzione del rapporto di pubblico impiego, che, come tale, in base alla costante giurisprudenza, non è sindacabile innanzi alla Corte dei Conti in funzione di giudice competente in materia pensionistica.

D’altro canto, tale provvedimento risulta essere stato emanato ai sensi del combinato disposto degli artt. 60, n.6, e 37 della L. 31.7.1954, n.599 (il cui contenuto è stato, di recente, sostanzialmente riprodotto nell’art. 923 del D.L.vo 15.3.2010, n.66), secondo cui:

“Il sottufficiale dei carabinieri, nei cui riguardi si verifichi una delle cause di cessazione dal servizio permanente previste dal presente capo (tra cui l’inabilità fisica assoluta e permanente per infermità o lesioni), cessa dal servizio anche se si trovi sottoposto a procedimento penale o disciplinare.

Qualora il procedimento si concluda con una sentenza o con un giudizio di una commissione di disciplina che comporti la perdita del grado, la cessazione del sottufficiale dal servizio permanente si considera avvenuta, ad ogni effetto, per tale causa e con la medesima decorrenza con la quale era stata, a suo tempo, disposta”.

Ne consegue che deve necessariamente prendersi atto in questa sede che il titolo giuridico della cessazione dal servizio del Laganà, avvenuta il 28.1.2005, risulta essere, ad ogni effetto, la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari” e non l’inabilità fisica permanente.

Ciò assodato, il Collegio Giudicante osserva che la sussistenza o meno del diritto del Laganà a fruire del trattamento pensionistico va verificata alla luce del quadro normativo, delineato dall’art. 6 del D.L.vo 30.4.1997, n.165, e dall’art. 59, commi 6 e ss., della L. 27.12.1997, n.449, vigente alla data del 28.1.2005 per i casi di cessazione anticipata dal servizio diversi dal collocamento in congedo per inabilità fisica (tra cui la “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”).

Come esattamente evidenziato dal Ministero della Difesa, tali disposizioni hanno introdotto, a partire dall’1.1.1998 (data in cui è terminata la fase transitoria disciplinata dall’art. 1, commi 25, 26, 27 e 29, della L. n.335/1995), requisiti anagrafici e di anzianità di servizio notevolmente più gravosi rispetto a quelli precedentemente in vigore.

In pratica, in base alle predette norme, per poter conseguire la pensione il Laganà (da ritenersi giuridicamente collocato in congedo, a tutti gli effetti, per “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”) avrebbe dovuto essere in possesso alternativamente:

di un’anzianità di servizio utile di anni 38, a prescindere dall’età anagrafica;

di un’anzianità di servizio utile di anni 35 unitamente ad un’età di almeno 57 anni;

della massima anzianità contributiva prevista dall’ordinamento di appartenenza… unitamente ad un’età di almeno 52 anni (v. la tabella B, allegata al D.L.vo n.165/1997, come sostituita dall’art. 59, comma 12, della L. n.449/1997).

Orbene, dagli atti acquisiti al fascicolo processuale si desume che il Laganà (nato il Omissis) alla data del 28.1.2005:

aveva un’età di appena 45 anni ed un’anzianità utile a fini di quiescenza di anni 31, mesi 4 e giorni 25;

non era, quindi, assolutamente in possesso di alcuno dei requisiti sopra specificati;

conseguentemente, non poteva fruire del trattamento pensionistico anticipato.

In tali sensi s’è già espressa, in relazione a casi analoghi a quello oggetto del presente giudizio, la più recente giurisprudenza della Corte dei Conti (v., ex plurimis, le sentenze: n.5/2013 della III^ Sez. Centrale d’Appello; n.732/2011 della II^ Sez. Centrale d’Appello; n.314/2011 della Sez. Lazio).

Risulta, pertanto, evidente che non sia meritevole d’alcuna censura l’operato del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri- Centro Nazionale Amministrativo- Ufficio Trattamento di Quiescenza, che:

ha provveduto ad interrompere l’erogazione della pensione, che era stata liquidata al Laganà in via provvisoria, subito dopo essere venuto a conoscenza del provvedimento del Ministero della Difesa n.140 del 14.4.2008, che aveva definitivamente sancito che il titolo giuridico di cessazione dal servizio del Laganà era costituito dalla “perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari”, anziché dal collocamento in congedo per inabilità fisica;

ha disposto il recupero dei ratei pensionistici che erano stati nel frattempo erogati al Laganà.

Per quanto concerne quest’ultimo profilo, il Collegio Giudicante osserva che risulta destituita di qualsiasi fondamento la tesi sostenuta dal Laganà, secondo cui tali ratei sarebbero irripetibili in quanto da lui percepiti in buona fede.

Infatti, non v’è dubbio che, nella fattispecie in esame, il Laganà fosse pienamente consapevole che, essendo pendente nei suoi confronti un procedimento penale, al quale sarebbe potuto conseguire un procedimento disciplinare comportante la declaratoria di cessazione dal servizio per “perdita del grado per rimozione” (ai sensi del combinato disposto dell’art. 60, n.6, e dell’art. 37 della L. n.599/1954), potevano venir meno in qualsiasi momento i presupposti sulla base dei quali l’Amministrazione gli aveva attribuito, in via meramente provvisoria, la pensione.

Ugualmente infondata risulta l’eccezione di prescrizione sollevata dal Laganà.

Infatti, l’Amministrazione già nel 2008 ha provveduto a richiedere al Laganà la restituzione dei ratei pensionistici da lui percepiti a partire dal 2005.

Conclusivamente, il Collegio Giudicante reputa che la sentenza n.2443/2012 debba essere annullata e che pertanto:

debba dichiararsi l’insussistenza del diritto del Laganà a fruire della pensione che gli era stata liquidata, in via provvisoria, dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con l’atto dispositivo n.580 del 4.4.2005 e successive modifiche;

debba riconoscersi il diritto dell’Amministrazione ad ottenere la restituzione dei ratei pensionistici nel frattempo erogati al Laganà.

Considerata la notevole complessità della controversia, sussistono idonei motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese relative al presente grado di giudizio.

PER QUESTI MOTIVI

la Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale d’Appello per la Regione Siciliana, definitivamente pronunciando, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero della Difesa- Direzione Generale della Previdenza Militare avverso Laganà Sebastiano, annulla la sentenza n.2443/2012, emessa dalla Sezione Giurisdizionale di primo grado in data 8.8.2012, e quindi:

dichiara l’insussistenza del diritto del Laganà a fruire della pensione, che gli era stata liquidata in via provvisoria dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri con l’atto dispositivo n.580 del 4.4.2005 e successive modifiche;

riconosce il diritto dell’Amministrazione ad ottenere la restituzione dei ratei pensionistici nel frattempo erogati al Laganà.

Spese compensate.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 26 settembre 2013.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.TO (Valter Del Rosario) F.TO (Salvatore Cilia)

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: ven ott 30, 2015 8:53 pm
da palmy66
Scusate se la domanda puo' sembrare banale, ma quando l'INPS richiede indietro la pensione la restituzione è della somma netta percepita o di quella lorda ?
a rigor di logica uno dice, beh se prendevo 1500€ di pensione netti io quelli restituisco ........ma se l'INPS invece dice......io per tizio spendevo tutti i mesi 2000€ (esempio 500 tasse e 1500 pensione) io rivoglio indietro la cifra che tiravo fuori .....2000€
mi spiegate come avviene la cosa per giusta regola ?

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: dom nov 01, 2015 9:24 am
da palmy66
.........qualcuno che sa rispondermi al quesito posto ?

Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: dom nov 01, 2015 3:52 pm
da avt8
ECCOTI ACCONTETATO STESSA COSA VALE ANCHE PER INDEBITO PENSIONISTICO-



Per le somme illegittime in busta paga recupero al lordo degli oneri fiscali
di Luca Tamassia

L’introduzione della cosiddetta sanatoria in materia di utilizzo delle risorse economiche decentrate operata dall’articolo 4 del Dl n. 16/2014, convertito dalla legge n. 68/2014, riporta alla ribalta, per le amministrazioni che non intendono o non possono avvalersi di tale istituto, la complessa questione delle modalità di recupero delle somme indebitamente percepite dai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, atteso che l’impossibilità di recupero dell’indebito sui fondi futuri, facoltà concessa, in via derogatoria, esclusivamente nel quadro applicativo della richiamata sanatoria, riapre le procedure di recupero nei confronti di chi abbia percepito emolumenti economici non dovuti.

Le modalità di calcolo del valore di recupero

In relazione alle modalità di calcolo del valore di recupero, occorre osservare, in via preliminare, che la ripetizione delle somme indebitamente erogate al lavoratore dipendente ("ripetizione dell'indebito" ex art. 2033 c.c.) riguarda esclusivamente le somme da quest'ultimo effettivamente "percepite", pertanto il datore di lavoro non può pretendere di ottenere la restituzione delle somme al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali, posto che le stesse non sono mai entrate nella disponibilità patrimoniale del dipendente. La questione è stata recentemente risolta dalla Corte di cassazione con pronuncia n. 1464 del 2 febbraio 2012, la quale ha affermato il principio per il quale la ripetizione dell'indebito da parte del lavoratore non può che avere ad oggetto esclusivamente le somme da quest'ultimo effettivamente percepite, al netto, quindi, delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali. La pronuncia, peraltro, trova indiretto fondamento nei principi generali espressi con la decisione n. 18584 del 2008 della Suprema corte, la quale conferma che, nell'ipotesi in cui il lavoratore sia tenuto a restituire somme al datore di lavoro, queste debbano intendersi quali somme depurate da ritenute e contributi. Si considerino, anche, in materia, il conforme parere n. 21 dell’11 luglio 2012 reso dalla Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, nonché, per quanto attiene agli aspetti fiscali, la risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 71/E del 28 febbraio 2008, che si discosta da tali orientamenti per quanto attiene agli oneri fiscali sostenuti dal lavoratore.

La questione sul tappeto e le diverse soluzioni

Alla luce di quanto sopra, quindi, fermo restando come sia oramai pacifico che il recupero di valori indebiti debba avvenire al netto degli oneri previdenziali, la questione che si pone è, viceversa, quella di verificare se la richiesta di recupero, da inoltrare nei modi di legge al singolo dipendente percettore, debba indicare l’importo percepito al netto anche delle ritenute fiscali, in quanto è solo quella somma che è effettivamente entrata nella disponibilità del dipendente, o, se, viceversa, l’importo da chiedere a rimborso debba comprendere anche le ritenute che il sostituto d’imposta ha versato per conto del sostituito e che questi ha utilizzato a deconto delle ulteriori ed eventuali imposte da versare.
In materia, dunque, si possono annoverare alcuni orientamenti giurisprudenziali che di seguito si indicano, ovvero:
1) sentenza del Consiglio di Stato n. 3984 depositata in segreteria il 4 luglio 2011 secondo la quale “la ripetizione dell’indebito nei confronti del dipendente, da parte dell’Amministrazione, non può che avere ad oggetto le somme da quest’ultimo percepite in eccesso, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del dipendente, non potendosi, invece, pretendere la ripetizione di somme al lordo delle ritenute fiscali, allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. Ne consegue che la P.A., nel procedere al recupero delle somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, deve effettuare tale recupero al netto delle ritenute fiscali, previdenziali e assistenziali”.
2) Sulla stessa lunghezza d’onda la pronuncia della suprema Corte n. 1464 del 2 febbraio 2012 che afferma che “la ripetizione dell’indebito nei confronti del lavoratore non può non avere ad oggetto, pertanto, che le somme da quest’ultimo “percepite”, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale del predetto”.
Tale orientamento (restituzione solo ed esclusivamente degli importi netti ricevuti) è frutto delle richiamate pronunce giurisdizionali, sennonché, come sopra cennato, per quanto attiene agli aspetti fiscali la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 71/E del 29 febbraio 2008 afferma un diverso ed opposto indirizzo, in virtù del quale il recupero di che trattasi deve essere effettuato al lordo delle ritenute fiscali operate a carico del lavoratore inciso, ponendosi in chiaro contrasto con le soluzioni divergenti dalla giurisprudenza sopra citata.
Il quesito posto alla Direzione centrale normativa e contenzioso dell’Agenzia delle Entrate riguarda le modalità di recupero dell’Irpef versata e non dovuta da parte di un dipendente Inps che, a seguito di un contenzioso instaurato con l’ente, otteneva il riconoscimento della qualifica di dirigente e la liquidazione di emolumenti arretrati ed il correlativo versamento delle ritenute da parte dell’Inps.
Tuttavia, a seguito di sentenza della Corte d’appello, veniva disconosciuta la predetta qualifica dirigenziale, con la restituzione di quanto precedentemente percepito.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate parte dall’analisi dell’articolo 10, comma 1, lett. d-bis), del Tuir, inserito dall’articolo 5, comma 1, lett. b), del Dlgs 2 settembre 1997, n. 314 che prevede, a decorrere dal 1° gennaio 1998, un nuovo onere deducibile dal reddito complessivo del contribuente.
Tale onere, come chiarito dall’amministrazione finanziaria con circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, è di ammontare pari all’importo delle somme che, in un periodo d’imposta, sono state assoggettate a tassazione e, successivamente, rimborsate all’ente erogatore. Non essendo previsto, infatti, l’istituto delle “sopravvenienze passive” per i redditi tassati secondo il criterio di cassa, non vi era alcun supporto legislativo che consentisse il rimborso delle imposte pagate relative a somme successivamente restituite.
La disposizione riguarda tutti i redditi assoggettati a tassazione con il criterio di cassa, quali i redditi da lavoro dipendente e assimilati, nonché i redditi da lavoro autonomo.
La predetta risoluzione richiama, poi, l’ulteriore risoluzione n. 110/E del 29 luglio 2005, la quale ha previsto che l’introduzione della predetta lett. d-bis) si è resa necessaria proprio in quanto il sistema di rapporti tra Erario, sostituto e sostituito comporta che il recupero, a carico del contribuente, delle somme a suo tempo a lui erogate avvenga al lordo delle imposte che l’ente erogatore ha versato all’erario in qualità di sostituto d’imposta.
La risoluzione ha chiarito che l’onere deducibile, rappresentato dal rimborso lordo che il dipendente deve restituire, potrà essere riconosciuto direttamente dal sostituto d’imposta che applicherà le ritenute sulla differenza tra l’imponibile spettante al dipendente e l’onere deducibile relativo al rimborso effettuato allo stesso.
Praticamente, quindi, facendo un esempio, se il dipendente dovesse rimborsare 10.000,00 euro al proprio datore di lavoro e quest’ultimo dovesse erogare, al medesimo dipendente, in costanza di rapporto di lavoro o altro rapporto, una somma di 15.000,00 euro, l’ente compenserà fino a 10.000,00 euro l’importo da corrispondere, effettuando le ritenute sulla residua parte di 5.000,00 euro.
In alternativa, il dipendente, nel periodo in cui la somma è restituita, potrà operare una corrispondente deduzione dal proprio imponibile fiscale, pari all’importo, lordo di ritenute, corrisposto al datore di lavoro.
La risoluzione in oggetto rileva, anche, il rapporto esistente tra l’articolo 10, comma 1, lett. d-bis), del Tuir e l’istanza di rimborso relativa ai versamenti diretti in base all’articolo 38 del Dpr n. 602/1973, facendo rilevare, a tal proposito, che l’istanza di rimborso è ammessa “esclusivamente” per le ipotesi di errore materiale, duplicazione totale e parziale dell’obbligo di versamenti o inesistenza totale o parziale delle stesse.
Per cui, in assenza di tali presupposti, occorre procedere con l’applicazione dell’articolo 10, comma 1, lett. d-bis).
Per quanto precedentemente rilevato, quindi, si può affermare che la disposizione contenuta nel più volte citato articolo 10, lett. d-bis), del Tuir rappresenti la regola generale a cui attenersi, anche perché appare come la più semplice ed immediata.
Il contribuente, infatti, all’atto della restituzione, ha la possibilità, attraverso la deduzione del suo reddito imponibile, di compensare le imposte già versate dal sostituto d’imposta.
Si precisa, inoltre, che l’onere deducibile, corrispondente all’importo lordo delle somme restituite, potrà essere riconosciuto direttamente dal sostituto d’imposta.
Deve ritenersi, poi, che tale procedura solo formalmente diverga dalle pronunce di cui si è fatto cenno, poiché il contribuente, portando in deduzione dal proprio reddito l’onere rimborsato al datore di lavoro, compensa le imposte pagate e, quindi, di fatto, è come se corrispondesse il netto ricevuto.
Il problema si potrebbe porre se il contribuente avesse un reddito complessivo inferiore all’onere deducibile, per cui la parte di somma restituita, che non è stata recuperata ai fini delle imposte attraverso l’onere deducibile, dovrebbe legittimare la richiesta di rimborso, ex articolo 38 del Dpr n. 602/1973.
Tale soluzione, poi, appare maggiormente coerente con la particolare situazione in cui si verrebbe a trovare il datore di lavoro pubblico nel caso di richiesta di rimborso all’amministrazione finanziaria di quanto versato a titolo di sostituto d’imposta nell’ipotesi di recupero al netto dei versamenti fiscali operati, atteso che, in tal caso, si porrebbe l’ulteriore problema dei termini di decadenza dell’azione di rimborso, che, come regola generale, può essere proposta entro 48 mesi dalla data in cui è avvenuto il versamento. Potrebbe, infatti, verificarsi il caso in cui il datore di lavoro pubblico, uniformandosi alla prassi dell’Agenzia delle entrate, avesse proposto ricorso davanti al giudice ordinario al fine di recuperare le ritenute versate al lavoratore, omettendo, però, di promuovere tempestiva azione di rimborso in sede tributaria, in applicazione delle disposizioni fiscali sopra indicate. Sul punto, tuttavia, si ritiene che, a tutela del principio di buona fede previsto dall’articolo 10 dello Statuto del contribuente, al fine di evitare che l’amministrazione pubblica datrice di lavoro possa essere penalizzata dal contrasto interpretativo tra giurisprudenza lavoristica e orientamento dell’amministrazione finanziaria, alla stessa dovrebbe essere riconosciuto e concesso il termine biennale dettato, in via residuale, dall’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992. Detta norma, infatti, consentirebbe, al datore di lavoro pubblico, di proporre la domanda di restituzione delle ritenute entro i due anni successivi al passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza che condanni il lavoratore a restituire, pur se al netto delle ritenute, le somme indebitamente percepite.

La legge di stabilità 2014

Si osservi, poi, sul punto, che, in modo dirimente, la recente legge di stabilità per l’anno 2014, legge n. 147 del 27 dicembre 2013, con le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 174, ha espressamente sostituito la lett. d-bis) del comma 1 dell'articolo 10 del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il quale, pertanto, nella sua nuova formulazione vigente dal 1° gennaio 2014, ma relativa al periodo d’imposta 2013, così testualmente dispone, in materia di oneri deducibili: “d-bis) le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti. L'ammontare, in tutto o in parte, non dedotto nel periodo d'imposta di restituzione può essere portato in deduzione dal reddito complessivo dei periodi d'imposta successivi; in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze (…)”.
La soluzione legislativa accolta nell’ambito della legge di stabilità per il 2014 appare, dunque, del tutto coerente con i principi sopra rappresentati e con il quadro normativo che, ad oggi, regola tale particolare situazione giuridica, ponendosi, tuttavia, in netto contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale al momento formatosi nelle competenti sedi processuali.


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Re: Ricorso vinto revoca pensione

Inviato: dom nov 01, 2015 6:19 pm
da palmy66
grazie avt8